ZoneModa Journal. Vol.8 n.1 (2018)
ISSN 2611-0563

Saggio Introduttivo
Moda e Patrimonio Culturale

Daniela CalancaUniversità di Bologna (Italy)

She is graduated in Philosophy and in Arts at Bologna University. Contemporary History Researcher at the Department for Life Qualities Studies – University of Bologna – Rimini Campus. She is Visiting Lecturer at the Italian Studies Department – Brown University Providence R.I. USA, at Escola de Artes, Ciencias e Humanidades (EACH) Universidade de Sao Paulo Brazil, and at Faculdade de Artes Visuais (FAV) da Universidade Federal de Goiàs Brazil. She is member of the University of Bologna International Research Center “Culture, Fashion Communication” and collaborates with the Unitwin Net/Unesco connected to the Chair of «Culture – Tourisme – Développement» University of Paris 1 – Panthéon Sorbonne. Co-Editor of “ZoneModa Journal” and “AlmaTourism” Journal of Tourism, Culture and Territorial Development, scientific journals of the University of Bologna. She is also a member of Alma Heritage Science IRT and member of IRT Brasil Unibo.

Cinzia CapalboSapienza Università di Roma (Italy)

She is Researcher and Adjunct Professor in Economics History at the Department of History, Cultures, Religions of Sapienza University of Rome where teaches Economic History and History of the Fashion Industry. President of the Three-year Degree Course in Fashion and Costume Sciences. In the last few years she deals economic history of fashion. Among her publications: Storia della moda a Roma. Sarti, culture e stili di una capitale dal 1871 ad oggi, Donzelli, Roma, 2012; Creativity and Innovation of the Italian Fashion-System in the Interwar Period (1919 – 1943), in «Investigaciones de Historia Económica – Economic History Research», 2016. 1; The Men’s Fashion Changes. From the Bourgeois Suit to the Innovations of the Italian Tailors and the Birth of Made in Italy, in G. Motta and A. Biagini (eds.), Fashion Trough History: Costumes, Symbols, Communication, Vol. II, Cambridge Scholars Publishing, Lady Stephenson Library, Newcastle upon Tyne, NE6 2PA, UK, 2017.

Pubblicato: 2018-07-24

Daniela Calanca ha scritto il paragrafo “Complessità e articolazioni” e Cinzia Capalbo ha scritto il paragrafo “Patrimonio culturale e imprese di moda”

Complessità e articolazioni

I.

Questo numero di ZoneModa Journal raccoglie una serie di contributi e di riflessioni che mostrano, sostanzialmente, la complessità e l’articolazione del tema moda e patrimonio culturale, sia in ambito nazionale che internazionale. Attraverso specifiche competenze e molteplici approcci di ricerca, gli autori dei saggi pongono in evidenza in che modo non esiste un solo tipo di patrimonio culturale, ma come diverse tipologie di ricerca, molteplici metodi, nonché una documentazione multiforme, contribuiscano a creare una visione del patrimonio della moda articolato e complesso, quale si mostra sul piano epistemologico-gnoseologico. In questa direzione, infatti, si può affermare che per parlare significativamente di patrimonio culturale della moda occorre presupporre molteplici visioni prospettiche, e più contestualmente una direttrice di pensiero in cui trova riconoscimento, come tratto fondante, la proteiformità del fenomeno moda, come ha ben sintetizzato Malcom Barnard:

There is no one set of ideas or no single conceptual framework with which fashion might be defined, analysed and critically explained. … Rather, there are theories about fashion or, to put it another way, there are fashion theories. What one finds is that various and diverse academic disciplines apply themselves or are applied to the practices, institutions, personnel and objects that constitute fashion. … There are many academic disciplines, then, that take an interest in the history, analysis, and critical explanation of fashion. Each discipline will have its own idea, or theory, of what fashion is and of what sorts of activities count as analysis and explanation.1

Di fatto, è l’orientamento all’eterogeneità e alla multiforme fenomenologia della moda a costituire l’impianto tematico intorno a cui si consolida la filosofia della moda in termini di patrimonio, dal momento che, in primo luogo, la stessa definizione di patrimonio culturale, a sua volta, è tutt’altro che univoca:

Il Patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico […] e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà (Art. 2).2

In secondo luogo, l’orientamento alla storia e ai fenomeni della cultura, quale perno fondante della filosofia della moda in termini di patrimonio, chiama in causa, tra gli altri, a ben guardare, il rapporto stesso tra storia e moda.3 Un rapporto questo che si sostanzia, fondamentalmente, in una variegata molteplicità di classificazioni di ricerca storica, la cui documentazione comprende, tra l’altro, anche tipologie di materiali non convenzionali.4 A riguardo, si sottolinea che la materialità dei documenti della moda induce a oltrepassare la diversificazione convenzionale tra materiali d’archivio, di biblioteca e museali.5 Rispetto a tutto ciò, Maria Giuseppina Muzzarelli, in generale, osserva che:

Nel campo delle storie la storia della moda incontra ostacoli ad affermarsi e a condividere regole di prestigio. La riflessione sulla moda è stata a lungo appannaggio degli storici dell’arte che, a parte alcune lodevoli eccezioni, hanno sì ‘scoperto’ l’abito all’interno della rappresentazione pittorica ma non vi ci sono tuffati dentro, non l’hanno cioè estratto dal quadro e posto sul tavolo come oggetto di studio scientifico collocandolo a tutto tondo nella sustoria e sforzandosi di interpellare o ache solo di chiamare in causa altre fonti.6

Anche perché, di fatto, spiega Muzzarelli:

Un abito non è solo un abito ma l’incrocio di una serie di traiettorie, esattamente come un evento storico, piccolo o grande che sia. L’abito (o accessorio o il gioiello) è un ‘quid’ che si materializza in un dato momento per una serie di circostanze. Si tratta di ricostruirne il maggior numero possibile ricorrendo a diverse metodologie di fonti e sotto il fuoco radente di numerose domande. Si tratta di superare il descrittivismo e di dare l’idea della prospettiva e del contesto, si tratta di inserire la moda nella storia, di usare la moda per cogliere i cambiamenti, di usarla come uno specchio che riflette condizioni sociali, economiche e politiche.7

In questa direzione, il punto centrale è che la storia della moda non è solo e tanto la storia del vestiario e degli accessori, ossia la storia degli oggetti materiali in sé e per sé. Ma è anche e soprattutto, l’insieme degli immaginari sociali, teorici e pratici, legati ai fenomeni di moda, che si trasmettono da una società all’altra, in un determinato contesto storico.8 Questi studi legati ai fenomeni della moda, comprendono simultaneamente le leggi, le istituzioni, i mestieri, i consumi, i mercati, l’estetica, le produzioni economiche. E sotto tale profilo, simili studi e simili analisi storiche richiedono la consultazione simultanea di complessi documentali eterogenei, spesso concettualmente e fisicamente distanti tra loro.9 Peraltro, allo stato attuale degli studi storici di storia sociale della moda contemporanea, per esempio, non risulta in ambito nazionale un corpus di dati e di conoscenze strutturalmente organizzate, né in formato cartaceo, né mediante l’applicazione delle nuove tecnologie alle scienze umane.10

II.

Non solo. Su tutto ciò influisce la serie di problematiche concernenti la più generale riflessione relativa alla descrizione del patrimonio culturale.11 In tal senso, le pratiche conservative, le metodologie di descrizione, inventariazione e catalogazione del patrimonio culturale, con l’avvento del computer e della Rete, osserva Stefano Vitali, hanno conosciuto una semplice e pura trasposizione in ambiente digitale.12 Una trasposizione, pertanto, che non ha contemplato innovazioni radicali.13 Specificamente, è da almeno 20 anni, spiega Vitali, che nel mondo degli archivi, per esempio, si discute sulle possibilità “di convergenza tra le diverse metodologie e i differenti approcci alla catalogazione, inventariazione e descrizione del patrimonio culturale dalle diverse professioni che di tale patrimonio si prendono cura”.14 Queste riflessioni si sono incontrate, e viceversa scontrate, con simili riflessioni o iniziative intraprese nell’ambito delle biblioteche, e con minor vigore, anche in quello dei musei o in altri settori. In tal senso, si fa largo sempre di più l’esigenza di interrogarsi per verificare la possibilità di incrociare pratiche e saperi sviluppati in altri settori. E ciò soprattutto perché si tratta, a ben guardare, di “patrimoni culturali di tipo nuovo (o di tipo antico riemersi con la crisi della modernità)”, che pongono in evidenza in che modo:

Le linee di confine siano sempre più frastagliate, incerte mentre l’utilizzo dei tradizionali approcci disciplinari, anche quando trasposti in ambiente digitale richiama la necessità di problematizzare la fondatezza di rigide separatezze, di esplorare nuovi percorsi, di mettere in atto scambi e contaminazioni.15

In questo quadro, ulteriormente, si afferma poi l’esigenza di chiarire la differenza tra web archivistico descrittivo e web archivistico comunicativo, come ben sottolinea Federico Valacchi.16 E qui la domanda di base che pone lo stesso Valacchi è: “Su quali aspetti deve insistere la comunicazione finalizzata alla valorizzazione?”.17 Gli archivi sono entità informative trasversali, che ingiungono di considerare molteplici finalità.18 Del resto, sottolinea Valacchi:

Il valore degli archivi risiede nella loro trasversalità informativa, nella caleidoscopica gamma di opportunità d’uso e d’interpretazione dei loro contenuti. [...] L’archivio è strumento di memoria e di una memoria tanto articolata quanto lo sono le curiosità degli utenti che vi si avvicinano.19

In Italia, è il progetto triennale “Archivi della moda del ’900”, volto al recupero e alla valorizzazione del patrimonio della moda italiana conservato negli archivi del Novecento, ad assumere una specifica rilevanza, nei termini di patrimonio della moda.20 Elaborato dalla Associazione Nazionale Archivistica Italiana, che lo coordina, il progetto è realizzato in collaborazione con la Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il diritto d’autore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.21 Con il coinvolgimento di numerose istituzioni, il progetto si fa portavoce di un’esigenza conoscitiva e conservativa nei confronti di un’eredità, e un’identità, a rischio di dispersione, ma elemento fondamentale oggi, per la promozione e l’innovazione del made in Italy.22

In ragione di ciò, il punto centrale del progetto è costituito dal portale “Archivi della moda nel Novecento”, promosso dalla Direzione Generale degli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, inaugurato ufficialmente il 14 Novembre 2011, presso l’Archivio di Stato di Roma.23 Work in progress, il portale, articolato in 8 sezioni, è destinato a implementarsi mediante l’apporto di un numero sempre crescente di complessi archivistici e soggetti produttori, anche se una esplorazione sistematica degli archivi della moda ha portato, e porta inevitabilmente, a risultati non distribuiti uniformemente sul territorio nazionale.24 Per converso, in ambito internazionale assume rilevanza, per esempio, il progetto Europeana Fashion: Discover Europe’s Fashion Heritage, iniziato nel marzo 2012, un network composto da 22 partner di 12 nazioni europee, che rappresentano le molteplici istituzioni e collezioni della moda, tra le quali Victoria&Albert Museum (UK), Les Arts Décoratifs (FR), Emilio Pucci Archive (IT), Museo del Traje (ES).25 Nondimeno, assume specifica rilevanza il progetto We wear culture Indossiamo la cultura, la storia di ciò che indossiamo, un progetto online di Google Arts & Culture, disponibile su app per iOs e Android, da giugno 2017.26 Archivio digitale con oltre 30 mila oggetti e capi di abbigliamento, il progetto è realizzato da oltre 180 istituzioni culturali e della moda, e tra le istituzioni italiane coinvolte vi sono la Fondazione Ferrè, la Fondazione Micol Fontana, il Museo Ferragamo, il Museo del tessuto di Prato.27 Infine, ma non da ultimo, lungo questa linea, incide non poco, in ambito storiografico nazionale, la mancanza di studi sui significati storico-culturali che ha caratterizzato, nonché fondato, il concetto, e i concetti, di patrimonio storico-culturale della moda in età contemporanea, a partire dagli inizi dell’Ottocento fino ad oggi.28 Eppure, nella dimensione sociale anche il patrimonio della moda concerne in primis l’eredità che si trasmette da una generazione all’altra: è l’insieme dei principi e dei valori che danno senso alla vita quotidiana, al vestirsi ogni giorno. Anche perché il patrimonio è, soprattutto, una tessera fondamentale del senso storico, il cui significato consiste, come afferma Hans Georg Gadamer, nell’atto di:

Pensare espressamente all’orizzonte storico che è coestensivo alla vita che noi viviamo e che abbiamo vissuta […]. Tutto quanto apportano la tradizione vivente, da un lato, e le ricerche storiche dall’altro, forma alla fine una unità effettiva che non potrà essere analizzata, se non come trama di azioni reciproche.29

E dunque, su queste basi, nella forte fenomenologia eterogenea che caratterizza il tema moda e patrimonio culturale, trova spazio, in questo numero della Rivista, una triplice suddivisione tematica dei saggi, che prende le mosse dalle riflessioni sui luoghi tradizionali per eccellenza della conservazione della documentazione della moda, nonché della sua valorizzazione, quali sono gli archivi e le fondazioni tra pubblico e privato (N. Fadigati; M. Soldi; B. Niccoli; S. Mazzotta). Approfondendo, poi, il rapporto tra la concezione relativa alla formazione della prospettiva che ogni nazione concepisce del proprio patrimonio e lo studio del binomio patrimonio- creatività, vengono analizzate alcune implicazioni fondanti, tra passato e futuro, nonché la valorizzazione economica del patrimonio stesso della moda (L. N. Garcia; O.K. Pistilli; P. Maddaluno). La ricostruzione storica, inoltre, di alcuni case studies, nazionali e internazionali, sviluppati nell’arco cronologico compreso tra l’età moderna e l’età contemporanea, concorrono a configurare la natura proteiforme degli elementi che contribuiscono a fondare, in sostanza, il tema del patrimonio culturale della moda (P. Urbani; Musella Guida; M. Franceschini; I. Papushina, R. Abramov; R. Fratton Noronha).

Patrimonio culturale e imprese di moda

I.

Nel mondo ipercompetitivo dell’economia globale del XXI secolo, i contenuti culturali, compresa la valorizzazione del patrimonio storico, sono ormai considerati fondamentali per la generazione del valore economico. Se la qualità dei prodotti resta un elemento importante per i consumatori, non di meno la percezione della qualità è legata più al racconto della qualità stessa piuttosto che ad una sua percezione oggettiva.30 L’elemento culturale diventa significativo soprattutto per le industrie cosiddette “creative”, ossia quelle che rispondono in prima istanza a imperativi funzionali non‐culturali, ma per le quali i contenuti culturali hanno rappresentato – e stanno sempre più rappresentando – un segmento rilevante nella creazione della catena di valore (value chain). Pur potendo definire quella della moda un’industria creativa “sui generis”, in quanto in essa la creatività si coniuga con tutti i processi della filiera tessile-abbigliamento,31 la moda, così come il design, rientra a pieno titolo nelle industrie culturali.32

Per le imprese moda la creatività è associata sia al capitale culturale frutto della creatività delle generazioni passate, sia alla produzione artistica delle generazioni presenti, ma anche alla sfera della cultura materiale, espressione del territorio e delle comunità. Il sistema moda si fonda su una esperienza storica, su accumulazione di saperi attraverso diverse generazioni di creativi e su sistemi industriali distrettuali.33 Per la produzione di beni ad “alto valore simbolico”, nei quali rientrano i prodotti dei più rinomati marchi di moda, il patrimonio culturale dell’impresa costituisce così una parte fondamentale di quella che nel marketing si definisce product concept , ossia l’insieme dei contributi tangibili e intangibili, dove i secondi contemplano valori diretti quali l’immediato conferimento di status legato al bene, ma anche valori indiretti che l’impresa riesce a comunicare al consumatore attraverso la politica del brand.34 In quest’ultimo caso un ruolo fondamentale è giocato dall’heritage che costituisce per le imprese di moda un legame emotivo coi propri clienti in quanto attraverso l’esperienza e la tradizione si qualifica la qualità del prodotto, il suo valore e il suo posizionamento in chiave storica.35 Per questo lo storytelling, e dunque l’adozione di un preciso collocamento in chiave storica, è una parte integrante del branding moderno e le aziende con un forte patrimonio culturale gettano una luce positiva sul loro presente e sul loro futuro.36

II.

Gli strumenti a disposizione per evocare il patrimonio storico aziendale sono l’archivio storico dell’azienda e il museo d’impresa. In Italia i primi archivi storici e i musei di impresa sono stati creati negli anni ottanta del secolo scorso, per aumentare nei due decenni successivi. Secondo i dati Istat nel 2011 i musei d’impresa – o industriali – presenti in Italia assommano a 85 sugli oltre 3.800 musei complessivi presenti nel Paese.37 Fra essi molti sono musei di imprese di moda nei quali, grazie alla conservazione e alla valorizzazione di documenti, materiali iconografici, oggetti, prodotti e macchinari, si racconta la storia dell'impresa e dei suoi protagonisti. Il museo, oltre che una forma di comunicazione del brand, diventa quindi una vera e propria forma di celebrazione di quella che è la tradizione del marchio: sfruttare la tradizione per creare “spessore”, scavalcando la pura sfera commerciale, e per rafforzare l’affinità con il pubblico e valorizzare la propria immagine.38 Due casi emblematici, in questo senso, sono il Museo Ferragamo, inaugurato nel 1995 e ospitato nel medievale Palazzo Spini Feroni, nella sede storica dell’azienda di Firenze, e quello Gucci, aperto nel 2016, sempre a Firenze in Piazza della Signoria.

Alcuni dei musei e degli archivi d'impresa fanno capo all’associazione Museimpresa, promossa da Assolombarda e Confindustria. Gli Associati di Museimpresa sono musei e archivi di grandi, medie e piccole imprese italiane che hanno deciso di investire nella valorizzazione del proprio patrimonio industriale, mettendolo a disposizione della collettività.39 In effetti, un aspetto importante degli archivi e dei musei di impresa è che essi rappresentano anche un luogo di conservazione e di diffusione di un patrimonio culturale intrinseco nella storia del territorio in cui le imprese sono sorte, hanno operato, o operano tutt’ora.40 Archivi e musei di impresa, in quanto testimoni attivi di un preciso tessuto economico e sociale, rientrano dunque nel novero dei beni culturali intesi come un insieme eterogeneo di memoria storica, opere e tradizioni, che rappresentano uno strumento per definire il profilo della ricchezza culturale e della conoscenza di un territorio e, più in generale di un Paese.41

III.

Per quanto riguarda nello specifico gli archivi d’impresa, la documentazione nel settore della moda è certamente più variegata e diffusa di quella, già molto articolata, degli archivi d’impresa tout court. Oltre alle fonti specifiche conservate presso le aziende, occorre infatti considerare le fonti presenti in altre sedi come ad esempio quelle cinematografiche o fotografiche, conservate presso gli archivi audiovisivi e le cineteche.42 Inoltre, gli archivi d’impresa spesso convogliano più archivi derivati dalla confluenza di più produttori, causati da diversi fattori di trasformazione giuridica quali fusioni, acquisizioni ecc., che coprono archi temporali anche piuttosto limitati e convogliano produttori diversi.43 Tale peculiarità richiede una lettura archivistica complessa che tenga conto del percorso imprenditoriale dell’impresa stessa.

Un canale importante per avere informazioni sul patrimonio storico delle imprese nell’era digitale è l’utilizzo di internet. Nel campo della moda e dell’industria tessile vi sono diversi siti web di un certo rilievo, tra i quali ricordiamo: Gucci, che presenta una timeline dell’impresa dalle origini a oggi; Salvatore Ferragamo, che offre una cronologia aziendale e una sezione destinata al museo, con la raccolta delle sue creazioni; Missoni, che contiene una sezione dedicata ai cinquant’anni di attività dell’azienda, con filmati e fotografie; Gianfranco Ferré, che propone un museo virtuale delle sue collezioni, con immagini e video; Benetton, che comprende una “linea del tempo” e alcuni filmati, dedicati ai quarant’anni di attività del gruppo; Ermenegildo Zegna, che descrive la storia dell’impresa e del lanificio, con testi e relative gallerie di foto.44

Dal punto di vista della ricerca storica un problema legato alla fruizione documentaria conservata presso gli archivi e i musei di impresa che fanno capo ad aziende ancora attive è che il destino del loro patrimonio storico, e dunque documentale, è fortemente collegato a eventuali cambiamenti legati a crisi congiunturali, riassetti societari o acquisizioni, che possono sospendere, anche se temporaneamente, l’attività museale o archivistica.

IV.

Il patrimonio storico delle imprese del sistema moda italiano è anche caratterizzato dalla presenza in diverse regioni di opifici tessili dismessi, spesso di origine ottocentesca, i quali non raccontano soltanto la storia di un’unica impresa, ma quella di un intero territorio e di diverse generazioni che hanno contribuito a creare il tessuto produttivo. Molti di questi opifici, grazie al successo dell’archeologia industriale, sono oggi diventate (o stanno diventando) siti di notevole rilevanza storico-culturale in molte regioni italiane. L’archeologia industriale è stata in effetti tra le prime discipline scientifiche a occuparsi del patrimonio materiale e immateriale delle imprese. Nata negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso in Inghilterra, allo scopo di tutelare l’heritage industriale quale portatore di significative testimonianze di storia economica e sociale, essa ha iniziato a prendere piede in Italia dagli anni settanta,45 trovando un ruolo centrale nella conservazione, gestione e valorizzazione dei beni culturali. Il recupero del patrimonio industriale ha permesso la valorizzazione di siti di straordinario valore storico e documentario, che sono anche sedi di iniziative e mostre di interesse storico e artistico. Tra tutti ricordiamo l’ex lanificio Pria di Biella che conserva anche un prezioso archivio storico e, sempre nel distretto biellese, la “Fabbrica della ruota” (ex lanificio Zingone) di Pray che, oltre ai vari macchinari tessili restaurati e funzionanti, ospita il Centro di Documentazione dell’Industria Tessile che comprende una ricca biblioteca specializzata e un archivio costituito da 58 fondi di provenienza industriale.46 Infine, il Museo del Tessuto di Prato, oggi una tra le maggiori istituzioni europee dedicate alla valorizzazione del tessuto antico e contemporaneo (il patrimonio documenta l’arte del tessuto dall’era paleocristiana fino ai nostri giorni), che dal 2003 ha sede presso l’antica “Cimatoria Campolmi Leopoldo e C.”, una grande fabbrica ottocentesca all'interno delle mura medievali della città.47

V.

Infine, un altro aspetto importante del patrimonio culturale di un’impresa sono le fondazioni. Create da molti grandi gruppi del lusso, le fondazioni vanno oltre la promozione della propria cultura aziendale, con investimenti e iniziative più ampie in campo artistico e culturale in un’ottica di Corporate Social Responsibility. Esse contribuiscono così anche alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico di un Paese, favorendo sinergie con la comunità e il territorio e promuovendo iniziative di carattere culturale:48 come a Parigi la Fondation Louis Vuitton, creata su iniziativa di Bernard Arnault (gruppo LVMH) nel 2006,49 e la Fondation Pierre Bergé - Yves Saint Laurent, inaugurata nel 2002;50 o in Italia la Fondazione Prada, attiva dal 1993,51 per citarne solo alcune. Molte fondazioni sono di fatto dei veri e propri musei e archivi d’impresa. Per esempio la Fondazione Micol Fontana che conserva il grande patrimonio lasciato in eredità dall'Atelier romano delle Sorelle Fontana, costituito da oltre 200 abiti che vanno dal 1940 al 1990, da figurini, ricami e accessori. Vi è inoltre una biblioteca, una emeroteca e un fondo fotografico. L'Archivio della Fondazione è una memoria del passato, messo al servizio delle generazioni future attraverso l'organizzazione di visite, seminari, mostre ed incontri culturali. Un esempio invece di fondazione legata alla promozione culturale del territorio e alla conservazione del suo patrimonio storico è la Fondazione Famiglia Legler, impresa che ha operato fin dal 1875 in provincia di Bergamo realizzando e conducendo la più importante industria tessile della Provincia. La Fondazione Legler, oltre a conservare un importante archivio storico aziendale del cotonificio Legler, detiene anche altri archivi storici di imprese tessili, di enti, e archivi privati, e promuove iniziative per lo sviluppo della cultura e della formazione. Essa è stata affiancata da un'altra importante Fondazione già operante sul territorio: la Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, costituita dalla Camera di Commercio e dalle maggiori banche e industrie della Provincia. Si è così realizzata un'integrazione fra le attività di studio e di ricerca storica proprie della Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo e le iniziative formative e culturali proprie della Fondazione Famiglia Legler.52

Il sistema moda, in tutte le sue sfaccettature della filiera, rappresenta dunque un patrimonio culturale che racchiude una dimensione storica, sociologica, economica e, naturalmente artistica, che va tutelato e messo al servizio del territorio e della ricerca.53

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http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-conservatori/MIAA000CFA.


  1. Malcom Barnard (ed.), Fashion Theory. A Reader (London-New York: Routledge, 2007), 7-8. Vedi Malcom Barnard (ed.), Fashion Theory. An introduction (London-New York: Routledge, 2014); Daniela Calanca, “Moda e patrimônio cultural entre imaginários sociais e práticas coletivas, na contemporaneidade”, in Revista de História USP Departamento de História Faculdade de Filosofia, Letras e Ciências Humanas Universidade de São Paulo (2018) (in corso di pubblicazione). Inoltre vedi Susan B. Kaiser, Fashion and Cultural Studies (London: Bloomsbury, 2012); Heike Jenns, (eds.), Fashion Studies: Research, Methods, Sites and Practices, (London-New York: Bloomsbury, 2016).

  2. Daniela Calanca, Storia sociale della moda contemporanea (Bologna: Bononia University Press, 2014), 17-47.

  3. Cfr. Calanca, “Moda e patrimônio cultural entre imaginários sociais e práticas coletivas, na contemporaneidade.” Inoltre vedi Maria Giuseppina Muzzarelli, Giorgio Riello, Elisa Tosi Brandi (a cura di), Moda. Storia e storie (Milano: Bruno Mondadori, 2010); Emanuela Scarpellini (a cura di), “Fashion Studies. La moda nella storia”, Memoria e Ricerca, n. 50, (settembre-dicembre 2015).

  4. Cfr. Muzzarelli, 3-ss.

  5. Alessandra Citti, Marina Zuccoli, “Le molte biblioteche della moda: ricondurre a unitarietà un panorama diffuso”, Biblioteche oggi, vol. 33 (marzo 2015), 51-57.

  6. Cfr. Muzzarelli, 14.

  7. Cfr. Muzzarelli, 10.

  8. Daniela Calanca, “Conservaçao e valorizaçao do pátrimónio da moda. O papel social da pós-história,” Visualidades, UFG, (v. 11, 2013) n. 1, 99-107; cfr. Calanca, Storia sociale della moda contemporanea; Daniela Calanca, Moda e immaginari sociali in età contemporanea (Milano: Bruno Mondadori, 2016).

  9. Cfr. Calanca, Storia sociale della moda contemporanea; Daniela Calanca, “A història social da moda contemporânea em arquivos digitais”, in Museus e Moda: acervos, metodologias e processos curatoriais, a cura di Marcia Merlo. (São Paulo: Estaçao das Letras e Cores, 2016), 75-89.

  10. Cfr. Calanca, Storia sociale della moda contemporanea.

  11. Stefano Vitali, “Descrivere il patrimonio culturale: intrecci, condivisioni, convergenze”, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Istituto Centrale per gli Archivi - ICAR, ottobre 2017, http://www.icar.beniculturali.it/index.php?id=105.

  12. Cfr. Vitali, “Descrivere il patrimonio culturale: intrecci, condivisioni, convergenze”.

  13. Vitali.

  14. Vitali.

  15. Vitali.

  16. Federico Valacchi, “Comunicare il valore degli archivi: il sistema archivistico nazionale,” in Il Capitale culturale, Studies on the Value of Cultural Heritage, V (2012), 145-162.

  17. Valacchi, 146.

  18. Valacchi, 146.

  19. Valacchi, 146.

  20. Cfr. Calanca, Storia sociale della moda contemporanea; Mauro Tosti Croce, “Un portale per la memoria della moda”, Digitalia. Rivista del digitale nei beni culturali, VII, (n. 1, 2012), 89-105; Mauro Tosti Croce, “I portali tematici come strumento di divulgazione del patrimonio archivistico”, Digitalia. Rivista del digitale nei beni culturali, VII, (n. 2, 2012) 40-53; Mauro Tosti Croce, “Thematic Portals: Tools for Research and Making Archival Heritage Known”, Journal of Modern Italian Studies, vol. 20, (2015), n. 5; cfr. Valacchi, “Comunicare il valore degli archivi: il sistema archivistico nazionale.”

  21. Cfr. Calanca, Storia sociale della moda contemporanea.

  22. Calanca.

  23. Calanca.

  24. Calanca.

  25. Calanca.

  26. https://artsandculture.google.com/project/fashion.

  27. https://artsandculture.google.com/project/fashion.

  28. Cfr. Calanca, Moda e immaginari sociali in età contemporanea.

  29. Hans Georg Gadamer, Il problema della coscienza storica (Napoli: Guida Editori, 2004), 11-46.

  30. Pier Luigi Sacco, Le industrie culturali e creative e l’Italia: una potenzialità inespressa su cui scommettere, http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Cultura/2012/11/industrie-culturali-creative_sole24.pdf (30 maggio 2018).

  31. Per questa definizione si veda il saggio di Paola Maddaluno in questo numero.

  32. Stefania Saviolo, Salvo Testa, Le imprese del sistema moda: il management al servizio della creatività (Milano: ETAS, 2002).

  33. Walter Santagata, Libro bianco sulla creatività. Per un modello italiano di sviluppo (Milano: Università Bocconi Editore, 2009). Stefano Micelli, Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani (Venezia: Marsilio, 2011), 1-42.

  34. Fabrizio Mosca, Product concept ed heritage per i beni ad elevato valore simbolico (Torino: G. Giappichelli, 2015), 1-42; per le strategie di brand di alcuni casi aziendali cfr. Mosca, 235-52.

  35. Valentina Martino, Dalle storie alla storia d’impresa (Roma: Bonanno Editore, 2013), 64.

  36. Erica Corbellini, Stefania Saviolo, Managing fashion and luxury companies (Milano: ETAS, 2009).

  37. Ludovico Solima, “Imprese e musei d’impresa. Dalla comunicazione storica all’immagine aziendale”, in Storia d'impresa e imprese storiche: una visione diacronica, a cura di Vittoria Ferrandino, Maria Rosaria Napolitano, (Milano: Franco Angeli, 2014), 434-51.

  38. Cfr. Mosca, Product concept ed heritage per i beni ad elevato valore simbolico.

  39. https://www.museimpresa.com.

  40. Le Convenzioni dell' UNESCO del 1972 (Convenzione del patrimonio mondiale) e del 2003 (Convenzione del patrimonio immateriale), riflettono in modo concreto il profondo mutamento che il concetto di patrimonio culturale ha subìto negli ultimi decenni. In particolare, la Convenzione del 1972 include nel patrimonio culturale mondiale “i monumenti, gli insediamenti ed i siti aventi valore storico, estetico, archeologico, scientifico, etnologico o antropologico”, fino a comprendere il “tessuto di relazioni che ha storicamente definito il sistema di riferimento degli uomini con i suoi simili e con l’ambiente”. Pietro A. Valentino, Anna Misiani, Gestione del patrimonio culturale e del territorio (Roma: Carocci, 2004).

  41. Gaetano Golinelli, “Introduzione”, in Patrimonio culturale e creazione di valore: verso nuovi percorsi, a cura di Gaetano Golinelli. (Padova: Cedam, 2012), XV; Adriana Di Vittorio, “Cultural Heritage territoriale e musei d’impresa. Le risorse ‘place-specific’ verso il bisogno di autenticità”, in Storia d'impresa e imprese storiche: una visione diacronica, a cura di Vittoria Ferrandino, Maria Rosaria Napolitano. (Milano: Franco Angeli, 2014), 397-418. C’è da dire che l’identità culturale del territorio ha sempre rappresentato un punto di forza nella costruzione dell’immagine aziendale. Un esempio emblematico è l’azienda Richard Ginori, famosa per la produzione di porcellane. Nella seconda metà dell’Ottocento la ricerca di un posizionamento sui mercati internazionali portò i dirigenti della manifattura toscana alla decisione di dare una connotazione più precisa al marchio di fabbrica, che includesse oltre al nome della manifattura anche il luogo di produzione. Venne così creato un marchio con scritto Manifattura Ginori a Doccia presso Firenze. Significativo è il fatto che oltre al nome di Doccia (Sesto Fiorentino), sede storica della manifattura fondata nel 1737, venisse anche posto quello della città di Firenze: una facilità più immediata di riconoscimento geografico dell'impresa nei mercati esteri col richiamo a una città ricca di una antica e riconosciuta tradizione sia nel campo dell'artigianato sia in quello dell'arte; un elemento dunque in grado di alimentare un giudizio positivo presso i consumatori, soprattutto stranieri. Cinzia Capalbo, Pia Toscano, “The Richard-Ginori company. How it conquered the international market while remaining a high level quality brand,” in Regionale Produzenten oder Global Player? Zur Internationalisierung der Wirtschaft im 19. und 20. Jahrhundert. Rheinland-pfälzische Wirtschaftsgeschichte im europäischen Vergleich, a cura di Ute Engelen, Michael Matheus. (Stuttgart: Franz Steiner Verlag, 2018), 31-8.

  42. Giovanni Luigi Fontana, “Archivi di prodotto e archivi della moda: questioni ed esperienze”, in Moda. Storia e Storie, Bruno Mondadori, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, Giorgio Riello, Elisa Tosi Brandi. (Milano: Bruno Mondadori, 2010), 234-46. Si rimanda a questo saggio per un approfondimento sulle problematiche legate agli archivi di moda.

  43. Antonella Bilotto, “L’archeologia del documento d’impresa. L’«Archivio di prodotto»”, in Rassegna degli Archivi di Stato, 52 (2002), 293-306.

  44. Amedeo Lepore, “La storia d’impresa in Italia e le nuove frontiere digitali: archivi e risorse telematiche,” Cultura e impresa. Rivista on-line, 5 (luglio 2007), 1-75.

  45. Tra la ormai vasta bibliografia sulla materia vedi Augusto Ciuffetti, Roberto Parisi, L'archeologia industriale in Italia: storie e storiografia (1978-2008) (Milano: Franco Angeli, 2012); Peter Murphy, Patricia E. J. Wiltshire, The Environmental Archaeology of Industry (Oxford: Oxbow Books, 2003).

  46. Philippe Daverio. A cura di. Sul filo della lana, Catalogo della mostra, Biella, 21 aprile - 24 luglio 2005 (Milano: Skira, 2005). http://cultura.biella.it/on-line/Welcomepage/EcomuseodelBiellese/Celluleeistituzioni/FabbricadellaRuota-Pray.html.

  47. http://www.museodeltessuto.it.

  48. Francesca Romana Rinaldi, Salvo Testa, L’impresa moda responsabile. Integrare etica ed estetica della filiera (Milano: Egea, 2013). Sulla realtà attuale delle fondazioni d’impresa si veda: Vittoria Azzarita, Come cambiano le fondazioni d’impresa, in http://www.ilgiornaledellefondazioni.com (14 febbraio 2017). Sulle fondazioni culturali delle corporate del lusso si veda, inoltre, il saggio di Sara Mazzotta in questo numero.

  49. http://www.fondationlouisvuitton.fr.

  50. https://museeyslparis.com.

  51. http://www.fondazioneprada.org.

  52. http://www.ffl.it/archivio.asp; http://www.ffl.it/; http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-conservatori/MIAA000CFA.

  53. Vedi L’intervento di Donato Tamblé, in Giornata di studi “Gli archivi raccontano la moda. Testimonianze, immagini e suggestioni”, Roma, 22 aprile 2010.