Giuliana Parabiago: direttrice di Vogue bambini per molti anni, (e di Vogue Sposa) giornalista e consulente per Pitti Immagine Bimbo.
Domanda – Cara Giuliana, puoi definirmi il tuo lavoro, in particolare in relazione all'incrocio fra moda e infanzia?
Risposta – Mi ha sempre affascinato la moda, ma anche la percezione dell’abbigliamento e dello stile che hanno i bambini. Ridimensionano tutto e danno alle cose la giusta proporzione e anche un pizzico di sense of humor. Ho iniziato ad occuparmi di moda per Fashion, un settimanale dedicato agli addetti ai lavori, B to B per poi passare alla redazione di Vogue bambini dove, dal 1987 al 1997 da redattore ordinario sono diventata direttore salendo tutti i gradini: caposervizio, caporedattore, vicedirettore. Sono stata direttore dal 1997 al 2015 anni in cui ho lavorato duramente ma mi sono divertita molto. Un giornale è una sorta di osservatorio d’eccezione dei cambiamenti sociali, oltre che delle tendenze. In quegli anni sono mutati gli stili di vita, la struttura della famiglia, il rapporto con la moda e con lo shopping, le aziende di abbigliamento infantile. Ora sono consulente marketing e comunicazione per tutte le manifestazioni di Pitti, con un occhio di riguardo naturalmente al Pitti Bimbo!
D – Dirigere una rivista importante come Vogue Bambini significa frequentare e anche concorrere a costruire un osservatorio speciale, privilegiato e internazionale, sul binomio moda e infanzia: ci sono delle parole chiave con cui racconteresti questo binomio fantastico?
R – Come direttore supervisionavo i contenuti del giornale, decidendo tempi, tendenze, budget e argomenti di ogni numero. Curavo, con la redazione, iniziative speciali, eventi e servizi moda. Ora ho applicato questa esperienza ad una manifestazione, come fosse un giornale che vive per tre giorni, si esprime quindi attraverso iniziative speciali, scouting di nuovi marchi, presentazioni, relazioni.
D – Raccontare la moda per l'infanzia, fra immagini e testi, significa riprendere e insieme creare non solo un mondo reale, ma un immaginario collettivo: quali sono i riferimenti più potenti nell'ambito della moda bambino?
R – racconterei questo binomio essenzialmente con due parole: estetica e sostanza. Estetica significa stile che, nel caso del bambino, vuol dire anche funzionalità, norme di sicurezza, vestibilità e sostanza perché la moda non è solo vanità. Se ben comunicata aiuta i bambini a decifrare un codice iconografico che rappresenta una chiave di lettura irrinunciabile per i nostri tempi. Li aiuta a capire tutta una serie di stimoli a cui sono sottoposti.
D – La tua linea redazionale con Vogue bambino come ha dialogato con la condizione reale dei bambini, la loro vita quotidiana o il cambiamento delle culture a loro dedicate, anche in relazione alle variazioni dei tempi?
R – I riferimenti sono allargati: letteratura, fiabe, cinema, personaggi, basta che si riesca a leggerli e a tradurli con ironia. i bambini non sono disposti ad annoiarsi. Scattare un servizio fotografico deve diventare occasione di conoscenza (le diverse professioni che sono su un set), nuovi amici, interfacciarsi con gli adulti e vivere una realtà ‘magica’ come quella del set. Mi ricordo quando riproducemmo sul set la storia di Pippi Calzelunghe: i bambini non se ne volevano più andare…
D – Un caporedattore sceglie anche, oltre alla linea editoriale, le copertine, immagino: una scelta non semplice che detta e interpreta una direzione, puoi raccontarmi di che scelta si trattava?
R – Ho adottato la linea della spontaneità. Abbiamo sempre spiegato ai bambini che cosa avremmo fatto: una foto e in che modo, ma soprattutto ho voluto dare ai bambini un messaggio di coralità, aiutandoli a stare insieme, a fare nuove conoscenze, a non scimmiottare gli adulti. Non è possibile fare una bella foto senza il loro consenso, senza creare una situazione di benessere e di armonia. Passare del tempo insieme ha significato anche tante merende e alcune volte anche qualche poesia da studiare a memoria o compito di qualsiasi materia.
D – Quale idea di infanzia secondo te viene trasmessa oggi dal mondo della moda bimbo? Hai potuto osservare cambiamenti, tendenze e forse anche una variazione nel linguaggio della moda?
R – La copertina è una somma di elementi diversi: logica, ma anche di pancia, emozionale, deve ‘bucare’, farsi guardare, colpire, impressionare positivamente. Ho sempre avuto a disposizione tante belle foto, il difficile era scegliere! Tantissime variazioni e anche tante occasioni! Ora le bambine possono vestirsi come le loro mamme, il famoso stile ‘mini me’ propone un look condiviso. Può essere divertente, a patto che sia occasionale, un gioco, il sintomo che la distanza con gli adulti si è ridimensionata. In questi anni è cambiato tutto, anche la possibilità dei bambini di poter scegliere ed esercitare o coltivare i loro gusti.
D – Come consulente di Pitti Immagine Bimbo hai inventato e lanciato iniziative innovative, per esempio nell'intreccio fra moda ed editoria per l'infanzia: qual è l'intuizione che sta alla base di queste esperienze di sperimentazione e di ricerca?
R – Pitti bimbo ha, come centralità, il guardaroba, ma ha aperto le ante dell’armadio e guarda anche intorno quindi alla casa, al lifestyle, agli accessori. Da un drone registra tutto l’universo bambino, compreso gli stimoli.
D – Pensi che la moda bambino possa influenzare positivamente la qualità della vita infantile?
R – Può influire positivamente o negativamente, sono i genitori a indicare la giusta misura, a non esagerare, a non esasperare i toni. La moda come modo di esprimersi e di stare con gli altri, di divertirsi e di comunicare, di essere creativi e curiosi.
D – Credi che esista il rischio di una eccessiva mercificazione o adultizzazione dei bambini nel mondo della moda?
R – Il rischio c’è, per questo occorre essere rigorosi e non concedere nulla all’adultizzazione e alla strumentalizzazione.
D – Quali sono per te i migliori esempi di una tendenza invece positiva e di ricerca, nella pubblicità o nella moda infantile?
R – Il miglior esempio è la leggerezza.
D – Chi produce narrazioni d'infanzia ha sempre una grande responsabilità: come definiresti il ruolo degli stilist, dei giornalisti dei registi e delle altre figure impegnate nel mondo moda bimbo?
R – Tutte le professioni che sono in contatto con i bambini hanno il dovere di rispettarli, di coinvolgerli e di dare un senso, anche educativo, a quello che propongono. Hanno l’obbligo di creare un ambiente sereno, adatto ai loro tempi e alle loro esigenze, senza esporli a permanenze troppo lunghe o disagiate.
D – Quali sono state le esperienze fondamentali per la creazione del tuo gusto?
R – Credo che la mia sia stata un’esperienza sul campo, una sorta di manovalanza che mi ha permesso di crescere attraverso fotografi super creativi a livello internazionale e professionisti innamorati del loro lavoro. L’esperienza fondamentale è stata essere cresciuta accanto a mia madre, sarta milanese negli anni Sessanta, innamorata del bel vestire e dei begli accessori e poi i femminili. Sono cresciuta con Grazia, Anna, Arianna, Amica come sussidiari. Per giocare ritagliavo alla perfezione le modelle facendone bambole di carta.
D – A Pitti incontri anche i piccoli modelli con i loro accompagnatori, sei presente alle sfilate, certamente ascolti e osservi bambini e bambine: quali sono le tue impressioni sulla loro esperienza?
R – Se gli adulti non fanno passare una realtà deformata per i bambini l’esperienza di una sfilata – a patto che non diventi un lavoro e quindi occupi troppo tempo – può essere positiva. Li mette in contatto con la difficoltà di apparire davanti a un pubblico, premette loro di coordinarsi con gli altri bambini, di capire i meccanismi di uno spettacolo. E non serve parlare tante lingue: ci si capisce con un sorriso.