“Un guardaroba da fiaba”: tipologia, funzione e rimandi storici nell’abbigliamento fiabesco
La storia dell’uomo è intessuta di narrazioni fantastiche. Le fiabe, in particolare, rappresentano un bacino immaginifico fra i più feraci e fantasiosi. Pur non essendo state create o pensate per l’infanzia, esse sono riuscite ad entrare in consonanza con il mondo bambino sin quasi dagli albori della civiltà. I fattori sono molteplici. Innanzitutto, le fiabe, in particolare quelle di magia, hanno desunto la loro forma dalla sedimentazione di antiche formule rituali che si celebravano in tempi antichi per solennizzare il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.1 Esse, inoltre, evocano “prescrizioni storiche, interiorizzate, potenti, esplosive”,2 che avviluppano i pensieri di bambini e bambine: “nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane”,3 le fiabe consegnano all’infanzia una generale, sebbene metaforica, spiegazione della vita. Infine, il robusto animismo di cui sono dotate le avvicina sensibilmente al mondo bambino, rendendole una tra le forme letterarie più vicine all’infanzia: animali parlanti, vestiari meravigliosi, oggetti magici, trasformazioni prodigiose costruiscono un setting narrativo di grande appeal. Non solo. Quando in queste fiabe un oggetto appare, esso si carica di una forza speciale, deflagrante per il piccolo lettore. Da questo punto di vista, i manufatti che coprono, mascherano, proteggono o adornano il corpo godono di un posto d’onore. Sono, infatti, oggetti che manifestano le qualità dell’eroe e dell’eroina, la loro appartenenza sociale, il loro status, il loro potere, il loro prestigio. Essi veicolano messaggi simbolici, che molto svelano del ruolo di un personaggio, dei privilegi di cui gode, dei poteri che incarna, dei drammi di cui soffre. Oggetti personali, quali vestiti, camicie, berretti, cappucci, perle, colletti, fazzoletti, nastri, mantelli, drappi, cinture, scarpe aderiscono alla persona, la coprono e ne mettono in evidenza le forme del corpo, talvolta, con curiosi e ironici rimandi alla moda del tempo, come nei pensieri segreti del bel principe al risveglio della Bella addormentata nel bosco: “Il principe aiutò la principessa ad alzarsi. Lei era tutta vestita con gran magnificenza, lui stette molto attento a non dirle che era abbigliata come la nonna: anche se aveva un collettone rigido e alto non perciò era meno bella”.4 Però, qui, gli abiti e gli accessori hanno una funzione aggiuntiva: essi si sovrappongono alla rappresentazione simbolica delle virtù e dei vizi dei protagonisti, siano essi maschi o femmine.
È noto che nella fiaba, come del resto in tanta letteratura,5 il tema della vestizione di un corpo e la sua declinazione riguarda prevalentemente il corpo femminile, che per tradizione è il corpo che incarna la bellezza6 (Fig. 1).
Tuttavia, numerose narrazioni fiabesche europee contemplano casi di vestizione (e svestizione) di corpi maschili dalle belle forme armoniche e seducenti. Celebre lo sciagurato spogliarello dell’imperatore davanti al suo popolo nella fiaba de I vestiti nuovi dell’imperatore, di Hans Christian Andersen, o quello, invece, fortunato del figlio più giovane del mugnaio, ne Il Gatto con gli stivali, di Charles Perrault, che grazie alle sue belle forme, valorizzate dagli abiti regali, seppe ingraziarsi alla figlia del re (Fig. 2).
Meno note, ma altrettanto suggestive, risultano essere anche le vestizioni evocate in fiabe meno frequentate come in Cagliuso o Il Serpe, di Giambattista Basile, Le brache del Diavolo, di Italo Calvino o ne I cigni selvatici, sempre dell’insuperato scrittore danese, in cui undici fratelli maschi, trasformati in cigni dalla perfida matrigna, si potranno liberare dal maleficio, solo se indossano undici tuniche, dalle maniche lunghe, cucite dalla sorella, tessendo dolorosamente un lino di ortiche.
Il vestiario e gli accessori nella fiaba costituiscono, spesso, una sorta di estensione della personalità del protagonista. Essi sono in grado di oggettivizzare i tratti più salienti del carattere del protagonista: certamente tenacia, sacrificio e amore ne I cigni selvatici, ma anche modestia e umiltà (unita ad una buona dose di vanità) in Cenerentola, Biancaneve, Pelle d’Asino di Charles Perrault e dei Fratelli Grimmi; generosità e bontà ne La bella e la bestia di Madame Leprince de Beaumont o in Bellinda e il mostro di Italo Calvino; egoismo e presunzione ne La regina delle nevi o Le scarpe rosse di Hans Christian Andersen; astuzia ne La contadina furba di Italo Calvino; gentilezza e bellezza ne La guardiana d’oche dei Fratelli Grimm o L’amore delle tre melagrane di Italo Calvino; frugalità e contentezza in La camicia dell’uomo contento di Italo Calvino.
Pare evidente che la rappresentazione del vestiario (con una particolare attenzione all’accessoristica, agli ornamenti, ivi comprese le acconciature) non può non accompagnare il percorso evolutivo della fiaba. Nelle narrazioni più antiche, infatti, ovvero in quelle legate a società a più lenta evoluzione, con una minor stratificazione sociale (e un minor disponibilità di materie prime e abilità tessili artigianali), la varietà è assai ridotta. Essa diventa, invece, assai più palese quando le trame fiabesche si arricchiscono delle originali elaborazioni letterarie concepite in società più complesse ed evolute. In queste epoche, ovvero a partire dalla seconda metà del Cinquecento, e poi con crescente fermento per tutto il Seicento, le fiabe incontrano un significativo processo di sofisticazione che le rende maggiormente rappresentative dei bisogni storico-culturali ed estetici dell’epoca. Nelle fiabe di Basile, di Perrault o delle conteuses francesi si possono cogliere interessanti rimandi fra il vestiario e gli accessori della fiaba, gli sviluppi storico-culturali e la moda del tempo (forme, materiali e avviluppamenti tessili), come evidenziato in apertura di contributo a proposito della fiaba de La bella addormentata nel bosco, di Charles Perrault.
Da questo punto di vista, si vanno moltiplicando a livello internazionale gli studi che tentano di tracciare inediti parallelismi fra la moda raccontata nelle fiabe classiche e la storia del costume. Un esempio di questo approccio, si trova nel saggio Fairy Tale Queens. Representations of Early Modern Queenship,7 saggio che mira a tracciare una corrispondenza fra le regine rappresentate nelle fiabe e le regine realmente vissute fra il 1500 e il 1700, secondo particolari curvature di ricerca: attitudini, atteggiamenti, portamenti rispetto alla sete di potere, alla fertilità, alla promiscuità a corte, ecc.. Come già anticipato, questo periodo storico si caratterizza per una vivacità indiscussa nella produzione fiabesca. Tuttavia, non meno rilevante risulta essere anche la biografia di alcune regine, che hanno plasmato il paesaggio storico dell’Europa di allora. In questo saggio, diventa per noi particolarmente interessante l’analisi che mette a confronto il guardaroba delle principesse delle fiabe classiche (ad esempio Cenerentola e Pelle d’Asino di Charles Perrault) con quello di alcune regine quali Caterina D'Aragona, Anna Bolena, Anna di Clèves, Caterina Parr, Caterina de Medici, Elisabetta I. Nel raccontare la vita di corte di queste figure femminili, la studiosa americana stringe audaci connessioni con la narrazione fiabesca, evidenziando come, ad esempio, la bellezza sia stata considerata, in ambedue i casi, una condizione imprescindibile per regnare o per diventare regine. Indossare abiti solenni e suntuosi era una pratica ineludibile sia nella fiction che nella non fiction perché contribuiva ad elevare lo status di “bella regina”. Nascere belle, tuttavia, non è un fattore congenito alla regalità, è una dotazione naturale. Pertanto, se una regina poco o nulla poteva fare per modificare i propri attributi fisici (a parte utilizzare cosmetici e trucchi, tingere i capelli, portare audaci acconciature e preziose parrucche), molto, invece, poteva essere fatto dagli abiti e dagli accessori giusti. Oltre a ribadire la superiorità della propria posizione sociale, la magnificenza di un guardaroba permetteva, inoltre, di manipolare e veicolare una certa immagine di sé. L’ostentazione del guardaroba di una regina non era solo uno spettacolo reale messo in scena per soddisfare la curiosità e la bramosia del popolo, ma, fatto ben più rilevante, era il fulcro mediatico attraverso cui veicolare il proprio potere, il proprio prestigio e la propria autorità (ben note sono le rigide disposizioni che vigevano nella corte di Francia, a cavallo fra il Seicento e il Settecento, circa la lunghezza dello strascico del vestito a seconda del grado di parentela con la regina). L’abito “da gran sera dal tessuto d’oro e d’argento, tutto trapuntato di pietre preziose”8 indossato da Cenerentola per andare al ballo pare riprendere in più punti il suntuoso vestito di broccato d’oro scelto da Maria Tudor per fare il suo ingresso alla corte di Francia in qualità di regina consorte di Luigi XII. Stesso discorso può essere fatto anche del superbo guardaroba di Caterina de Medici, che, oltre a vantare una ricchissima collezione di splendidi abiti e una quantità impressionante di gioielli, aveva anche un’irrefrenabile passione per gli accessori: fazzoletti bordati, ventagli, corsetti, indumenti intimi lussuosi, pizzi e passamanerie di pelliccia, guanti dorati.9
Oggetti e accessori del corpo: usi, costumi e simbolismi nella fiaba
Gli oggetti giocano un ruolo di primissimo piano nella fiaba. Essi hanno una natura proteiforme e polimaterica: possono essere di origine animale o vegetale, possono essere uno strumento di lavoro della quotidianità contadina oppure un oggetto legato al culto dei morti. Manifestano, inoltre, una peculiare tendenza, ovvero quella di essere sistematicamente sottoposti ad un processo di metallizzazione e mineralizzazione: vestiti, scarpe ed effetti personali, ma anche ponti, case, palazzi, castelli, boschi, animali, e uomini possono diventare d’oro, d’argento, di ferro, di rame o di pietra. Se ne è fatto lucido interprete lo storico germanista Max Lüthi che nel 1947 aveva saputo individuare e ben delineare l’inclinazione della fiaba “per tutto ciò che è metallico o minerale, insomma per un materiale dalle forme rigide, contribuisce notevolmente a conferire a questo genere [la fiaba] una forma salda e una ben determinata consistenza”. Infine, gli oggetti sono presenti in straordinaria abbondanza, tanto che, ad esempio, il numero degli oggetti magici nella fiaba è praticamente inesauribile: “non esiste un solo oggetto che non possa figurare come oggetto magico”.10
Vista questa ricca messe, pare utile, ai fini del presente contributo, fare un po’ di ordine in seno all’oggetto di indagine, e organizzare il campo di ricerca, ipotizzando alcuni originali raggruppamenti entro cui ricondurre l’analisi di alcuni capi di vestiario e degli accessori di moda nella fiaba.
A differenza della tradizionale classificazione degli oggetti magici proposta dallo studioso russo sulla base di una comune origine (oggetti che derivano da parti del corpo di animali quali ad esempio unghie, capelli, pelli, denti; oggetti strumenti che lavorano senza l’uomo in sua vece; oggetti che evocano gli spiriti; oggetti che danno abbondanza e che sono stati portati dal regno dei morti, ecc.),11 qui si è preferito costruire una nuova classificazione regolata sulla base della funzione narrativa e del posizionamento dell’accessorio sul corpo dell’eroe o dell’eroina. Questo ordinamento, frutto di una personale elaborazione, si sostanzia, per lo più, per essere un’ipotesi di lavoro, da affinare indubbiamente nel prosieguo di future indagini, che mira ad analizzare, secondo un originale codice classificatorio e alla luce di una prospettiva storico-letteraria, la varietà e la funzionalizzazione narrativa dell’accessorio nella fiaba. Il lavoro, peraltro, si presenta particolarmente stimolante dal momento che la riflessione intorno agli oggetti è stata uno dei temi di studio e di ricerca più dibattuti nella cultura del Novecento. Cionondimeno, gli studi dedicati interamente agli oggetti personali e agli accessori nella fiaba sono assai rari, eccezione fatta, per le analisi che si sono occupate di oggetti in virtù della loro funzione magica, campo di indagine che esula dalla tematica centrale di questo saggio. Vi sono ricerche che hanno messo al centro del lavoro esplorativo l’universo della fiaba e il suo rapporto con la moda, anche quella più contemporanea, ma il mondo minuto e ricchissimo dell’accessoristica fiabesca è rimasto sempre nell’ombra, marginale, talvolta nemmeno richiamato, offuscato dalla focalizzazione delle analisi sul vestiario più appariscente e seduttivo, ovvero i vestiti e le scarpe.12
La classificazione è ordinata secondo tre raggruppamenti: il primo raggruppamento “cingere il capo” riguarda gli accessori che concorrono a definire lo status e il profilo comportamentale del protagonista; il secondo raggruppamento “celare il corpo” presta attenzione agli accessori che aiutano l’eroe a fuggire, a nascondersi, a mascherarsi, nell’intento di mettere in salvo la propria vita (nel caso dell’eroe), e/o di occultare la propria identità per ingannare o per estendere un maleficio (nel caso dell’antagonista); il terzo raggruppamento “adornare il viso” si sofferma sull’analisi di quegli accessori che offrono all’eroina la possibilità di valorizzare ed abbellire la propria figura e all’antagonista, di sfruttare questa propensione al gesto vanitoso, per infierirvi, causandone il ferimento o la morte.
Primo raggruppamento “Cingere il capo”: corone, berretti, cappucci e fazzoletti
L’eroe e l’eroina della fiaba sono accompagnati nelle loro avventure da numerosissimi accessori di abbigliamento. Presi nel loro insieme, si tratta di una moltitudine di oggetti davvero vasta: capi vestiario quali scarpe, stivali, cappelli, cinture, acciarini, tovagliolini, fazzoletti, spazzole, sacche, borselli, e così via.13 Si è deciso, in questo raggruppamento, di limitare la scelta solo a quegli oggetti che rispondono alla funzione di rappresentare il ruolo sociale dell’eroe e dell’eroina e di rafforzare le caratteristiche più incisive della loro personalità. Questi oggetti, a volte, risultano essere così deflagranti che riescono ad impossessarsi dell’intera personalità del protagonista, diventandone l’unico tratto identitario. È questo, ad esempio, il caso di Cappuccetto Rosso:
C’era una volta una cara ragazzina; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna, che non sapeva più cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e, poiché le donava tanto ch’essa non volle più portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso.14
Si tratta di un oggetto che cinge in toto il capo del protagonista. I cappucci, le corone, i berretti a punta, i fazzoletti e altri vestiari similari costituiscono nel loro insieme una famiglia di accessori speciali, perché collocati sulla sommità del capo. Essi, in genere, hanno una forma circolare (la perfezione del cerchio). Tradizionalmente, la collocazione di questa tipologia di oggetti sul capo è legata a tutto ciò che sta sopra la testa, alla sfera più alta, celestiale, divina. La corona, ad esempio, è la rappresentazione simbolica del potere, della regalità, della dignità e del prestigio sociale. La sua forma di cupola è assimilabile alla rappresentazione di una sovranità assoluta, che conferisce un potere vastissimo (anche di vita e di morte), a chi la porta come in alcune imponenti e maestose rappresentazioni visive nella fiaba de I vestiti dell’Imperatore (Fig. 3).
La corona è un accessorio straordinario nella narrazione fiabesca, perché è assimilabile a un dono divino. Trattandosi di un bene disceso dall’alto, esso rende intoccabile chi lo indossa, offrendogli protezione, sicurezza e l’accesso a forze superiori. Da questo punto di vista, uno dei casi più paradigmatici è rintracciabile nella fiaba di Pollicino, pubblicata nel 1697 da Charles Perrault all’interno della sua celeberrima collezione Histoires ou contes du temps passé, avec des moralitez, più note col titolo di Contes de ma mère l'Oye. La trama è nota: Pollicino è il minore dei sette figli di un povero boscaiolo. Abbandonato con i fratelli in un bosco, lascia cadere dei sassolini dietro di sé e, seguendo questa traccia, ritrova la strada di casa. Nuovamente abbandonato, riesce con coraggio ed astuzia a sfuggire all’orco affamato di bambini e a far felice ritorno a casa dal padre con un bel gruzzoletto d’oro. Pollicino riesce a scampare alla morte e al divoramento perché in piena notte effettua uno scambio prodigioso: infilerà i sette berretti dei fratelli sulla testa delle sette orchessine e, zitto zitto, metterà, invece, sulla testa dei fratelli, le coroncine d’oro delle figlie dell’orco (Fig. 4).
Quando verso mezzanotte l’orco arriverà nella camera per sgozzare Pollicino e i fratelli, trovando sulla loro testa la corona, si dirigerà sull’altra sponda del letto, dove giacciono le sue sette figlie, e taglierà loro la gola. Lo scambio di corone, oltre a sottolineare l’arguzia del piccolissimo protagonista (dotato di intelligenza e coraggio inversamente proporzionali alla sua statura), evidenzia anche un altro aspetto. La corona ha salvaguardato la vita e ha protetto da una fine davvero ingrata anche i figli di un umile boscaiolo. Come a dire che non è la corona a fare un re, o almeno, non lo fa in ogni circostanza.
Un altro oggetto interessante del mondo fiabesco è il fazzoletto, un accessorio che ha una storia davvero articolata. Si racconta che già nella Roma antica questo accessorio fosse assai utilizzato, e non solo dal pubblico femminile. Anzi. I romani, ad esempio, solevano portare due fazzoletti, l'orarium, ovvero il fazzoletto per pulirsi il viso, la bocca, il naso, e il sudarium per asciugarsi il sudore a teatro, nei comizî, durante i discorsi. Nonostante questi albori antichi, esso diventò un accessorio significativo, in particolare nell’abbigliamento di una donna solo a partire dal XVII.15 Prima di essere un oggetto di moda, il fazzoletto è stato a lungo impiegato per mansioni assai più modeste e popolari: le donne in campagna lo indossavano per proteggere il collo, le spalle, il petto e, soprattutto, il capo, durante il duro lavoro sui campi, quando faceva particolarmente caldo. Nella tradizione popolare, il fazzoletto è, dunque, strettamente connesso all’esecuzione di lavori duri, faticosi e di basso lignaggio. Anche nelle fiabe, si ritrova la presenza del fazzoletto. In genere, esso viene impiegato per le sue caratteristiche di oggetto magico. Valga per tutte la fiaba de La guardiana d’oche, di Hans Christian Andersen, in cui una vecchia regina consegna alla bella figlia un fazzoletto con le tre gocce di sangue per difenderla e proteggerla durante il lungo viaggio che la condurrà dal futuro sposo. Ciò che a noi, invece, preme qui sottolineare è l’utilizzo del fazzoletto come copricapo, ovvero come accessorio legato alla tradizione contadina. Si tratta di un accessorio raramente descritto nei testi scritti delle fiabe classiche, ma, invece, curiosamente disegnato molte volte sulla testa di Cenerentola sia da illustratori italiani che stranieri.16 Qual è la sua funzione sulla testa di Cenerentola? Cosa ci racconta? A differenza della corona che protegge ed eleva, il fazzoletto in testa, invece, oggettivizza visivamente la discesa sociale di Cenerentola e rende manifesta la sua condanna: Cenerentola ha perso ogni prestigio sociale, è stata relegata ad uno dei ruoli più mortificanti e abbruttenti nella scala sociale, ovvero la sguattera.
Il fazzoletto usato da Cenerentola (non certamente l’oggetto di gran moda qual è oggi il foulard) è un accessorio piatto, informe, povero e sgualcito. In un gioco di contrapposizioni, esso si pone in perfetta antitesi con la corona indossata dalle principesse, un accessorio che, invece, per forma (slanciata e protesa verso l’alto), configurazione materica (l’oro è un materiale prezioso, solido, indistruttibile, brillante e luccicante) e qualità estetiche (le decorazioni e gli ornamenti di pietre preziose) è la rappresentazione simbolica della regalità, del prestigio e della dignità sociale. La presenza in una fiaba di questi due oggetti, la corona e il fazzoletto, tenuti assieme da una relazione di contrappunto (sia essa testuale che visiva), contribuisce ad enfatizzare il pathos della discesa e della successiva ascesa dell’eroina, trasformando la narrazione fiabesca in un gioco avvincente fra due opposte polarità.
Secondo raggruppamento “Celare il corpo”: coltri, drappi, cappe e mantelli
Nella fiaba, una delle azioni che si presenta con maggiore frequenza, e che catapulta il protagonista dentro l’azione e l’avventura, è la fuga o l’allontanamento forzato dell’eroe o dell’eroina da casa. In genere, questa tipologia di protagonisti vengono definiti “eroi che subiscono”.17 Il loro viaggio, infatti, non è motivato da una ricerca (un oggetto, la persona amata, un luogo, ecc.) ma dal bisogno di nascondersi per proteggere la propria incolumità. La dipartita da casa nasce per evitare una grande sciagura. Per poter scappare e mettersi in viaggio, senza essere scoperti, i protagonisti hanno la necessità di celare la propria identità. I lunghi e ampi mantelli, le cappe monacali senza maniche, corredate di un cappuccio si confermano, anche nella fiaba, tra i vestiari più funzionali, per avvolgere e coprire l’intera persona. La cappa ha goduto di grande successo in epoca medioevale. Era un indumento indossato dagli ecclesiastici e, in particolare, dai cavalieri. L’uso era talmente consolidato nel costume cavalleresco, che, con il passare dei secoli, ha portato la letteratura a coniare l’espressione “romanzi di cappa e spada”.18 Oggigiorno, i mantelli, i drappi e le cappe sono un capo elegante, indossato dal pubblico femminile, quasi esclusivamente sopra l’abito da sera. Presentano ricchi ornamenti (ricami e impuntature di broccato) e preziose bordature di pelliccia, raso o velluto. È interessante rilevare come, invece, nella fiaba le cappe ed i mantelli, che garantivano la miglior “copertura identitaria” all’eroina, hanno un’origine totalmente diversa. Essi erano per lo più realizzati con pelli e pellicce d’animali. Animali non comuni, si badi bene, ma animali che destavano senso di disgusto e di ribrezzo. Un rimando va ovviamente fatto alla fiaba di Pelle d’Asino, di Charles Perrault, in cui una principessa, per sfuggire al matrimonio con il proprio padre, si rende irriconoscibile, indossando una pelle d’asino. Stessa sorte capiterà anche a Dognipelo e alla Principessa Pel di Topo, dei Fratelli Grimm, in cui le due protagoniste, per sfuggire alle mire moleste del rispettivo padre, si avvolgono nel primo caso in un mantello fatto con pellicce d’animale d’ogni sorta, mentre, nel secondo caso, in un vestito di pelle di topo (Fig. 5).
Anche ne Il mercante e la figlia, di Letterio di Francia, si ritrova una cappa fatta di pelle d’animale: una figlia, Maria Stella, sempre con l’intento di sottrarsi da un incestuoso matrimonio con il padre, scappa da casa, nascosta sotto la pelle di capretto. In alcune fiabe sono, invece, i personaggi negativi ad indossare le pelli di animali per nascondimenti, travestimenti e per trarre in inganno l’eroe e l’eroina. Ne sono un felice esempio, la fiaba Petrosinella, di Giambattista Basile, in cui un’orchessa scortica un asino che pascolava in mezzo a un prato e si mette la pelle sopra le spalle come mantello per spaventare il leone che la vuole divorare o la Regina delle nevi, di Hans Christian Andersen, con la regina di ghiaccio che guida la sua slitta, avvolta in una bianca e pelosa pelliccia d’orso, coordinata dal relativo peloso cappello. Si tratta, tuttavia, di casi rari, in cui, peraltro, questo abbigliamento non marchia o condiziona in maniera significativa l’intreccio fiabesco. Altra natura narrativa e simbolica è, invece, quella che contraddistingue le cappe di pelle d’animale in cui si avvolgono le eroine.
La più originale fra le cappe di pelle è probabilmente quella fabbricata nella fiaba Pelle di vecchia, di Italo Calvino. Vittima di un’ingiustizia da parte delle due sorelle, la figlia più piccola di un re viene cacciata di casa con la sua balia. Per sfuggire alla noia della principessa, la balia ha un’idea:
Incontrarono un funerale, d'una vecchia morta a cent'anni, e la balia domandò al becchino: – Ce la vendete la pelle della vecchia? – Dovette contrattare un bel pezzo; poi il becchino prese un coltello, scorticò la vecchia ruga per ruga e ne vendette la pelle, tutta completa, col viso, i capelli bianchi, le dita con le unghie. La balia la fece conciare, la cucì su stoffa di cambrì e ci fece entrare la ragazza.19
Al di là del “seducente” gusto del macabro di questa fiaba, che trova riscontro in numerosi thriller e romanzi horror contemporanei (seguiti da vari adattamenti cinematografici), vale la pena di soffermarsi sul risvolto simbolico che l’abbigliarsi con coltri bestiali veicola. Il fatto risulta essere ancora più sintomatico, se, ad indossare questi finimenti animaleschi, sono esseri angelicali come le principesse o le fanciulle di alto lignaggio ritratte nelle fiabe. Anche in questo caso, come nella relazione fra corona e fazzoletto, ci troviamo di fronte ad una relazione di contrappunto. Cosa comporta, da un punto di vista metaforico, abitare i “panni” di una bestia? Essere buone, generose, sincere e virtuose non è un dono che si acquisisce per investitura divina o per ceto sociale (come abbiamo avuto modo di sottolineare per la bellezza), ma è un’abitudine, uno stato dell’animo, un habitus, che si consolida nel tempo e che va accudito anche nelle condizioni più abbruttenti, anche quando si indossano “gli abiti di una bestia”. La virtù è un prodotto naturale e sociale della persona. La fiaba sembra dirci che si diventa autenticamente virtuosi e giusti quando, anche indossando abiti bestiali, si continua ad essere capaci di operare in modo giusto e virtuoso. Solo affrontando questa prova, si ha la certezza che la virtù di una persona si è pienamente realizzata ed è diventata permanente. Vestire i “panni bestiali” di un animale potrebbe essere, in ultima analisi, una delle modalità per saggiare la solidità virtuosa di un’eroina.
Terzo raggruppamento “Adornare il viso”: spilli, nastri, pettini e perle
Fra le fiabe più lette e frequentate durante l’infanzia, figurano sicuramente le storie in cui la bella fanciulla muore temporaneamente, salvo poi, passato un certo lasso di tempo, tornare in vita e successivamente sposarsi con il figlio del re. Il pensiero corre veloce alle fiabe di Biancaneve, dei Fratelli Grimm, o La Bella Venezia, di Italo Calvino, in cui l’eroina saggia la morte per mano della propria matrigna, Sole, Luna e Talia o La schiavottella, di Giambattista Basile, la Bella Addormentata nel Bosco, di Charles Perrault, o Rosaspina, dei Fratelli Grimm, in cui la bella principessa, condannata dal maleficio di una fata, è costretta nel pieno della sua giovinezza, ad un lungo e profondo sonno, o ancora L’amore delle tre melagrane (Bianca-come-il-latte-rossa-come-il-sangue), di Italo Calvino, in cui una fanciulla dal volto bianco come il latte e dalle labbra rosse cade sotto le stilettate di una servetta, rosa dall’invidia. A ben osservare, si comprende come la morte temporanea dell’eroina sia spesso inflitta per mano di oggetti, strettamente connessi con il mondo della moda e dell’abbigliamento. Secondo la prospettiva strutturalista, questi e molti altri oggetti di morte possono essere organizzati intorno a tre macrofamiglie.20 La prima macrofamiglia è riconducibile ad oggetti che possono essere introdotti sotto la pelle quali aghi, spine, schegge, spilloni, stiletti, ma anche forcine e pettini. La seconda famiglia riguarda oggetti che possono essere mangiati e ingeriti quali, ad esempio, frutta e bevande avvelenate. Infine, la terza famiglia è composta da oggetti che possono essere indossati come, ad esempio, camicie, vestiti, calze, scarpe, cinture od oggetti di ornamento quali anelli, collane e orecchini.21 La campionatura è molto vasta. Per ragioni di spazi editoriali, si è ritenuto funzionale a questa indagine restringere il campo e proporre solamente l’analisi degli accessori femminili apparsi nelle fiabe classiche più celeberrime.
Iniziamo, dunque, con gli oggetti che procurano la morte per perforazione o crivellatura del corpo (il fuso, gli spilli, gli spilloni) come ne La Bella Addormentata nel Bosco e in molte altre narrazioni ad essa riconducibili. In questo caso, la morte avviene in modo non intenzionale: la bella fanciulla posa inavvertitamente il dito sull’aculeo appuntito del fuso e sprofonda in un sonno pesante lungo cent’anni. Si tratta di una morta temporanea, che arriva in modo quasi dolce. Ben diversa è, invece, la natura della morte inflitta all’eroina, utilizzando lo stiletto o lo spillone (uno spillo grosso e lungo con capocchia ornata, utilizzato dalle donne, soprattutto nel passato, per chiudere il mantello, fissare il cappello ai capelli o per dare forma e struttura alle acconciature). In questi casi, siamo di fronte ad una morte violenta e crudele che aderisce perfettamente ai feroci sentimenti di invidia e di rabbia che guidano la mano assassina di streghe, matrigne e perfide servette: ne La Bella Venezia, lo spillone è conficcato nel cranio della protagonista da una strega assoldata dalla madre, invidiosa della bellezza della figlia; ne L’amore delle tre melagrane, lo spillone trapassa l’orecchio di una bella fanciulla per mano di una serva presuntuosa, che scambia il bel volto della ragazza riflesso sulla fontana con il proprio brutto muso. Assimilabile allo spillone, è il pettine, uno strumento composto da una lunga serie di denti, più o meno acuminati, il cui utilizzo è rintracciabile già in epoca preistorica. In Biancaneve e La schiavottella sarà proprio un pettine avvelenato ad indurre la morte della protagonista. Molti altri sono gli strumenti di morte utilizzati nella fiaba per uccidere l’eroina (nastri, cinture e stringhe strette intorno alla vita, camicie di pece a cui si darà fuoco nella piazza pubblica, pantofole di ferro roventi, ecc.), tuttavia, come si può bene comprendere da questa rapida elencazione, essi, in numerosi casi, hanno a che fare con oggetti utilizzati per ornare il corpo, (i nastri, ad esempio, servivano per stringere il busto e rendere più sottile la vita del corpo femminile) o per adornare l’incanto del viso (gli spilloni erano indispensabili per fissare le acconciature del tempo). Come dire, chi di vanità ferisce, di vanità perisce.
Prendiamo il caso esemplificativo dei capelli che incorniciano il volto. I capelli sono una parte assai visibile e vitale della figura femminile. Talvolta, diventano un tutt’uno con la personalità di una donna. Le modalità con cui vengono acconciati spesso contribuiscono in modo sostanziale alla definizione dell’identità femminile. I capelli, inoltre, sono una fonte di seduzione specialissima, che le donne imparano ad utilizzare in età relativamente precoce (Fig. 6).
Essi simboleggiano la desiderabilità femminile. Va, comunque, evidenziato come nella fiaba europea, i capelli delle eroine siano praticamente solo biondi e lunghi: l’unica celebre eroina con i capelli corvini è Biancaneve. Ciò è dovuto al fatto che i capelli biondi veicolano le stesse proprietà mitopoietiche rappresentate dall’oro: brillantezza, preziosità, rarità, purezza.22 Per queste sue caratteristiche, i capelli d’oro diventano un emblematico simbolo di potere. Nelle fiabe de La guardiana d’oche e di Raperonzolo, dei Fratelli Grimm o in quella di Petrosinella , di Giambattista Basile (in cui la protagonista mette le trecce al sole per imbiondirle e il principe nel vederle, sente “due bandiere d’oro che chiamavano le armi ad arruolarsi nel registro d’Amore”),23 la personalità delle belle fanciulle è totalmente organizzata intorno ad un unico elemento: gli splendidi capelli biondi. Colore e disposizione della capigliatura diventano elementi capaci di determinare la classe e il ruolo sociale della fanciulla. Non a caso, ad esempio, Cenerentola e le tante altre eroine della fiaba europea dai lunghi e avviluppanti capelli biondi non hanno la necessità di indossare la corona al ballo perché a sancire il loro prestigio, la loro posizione sociale, la loro virtù e la loro integrità morale concorrono i loro bellissimi capelli biondi. E questa imperante modalità rappresentativa è ravvisabile sia in libri illustrati ottocenteschi che negli albi illustrati contemporanei. In entrambi i casi, queste ragazze vengono disegnate con biondi capelli sciolti o raccolti in eleganti acconciature, ornate di pietre preziose. Fra tutte, spicca la perla bianca, da sempre simbolo emblematico della virtù femminile.24 La collana, gli orecchini e il filo di perle che cinge il capo di una donna mettono in evidenza e sottolineano le qualità femminili più apprezzate da un principe in cerca di moglie: purezza, beltà, luminosità, integrità. Il carattere nobile della perla ricade e illumina la persona che la indossa (Figg. 07 e 08), tant’è che nell’originale (e già menzionata) versione di Roberto Innocenti, la sua Cenerentola, ambientata nella Londra degli anni Venti, si presenta con un’inusitata mise: la protagonista ha un caschetto di capelli neri accattivante e seduttivo. Quando si recherà al ballo, però, la testa nera così sbarazzina e seducente sarà bilanciata da una sovrabbondanza di perle: doppio filo di perle bianche al collo, doppio filo di perle bianche in vita, bracciali e perle disseminate lungo tutto il vestito.
Nella fiaba, la capigliatura assume una particolare rilevanza, anche quando essa, ad esempio, risulta essere visibile o nascosta, annodata o sciolta: è il segno della disponibilità, dell’offerta o del ritegno della donna. Pure il gesto di pettinarli si sostanzia per una sua implicazione simbolica. Pettinare i capelli di qualcuno è segno di cura, attenzione e buona accoglienza, come quando Cenerentola (nella versione di Charles Perrault) aiuta le sorellastre a prepararsi per il ballo e si offre di pettinare loro i capelli (Fig. 9).
Lasciarsi pettinare da qualcuno è invece un segno d’amore, di confidenza e di intimità come quando Gerda si lascia pettinare dalla donna del giardino nella fiaba de La Regina delle nevi, quando Biancaneve accetta di farsi pettinare dalla matrigna travestita da vecchia, o quando la bella fanciulla rossa-come-il-sangue-e-bianca-come-il-latte ne L’amore delle tre melagrane acconsente di scendere dall’albero e di farsi pettinare dalla Brutta Saracina. Saranno tre gesti di confidenza (ma anche di vanità, è opportuno ricordarlo), che costeranno molto alle tre protagoniste.
Conclusioni
Il vestiario e l’accessoristica nella fiaba risulta essere un campo di indagine ancora poco esplorato. Rari gli studi che hanno messo al centro del lavoro di scavo storico e critico-ermeneutico i numerosissimi oggetti che affollano e adornano la mise di eroi ed eroine. Eppure, dall’analisi effettuata, resa possibile grazie ad un inedito sistema di classificazione degli oggetti costruito sulla correlazione fra funzionalità dell’accessorio e suo posizionamento sul corpo del protagonista, si sono potute tratteggiare alcune interessanti ipotesi di ricerca circa i legami simbolici fra moda, fiaba e infanzia.
Innanzitutto, questa ipotesi classificatoria, applicata all’analisi degli accessori rappresentati su una folte messe di fiabe illustrate classiche e di moderne rivisitazioni illustrate, ha permesso di evidenziare come, lungo i secoli, la fiaba sia stata capace di intercettare usi e costumi dell’abbigliamento della società reale, trascendendo il proprio tempo passato e manifestando una chiara “disponibilità” ad entrare in dialogo anche con la contemporaneità.
In secondo luogo, essa ha confermato l’originaria vocazione della fiaba, ovvero quella di essere una narrazione simbolica capace innegabilmente di meravigliare ed intrattenere il lettore, ma anche di aiutare a comprendere ed interpretare in prospettiva storico-letteraria i cambiamenti o talune pratiche reiterate di stereotipizzazioni socio-culturali, tutt’oggi ancora assai diffuse.
Molto può essere ancora studiato ed indagato, soprattutto, a livello comparativo, sistematizzando, con maggiore rigore metodologico, la selezione delle fiabe e gli oggetti da analizzare.
Ciò nonostante, questa ipotesi di lavoro, che mira a supportare tanto il lavoro dello storico quanto quello del letterato nella comprensione e nell’interpretazione dei possibili rimandi fra il vestiario e gli accessori della fiaba, gli sviluppi storico-culturali, il paesaggio politico e la moda del tempo, ha dimostrato, ad esempio, attraverso l’approfondimento dedicato alla rappresentazione della bella eroina dai lunghi capelli biondi, come questo settore di ricerca possa rivelarsi davvero fruttuoso e capace di aprirsi ad inedite e feconde contaminazioni interdisciplinari.
Bibliografia
Arvigo, Tiziana. “Abiti e accessori femminili”. In Oggetti della letteratura italiana, a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, 12-20. Roma: Carocci, 2008.
Basile, Giambattista. Il racconto dei racconti ovvero Il trattenimento dei piccoli. Milano: Adelphi, 1994.
Bloom, Rori. “Miniature Marvelous: The Petit as Personal Aesthetic in the Fairy Tales of Marie-Catherine d’Aulnoy”. Marvels & Tales, vol. 29.2 (2015): 209-27.
Calvino, Italo. Fiabe Italiane. Milano: Mondadori, 2002.
Calvino, Italo. Sulla fiaba. Milano: Mondadori, 2011.
Carney, Jo Eldridge. Fairy Tale Queens. Representations of Early Modern Queenship. New York: Palgrave Macmillan, 2012.
Chevalier, Jean and Alain Gheerbrandt. Dizionario dei simboli. Milano: Rizzoli, 1996.
Cognasso, Francesco e Ida Finzi. “Fazzoletto”, Enciclopedia Italiana, (1932), http://www.treccani.it/enciclopedia/fazzoletto_%28Enciclopedia-Italiana%29/.
Evans, Charles e Arthur Rackham. Il fuso e la scarpetta. La bella addormentata e Cenerentola. Roma: Donzelli, 2009.
Garber, Marjory. Vested Interests: Cross-Dressing and Cultural Anxiety. New York: Routledge, 1992.
Grimm, Jacob e Wilhelm. Fiabe. Torino: Einaudi, 1992.
Hill, Colleen. Fairy Tale Fashion. New Haven: Yale University Press, 2016.
Husain, Shahrukh. Handsome Heroines: Women as Men in Folklore. New York: Anchor Books 1996.
Ivleva, Victoria. “Functions of Textile and Sartorial Artifacts in Russian Folktales”. Marvels & Tales, vol. 23.2 (2009): 268-99.
Milliken, Roberta. Ambiguous Locks: An Iconology of Hair in Medieval Art and Literature. Jefferson, NC: McFarland, 2012.
Perrault, Charles. Fiabe. Milano: Bur, 2000.
Perrault, Charles, Paola Parazzoli e Antonella Abbatiello. Cenerentola. Milano: Fabbri, 2011.
Perrault, Charles e Roberto Innocenti. Cenerentola. Trezzano sul Naviglio: La Margherita Edizioni, 2007.
Propp, Vladimir Jakovlevič. Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia. Roma: Newton Compton, 2006.
Scott, Carole. “Magical Dress: Clothing and Trasformation in Folk Tales”. Children's Literature Association Quarterly, vol. 21.4 (1996-1997): 151-7.
Zipes, Jack. Chi ha paura dei fratelli Grimm?. Milano: Mondadori, 2006.
Vladimir Ja. Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia (Roma: Newton Compton, 2006).↩
Jack Zipes, Chi ha paura dei fratelli Grimm? (Milano: Mondadori, 2006), 26.↩
Italo Calvino, Sulla fiaba (Milano: Mondadori, 2011), 39.↩
Charles Perrault, Fiabe (Milano: Bur, 2000), 114.↩
A titolo esemplificativo, si rimanda alle forme, ai colori, ai materiali tessili del vestiario con cui Dante, Petrarca, Boccaccio o Manzoni vestono rispettivamente Beatrice, Laura, Ginevra o Isotta, Lucia. Tiziana Arvigo, “Abiti e accessori femminili”, in Oggetti della letteratura italiana, a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi (Roma: Carocci, 2008), 12-20.↩
Arvigo, “Abiti e accessori femminili”, 12.↩
Jo Eldridge Carney, Fairy Tale Queens. Representations of Early Modern Queenship (New York: Palgrave Macmillan, 2012).↩
Perrault, Fiabe, 152.↩
Eldridge Carney, Fairy Tale Queens. Representations of Early Modern Queenship, 135.↩
Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, 312.↩
Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, 312 e ss.↩
Si veda a titolo esemplificativo: Marjory Garber, Vested Interests: Cross-Dressing and Cultural Anxiety (New York: Routledge, 1992); Shahrukh Husain, Handsome Heroines: Women as Men in Folklore (New York: Anchor Books 1996); Carole Scott, “Magical Dress: Clothing and Trasformation in Folk Tales,” Children's Literature Association Quarterly, vol. 21.4 (1996-1997): 151-7; Ivleva, Victoria, “Functions of Textile and Sartorial Artifacts in Russian Folktales,” Marvels & Tales, vol. 23.2 (2009): 268-99; Rori Bloom, “Miniature Marvelous: The Petit as Personal Aesthetic in the Fairy Tales of Marie-Catherine d’Aulnoy,” Marvels & Tales, vol. 29.2 (2015): 209-227; Colleen Hill, Fairy Tale Fashion (New Haven: Yale University Press, 2016).↩
Vedi Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, 311.↩
Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe (Torino: Einaudi, 1992), 99.↩
Francesco Cognasso, Ida Finzi, “Fazzoletto”, Enciclopedia Italiana, (1932), http://www.treccani.it/enciclopedia/fazzoletto_%28Enciclopedia-Italiana%29/.↩
A titolo esemplificativo si citano le seguenti versioni illustrate: Charles Perrault, Roberto Innocenti, Cenerentola (Trezzano sul Naviglio: La Margherita Edizioni, 2007); Charles Evans e Arthur Rackham, Il fuso e la scarpetta. La bella addormentata e Cenerentola (Roma: Donzelli, 2009); Charles Perrault, Paola Parazzoli e Antonella Abbatiello, Cenerentola (Milano: Fabbri, 2011).↩
See Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, 39.↩
Si tratta di romanzi che narrano le vicissitudini, le avventure e gli amori audaci di coraggiosi cavalieri al servizio della corona, in particolare presso la corte di Francia fra il XVI e il XVII secolo. Si veda, a titolo esemplificativo, i drammi storici e passionali del romanziere e drammaturgo francese Alexandre Dumas come Les trois mousquetaires del 1844.↩
Italo Calvino, Fiabe Italiane (Milano: Mondadori, 2002), 371.↩
Vedi Propp, Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, 249.↩
Propp, 249.↩
Roberta Milliken, Ambiguous Locks: An Iconology of Hair in Medieval Art and Literature (Jefferson, NC: McFarland, 2012), 372.↩
Giambattista Basile, Il racconto dei racconti ovvero Il trattenimento dei piccoli (Milano: Adelphi, 1994), 184.↩
Jean Chevalier, Alain Gheerbrandt, Dizionario dei simboli (Milano: Rizzoli, 1996), 199-201.↩