ZoneModa Journal. Vol.9 n.1 (2019)
ISSN 2611-0563

Maghette, fancy idols e campioni olimpici. Gli anime giapponesi nella TV per ragazzi dell’Italia degli anni ’80

Vincenzo MaselliSapienza – Università di Roma (Italy)

He attained the title of Doctor Europaeus of “Planning, Design and Technology of Architecture” at the University of Sapienza in Rome. His interests focus on animation and motion design and his researches concern the study of puppets’ material and technological features in stop-motion animated films, the technological evolution of video-art, and the aesthetic comparison between animation traditions in countries with different cultural and historical background. He is currently a lecturer in Motion Design at the “G. d’Annunzio” University in Chieti-Pescara.

Pubblicato: 2019-07-30

Abstract

Mass communication’s history has been exposed to numerous revolutions in the late 70’s and early 80’s: new TV shows, channels, technologies and disciplines examining the relationship between culture and media appeared. In those years European countries, especially Italy, imported a massive amount of Japanese cartoons and broadcasted them on private networks. Several scholars and experts have named this phenomenon anime boom. By shortly summarizing political, economical, social and technological events that occurred in Italy in the 80’s, such as the establishment to produce new TV programs expressively dedicated to children and young adolescent (the so-called children’s TV), the article analyses two anime’s genres very popular in that decade, majokko anime (with magic little girls) and spokon anime (with sports’ champions). The article aims to examine those genres, their narratives, characters, modes and imageries they contributed to create, and to demonstrate their pedagogic qualities that have influenced the sensitivity and behaviours of thousands of children. Economic reasons, indeed, pushed the purchase of Japanese cartoons in the beginning, however the educational value and the attention to characters’ psychology made their success incomparable among Italian children in the 80’s.

Keywords: Anime boom; Children’s TV; Post-modern heroes; Pedagogic narratives; Interculturality.

Sabato 19 luglio 1986 alle 16:00 del pomeriggio, la maggior parte del pubblico italiano tra i cinque e i nove anni era seduta come ogni giorno davanti al televisore sintonizzato su Italia 1, curiosa di scoprire quali avventure aspettavano il trio di presentatori ormai entrato nella loro quotidianità, composto da Paolo Bonolis, Manuela Blanchard e il pupazzo di pezza rosa confetto Uan. Le simpatiche gag del trio che animava il programma TV bim bum bam in quegli anni si alternavano agli imperdibili episodi delle serie animate provenienti dal Sol Levante. In quella calda giornata estiva, fece la sua comparsa un nuovo personaggio, di cui il pubblico italiano si sarebbe presto innamorato, l’undicenne aspirante goleador Oliver Atton, appena trasferitosi con tutta la sua famiglia a Fujisawa, dove avrebbe presto conosciuto il suo futuro compagno di gioco, il portiere Benjamin Price. Rocambolesche azioni, ardenti emozioni, lacrime di gioia o di dispiacere, lealtà e amicizia e tanto altro hanno fatto la fortuna di una delle serie animate nipponiche più seguite di tutti i tempi, i cui 128 episodi sono stati ritrasmessi negli anni seguenti dalla stessa emittente su cui erano sbarcati quel ‘lontano’ luglio 1986. Sbalorditi, impressionati e ansiosi di scoprire quale sarebbe stato l’esito della sfida tra i due protagonisti, i bambini seduti davanti al televisore incontrarono, quello stesso 19 luglio, un altro noto personaggio dell’universo animato di provenienza giapponese, la piccola Stilly, che grazie allo specchietto magico regalatole dallo spirito delle stelle un paio di anni prima (nel settembre 1984) compiva magiche e spesso maldestre trasformazioni. Queste e molte altre storie hanno reso la TV per ragazzi degli anni ’80 un simbolo distintivo del palinsesto televisivo in Italia. Nei paragrafi successivi si analizzeranno gli eroi più popolari in quel decennio: bambine con poteri magici e campioni sportivi, e s’indagheranno le caratteristiche dei generi cui appartengono, le radici culturali, e gli espedienti stilistici e registici che hanno reso queste storie strumenti pedagogici capaci di “veicolare significati e proporre modelli e comportamenti da imitare”, e di comunicare al piccolo telespettatore attraverso “il linguaggio universale delle emozioni”.1 L’analisi del registro pedagogico delle serie animate è stata condotta nell’ultimo decennio da studiosi nel campo della formazione, della ricerca sociale e della comunicazione che si sono concentrati sui cartoons di produzione occidentale rivolti a bambini in età prescolare, arrivando unanimemente alla conclusione che le serie animate esaminate rappresentano un’importante componente del percorso di crescita dei bambini: “sono parte della loro quotidianità, delle loro esperienze. Giocano con il loro immaginario e lo alimentano”.2

I fattori convergenti

Perché questi personaggi [hanno] avuto tanto successo qui da noi, perché i bambini italiani ed europei si sono rispecchiati così tanto in quelle situazioni da rendere alcune serie giapponesi dei veri e propri classici, conservandone indelebile il ricordo, una volta diventati più grandi?3

L’irrompente ingresso delle serie animate nipponiche nei palinsesti televisivi italiani tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 può essere compreso se si analizzano fattori convergenti sul piano politico, economico, sociale e tecnologico dell’Italia a cavallo dei due decenni.

A causa della crisi petrolifera l’Italia, come tutti i paesi capitalisti, nell’autunno 1973 era stata colpita da una forte ondata di recessione con ripercussioni sull’economia del Paese. La crisi aveva acceso un dinamismo imprenditoriale senza precedenti e un interesse da parte di grandi gruppi editoriali come Mondadori, Rusconi e Olivetti verso il prodotto audiovisivo e verso “la possibilità di sfruttamento commerciale delle nuove tecniche di riproduzione elettronica dell’immagine”.4 Frattanto la Corte costituzionale aveva emesso una serie di sentenze che rivoluzionarono il sistema produttivo delle comunicazioni di massa. Con la sentenza n. 225/1974 dichiarò apertamente illegittimo il monopolio RAI sul mezzo radiotelevisivo, prevedendo un’eccezione per i privati in ambito locale con la successiva pronuncia in merito (Corte Cost. n. 226/1974).5 Iniziava la strategia del “rosicchiamento” che, secondo Frano Monteleone, dall’estate del 1974 causò la nascita di numerose tv locali che trasmettevano via etere, tra cui Telemontecarlo, Telesuperba, Qui Modena, Savona TV. Con un altro intervento della Corte costituzionale del 1976, la liberalizzazione su scala nazionale era ufficiale e all’alba del nuovo decennio il telecomando era diventato simbolo di un linguaggio televisivo nuovo, che riduceva i tempi di programmazione e aumentava vertiginosamente i ritmi del racconto differenziandone prodotti, pubblico e qualità.6 La rigogliosa e incontrollata nascita di networks privati su scala locale e nazionale in apertura degli anni Ottanta fece sorgere “la necessità di riempire al più presto e nella maniera più economica possibile ore e ore di programmazione ancora vacanti”.7 Gli anime giapponesi, di cui c’era stato già un assaggio negli anni precedenti nella formula delle coproduzioni euro-giapponesi – da cui erano nate le prime serie trasmesse in Italia già nella seconda metà degli anni ’70, come Barbapapa (1976), Vickie il vichingo (1976) e Heidi (1978) – sembrarono, insieme alla telenovele latinoamericane, la risposta perfetta a questa necessità, poiché erano “programmi già pronti e di discreta qualità”.8 A questo si aggiungevano altri fattori:

  • La “serialità” di questi prodotti audiovisivi, che permettevano l’organizzazione di appuntamenti dei programmi “in senso orizzontale e quotidiano, replicando lo stesso schema per fasce orarie durante tutti i giorni della settimana”.9

  • Le condizioni contrattuali appetibili concesse dai produttori giapponesi agli acquirenti europei, poiché permettevano pesanti rimaneggiamenti e vere e proprie modifiche delle versioni originali delle serie.10

  • L’economicità del prodotto. La crisi energetica del ’73, infatti, aveva colpito anche il Giappone, causando un rallentamento del tasso di sviluppo che era stato inarrestabile nei quindici anni precedenti, con una serie di conseguenze sul piano economico, sociale e produttivo. Lo yen stava perdendo valore e, con questo, anche i costi della manodopera si stavano abbassando. Queste condizioni furono ideali per nuove istanze di sviluppo e per l’ingresso massiccio nel mercato internazionale dell’intrattenimento con produzioni locali a basso costo e apprezzate da acquirenti stranieri, prima per l’economicità e poi per i contenuti originali.

Sul piano sociale la trasformazione che stava subendo l’Italia nell’organizzazione familiare contribuì a decretare il successo degli eroi nipponici. Tra i cambiamenti che il post-modernismo portò con sé ci fu, infatti, l’avvento di una nuova struttura familiare nei centri urbani. Negli anni ‘80 le madri della classe media e popolare erano ormai lavoratrici a tempo pieno, ed era diventata una consuetudine che i bambini trascorressero i pomeriggi in compagnia di “quelle nuove e affascinanti avventure provenienti dal Giappone e che ogni giorno, puntuali, entravano in casa tramite il televisore”.11 I dati ISTAT e ISTEL raccolti da Elisa Manna e Alberto Pellai e relativi alle percentuali dei ragazzi che negli ani ’80 e ’90 guardavano i cartoon giapponesi, sono rappresentativi di questa situazione. Secondo i dati ISTEL dei primi anni ’80, circa l’80% dei ragazzi tra gli otto e quattordici anni risultavano assidui spettatori degli eroi giapponesi, a fronte delle percentuali assai più elevate raccolte dai dati ISTAT, secondo cui quasi il 100% dei bambini tra i cinque e gli undici anni agli inizi degli anni ’90 guardava le serie di anime giapponesi in tv, in media tra le due e le quattro ore giornaliere.12 La popolarità che queste serie conquistarono tra bambini e adolescenti italiani viaggiò, come accennato, su due fronti: le modalità di trasmissione e i contenuti. La cadenza quasi giornaliera delle serie in Italia fu, in parte, la ragione del loro successo, poiché gli eroi accompagnavano bambini e ragazzi quotidianamente con lunghe serie che potevano variare dai 26 ai 52 episodi.13 Sul piano dei contenuti, poi, se si escludono le menzionate coproduzioni Europa-Giappone, le cui storie erano classici occidentali della letteratura per ragazzi, i primi eroi nipponici dalla fine degli anni ’70 furono i robot, paladini nuovi e attraenti per i ragazzi, violenti e pericolosi per i genitori. In Italia, di fatti, l’anime boom iniziò con Atlas Ufo robot nell’aprile 1978 sul programma RAI Buonesera con…,14 contenitore che solitamente trasmetteva le serie d’animazione americane.15 Goldrake in Italia fu, a tutti gli effetti, il capostipite di una generazione di eroi meccanici. A fronte di una tecnica semplificata, le produzioni giapponesi puntavano sulla centralità delle storie, su intrecci narrativi articolati e protagonisti tormentati, e il tutto esaltato da “una ricercatissima regia […] emotiva”.16 Per usare le parole di Pellitteri:

Non più teneri quadretti in cui erano protagonisti animali che interagivano in scenari tranquillizzanti e dagli intenti spesso comici; […] ma drammi in cui spesso anche gli eroi morivano tragicamente, e in cui si parlava di temi forti e senza troppe accondiscendenze verso i piccoli spettatori.17

Questi eroi tormentati e super-tecnologici tesserono uno stretto rapporto con i giovani spettatori della società post-moderna, che, spesso, ne condividevano la profonda e inconsapevole solitudine. Kiyomitsu Yui nell’articolo “Japanese Animation and Glocalization of Sociology” (2010) riflette sul valore post-moderno degli anime e annovera una serie di caratteristiche della società che ha fatto terreno di diffusione delle serie nipponiche parlando di “predisposizione ad una condizione post-moderna” delle nuove generazioni di giovani. Tali caratteristiche sono, secondo Yui:

  • Il cambiamento della concezione di spazio e tempo, accentuatasi poi con l’arrivo di internet.

  • Una “estetizzazione della vita quotidiana” e l’apertura ad estetiche nuove e straniere.

  • Una decostruzione del soggetto, che mette in discussione se stesso e la realtà che lo circonda, dimostrandosi attratto dalla dimensione trascendente, ultraterrena-magica dei contenuti veicolati.

  • La “dedifferenziazione dei confini” che porta a una sfumatura delle differenze nazionali, etniche, culturali (cultura alta e bassa), e delle differenze tra originale e copia e tra reale e fittizio.

  • Il “declino delle grandi narrazioni a fronte di tante piccole narrazioni” provenienti da parti diverse del mondo e portatrici di “fragranze esotice”, ignote e conturbanti.18

Gli aspetti tecnologici dell’Italia dei primi anni ’80 costituiscono l’ultimo fattore caratterizzante di questo innesto di proporzioni straordinarie. Tra il 1975 e il 1980 in Italia il settore delle comunicazioni di massa visse una concatenazione d’innovazioni tecnologico-linguistiche. Ai prodotti mediatici elettronici quali radio e televisione si affiancarono i videogiochi, nuove attrezzature ludiche basate su un’interazione dinamica con il mezzo elettronico e non più solo passiva. Questo nuovo rapporto con la tecnologia si sposava perfettamente con l’immaginario che gli eroi robotici avevano contribuito a forgiare sul tema del rapporto uomo-macchina tipico dei primi anime. In Pellitteri si legge: “Goldrake e l’animazione giapponese di genere fantascientifico furono tra i segnali d’ingresso in una nuova fase dei media: quella […] della ‘fusione’ tra la tecnologia e l’uomo”.19 A questo cambiamento dell’immaginario si affiancò la diffusione anche in Italia negli anni ’70 della TV a colori, che valorizzò i nuovi prodotti d’importazione dai colori spesso sgargianti e ne aumentò in modo rilevante l’indice di gradimento.20

Il contenitore: Bim Bum Bam

L’anime boom in Italia avvenne tra il 1978 e il 1984 nella condizione appena descritta, ma il fenomeno ebbe una diffusione irta di ostacoli e non esente da pesanti critiche.21 Giunti sul promettente mercato dell’intrattenimento italiano, gli anime dovettero contrastare una “chiusura eurocentrica”22 e un’inquisizione di tematiche giudicate troppo reali e troppo poco edulcorate. Polemiche e perplessità sfiorarono la condanna pubblica e gli anime furono da molti bollati come troppo violenti o troppo audaci. Queste accuse furono in parte dovute a un profondo fraintendimento del target del prodotto, a causa delle produzioni disneyane americane che avevano abituato il pubblico ad accostare l’animazione al pubblico infantile.23

A fronte delle polemiche, negli anni ’80 la RAI, che per prima aveva accolto Goldrake, decise di rivedere i suoi investimenti e puntare sull’acquisto di diritti di serie americane. Altre reti, invece, si dimostrarono tenaci e aperte alla sfida, se pur attuando pesanti adattamenti a vari livelli dei prodotti originali, mandando in onda serie animate con scene tagliate, nomi modificati e resi più “europei”, dialoghi rimaneggiati e spesso interi episodi censurati. Personaggio di spicco di questa strategia di “accoglienza condizionata” fu l’allora responsabile della fascia per ragazzi della programmazione Fininvest/Mediaset, Alessandra Valeri Manera. Come riferito da Pellitteri, infatti, “la Fininvest, fu inizialmente meno attenta alle polemiche sulla presunta violenza e diseducatività degli anime” e divenne negli anni ’80 “la principale azienda italiana a diffondere gli eroi giapponesi”.24 Il “contenitore” che per due decenni, fino al 2002, accolse le storie giapponesi fu il programma televisivo Bim Bum Bam, simbolo e mito formativo per un’intera generazione – definita non a caso “generazione bim bum bam” da Alessandro Aresu (2012) – di giovani cresciuti con le sigle di Cristina D’Avena, le gag comiche del pupazzo “Uan” e la miriade di cartoon trasmessi ogni pomeriggio tra le 16.00 e le 18.00. Bim Bum Bam esordì su Italia 1 nel 1981 quando l’emittente apparteneva al gruppo Rusconi con il nome di Antenna Nord. Quando nel 1982 il network fu acquistato dalla Fininvest di Berlusconi, il programma, i cui indici di ascolti erano alti grazie a robot e altri eroi ed eroine giapponesi, fu mantenuto nel palinsesto, passando addirittura nel ’91 alla rete ammiraglia Canale 5, dove rimase fino al ’97 per essere poi ricollocato su Italia 1. Dopo vent’anni di programma, nel luglio 2002 Bim Bum bam, che già dal 2000 era stato ridimensionato a semplice “contenitore” di serie animate senza conduttori, non fu più trasmesso.25

Il “fenomeno Bim Bum Bam” ha conquistato l’affetto di un’intera generazione – quella dei nati tra il 1975 e il 1990 – per i quali, scrive Aresu, è stato un simbolo, un punto di riferimento e di riconoscimento ma anche il “centro pulsante della tv per ragazzi di cui Alessandra Valeri Manera – dall’età di 25 anni – è stata la penna, e di cui Cristina D’Avena – dall’età di 17, – la voce”.26 Questo programma non era, infatti, solo un contenitore pomeridiano di serie animate, ma un vero e proprio momento di condivisione di sketch comici, contenuti educativi e giochi in cui una miriade di aspiranti presentatori poterono esercitare e affinare le loro abilità. Negli anni alla conduzione si avvicendarono nomi come Paolo Bonolis, Licia Colò, Manuela Blanchard Beillard, Debora Magnaghi, Marco Bellavia e molti altri, affiancati da “figure di rango superiore alla divinità”27 quali il cane rosa confetto dal ciuffo fucsia Uan, il leone Ambrogio, l’orsetto Four e il draghetto Five.

I contenuti: Le maghette…

Come accennato in apertura, le storie che si sono avvicendate nella programmazione quotidiana di Bim Bum Bam sono numerose e diverse tra loro.28 In questa sede ci si concentrerà su due generi che hanno fatto la loro comparsa in Italia negli anni Ottanta e sono diventati pietre miliari della televisione per ragazzi, poiché portatori di un impianto valoriale dai forti effetti pedagogici e finestre conoscitive sulla cultura nipponica: il genere delle majokko (maghette-bambine) e gli anime spokon (della tenacia sportiva).29

L’anime di magia con protagoniste femminili aveva avuto un impatto pionieristico in Giappone già tra gli anni ‘60 e ’70, grazie a personaggi quali Sally la maga del ’66; Stilly e lo specchio magico del ’69; i Bon bon magici di Lilly del ’71, La maga Chappy del ’72, e Bia, la sfida della magia del ’74. Ad eccezione di Bia – ultima esponente di questa prima “generazione” di maghette che fronteggiava problematiche tipicamente adolescenziali – queste maghe erano bambine capaci di affrontare sfide non adatte alla loro età grazie all’aiuto della magia, compiendo, durante la serie, un percorso di crescita. Negli anni ’80 la situazione cambiò quando, grazie al fenomeno del merchandising esploso con l’idol virtuale Lynn Minmay (Fig. 01),30 lo studio d’animazione Pierrot intravide il potenziale successo commerciale dei gadget e dei dischi legati alle idols animate.

Figura 1: Fortezza superdimensionale Macross – episodio 27 “L’amore scorre” – minuto 12:01 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=4MWNbm430LE © Studio Nue, Artland, Tatsunoko
Figura 1: Fortezza superdimensionale Macross – episodio 27 “L’amore scorre” – minuto 12:01 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=4MWNbm430LE © Studio Nue, Artland, Tatsunoko

Nel 1982 l’anime Il magico mondo di Gigì rivoluzionò il genere introducendo elementi di riconoscibilità che hanno contribuito al successo dei quattro anime successivi dello studio Pierrot: L’incantevole Creamy del 1983 (Fig. 02), Evelyn e la magia di un sogno d’amore dell’84, Magica, magica Emi dell’85 (Fig. 03) e Sandy dai mille colori dell’86. Creamy, Evelyn, Emi e Sandy sono, secondo Luca di Martino, le rappresentanti più “autorevoli” del filone, tutte arrivate su Italia 1 tra il 1985 e il 1987.31 In molti hanno cercato di individuare e spiegare le ragioni sociali, culturali, linguistiche e, spesso, meramente commerciali che hanno decretato il successo delle maghette nella penisola. Sul piano degli espedienti narrativi ricorrenti e di successo in queste serie, si possono elencare:

  • La segretezza della dimensione magica della vita delle eroine, la cui conoscenza è condivisa solo – nella maggior parte dei casi – con un aiutante magico.

  • La presenza di mascottes (assistenti magici, procioni o gattini parlanti, scoiattoli volanti, etc.) che fungono da voce della coscienza, e forniscono consigli, indicazioni, ammonimenti e, quando necessario, rimproveri sul modo in cui le eroine usano le proprie abilità magiche.

  • Un incipit narrativo in cui la protagonista riceve un oggetto magico (bracciale, specchietto, bacchetta, etc.) da cui scaturiscono le sue abilità. La bacchetta magica sarà riproposta, con un grande successo commerciale, negli anime con protagoniste femminili guerriere degli anni ’90 (basti pensare ai vari scettri di Sailor Moon).

  • La formula magica, non riscontrabile in tutte le serie citate, è causa anch’essa dell’attivazione dei poteri. Frasi come “tekumaku mayakon” (Stilly) e “pampulu pimpulu parimpampum” (Yu/Creamy) hanno reso più riconoscibili i personaggi e rafforzato il processo di immedesimazione da parte del pubblico.

  • L'attenzione ai temi della moda e della musica – soprattutto nelle storie delle maghette della seconda generazione – hanno incontrato l’apprezzamento di un pubblico aperto alla sperimentazione e di diversi target di età e di sesso. L’alter ego ‘adulta’ di molte di queste bambine è, infatti, una fancy idol, una cantante, una prestigiatrice che attira le simpatie del pubblico italiano, non solo per la sua indole gentile e per la popolarità nello star-sistem della serie, ma anche per lo stile dell’acconciatura e i capi d’abbigliamento. Secondo Ilaria Capasso, sin da manga e anime degli anni ’60 le maghette, più dei personaggi appartenenti ad altri filoni narrativi, hanno subito il fascino della moda. Dopo le prime maghe-bambine dal look più tradizionale, le maghette adolescenti o con alter ego adulto degli anni Ottanta mostravano uno stile più fantasioso e ricercato. Già nella loro versione bambina, Gigì, Evelyn, Yu e Mei hanno uno stile tipicamente anni ’80, dal maglione sblusato di Gigì ai capelli turchesi di Evelyn e Yu. Ancor più trendy i look degli alter ego, dai capelli lilla e vaporosi e i vestitini con maniche arricciate di Creamy al trucco luminoso e appariscente di Emi.32 Idols alla moda e spesso provocanti.

  • Ultimi espedienti narrativi ricorrenti e riconducibili allo stesso registro interpretativo sono il topos della trasformazione e la rinuncia finale ai poteri, causata da una ‘presa di coscienza’ o da un evento importante di fronte al quale le eroine compiono la scelta senza rimpianto. Di Martino parla della “fase magica” delle maghette come una fase della vita, tra l’infanzia e l’adolescenza, come un “periodo in cui si può sperimentare anche la ribellione verso le regole della società e che termina con l’inizio dell’età adulta” e dunque con la maturazione, simbolicamente rappresentata dalla rinuncia stessa alla magia.33 Secondo questa chiave interpretativa la trasformazione è emblema della “fase magica” che Di Martino definisce di passaggio, e la rinuncia è il momento di maturazione e di ingresso consapevole nel periodo successivo della vita, l’età adulta: “Al termine del loro apprendistato-vacanza – scrive Di Martino – le bambine sono maturate: pur avendo fatto affidamento sulla magia per risolvere i problemi, hanno capito che per crescere ognuno deve basarsi sulle proprie forze”.34 Un epilogo talvolta duro da accettare ma dal forte valore educativo. Un altro parere che, pur prescindendo la condizione inusuale di relazione con la magia, elegge queste storie a allegorie di crescita e formazione è fornito da Victoria Newson (2004) e Kaori Yoshida (2008), che valorizzano la duplice natura delle citate protagoniste, le quali mantengono la propria dolcezza e femminilità, e al contempo dimostrano di avere forza interiore, di essere ottimiste e generose e di poter rinunciare, infine, alla ‘comodità’ della magia in funzione di un bene più grande.35

Figura 2: L’incantevole Creamy – episodio 52 “L’ultimo concerto di Creamy” – minuto 16:02 | Screenshot catturato dall’autore | 12 marzo 2019 | fonte: https://www.dailymotion.com/video/x607ec3 © Studio Pierrot
Figura 2: L’incantevole Creamy – episodio 52 “L’ultimo concerto di Creamy” – minuto 16:02 | Screenshot catturato dall’autore | 12 marzo 2019 | fonte: https://www.dailymotion.com/video/x607ec3 © Studio Pierrot
Figura 3: Magica, magica Emi – episodio 1 “Il braccialetto magico – 17’07” | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=I4Dw-nLLfMY © Studio Pierrot
Figura 3: Magica, magica Emi – episodio 1 “Il braccialetto magico – 17’07” | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=I4Dw-nLLfMY © Studio Pierrot

I contenuti: …e gli eroi sportivi

Le storie spokon (della tenacia sportiva) fecero la loro comparsa in punta di piedi nel mondo dei manga alla fine degli anni ’50, quando il generale americano MacArthur pose fine ai dettami dell’occupazione statunitense, che per quasi un decennio aveva messo al bando le attività marziali e qualunque pratica agonistica riconducibile ai codici degli antichi samurai, bollandola come dimostrazione di “un non sopito orgoglio virile nipponico”.36 Quando lo sport, in tutte le sue forme, divenne nuovamente accessibile, da subito si caricò di un simbolismo tipicamente nipponico portatore di messaggi ben più profondi dell’agonismo atletico, quali l’onore, la squadra, il rispetto, il sacrificio, il mettersi alla prova e la crescita personale. Anche gli spokon possono essere considerati, dunque, al pari delle majokko, storie di formazione dal forte impatto emotivo. Quando queste serie giunsero in Italia, e così nel resto d’Europa, furono criticate, spesso aspramente, per “le grafiche spigolose, le scene surreali e la violenza di alcune sequenze”.37 Ciononostante, negli anni ’80 bambini e adolescenti si appassionarono alle storie di quegli sportivi tormentati, cariche di messaggi profondi e drammatici.

Di certo gli europei non capirono mai a pieno, se non dopo le analisi antropologiche e storiche risalenti agli ultimi anni, le ragioni delle “esagerazioni” nella trattazione di tematiche quali violenza, sofferenza e sacrificio, ma furono affascinati dalla determinazione degli eroi nel perseguire i loro desideri di rivalsa e di vittoria. Le storie degli spokon sono emblematiche, infatti, delle vicende storiche e sociali dei giapponesi, per i quali lo sport è uno strumento per temprare la psiche e imparare ad affrontare “vittorie e sconfitte, sogni e delusioni, compagni e rivali anche nella vita”.38 Secondo Susanna Impegnoso, infatti, nella cultura giapponese “Lo sport [è] metafora della vita: per riuscire bisogna sacrificarsi, spesso rinunciare ai comuni divertimenti adolescenziali, allenarsi duramente, e rafforzare lo spirito oltre il corpo”.39 E anche quando si vince, lo si fa con umiltà, congratulandosi con l’avversario per la partita. Lo sport è sempre stato vitale nella cultura e pedagogia giapponesi e il successo del genere in un contesto internazionale è, con tutta probabilità, dipeso proprio dalla profondità psicologica dei personaggi e dalla volontà del pubblico di immedesimarsi ed esperire catarticamente sofferenza, frustrazione e fatica.

Sui palinsesti televisivi italiani questo messaggio, nonostante le censure e gli adattamenti, è arrivato forte e chiaro, e gli espedienti linguistici e stilistici hanno avuto un ruolo fondamentale in tal senso. Per comprendere la forza psicologica, pedagogica e persuasiva di questi espedienti si possono citare due serie: Holly e Benji, due fuoriclasse (1986) e Mila e Shiro due cuori nella pallavolo (1986). Le trovate sceniche iperboliche sono un tratto distintivo di questo filone e si rintracciano nelle azioni in cui i personaggi dimostrano una forza sovra-umana e sfidano le leggi di gravità, compiendo improbabili acrobazie e dilatando i tempi fino all’inverosimile. Per enfatizzarne la potenza e il timore che provocano nell’avversario, queste azioni spettacolari vengono spesso battezzate con nomi d’invenzione evocativi e adrenalinici per gli atleti bidimensionali e per il pubblico, sia quello virtuale degli spettatori dentro lo schermo, sia quello reale dei bambini-adolescenti di qua dal monitor. Nascono così, solo per fare alcuni esempi, la “catapulta infernale” dei gemelli Derrick (Fig. 04) o il “tiro da tigre” di Mark Landers, che è “in grado di bucare il pallone e scheggiare i pali”,40 il celebre grido “Attack!” con cui Mila accompagna le sue poderose schiacciate (Fig. 05), o il “servizio a volo di rondine” di Nami, che provoca un apparente sdoppiamento della palla. La dilatazione temporale è un altro fondamentale elemento di queste iperboliche azioni. Sia in Mila e Shiro sia in Holly e Benji “una singola azione può durare anche vari minuti, e […] possono riaffiorare, in flashback, ricordi che dureranno per tutta la puntata, al termine della quale la palla non avrà ancora raggiunto la porta [o superato la rete]”.41 Questi sono i momenti di maggiore intensità psicologica: immediatamente prima di un tiro in porta o di una schiacciata, il personaggio dialoga con se stesso e si chiede quale sia l’azione migliore da compiere, se passare la palla a un compagno o tirare, quale traiettoria far compiere al pallone e, non di rado, ipotizza pronostici o riflette sulle possibili conseguenze che l’efficacia dell’azione potrebbe avere per se stesso e per la propria squadra. Se nella realtà tutto ciò non durerebbe per più di una manciata di secondi, “nella rappresentazione dell’anime può durare il tempo di mezzo episodio, circa dieci minuti”.42

Figura 4: Holly e Benji, due fuoriclasse – episodio 74 “Calcio acrobatico” – minuto 18:15 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=-RdzEhbygkk © Tsuchida Production
Figura 4: Holly e Benji, due fuoriclasse – episodio 74 “Calcio acrobatico” – minuto 18:15 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=-RdzEhbygkk © Tsuchida Production
Figura 5: Mila e Shiro due cuori nella pallavolo – episodio 1 “Una nuova compagna di scuola – minuto 14:14 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=NDC3EURd5x0 © Studio Knack Co. Ltd.
Figura 5: Mila e Shiro due cuori nella pallavolo – episodio 1 “Una nuova compagna di scuola – minuto 14:14 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=NDC3EURd5x0 © Studio Knack Co. Ltd.

Esagerazione e alterazione temporale si sono rivelate, dunque, occasioni di riflessione e maturazione dei personaggi ed espedienti meritevoli di affezione da parte del pubblico, ma la drammaticità delle vicende narrate, come accennato, ha tenuto i bambini italiani della seconda metà degli ani ’80 letteralmente incollati agli schermi televisivi, partecipando alle frustrazioni, difficoltà e successi dei loro eroi sportivi. Dal forte impatto pedagogico, infatti, gli anime di questo filone si distinguono per l’intensità con cui vengono messi in scena il profilo psicologico, i sentimenti e le emozioni dei personaggi. In Holly e Benji si osserva una grande attenzione per le vicende dei singoli atleti, funzionale alla caratterizzazione dei personaggi e alla valorizzazione dei temi dell’amicizia e del senso di squadra: il grande amico di Holly, Bruce Harper, consapevole delle sue limitate capacità calcistiche, lotta per dare il meglio di sé, sostenere il talento di Holly e partecipare alla vittoria della squadra; Julian Ross, affetto da una grave malattia cardiaca, riceve gli auguri dai suoi avversari di pronta guarigione per tornare sul terreno di gioco; l’esuberante e spesso scorretto Mark Landers vive una precaria condizione familiare ed è costretto a lavorare per garantirne il sostentamento; l’ala destra Tom Baker, che forma con il goleador Holly la “coppia d’oro”, è costretto a seguire il padre pittore giramondo e a cambiare di continuo città e scuola. E così anche in Mila e Shiro: la spesso insolente e robusta Yogina Yokono, compagna di squadra di Mila, soffre per i suoi problemi di peso e la sua debolezza conquista il cuore del pubblico e della protagonista, che ne diventa grande amica; i problemi alla vista di Kaori diventano causa di sofferenza non solo per il personaggio, ma anche per le rivali, in virtù di uno spirito di competizione che inneggia alla sfida in nome della crescita e del confronto sportivo alla pari; la determinazione, la pazienza e lo spirito di sacrificio di Nami, vessata crudelmente dall’allenatore Diamon, la rendono una sorta di guida morale dell’impulsiva e spesso scapestrata protagonista. L’amicizia e lo spirito di squadra, dunque, sono tra i valori più enfatizzati da queste serie; lealtà e rispetto diventano ammirazione, e l’ammirazione amicizia. Soprattutto in Mila e Shiro, il trio composto dalla protagonista e dalle due amiche/rivali Nami e Kaori, è forse uno degli elementi più interessanti della serie per la caratterizzazione dei personaggi (Fig. 06). Questo gruppo, che con grande delusione gli spettatori vedranno giocare raramente nella stessa squadra, presenta un equilibrio sia a livello tattico (ciascuna è specializzata in uno dei tre ruoli fondamentali della pallavolo: attacco, ricezione, alzata) sia a livello emotivo. Le tre ragazze sono complementari tra loro: lo spirito di sacrificio e la maturità di Nami e la grande determinazione, lealtà e ottimismo di Kaori completano l’impulsività e l’ilare immaturità di Mila.43

A fianco dell’amicizia tra i singoli protagonisti c’è poi il senso della squadra, uno dei principali motivi di sacrificio del singolo personaggio. Tanto per Mila quanto per Holly, ormai allo stremo delle forze con dolori spesso lancinanti, la lealtà e il rispetto degli sforzi compiuti dai propri compagni di squadra diventano ragioni sufficienti per continuare a lottare. C’è qui un grande simbolismo culturale legato alla sconfitta del Giappone, Paese dalla grande unità culturale, durante il secondo conflitto mondiale. Come ricorda Pellitteri, “Negli sport di squadra si riconosce un popolo, in quegli individuali il singolo” e lo sport di squadra diventa “una sorta di nicchia ideale dove far albergare il mai sopito orgoglio nipponico”.44

Figura 6: Mila e Shiro due cuori nella pallavolo – episodio 16 “Mila in crisi” – minuto 18:45 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=5JZ9tLjat2I © Studio Knack Co. Ltd.
Figura 6: Mila e Shiro due cuori nella pallavolo – episodio 16 “Mila in crisi” – minuto 18:45 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.youtube.com/watch?v=5JZ9tLjat2I © Studio Knack Co. Ltd.

In questa sede sono state tracciate le caratteristiche del filone sportivo prendendo in esame due dei numerosi anime che negli anni ‘80 sono giunti in Italia. Val la pena ricordare, tuttavia, che gli anime sportivi arrivati nella seconda metà degli anni ’80, e qui analizzati, avevano subito un processo di modernizzazione e ’occidentalizzazione’ nella trattazione di alcuni temi, soprattutto quelli del sacrifico e del dolore fisico, trattati con più leggerezza e affiancati da altri temi quali l’esplorazione della dimensione umana dei personaggi, la valorizzazione della sfera personale e del tempo libero, l’amicizia e la condivisione. Nelle serie precedenti come Mimì e la Nazionale di pallavolo (1981), Jenny la tennista (1982), L’uomo Tigre (1982), Rocky Joe (1982), Forza Sugar (1983) e Tommy, la stella dei Giants (1985), i protagonisti erano, invece, più devoti al sacrificio e all’auto-disciplina e, di conseguenza, allo sport come dimensione totalizzante, cui dedicarsi fino a perdere la propria vita. Queste le ragioni principali per cui personaggi come Tommy, giocatore di baseball che vive allenamenti e incontri con sacrificio e abnegazione fino a mettere a repentaglio la sua salute e distruggere le sue possibilità di carriera, Sugar, il giovane pugile che assiste alla morte di suo padre al luna-park (Fig. 07), Joe, altro pugile che spira al termine del suo più importante incontro (anche se la scena è stata censurata in Italia), Mimì, che si allena duramente con l’obiettivo di migliorarsi fisicamente e spiritualmente, o Naoto, il solitario e affascinante lottatore con la maschera da tigre che lotta in difesa del mondo (Fig. 08), destarono preoccupazione negli adulti che videro inadatte le scene di sangue e sofferenza per un pubblico infantile, sebbene il messaggio di queste storie sia tutt’altro che negativo: le sconfitte, il sangue, le sofferenze, e in alcuni casi la morte, come scrive Di Martino, rendono questi eroi dei vincenti proprio perché sono persone non-straordinarie che con difficoltà e sacrificio si sforzano di vivere seguendo la via della rettitudine.45 Pur assimilabili ai supereroi occidentali in tute colorate e attillate, gli eroi delle saghe sportive nipponiche portano il carico di responsabilità, mestizia e sacrificio senza l’aiuto di superpoteri e con le “sole” forze di un essere umano.

Figura 7: Forza Sugar – episodio 5 “Papà non è morto” – minuto 2:46 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://wstream.video/video/904bvlarbtlq © Toei Animation, Fuji TV
Figura 7: Forza Sugar – episodio 5 “Papà non è morto” – minuto 2:46 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://wstream.video/video/904bvlarbtlq © Toei Animation, Fuji TV
Figura 8: L’uomo Tigre – episodio 41 “Maschera di morte” – minuto 13:46 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.dailymotion.com/video/x6esg20 © Toei Animation
Figura 8: L’uomo Tigre – episodio 41 “Maschera di morte” – minuto 13:46 | Screenshot catturato dall’autore | 9 marzo 2019 | fonte: https://www.dailymotion.com/video/x6esg20 © Toei Animation

Conclusione

L’analisi condotta nelle pagine precedenti affianca ai fattori economici e commerciali il valore pedagogico degli anime, che alla fine degli anni ‘70 era stato riconosciuto solo da parte di chi, come Nicoletta Artom46 per la RAI e Alessandra Valeri Manera per la Fininvest, si era fermato ad osservare senza pregiudizi, ad analizzare e ’dissezionare’ le serie provenienti dal Sol Levante.

Come accennato nell’introduzione, la sfida analitica in chiave pedagogica dei prodotti animati ha trovato terreno fertile nelle riflessioni di numerosi studiosi, tra cui spicca la disanima qualitativa condotta dai ricercatori dell’Osservatorio di Pavia.47 Secondo Daniela Sarsini la carica emotiva, il coinvolgimento, la scansione ripetitiva e la forte immedesimazione nei personaggi rendono di diritto le serie animate “efficaci strumenti educativi” e la rapidità nel calamitare l’attenzione e la forte passione generata nei confronti dei contenuti proposti “possono favorire una modalità conoscitiva diversa da quella logica e astratta, privilegiata per secoli dalla nostra cultura, sviluppando una sintonizzazione percettiva, emozionale e corporea con gli altri e con il mondo”.48 Se Sarsini e altri hanno però rivolto la loro attenzione a serie animate dedicate a bambini in età prescolare e prodotte in Europa, lo sforzo interpretativo e analitico di Pellitteri e della pubblicistica di settore, pur nascendo da motivazioni spesso impressionistiche, ha dimostrato che anche il fenomeno anime presenta chiavi di lettura pedagogiche e può essere a buon diritto annoverato in un paradigma educativo “informale” poiché individua un’esperienza relazionale e comunicativa “in cui si registrano apprendimenti senza che vi siano istituzioni od organizzazioni manifestamente preposte allo scopo e senza che vi sia una [dichiarata] intenzionalità pedagogica”.49 Adottando le stesse conclusioni formulate da Sergio Tramma in riferimento all’educazione informale dei media e da Sarsini e Manuela Malchiodi relativamente al potere delle serie animate di educare e intrattenere, anche il fenomeno delineato in questo articolo concorre a definire uno strumento pedagogico, ed espande ulteriormente le aree interessate dall’educazione verso esperienze di apprendimento “liquido” che innestano una pluralità di conoscenze: “visuali, acustiche, metaforiche, fenomenologiche, percettivo-motorie”.50

Nello specifico, come illustrato, la sintonizzazione emozionale suscitata dai generi di anime discussi in quest’articolo porta alla luce due topoi pedagogicamente efficaci in virtù dei sistemi valoriali che ne scaturiscono:

  • la trasformazione, concetto centrale e ricorrente nelle serie appartenenti al genere delle maghette, rinvia al percorso di crescita individuale e di definizione dell’identità. L’idea di trasformazione, come mostrato, è un passepartout per diversi percorsi, dal cambiamento corporeo, all’assunzione di nuove capacità, al mascheramento, ai rovesciamenti di personalità, alla maturazione o acquisizione di consapevolezza. Negli anime trasformazione è “metafora del percorso che conduce verso l’età adulta”.51

  • La vita di squadra e il rispetto delle norme di comportamento come strumenti di disciplinamento dell’azione infantile. “Le regole di comportamento morali, di convivenza civile, di buona educazione, di opportunità e convivenza, la cui acquisizione è presentata come punto di approdo di percorsi di crescita”52 si considerano assimilabili attraverso il rapporto con la collettività sia in senso allargato, l’essere cittadino, sia – nelle storie degli eroi sportivi – nella realtà più ristretta della squadra guidata da un allenatore. Qui s’impara a rispettare l’autorità, le regole e a rapportarsi all’altro, che sia questo compagno o avversario.

I bambini e gli adolescenti, quindi, attraverso le trasformazioni magiche delle maghette, le decisioni difficili che queste dovevano prendere, le loro rinunce, le ansie, le preoccupazioni, i desideri e il profondo spirito di responsabilità degli eroi sportivi, hanno fatto “le prove generali del futuro ingresso nella vita dei grandi”53 e hanno potuto sognare di giocare con compagni d’avventura provenienti da mondi in cui la magia esiste, dove chi sembra debole può rivelarsi forte rimanendo gentile e leale, e in cui la forza d’animo e la determinazione possono sfidare la forza di gravità e sovvertirne i principi. Queste storie si rivelano strumenti di catarsi portatori di una morale critica: l’essere adulto e l’abilità sportiva, in conclusione, non sono qualità ricevute per magia, ma l’esito di un percorso di crescita.

Bibliografia

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  1. Daniela Sarsini, “Infanzia e cartoon: alcune riflessioni pedagogiche”, Studi sulla formazione, 1 (2012): 50.

  2. Manuela Malchiodi, Valori di Cartone. Esperienze e personaggi dell’animazione televisiva (Milano: LINK, 2009), 13.

  3. Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre (Latina: Tunué, 2018), 231.

  4. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, VII ed. (Venezia: Marsilio Editori, 2013), 386.

  5. Corte Costituzionale, 9 luglio 1974, no. 225, http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0225s-74.html, no. 226, http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0226s-74.html.

  6. Per approfondire vedi Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, VII ed, 388–91.

  7. Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation dal 1978 al nuovo secolo, IV ed. (Latina: Tunué, 2018), 339.

  8. Marco Pellitteri, “Manga in Italy. History of a Powerful Cultural Hybridization”, International Journal of Comic Art, vol. 8 (2006), 57.

  9. Cfr. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, VII ed, 450.

  10. L’analisi delle “strategie” di adattamento è fornita da Marco Pellitteri nel libro Il drago e la saetta (2008). Qui l’autore distingue cinque categorie di riadattamento e le definisce: “adattamento filologico”, “adattamento passivo”, “adattamento incongruo”, “depneumatizzazione” e “estrazione/interpolazione” (421–36).

  11. Cfr. Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 338.

  12. Elisa Manna, Età evolutiva e televisione. Livelli di analisi e dimensioni della fruiziomne (Torino: Edizioni ERI, 1982), 96–7; Alberto Pellai, Teen Television. Gli adolescenti davanti e dento la TV (Milano: FrancoAngeli, 1999), 20–1.

  13. Per approfondire vedi Guido Tavassi, Storia dell’animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 a oggi (Latina: Tunué, 2012), 151–2; Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 156–7.

  14. Sulle vicende che segnarono l’arrivo di Atlas ufo robot in Italia, Pellitteri fornisce un approfondito resoconto nel libro Mazinga Nostalgia (2018), 344–61.

  15. L’Italia, come ricordato da Pellitteri, fu uno dei primi Paesi europei ad accogliere gli anime nel palinsesto televisivo, nonché il Paese occidentale che ne vanta la maggiore distribuzione, con quasi 700 acquistati e trasmessi tra il 1978 e il 2006 (per approfondire vedi Pellitteri, The Italian anime boom, 364).

  16. Roberta Ponticello e Susanna Scrivo, Con gli occhi a mandorla. Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti (Latina: Tunuè, 2007), 29–30.

  17. Marco Pellitteri, Il drago e la saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese (Latina: Tunué, 2008), 18.

  18. Kiyomitsu Yui, “Japanese Animation and Glocalization of Sociology”, Sociologisk Forskning, vol. 47 (2010), 46–7.

  19. Cfr. Pellitteri, Il drago e la saetta, 18.

  20. Per approfondire vedi Ponticello, Con gli occhi a mandorla, 15.

  21. Per approfondire vedi Pellitteri, Il drago e la saetta, 319–35; Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 339–43; Ponticello, Con gli occhi a mandorla, 11-32; Raffaelli, Le anime disegnate, 217–28.

  22. Cfr. Pellitteri, Il drago e la saetta, 320.

  23. In Giappone la produzione di anime è divisa per fasce d’età e per sesso: dai bambini in età prescolare, agli adolescenti, ai giovani in età post-adolescenziale, ai consumatori adulti. L’animazione non è una forma d’intrattenimento a esclusivo appannaggio dei più piccoli, ma un vero e proprio linguaggio audiovisivo capace di modellarsi con efficacia secondo il pubblico e il mezzo di comunicazione.

  24. Cfr. Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 360.

  25. Per approfondire vedi “Bim Bum Bam Generation”, 5 dicembre 2016, https://www.glianni80.com/bim-bum-bam-generation/; “Bim Bum Bam”, 16 febbraio 2011, http://curiosando708090.altervista.org/bim-bum-bam-19822002/; “C’era una volta – Bim Bum Bam, la Tv dei piccoli”, 7 dicembre 2017, http://www.vbtv.it/2017/12/07/cera-volta-bim-bum-bam-la-tv-dei-piccoli/.

  26. Alessandro Aresu, Generazione Bim Bum Bam. Risposte precise a domande precise: autobiografia di 10 milioni di italiani (Milano: Mondadori, 2012), 18.

  27. Aresu, 19.

  28. La classificazione più esemplificativa dei generi di anime è fornita da Baricordi nel libro Anime (1991) ed è ripresa da Pellitteri in Mazinga Nostalgia. Il criterio adottato suddivide il mondo degli anime televisivi nei macro-generi: classico, feuilleton, umorismo, bambini, magia, sport, avventura, fantascienza e giganti di metallo.

  29. Senza concentrarsi sulle singole serie, nel presente e successivo paragrafo si tracceranno le tematiche ricorrenti, i topoi caratterizzanti e si suggeriranno possibili ricadute educative di questi due generi.

  30. La quindicenne Lynn Minmay è stata il primo esempio assoluto di idol animata comparsa nel 1982 con l’anime Fortezza superdimensionale Macross (Cfr. Tavassi 2018, 142).

  31. Luca Di Martino, “L’incantevole Creamy, Magica magica Emi”, in Mazinga Nostalgia (2018), 965.

  32. Per approfondire vedi Ilaria Capasso, “Anime alla moda”, in Con gli occhi a mandorla (2007), 155–7.

  33. Cfr. Di Martino, Mazinga Nostalgia, 957.

  34. Di Martino.

  35. Per approfondire vedi Victoria Newsom, “Young Females as Super Heroes: Superheroines in the Animated Sailor Moon”, Femspec 5.2 (2004), 6; Kaori Yoshida, Animation and “Otherness”: the Politics of Gender, Racial, and Ethnic Identity in the World of Japanese Anime (University of British Columbia, 2008), 96.

  36. Cfr. Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 214.

  37. Pellitteri, 971.

  38. Fabio Bartoli, “Tommy, la stella dei Giants; Pat, la ragazza del baseball”, in Mazinga (2018), 977.

  39. Susanna Impegnoso, “Anime e scuola”, in Con gli occhi a mandorla (2007), 191.

  40. Luca Di Martino, “Arrivano I Superboys; Holly e Benji, due fuoriclasse”, in Mazinga Nostalgia (2018), 984.

  41. Cfr. Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 218.

  42. Cfr. Impegnoso, Con gli occhi a mandorla, 188.

  43. Per approfondire vedi Valentina Semprini, “Mimì e la nazionale di pallavolo; Mila e Shiro due cuori nella pallavolo”, in Mazinga Nostalgia (2018), 991–5.

  44. Cfr. Di Martino, Mazinga Nostalgia, 983.

  45. Di Martino, 983.

  46. Nell’autunno 1977 la produttrice RAI addetta ai programmi per ragazzi Nicoletta Artom vide alcune sequenze di Ufo Robot Grendizer al Mifed, presentato non direttamente dalla Toei Animation, ma dalla Pictural Films di Jacques Canestrier, da cui Artom acquistò i diritti e la licenza di riadattamento e trasmissione in Italia. (Per Approfondire vedi Pellitteri 2018, 344–61).

  47. L’Osservatorio di Pavia è un istituto di ricerca e analisi della comunicazione nato nel 1994. Tra le varie aree di interesse annovera la tv per ragazzi e l’animazione televisiva. Un grande rilievo, in questa direzione, è dato alla decodifica del registro pedagogico delle serie animate.

  48. Cfr. Sarsini, “Infanzia e cartoon: alcune riflessioni pedagogiche”, 50.

  49. Sergio Tramma, Che cos’è l’educazione informale (Roma: Carocci, 2009), 36.

  50. Cfr. Sarsini, “Infanzia e cartoon: alcune riflessioni pedagogiche”, 50.

  51. Cfr. Malchiodi, Valori di Cartone. Esperienze e personaggi dell’animazione televisiva, 66.

  52. Malchiodi, 88.

  53. Cfr. Pellitteri, Mazinga Nostalgia, 951.