Moda, infanzia, gioco, racconto: il terzo e il quarto elemento del quadrinomio sembrano quasi venire da sé. Quando i bambini sono coinvolti nel gioco della moda possono essere protagonisti attivi o al contrario semplici elementi di decoro, agire come soggetti di scelte ed espressione oppure essere trattati come oggetti dimostrativi, merceologici, competitivi. Il gioco della moda, inteso come il mondo insieme creativo, commerciale e simbolico della moda bambino, contiene ruoli, travestimenti, stereotipi e percorsi e come sempre il mondo infantile ha bisogno del racconto adulto, per definire e discutere i confini e la forma delle proprie esperienze.
La relazione fra questi elementi e le infinite possibili combinazioni che li declinano da un estremo all’altro senza soluzione di continuità interessano tanto gli studi sulla moda quanto quelli sull’educazione, sulla comunicazione, sulle narrazioni e sull’immaginario collettivo.
L’infanzia a fronte di una persistente marginalità e invisibilità ha anche una sua storia artistico-letteraria, sotterranea e sottaciuta, in cui ha agito come fonte di ispirazione, più o meno dichiarata, di suggestione, come motore o materia di racconto e rappresentazione. La storia dell’infanzia e delle sue rappresentazioni, una storia davvero recente anche dal punto di vista critico, contiene e raccoglie anche molte bugie, prevaricazioni, violenze, omissioni e infrazioni di diritti che sono lungi dall’essere interrotte oggi.
Nella prima raccolta di fiabe dell’Occidente Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille detta il Pentamerone (1634/1636), il sottotitolo contiene di fatto una bugia: esso chiama in causa l’infanzia, i piccirilli, i bambini, che però non sono affatto i reali destinatari del libro, destinato invece all’intrattenimento cortigiano di un pubblico interamente e solamente adulto; i bambini e le bambine sono invece presenti come materia di racconto, come oggetto narrativo presente trasversalmente nelle 50 fiabe della raccolta, sotto forma di diversi personaggi.
L’infanzia nella raccolta di Giovan Battista Basile è un’infanzia sciagurata, logora, derisa, e ben si combina con la marginalità sudicia delle novellatrici, donne, vecchie, che incarnano e narrano, gli aspetti più contraddittori, scabrosi, erotici, violenti, comici e grotteschi dell’uomo, adatti a solleticare i desideri letterari e non della corte. L’infanzia dichiarata nel sottotitolo non è dunque che un elemento narratologico del discorso, non certo un destinatario della voce narrante, nonostante nei secoli che seguono alla prima pubblicazione, e nelle innumerevoli trascrizioni, come sempre accade per le fiabe, le narrazioni poi siano migrate, cambiando, trasformandosi e frequentando linguaggi e al fine anche destinatari diversi.
Il libro Bellissime di Flavia Piccinni descrive un mondo che ha qualcosa in comune con questo tipo di operazione: è un mondo, composito, che comprende manifestazioni della moda bambino, i set pubblicitari e i concorsi di bellezza di provincia, le trasmissioni televisive, realtà che presentano fra loro differenze anche notevoli, in cui tuttavia l’infanzia viene sempre dichiarata al centro, ma in realtà funge da mero elemento di una composizione, non di rado mercificazione e regia ben più ampia, tutta adulta, che si spinge, e si può spingere addirittura, a mettere l’infanzia reale di bambini e bambine non solo in disparte ma in pericolo.
Il lavoro di inchiesta di Flavia Piccinni, giornalista, saggista curiosa e instancabile e novellatrice di talento, è costituito soprattutto da un atteggiamento indiziario, e dal desiderio di restituire la voce a bambini, bambine, genitori che nel mondo della moda bambino e della spettacolarizzazione dell’infanzia sembrano perderla, come se fossero imbambolati o incantati da una malia fiabesca. Nel linguaggio dei tanti intervistati ritornano riferimenti ai miti della bellezza e della notorietà, apparati simbolici che sembrano restituire, garantire, amplificare il diritto ad esserci. In una società in cui l’immagine circola con rapidità millesimale nello spazio e nel tempo la risposta, la conferma, l’approvazione di quella immagine si carica di significati profondi che si rendono molto visibili quando, come ha fatto Piccinni, si indaga sul rapporto fra le proiezioni dei genitori, soprattutto delle mamme, e le esperienze dei bambini, soprattutto delle bambine.
Bellissime è prima di tutto una narrazione sull’infanzia che suscita e propone riflessioni aperte, invitando a problematizzare, a capire e a domandarsi quanto le esperienze di oggi stiano costruendo il nostro domani.
Il libro ha avuto un’accoglienza critica di rilievo, collezionando riconoscimenti come il “Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce” per la saggistica 2018, ma ha anche suscitato polemiche relative al ritratto che offre di alcune manifestazioni, fra cui le sfilate de Il Gufo a Pitti Bimbo. Nel backstage di alcune sfilate Flavia Piccinni ha intervistato bambini e madri schiacciati dall’ansia della performance e da tempi ed esigenze senz’altro poco a misura di bambino. Ispirate al libro sono state ben due inchieste parlamentari sul tema della moda bambino e delle condizioni dei bambini in questo tipo di contesto. L’analisi di Piccinni però non ha il sapore di un’inchiesta polemica che agisce con voce strillata: è al contrario un itinerario di ricerca ragionato che si pone in ascolto e interpella protagonisti e co-protagonisti di un mondo ampio e sfaccettato, per indagare sull’immaginario infantile e d’infanzia. Scrive Piccinni:
Quello che sono le bimbe oggi, ha molto a che fare con quello che sarà l'Italia nei prossimi trenta, quaranta, cinquant'anni. La costruzione dell'immaginario delle bambine, e dei bambini naturalmente, farà la differenza fra un popolo di aspiranti showgirl e uno di astronaute. Bisogna sempre rifuggire le distinzioni dicotomiche, eppure è negli estremi che si rivela la realtà.
La riflessione proposta è ampia, l’autrice prende in esame realtà diverse come talent show, film di animazione, trasmissioni televisive varie, concorsi di bellezza e sfilate di moda, in Italia e in altri paesi, e dichiara quali sono le questioni che via via emergono: quella connessa alla costruzione dell’immaginario, senz’altro, ma anche quella relativa ai diritti e alle condizioni reali dell’infanzia oggi, e alla salute di bambine e bambini messi a confronto con la competitività adulta sul piano, essenzialmente, dell’aspetto fisico e della resistenza in condizioni di stress ma anche della costruzione psicologica dell’identità e della relazione con il proprio corpo.
Bambine che temono di crescere perché non verranno più convocate per le sfilate, bambine che dichiarano che la bellezza è garanzia di felicità, bambine e bambini stanchi che si ciucciano il dito in passerella, lezioni di portamento, capelli stirati, arricciati, colorati contro la volontà dei legittimi proprietari: su tutto svettante e perfettamente limato e confezionato sta lo story telling dei media. Si rappresenta e produce così un’infanzia apparentemente perfetta e perfettamente adultizzata e allineata, pre-sessualizzata e operativa, un’infanzia senza ombre proprio perché, è stata privata della propria tridimensionalità: la restituzione di questa tridimensionalità di costituisce, nei linguaggi diversi dell’inchiesta, della ricerca, della riflessione critica, come restituzione di diritto e incoraggiamento di un pensiero problematico sulla pedagogia delle diverse età dell’uomo.