L’abbigliamento insieme ai giocattoli e ai libri compone la triade fondamentale su cui si cui si è materialmente costruita l’identità dell’infanzia come categoria sociale, e del bambino come soggetto destinatario di cure affettive e di investimenti educativi. Un processo lento che caratterizza la società europea occidentale con l’inizio della modernità, compiendosi pienamente fra XVIII e XX secolo. Philippe Ariès nel suo testo fondamentale L’enfant et le vie familiale sous l’ancien régime (1960), dopo il secondo capitolo sulla “scoperta dell’infanzia” che è il tema centrale della sua ricerca, dedica il terzo capitolo all’abbigliamento infantile e il quarto alla storia dei giochi. Di fatto, questa è la tesi di Ariès, le prove che ci inducono a pensare che l’infanzia sia diventata un “valore” per la società, lo possiamo cogliere anche da quelle “cure” rappresentate dai prodotti destinati ai bambini e che cominciano a caratterizzare una sorta di industria editoriale, ludica, dell’abbigliamento. La pedagogia inizia ad andare oltre le pure teorizzazioni e ad osservare l’infanzia per ciò che è, nella sua vita materiale e sociale, nella sua concreta fisicità, e per ciò che dovrà essere. John Locke nei suo Some Thoughts Concerning Education (1693) dedica un capitolo all’abbigliamento infantile, come all’alimentazione, ai giochi e ai libri, e Rousseau nell’Émile (1762), oltre ad esprimere la più feroce critica nei confronti delle fasciature in cui veniva imprigionato il corpo dei neonati, svolge nel corso del suo romanzo pedagogico varie riflessioni sul tema dell’abbigliamento.
Erroneamente considerato meno rilevante sul piano educativo e culturale di quanto sia il gioco o la letteratura, l’abbigliamento “riveste”, è il caso di dirlo, un ruolo fondamentale nell’ambito di quella “Pedagogia del corpo” che è, seppure implicitamente, assai più direttiva di altre pratiche educative. L’abbigliamento non solo svolge una funzione nel vestire il corpo sulla base del suo bisogno fisico, ma contribuisce a formare l’identità del soggetto (a partire dal suo essere maschio o femmina), poiché l’abbigliamento dà forma al corpo del bambino, insieme a tutto ciò che esteticamente lo connota: dalla testa ai piedi. Come per i giochi e per i libri, anche per i vestiti che riguardano l’infanzia si tratta di oggetti progettati e realizzati da adulti, venduti e comprati da adulti; il bambino non è che il destinatario. Studiare l’abbigliamento infantile come repertorio che connota fortemente la cultura per l’infanzia nella modernità e nella postmodernità, significa cogliere soprattutto i modelli che la società adulta ha rispetto ai bambini del suo tempo, la cui docilità li rende disponibili a pratiche di manipolazione suggestive o inquietanti.
La moda, l'abbigliamento e il costume costituiscono espressione collettiva e individuale, mezzo di comunicazione e di “muta presentazione” di singoli e popoli: ai fini pratici si uniscono, fin dalla preistoria, quelli psicologici, estetici e non da ultimo, come affermato da Roland Barthes l'espressione di un “diritto naturale del presente sul passato”.
In questo numero monografico abbiamo accolto i contributi di autori che ci teniamo qui a ringraziare di cuore per il loro lavoro, studiosi provenienti da discipline diverse, invitati a ragionare del binomio moda e infanzia. Se al viaggio di indagine sulla cultura e la storia della moda uniamo l'ipotesi di interrogare la “funzione infanzia” e le sue declinazioni, otteniamo la possibilità di guardare entrambi i campi con prospettive diverse, moltiplicare le sfaccettature, evidenziando e producendo indagini avvincenti per vastità e originalità.
Rosita Levi Pisetzky nel suo saggio Il costume e la moda, a noi molto caro per ragioni scientifiche e affettive, uscito in Italia per Einaudi nel 1978, include nell’indagine storica per ogni secolo, un breve paragrafo sull'abbigliamento infantile. Il paragrafo diviene di secolo in secolo più corposo, evidenziando non solo la perdurante tendenza a vestire i bambini “a immagine e somiglianza” degli adulti, ma anche la crescente evoluzione di un linguaggio proprio, in stretta relazione con le esigenze del corpo bambino e naturalmente il suo immaginario.
Leggeremo di abbigliamento alla marinara e pantaloni alla zuava anche nel contributo di Constance Wilde apparso nella rivista diretta da Oscar Wilde, the Woman’s World, e che abbiamo deciso di riproporre in versione originale nella nostra sezione Backstage, dove incontreremo giornaliste della pubblicistica dedicata come ELLE France e Vogue bambino, il racconto di mostre e iniziative internazionali, le recensioni di alcuni testi critici utili per mettere a punto riflessioni e possibili dizionari. Se diamo uno sguardo all’indice dei saggi principali troviamo contributi di studiose e studiosi di sociologia, critica letteraria e pedagogica, storia dell’arte e della moda: ci teniamo a ringraziarli moltissimo per il lavoro che hanno dedicato a ZMJ. La presenza di diversi contributi dedicati alla letteratura e all’editoria per l'infanzia internazionale in relazione ad uno sguardo pedagogico problematicista, dichiara e rispecchia gli interessi dei curatori.
Una nota speciale va dedicata al corredo iconografico di questo numero. Il formato digitale della rivista non permette di sfogliare l'intera galleria di immagini come un unico testo visivo, ma il lettore e lo studioso troveranno nei contributi singoli voci di un dibattito complessivo colto sulla cultura visuale del binomio moda e infanzia, un discorso visuale che attinge e interpella i diversi linguaggi della fotografia, dell'illustrazione, del cinema e propone spunti di riflessione, da approfondire altrove, sulle rappresentazioni visuali dell’infanzia, fra moda e costume.
Chiudiamo con una straordinaria immagine letteraria che compare nel primo paragrafo storico dedicato da Pisetzky all'abbigliamento infantile nel Duecento. La persona descritta è una bambina:
Ella parvemi vestita d’un nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenìa.
Sono le parole con cui Dante, nella Vita Nova, descrive l’aspetto e l’abbigliamento di Beatrice, il colore rosso scuro del suo abito, la sua cintura e la ghirlanda che cingeva il suo capo infantile, quando la incontra per la prima volta e lei ha 9 anni.