Che la moda sia un linguaggio a sé è un fatto acquisito, sebbene sarebbe più appropriato parlare di linguaggio “speciale” o “specialistico”. Ma la pervasività della sua cultura della moda, dei codici espressivi, del peculiare rapporto tra parole e immagini – evidenziato sin dai tempi delle Doppie Pagine di Anna Piaggi – rende la lingua della moda qualcosa di più e di diverso da un linguaggio specialistico. Nell’accademia sono stati i sociologi, primo di tutti Georg Simmel, a occuparsi di analizzare il ruolo della moda nella modernità e nell’estetica occidentale. Oggi sono i filosofi e gli antropologi, superate le antiche separazioni tra cultura alta e cultura popolare, a rendere conto delle conseguenze della globalizzazione della moda. Il problema della lingua tuttavia rimane. Linguaggio specifico della moda, come Roland Barthes,1 Allison Lurie2 e Fred Davis3 colsero, e lingua in cui la moda si esprime. Due facce della medesima medaglia e cioè riuscire, per chi a vari livelli si occupa del tema, a comprendere ed esprimersi nel modo corretto, con il giusto tone of voice e nelle diverse lingue in cui la moda si rivela. Agli esordi, come noto, la moda parlava francese, attualmente parla inglese. Nel suo passato c’è il modus latino, cioè la giusta misura, nel suo futuro ancora non sappiamo. Il turning point che più ci riguarda risale agli anni sessanta dello scorso secolo, quando la cultura pop prende il sopravvento su quella borghese, quando Londra surclassa Parigi in modernità, quando la strada e le sub-culture sono più di moda dell’atelier e dei couturier. La moda è tutta lì, nel senso del contemporaneo. E l’italiano? Nel passaggio dal francese all’inglese l’italiano è stato inondato da anglicismi, e sono poche le parole italiane che si sono conservate, tra cui, per esempio, “ballerine” che pur avendo traduzioni in inglese, pumps, sono soprattutto note come “ballerina shoes” o “ballerina slippers”. Dizionari che traducono termini e tecniche tessili ce ne sono, ma finora nessun dizionario aveva affrontato l’arduo compito di tenere insieme le parole e la cultura, anche ma non solo linguistica, della moda. Ogni volta che studiosi, giornalisti, blogger, studenti e stilisti vogliono parlare di moda si scontrano con il problema della scrittura e della traduzione, in questo intreccio tra codici espressivi della moda, iconici e verbali, e lingua in cui si esprime.4 Anglista, linguista, traduttrice e fashion theorist, nessuno meglio di Mariella Lorusso avrebbe potuto regalarci questo importante dizionario – inglese/italiano, italiano/inglese, frutto di anni di intenso lavoro: oltre 30000 lemmi e locuzioni, più di 300 illustrazioni, 170 falsi amici, più di 2000 frasi ed esempi, indicazioni di reggenza, forme flesse inglesi irregolari o complesse e un’appendice con la tabella delle misure e delle taglie. Il Dizionario della Moda di Mariella Lorusso contiene tutta la terminologia necessaria per chi usa l’inglese per lavoro o studio: abbigliamento, accessori e gioielli, tessuti, trattamenti e tecniche di lavoro, colori, cosmesi e cura dei capelli, marketing e comunicazione pubblicitaria. L’interesse di quest’opera, al di là della sua fondamentale funzione di collegare due lingue, si evince dalla preziosa introduzione, significativamente intitolata ‘Wordrobe’, in cui si delinea il carattere innovativo dell’opera e il suo valore culturale. Chi studia la moda deve conoscere il mondo. Non solo per i prestiti (forestierismi), ma anche e soprattutto perché la lingua della moda attinge da diverse provenienze geografiche, pensiamo all’harris tweed scozzese, alle espadrillas spagnole, al kimono giapponese, al lusekofte norvegese – per citarne solo alcuni – o si pensi ai toponimi come il casentino (Italia), l’alcantara (Spagna), il damasco (Siria) e il tanga (Brasile). Anche le dimensioni diacroniche, le variazioni nel tempo, e quelle diafasiche, cioè le differenze d’uso nel contesto sono fondamentali e di entrambe si tiene conto nel Dizionario. Ma il punto centrale e più squisitamente creativo dell’opera sta nello studio del lessico della moda il cui composito patrimonio ha richiesto all’autrice qualità che vanno ben oltre la mera traduzione. Esso, come abbiamo detto, è caratterizzato da un alto livello di specializzazione che deve tener conto e collegare termini tecnici o semi-tecnici con espressioni mutuate dal mondo dei consumi, dalla pubblicità, dai neologismi di giornalisti e blogger. La lingua della moda cambia a un ritmo vertiginoso che non si riscontra in nessun altro linguaggio specialistico. Un’attenzione particolare è dedicata alla categoria dei “falsi amici”, utilmente evidenziati in rosso, come, ad esempio, cord che significa a coste e (non corda), da cui corduroy, velluto a coste. Scrive Lorusso: “inizialmente si pensava di compilare un dizionario più spiccatamente tecnico, privo di esempi d’uso e che elencasse i termini di un linguaggio meno ampio; poi mi sono invece resa conto che molte voci possiedono più accezioni specifiche nei vari ambiti (abbigliamento, accessori, gioielli, tessuti, concerie, pellicce), tutte degne di essere incluse nell’opera.”5 È quindi un dizionario tecnico, ma vi sono utili informazioni e arricchimenti tipici dei dizionari bilingue. Il suo scopo è evidente, tradurre le parole di due comunità linguistiche, ma la sua utilità va ben oltre questo scopo. Il Dizionario della Moda di Mariella Lorusso è già diventato l’imprescindibile strumento di tutti coloro che siano coinvolti nella moda a vari livelli: studiosi, traduttori, autori, interpreti, stilisti, operatori dell’industria dell’abbigliamento.
Bibliografia
Barthes, Roland. Sistema della moda. Torino: Einaudi, 1970.
Davis, Fred. Fashion, Culture and Identity. Chicago: The University of Chicago Press, 1992.
Lurie, Alison. The Language of Clothes. London: Random House, 1981.
Piaggi, Anna. Doppie Pagine di Anna Piaggi. Fashion Algebra. Milano: Leonardo Arte, 1997.
Rak, Michele e Maria Catricalà. Global Fashion. Milano: Mondadori Università, 2013.
Simmel, Georg. La moda. Milano: Mondadori, 2001 [1985].
Roland Barthes, Sistema della moda (Torino: Einaudi, 1970).↩
Alison Lurie, The Language of Clothes (London: Random House, 1981).↩
Fred Davis, Fashion, Culture and Identity (Chicago: The University of Chicago Press, 1992).↩
Michele Rak e Maria Catricalà, Global Fashion (Milano: Mondadori Università, 2013).↩
Mariella Lorusso, Dizionario della moda (Bologna: Zanichelli, 2017), 12.↩