ZoneModa Journal. Vol.8 n.1 (2018)
ISSN 2611-0563

Elisa Tosi Brandi, L’arte del sarto nel Medioevo. Quando la moda diventa un mestiere, Il Mulino, 2017

Bruna NiccoliUniversità di Pisa (Italy)

PhD History of Visual and Performative Arts, from 2001 to the present has been Lecturer at Pisa University. From 2005 her research has focused on stage and film costume and she started collaborating with the University of Pisa on the Cerratelli Foundation costume collection catalogue (see Bruna Niccoli, The art of costume. Italian creativity for theatre and film in Fashion throughout History (editor Giovanna Motta and Antonello Biagini), Cambridge Scholars Publishing, 2017).

Pubblicato: 2018-07-24

Keywords: Fashion; Middle age; Skills; Tailor.

Quando la moda diventa un mestiere: un sottotitolo che ci porta nel Medioevo

Un saggio sull’Arte del sarto di Elisa Tosi Brandi ricostruisce con finezza la complessità di un mestiere che prende nuova forma e struttura quando nasce la moda. Accogliendo infatti una consolidata tesi storiografica, l’autrice legge il fenomeno dell’origine della moda nel basso Medioevo grazie anche all’apparire di questa “arte lizéra” e chiarisce, con una notevole ricchezza di fonti e documentazione, come proprio l’insorgere della professione del sarto costituisca uno degli “indicatori” della diffusione della moda nella società delle apparenze.

Il saggio offre una narrazione costruita per rispondere a domande precise in merito al ruolo dei sarti nell’economia delle città del basso Medioevo, al valore della legislazione suntuaria e dell’omiletica, fondamentali fonti scritte in questa sede rilette in nuova chiave critica da Tosi Brandi, che servendosene procede ben oltre l’attestazione descrittiva di tipologie di abiti e modelli, permettendoci di scoprire sia significative pratiche del lavoro sia oggetti creati in sartoria. Ne esce un modello organizzativo del mestiere a oggi in gran parte inedito, interpretato anche grazie alla revisione degli statuti dell’arte, un’altra fonte tradizionale qui utilizzata per collocare il sarto nel mondo del lavoro e ricostruire il suo ruolo nella società italiana tardo medioevale, dove scopriamo che il mestiere si piega ai flussi temporali della religiosità collettiva e a quelli della richiesta economica. Tosi Brandi chiarisce infatti come il sarto sia storicamente stato in certi specifici ambienti un mestiere “stagionale”, soggetto a momenti di produzione alternati a momenti di stasi.

L’autrice offre una trattazione in risposta anche ad un’altra domanda guida della ricerca, relativa a quale sia il sapere tecnico di questi artigiani e il loro apporto ideativo nella moda, interrogandosi di conseguenza anche sulla scarsa considerazione sociale talvolta tributata alla categoria. La creatività dei sarti, da certa tradizione storiografica non solo discussa ma persino negata, si delinea e viene affermata in queste pagine, così dense di indicazioni bibliografiche che il lettore potrebbe quasi procedere a un secondo livello di lettura, lasciandosi trasportare in una succulenta revisione critica della letteratura specifica su temi basilari della storia della moda tra basso Medioevo ed età moderna. Dell’artefice di questa “arte lizéra” (sic in Giovanni Antonio da Faie, XV secolo), un’arte leggera perché “si fa con pochi dinari”, emerge nel saggio la figura sociale nelle sue molte problematiche: quali sono le skill richieste all’apprendista e come si differenziano dalle abilità che fanno un maestro, il taglio e il cucito, quali dunque le sottili relazioni del rapporto appunto tra maestro e allievo e, non ultimo, quale posto occupa il grande tema del controllo qualità, caro alla migliore prassi della bottega medioevale, di cui sono illustrate con cura dall’autrice le garanzie che potevano fare il livello dell’oggetto di moda. Non ci sono dubbi, per Tosi Brandi il sarto nel tardo Medioevo ha giocato un ruolo preciso nella “elaborazione delle novità”, ha gestito relazioni con i clienti, ha fatto la moda. La lettura incrociata delle fonti scritte, considerate nella eterogeneità delle sue tipologie, apporta un tassello significativo per la storia economica della moda nel capitolo dedicato ai “Sarti al lavoro”, dove leggiamo di tariffari e prestazioni sartoriali in prospettiva nazionale che restituiscono un certo prestigio sociale alla professione stessa. La sezione culmina con la pubblicazione in appendice di un nutrito corpus di tabelle organizzate come un grande campionario, fatto di indumenti, dei loro tessuti pregiati, delle meno nobili fodere, una accurata serie di dati che ci informa su tipologie di lavorazione e, cosa molto significativa, sui costi, un aspetto che ha conosciuto molte dimenticanze nella trattatistica di storia della moda. Un altro dei tradizionali omissis, e importante elemento di novità del saggio, è dato dalla raffinata ricostruzione del lavoro femminile: le sarte si definiscono come artigiane e riemergono dal mondo del lavoro sommerso medioevale. Ed è proprio grazie a una delle fonti potremmo dire più inflazionate della storiografia di moda, la legislazione suntuaria, che l’autrice ricava le sue conclusioni e spiega che: “Contrariamente infatti a quanto si possa ragionevolmente pensare e cioè che le leggi suntuarie rischino di offrirci una visione parziale del campo di azione femminile, limitato ai soli abiti e accessori di lusso, queste fonti lasciano in realtà intravedere anche le potenzialità del settore per le donne che producevano e commerciavano”.

Il ricorso del libro alle fonti materiali, dove il manufatto diventa protagonista, arricchisce la storiografia italiana con risultati che sono il frutto di indagini innovative (condotte in collaborazione con Thessy Schoenholzer Nichols): il farsetto di Pandolfo III Malatesta e la gamurra di Osanna Andreasi, due indumenti del Quattrocento che permettono di leggere la struttura e la costruzione di due capi emblematici di moda maschile e femminile, come ben spiegato e documentato nel testo.

Elisa Tosi Brandi si avvale per questa capillare ricerca di un metodo di indagine maturato in lunghi anni di studio e che ha i suoi debiti con l’università di Bologna e la cattedra di Giuseppina Muzzarelli, tanto citata quanto fondamentalmente compresa nella sua più importante lezione, quella per la storia della moda italiana del terzo millennio, cui questo saggio – con indiscutibile autonomia intellettuale e originalità – di buon grado contribuisce.