Introduzione
Nell'Archivio di Stato di Firenze è conservato il fondo Mediceo del principato, composto quasi solo da lettere inviate alla corte granducale da moltissimi personaggi privati o con cariche istituzionali dal 1536 al 1743. Nel Mediceo ci sono carteggi che costituiscono ‘racconti’ conclusi in sé, testimonianze in presa diretta di episodi della Storia e degli uomini che l'hanno vissuta e creata. Questo saggio si avvale di lettere inedite spedite nel marzo 1635 e nel periodo dal giugno 1666 all'ottobre 1667; la loro lettura è una testimonianza di prima mano sulla relativa decadenza di Firenze, che già dal Medioevo era conosciuta per una fortunata attività mercantile, bancaria e artigianale, basata soprattutto sulla produzione, lavorazione e vendita della lana e della seta, prodotti esportati in paesi vicini e lontani.
Continuata nel periodo del Rinascimento, la ricchezza di Firenze permise una splendida fioritura artistica e letteraria, sia nel periodo Repubblicano, sia in quello dei primi Medici, iniziato nel 1537. Nel primo Seicento continuò in parte la fortuna della città, con il potenziamento del porto di Livorno, voluto dal geniale Ferdinando I. Le rotte del commercio però subirono uno spostamento, dovuto alla forza crescente delle nazioni poste al Nord dell'Europa e ai rapporti tra la Spagna e le proprie colonie ‘americane’. Il traffico di Livorno subì una riduzione di traffico e di importanza.
La dinastia medicea, dopo la morte di Ferdinando I nel 1609, non espresse poi governanti di grande levatura e uno di questi fu il suo pronipote Cosimo, figlio di Ferdinando II e di Vittoria della Rovere, e quindi gran principe destinato a succedere sul trono al padre, che sarebbe morto di lì a poco, nel 1670, con il nome di Cosimo III.
Questo saggio permette di gettare uno sguardo sui problemi del Granducato in travaglio per la difficoltà di adeguarsi ai mutamenti storici e la crisi è testimoniata da uno scambio di lettere che hanno per oggetto la scarsa qualità delle stoffe fiorentine e la decisione dell'erede al trono di comprare diversi abiti a Parigi, avendo intuito l'importanza di adeguarsi alla moda corrente nell'esercizio della politica estera.
In questo senso, ormai da qualche tempo l'ambito vasto e composito della moda, prima studiato dagli storici dell'arte e delle arti applicate con criteri soprattutto estetici,1 viene considerato a tutti gli effetti una fonte per produrre indagini storiche a tutto campo, secondo l'affermazione del 1979 di Fernand Braudel: “La storia degli abiti è meno aneddotica di quello che appaia. Essa pone tutti i problemi: delle materie prime, dei procedimenti di lavorazione, dei costi, delle immobilità culturali, delle mode, delle gerarchie sociali”.2 Nello stesso periodo uscivano altri due lavori che usarono la moda come strumento per studiare il clima storico, nel 1967 Il sistema della moda,3 del semiologo Roland Barthes e nel 1979 Mode & Modi,4 del filosofo e antropologo sociale Gillo Dorfles.
Come altri contributi più recenti di studi sul ruolo di notevole importanza svolto dalla moda in ambito economico, sociale e quindi politico – dai tempi più lontani a quelli contemporanei – si possono citare i libri di Maria Giuseppina Muzzarelli, Guardaroba medievale Vesti e società dal XIII al XVI secolo,5 del 1999, e di Daniela Calanca Moda e immaginari sociali in età contemporanea,6 del 2016. Anche questo piccolo saggio è incentrato sulla necessità di prendersi cura in maniera globale del patrimonio culturale, di cui la moda fa parte, e di cercare di svilupparlo nella maniera più fruttuosa con l'inserimento intelligente nel flusso della storia.
1.
Amerigo Salvetti, “residente” ambasciatore del Granduca di Toscana a Londra scriveva, in una lettera inviata al segretario Lorenzo Poltri il 16 marzo 1635, della situazione commerciale toscana in quel periodo, approvando gli “ordini rigorosi, che Sua Altezza haveva dato à Firenze ai ministri dell'arte della seta per migliorare quella drapperia”; le disposizioni erano necessarie e accolte dai mercanti inglesi “con molto piacere, perché da un tempo in qua trovandola inferiore di bontà à quella di Genova, massime i rasi, et ermesini”, i mercanti dicevano d'essere stati “forzati” a servirsi presso la Repubblica anziché nel Granducato; lo stesso Salvetti aveva “osservato questo particolare” e concordava sulla qualità della “nostra drapperia” non più “così buona, come soleva già essere, et per ciò havendo perduto di riputatione,” era apparso logico il ricorso “a quella di Genova”.7 In effetti il bando citato da Salvetti era stato preceduto da un altro analogo emanato l'11 dicembre 1629 dal minorenne granduca Ferdinando II, sotto la tutela della madre Christiana di Lorena e della moglie Magdalena d'Asburgo. Nel bando il sovrano e i “deputati sopra l'arte di Por Santa Maria” esortavano a provvedere perché l'arte della seta fosse mantenuta viva e crescesse “in reputazione” e a questo scopo era “necessaria qualche riforma” relativa alle caratteristiche della produzione differenziata nei vari tipi, per rendere più ricca “detta drapperia”.8 Da anni i tempi e gli avvenimenti non erano stati favorevoli al Granducato, come ricorda Rita Mazzei: “Dopo la crisi del 1619-21, infatti, ci fu quella del 1629 e nel 1630 arrivò la peste, tragedia umana ma al tempo stesso disastro economico. Infine negli anni centrali del secolo la crisi del Seicento sembra toccare, come del resto altrove (si pensi alla vicina Lucca), il punto più basso della depressione”.9 In alcune zone la situazione era drammatica, come nella Romagna Toscana, dove i luoghi erano popolati ma poveri per i raccolti cattivi, per i dazi e le imposizioni tributarie, tanto da fare chiedere soccorsi di grano per arrivare al tempo dei nuovi raccolti e “per poter tirar innanzi l'Arte de' Panni Lani” i cui artigiani “non hanno potuto spacciare quest'anno, per essere i passi serrati et per non si esser fatte le solite fiere nello Stato di Vostra Altezza”.10 Anche l'industria laniera era da tempo in grandi difficoltà, secondo l'analisi di Paolo Malanima: “Non c'è dubbio che nel caso dell'industria della lana, il pilastro dell'economia cittadina per secoli, all'epoca di Cosimo III sia continuato il movimento verso il basso iniziato un secolo prima. La produzione e con essa l'occupazione, continuarono a diminuire. Si producevano nel 1666 circa 3500 panni; nel 1717-24 si erano ridotti ad appena 1500 all'anno. L'esportazione era ormai limitatissima: ridotta soltanto ad alcune città italiane del centro sud”; il commercio della seta invece, in difficoltà nel 1635, avrebbe avuto una ripresa, tanto che “l'età di Cosimo III non fu affatto un'epoca di decadenza o di stagnazione. I capitali investiti nella seta erano ancora consistenti. Nel 1674, mentre nelle 26 botteghe di arte di lana i capitali complessivi erano soltanto di 157.000 ducati, nelle 25 di arte della seta erano ben 1.023.000: una cifra veramente considerevole”.11
2.
Nei tempi precedenti una gran parte della ricchezza di Firenze era derivata dal tessuto serico, che sembra esercitare una malia densa di simboli: “La seta è il tessuto di una categoria sociale che intende farsi strada, e ottenere la propria distinzione, e l'esercizio del potere. Tessuto dei re e dei grandi, tessuto dei preti e delle chiese. Essa è il segno del prestigio sociale negli abiti, negli ammobiliamenti, negli ornamenti delle chiese. Essa corrisponde inoltre ai fasti del barocco, all'apparato, alle pompe, comprese quelle funebri. […]. Il mercato delle seterie è, per natura, internazionale. Sono gli Stati italiani che forniscono alla Francia e a tutta l'Europa le sete gregge o semilavorate, i drappi di seta e anche i passamani e i nastri in cui si mescolano i fili d'oro e d'argento ai fili di seta.”12 Nello stesso tempo questo genere di lusso veniva anche ‘demonizzato’ e si tentava di controllarne l'uso con le leggi suntuarie o con altri provvedimenti.13
In Toscana si sarebbe visto sul lungo periodo come la tendenza al ribasso dell'industria serica fosse momentanea e ci sarebbe stata una ripresa, ma nel 1635 la produzione serica fiorentina sembrava in acque cattive. Oltre allo scadimento del materiale stesso, sembrava essersi perduta la fantasia per creare nuovi colori accattivanti. Alcuni mercanti inglesi disposti, in apparenza, a provare le sete fiorentine avevano accluso ad una lettera un campionario dei tipi di stoffe seriche e dei colori più richiesti sul mercato inglese: accanto ai pezzetti della stoffa da provare erano scritti i nomi dei colori e alcune condizioni: per i “rasi di Fiorenza”, che fossero “finissimi et senza macchie”; i colorati dovevano essere “de colori conforme le appresso mostre”; oltre a “2 Pezze de più bianchi che si fabrichino”, erano richieste pezze per ogni colore elencato: “scarlatto ricco”, “1 Pezza scarnatina, ½ scarnatina et ½ che tagli verde”, “1 Pezza detto, cioè ½ del colore di muschio et ½ di colore di castagna”, “2 Pezze detto, cioè ¼ di colore d'Isabella et ¼ di colore Aurora”, “1 Pezza detto che sia perfetto verdone”, “2 Pezze detto che sia perfetto Verde herba”, “1 Pezza di colore celeste”, “1 Pezza di colore verde mare”, “1 Pezza del colore della pietra besuale [bezoar]”, “1 Pezza di colore di fiore di pesca”; venivano poi indicati i “Taffeta leggieri di colore, di Fiorenza”, i quali “per qua sono cangianti, come le mostre”: una pezza “di colore di fiore di pesco et bianco”, “1 Pezza di colore Isabella”, “1 Pezza di colore simile al fiore di pesco et bianco”, “1 Pezza del colore del limone et fiore di pesco”, “1 Pezza di colore verde herba”, “1 Pezza di colore di scarlatto, che sia tinto in grana”,14 cioè in colore rosso carminio, con varianti dall'arancio al purpureo. Il rilancio del commercio della sera fiorentina avrebbe giovato inoltre al traffico del porto di Livorno, già penalizzato dalla quarantena dovuta alla peste, tanto che i genovesi ne avevano profittato “per divertirli da noi”.15
Almeno dal 1629, data del primo editto sulle migliorie da apportare alla seta, era evidente ai governanti del Granducato l'esigenza di un rinnovamento. Sembra però che tutto il Granducato, anche se in maniera quasi impercettibile, andasse incontro ad un declino globale, come se fossero venuti meno sia la tecnologia sia, soprattutto, la creatività in grado di elaborare un progetto di futuro in parte diverso da quello fino ad allora concepito, in quanto pensato e messo in opera dall'energia dei primi tre granduchi in un'epoca diversa. Secondo uno storico odierno, la ‘decadenza’ dello stato fiorentino sarebbe stata meglio definita come “l'immagine di una struttura che stenta ad adeguarsi ai cambiamenti”.16
3.
I tempi richiedevano invece delle mutazioni globali, come globali erano stati i mutamenti dei campi di forza avvenuti in Europa. La parabola discendente della Spagna corrispondeva ad un aumento della forza delle nazioni del nord, come l'Inghilterra e parte dei Paesi Bassi e soprattutto -più vicina al Granducato- della Francia, con l'ascesa della dinastia dei Borboni.
Il 5 settembre 1638 nasceva da Louis XIII Borbone e dalla spagnola Aña d'Austria il delfino Louis Dieudonné, che presto sarebbe stato chiamato Roi Soleil non solo – come il futuro avrebbe rivelato – perché da eccellente ballerino aveva interpretato questo ruolo in uno dei balletti di corte.
Quattro anni dopo, il 14 agosto 1642, avrebbe visto la luce il gran principe Cosimo, figlio di Ferdinando II e di Vittoria della Rovere. Il granduca era poi riuscito a combinare per l'erede un matrimonio prestigioso: il 18 aprile 1661 Cosimo sposava Marguerite Louise d'Orleans, cugina di primo grado di Louis XIV.
Come si poté subito constatare, l'eccellenza di tale patto nuziale era circoscritta alla parte politica. I due giovani erano troppo diversi per educazione, gusti e caratteri, la loro unione fu un disastro da romanzo d'appendice. La francese trovava angusta e noiosa la corte, poco si accordava con la suocera Vittoria – che pure aveva una vera passione per i vestiti alla moda di Francia – e ancora meno le piaceva il marito. Marguerite Louise non poteva legare con un uomo sempre impegnato a fornire di sé un'immagine di devozione ad oltranza, di interesse per la cultura e di modestia, quest'ultima forse solo circoscritta alla maniera di vestire. Un uomo indecifrabile, anche se ben presto venne descritto da varie corti europee come cortese e colto, capace di parlare di svariati argomenti.
Cosimo era molto interessato a farsi mandare, soprattutto dalla Francia, opuscoli e libri. Anche lui, erede prossimo al trono granducale, era convinto della necessità di un rinnovamento in generale della corte toscana, soprattutto per portarla o avvicinarla al livello delle nazioni del nord, dotate di tecnologie innovative, richiedenti una rielaborazione del presente e una progettualità per il futuro.
4.
A tali scopi Cosimo volle compiere in incognito un lungo viaggio attraverso varie nazioni europee, con tappe in Spagna, Inghilterra, Paesi Bassi, Germania, per terminare il viaggio in Francia, ospite del cugino acquisito. Il principe avrebbe così percorso dal 1667 al 1668 due itinerari, separati da un breve ritorno a Firenze. Anche alcuni dei figli dell'aristocrazia fiorentina condividevano la necessità di rinnovamento e trovavano utile viaggiare, allo scopo di procurarsi una cultura tale da poter poi permettere di ricoprire ruoli diplomatici o da utilizzare per i rapporti con l'estero. Uno di questi pellegrinaggi in vista della novità e di un futuro lavoro era quello di Francesco Riccardi, rampollo di una famiglia ex mercantile da tempo legata alla dinastia, innalzata da Ferdinando II nel 1629 al marchesato del Chianni;17 tra l'altro Francesco e lo zio Gabriello avevano acquistato ‘a sconto’ dai Medici il palazzo di famiglia storico di via Larga, oggi via Cavour, chiamato da allora Medici Riccardi.
Per essere al corrente di quali fossero le idee circolanti soprattutto in Francia il futuro granduca si serviva di Paolo Dell'Ara – ex segretario del residente diplomatico a Parigi Giovan Filippo Marucelli – che curava alcuni affari di non capitale importanza dopo la partenza dell'ambasciatore. Dell'Ara era incaricato dal gran principe dell'invio di riviste, come i numeri della ‘Gazzetta letteraria’ ossia Journal des Sçavant,18 oppure di libri come la Micrografia or some phisiological dell'inglese Robert Hooke, con incisioni di “diversi animaletti, et altre cose minime ingrandite” o il volume “Les lettres d'un provincial a un de ses amys contre la morale corrompue des Calvistes, en françois ou en latin”,19 ma non venivano richiesti solo testi scientifici o filosofici. L'incaricato diplomatico informava Bassetti di come nella capitale francese in maniera semi clandestina circolasse “manuscritta l'istoria degli amori di Dama d'altissima condizione” che un amico per “favorirlo” gli aveva prestato; “Se Cavaliero che altre volte è stato servito costà di simili componimenti avesse gusto anco di questo nuovo”, dell'Ara lo avrebbe cercato, fatto copiare e mandato; chi fosse “il predetto cavaliero” non ardiva “per riverentissimi rispetti nominare”,20 tale riveritissimo personaggio era impaziente di ricevere l'operetta. Cosimo non voleva appannare la propria fama di devoto e di erudito, ma fece cercare il libello dal diplomatico, che dopo ricerche affannose, essendogli “riuscito trovar l'istorietta amorosa da Vostra Signoria consaputa” l'aveva fatta copiare.21
L'erede al trono voleva poi sapere delle “piatterie”: “È venuto in pensiero al Serenissimo Principe mio signore di veder la foggia dell'argenteria più decorosa, e più bella, che modernamente sia in uso per servizio delle mense reali in cotesta corte, ò nelle case maggiori della città, ove si stia sù questo lusso”.22 Dell'Ara mandò disegni precisi dei pezzi, compresi le panettiere, le saliere e i candelieri, per apparecchiare le tavole. Dell'Ara indagò per tutta Parigi, come riferiva a Bassetti: “oltre all'aver visto i serviti di dette piatterie di più case grandi, mi sono anco informato dagli orefici che anno fatto l'argenterie di madama di Roano, di madama la Duchessa d'Aumont, di madamigella di Montpensieri, dell'arcivescovo di Parigi, e del fratello di Sua Maestà, e d'altri signori principali di questa corte”; entrava poi in particolari: “nelle case di principi come di madama la Dovairiera, madamigella di Monpensieri, signor principe di Condè i p[i]atti” non erano grandi; quando aveva visto desinare il re aveva però sempre notato “piatti grandissimi; e se non maggiori di quelli che anno fatto fare presentemente la predetta signora duchessa di Roano, e duchessa d'Aumont e arcivescovo predetto.”23 Dell'Ara aveva appreso da una donna della casa dei Guisa che la relativa piccolezza dei piatti delle Loro Altezze “derivava, che essendo divenuti i piatti grandi, troppo comuni anco nelle case, che non sono di gran condizione; pareva, che non dovessero i principi servirsi della moda di oggidì, per non andare con il comune delle case d'ordinaria qualità.”24 Le mode costituivano un marcatore molto evidente per connotare la qualità sociale di una persona, da qui la continua ricerca della novità e del cambiamento, via via che gli oggetti più esclusivi si diffondevano in materie e forme più ‘povere’ anche tra i ceti più bassi della scala sociale.
5.
Cosimo trovò altre fonti di informazioni, per integrare quelle fornite dall'inviato in Francia, presso il diciassettenne marchese Francesco Riccardi;25 in quanto appartenente all'aristocrazia cortigiana – suo zio Gabriello era stato ambasciatore a Roma e in Spagna26 – il giovane aveva contatti diversi da quelli di dell'Ara e disponeva di una griglia culturale differente da quella dell'inviato. Francesco il 19 ottobre 1665 era partito con il precettore Alessandro Segni per due serie di viaggi che lo avrebbero portato dalla Spagna attraverso la Francia fino ai Paesi Bassi e alla Germania.27 Il primo di questi viaggi si sarebbe concluso nel febbraio del 1667; il secondo si sarebbe svolto a partire dal 20 ottobre 1668 in Inghilterra, per raggiungere attraverso la Francia nell'aprile del 1669 la penisola iberica, ultima tappa prima del ritorno a Firenze.
Cosimo aveva ideato quindi un itinerario simile a quello concepito dal marchese e prima di iniziarlo28 chiedeva notizie al Riccardi. Questi appena arrivato in Francia scriveva al gran principe da Lione il 19 novembre 1665: “L'infastidire Vostra Altezza con mie lettere, che per ogn'altro conto sarebbe stata prosunzione ambiziosa, e vanità temeraria, diviene ora mercè de suoi benignissimi comandamenti ossequio dovuto, e ubbidienza rispettosa”.29 Francesco cercava di soddisfare le richieste del proprio futuro sovrano, come quella di sapere “al possibile, del numero della gente di Parigi, et delle carrozze”, sulla cui quantità circolavano “varie notizie, e molte discrepanti fra di loro”.30 Talvolta Francesco raccontava avvenimenti cui aveva assistito. In particolare impressionò molto Cosimo la descrizione di una “mostra” e “rivista” militare svoltasi il 7 maggio 1666 a Conflans di molte truppe della Maestà Cristianissima, in quanto “lo spettacolo, che per il numero, e qualità delle soldatesche era curioso, e bellissimo, è riuscito ancora per la gala e lindura della Corte più maraviglioso, e più vago”; finito il periodo di lutto per la morte della regina madre Aña d'Austria, avevano “cominciato i cavalieri, e le dame adornarsi, benché da bruno, con ricchezza però insieme, e bizzarria”; alla parata partecipavano la regina e le dame di corte di più alto rango, con l'arricchire un apparato “che per il numero, e qualità delle soldatesche era curioso e bellissimo”; dopo essere state fatte disporre sul campo, dal re a cavallo, le truppe furono ridotte “alla giusta figura della premeditata ordinanza. Tutte le soldatesche si veddero allora distribuite in due gran corpi di battaglia” e vennero ispezionate dal sovrano mentre iniziava “il passeggio de calessi, e delle carrozze con quantità numerosa di dame, e di cavalieri davanti alle truppe”; era presente anche Louis, il Delfino di cinque anni, “sur un piccol cavallo, ed alla sua età confacevole, colla spada alla mano, e col colletto indosso”, che alla testa “de' cavaleggieri della sua guardia, fece riverenza, mentre passava al re suo signore, e padre”, nello stesso tempo i “grandi tutti della corte, à posti stavansi delle lor cariche”.
La Regina, Madama, le Principesse, e le Dame sedute nelle carrozze guardavano anch'esse le milizie in formazione, fino a che all'improvviso “salite a cavallo, cominciarono sparsamente, con veloce galoppo a dare un volo per le squadre inoltrandosi, e per le file. Elle aveano sparze le chiome al portamento virile; ricca velada il petto copriva loro, e le spalle. In testa avevano cappelli tempestati di gioie. In mano tenevano canne d'India adornate di galani”; oltre alla regina Maria Teresa d'Austria era presente Madama, cioè Enrichetta d'Inghilterra, moglie di Filippo d'Orleans fratello del re e quasi di sicuro fra le dame erano comprese l'amante del Roi Soleil allora in carica, Louise de La Vallier, ormai alla fine della relazione con il sovrano, e quella che l'avrebbe dopo poco tempo sostituita nel favore del monarca, la fulgida Athénaïs de Montespan,31 ognuna indossava la “velada”, una giacca di taglio militare. Francesco concludeva poi con il descrivere tutte le divise di gala dei vari squadroni, contraddistinti da divise particolari, con i loro comandanti. I “moschettoni”, traduzione coeva per ‘moschettieri’, avevano per livrea una sopravveste di panno turchino ricamata a croci e gigli d'oro e quel giorno erano comandati, in assenza del duca di Nivers, dal “signor di Artagnian”, con buona pace di Alexandre Dumas e del ‘perfido’ Richelieu, ormai inoffensivo in quanto defunto; i cavalleggieri della Regina indossavano velade “di colore di fuoco con ricamo di argento [e] trina d'oro”, ed usavano penne verdi; le genti d'arme del Delfino portavano “collettoni, maniche ricamate, e pennacchi bianchi”; Riccardi preferiva la bellezza delle divise delle “genti d'arme scozzesi, guardia antichissima de' Re di Francia. Le loro casacche sono rosse con due larghi galloni d'oro, e argento, l'usse gialle, ricamate di nero. Le pennacchiere grandissime gialle e nere”; non restava però loro “di scozzesi altro che il nome essendo tutti franzesi.”32
Cosimo ringraziava per tale lettera, tanto circonstanziata da permettergli quasi di vedere quello che era successo, in quanto tramite le parole di Riccardi risaltavano il “lusso, ed ornamenti, con cui” erano stati arricchiti “il lustro dell'armi, la comparsa de' capitani, e l'intervento de' personaggi più cospicui della Corte”. Il principe confessava di aver trovato nella lettera “un curioso alimento”, del quale non aveva trascurato di soddisfarsene “à sazietà co' l riandarla più volte”.33 Il gran principe era forse rimasto colpito dalla disinvoltura e dal gusto del sovrano francese a capo di una delle più potenti organizzazioni belliche dell'epoca, in grado di coniugare la preparazione militare alla bellezza e all'originalità, fornita tra l'altro dalla presenza delle dame, parte attiva nella rivista. Lo spettacolo di Conflans era stato configurato come una dimostrazione della coesione e della forza della Francia di Louis XIV. Le dame dai capelli sciolti come gli uomini, con armi simboleggiate dalle canne e con giacche di foggia militare rappresentavano la versione moderna delle leggendarie amazzoni, pronte a intervenire in caso di bisogno alla difesa del re, simbolo della Francia intera. Era finito il regno di Louis XIII, tormentato da congiure in cui entravano a far parte l'alta nobiltà e spesso anche le nobildonne uscite da famiglie potenti e molto in vista, una per tutte la splendida e vivace Marie de Roan, duchessa di Chevreuse.34
6.
Nell'imminenza del viaggio in Europa, dopo aver meditato sulle magnificenze francesi e sull'utilità di una buona propaganda, il gran principe prendeva atto della necessità di evitare una meschina figura nelle corti alle quali doveva presentarsi come futuro granduca, e a tale scopo decise di rinnovare il guardaroba personale aggiornandolo alla moda corrente seguita in quasi tutta l'Europa, soprattutto del nord, perché la Francia era in quel momento vincente, ben armata e in grado di fare progetti creativi per il proprio futuro. Louis XIV aveva in parte risolto i dissidi spesso sanguinosi fra monarchia, alta nobiltà e rampante borghesia anche raffinando, secondo Norbert Elias, un sistema particolare: “è proprio alla corte di Luigi XIV che nasce e prende forma la nuova società di corte. Qui infine si conclude un processo che ha avuto una lunga incubazione: qui i cavalieri e gli epigoni della cavalleria divengono uomini di corte nel vero senso della parola, uomini la cui esistenza sociale — e assai spesso, e non ultime anche le entrate — dipendono dal prestigio e dalla valutazione che riscuotono a corte e tra la società di corte”.35 La moda da essi adottata era anche un sistema di comunicazione visiva immediata, un marchio di riconoscimento dell'essere parte della corte reale, e quindi nel favore del sovrano; per Maria Giuseppina Muzzarelli i re francesi dopo il 1660 intervennero anche nel settore dalle molteplici valenze (economiche, estetiche, sociali, politiche) della moda, imponendo un modello assolutistico.36
Firenze, come si è visto, non dettava la moda come era stato sotto la guida di Cosimo I e dei suoi due figli maggiori. Cosimo quasi Terzo potrebbe aver pensato come l'uniformarsi alla moda francese l'avrebbe fatto apparire aggiornato in molte delle corti del nord da visitare. E ormai avrebbe disposto senza interferenze ‘stilistiche’ da parte di Vittoria sua madre. Qualche tempo prima, verso il novembre del 1665, la della Rovere, che per il proprio abbigliamento faceva molto, molto spesso ricorso ai mercanti in terra di Francia, aveva ordinato per il gran principe un vestito con giustacuore, dalla guarnizione rosso fuoco sia per l'abito, sia per il cappello; anche le scarpe, i legacci, i guanti e le calze avevano lo stesso colore dell'abito; i calzoni, chiamati in Francia ‘pantaloni’, erano conformi ai dettami della moda per la campagna e da legarsi sotto il ginocchio. Alcuni capi, come il giubbone, erano stati fatti in modo da poter essere allargati o ristretti per adattarli alla corporatura del principe.37
7.
L'esperimento vestiario francese non doveva essere stato proprio catastrofico e Cosimo tramite Bassetti incaricava dell'Ara di una delicata missione, per la quale occorreva maneggiare “il danaro con buona economia, e con tale aggiustatezza, come se spender si dovesse per conto di privato cavaliere”, occorrendo non far mai menzione, con i vari artigiani, del vero nome del cliente, ma alludere ad un “cavaliero”; l'assegnamento per la spesa non avrebbe dovuto superare le “cento doble di Italia” con le quali dell'Ara doveva provvedere innanzi tutto all'acquisto di “un'abito da campagna” adatto ad un clima invernale, “comprendente giubbone, calzoni, e giustacore” che fossero “di panno nobile (come d'Olanda, ò d'Inghilterra) di colore, di taglio et di finimenti secondo la moda più recente, et usata in cotesta corte da i cavalieri più cospicui, et anche da i principi”; si doveva però avere cura “circa l'elezione della moda suddetta il non seguitar quella praticata da i giovanotti più capricciosi ò spavaldi, ma da chi professi concetti e portamenti più nobili, più decorosi, e più serij”; inoltre la “divisa ò concerto de' colori per il fornimento de nastri, (nel quale s'intendono cose da scarpa, da gamba, ornamento di guanti e di cappello mentre usin costà) questi pure, si desidera regolata ben si dallo stile e foggia corrente, ma che escluda i [colori] troppo allegri e soverchiamente sfacciati, benché fossero in uso, come sarebbe il ponsò”, cioè un tipo di rosso scarlatto, e colorazioni vistose simili. Si può notare che al panno fiorentino era sostituito il “panno nobile” olandese o inglese da comprare in Francia. Circa sessanta doble erano invece destinate all'acquisto di “un altro abito nero da città similmente per l'inverno che comprenda giubbone, calzoni, e ferraiolo, di roba, fornimenti, e taglio tutto alla moda, e dentro alle regole prescritte nel capitolo superiore, anche intorno al concerto de nastri, quando usino, (come si suppone) colorati.” Quel che sarebbe rimasto della somma doveva essere “impiegato in un terzo fornimento di nastri, tutto dissimile dalli due sopradetti, da potersi adattar qui ad un'altro vestito da città; ma si vorrebbe che tutti i galani tanto per l'abito che da scarpa, le legacce, cappello, e guanti, venissero belli e aggiustati, onde non restasse se non da attaccarli a i lor luoghi nella forma” in cui occorreva impiegarli. L'ultima parte della missiva forniva indicazioni minuziose per l'acquisto di “due para di scarpe, che un paro nere, et altro colorate secondo la moda; e per che Sua Altezza nel calzarle intende soprattutto di goder co' l piede ogni comodo, converrebbe, che il lavoro tornasse ben si attillato, e galante, ma altrettanto morbido, e facile à secondar la carne”, per cui l'artigiano doveva badare a che le calzature non avessero “in punta particolarmente nessuna durezza”, e che fossero “di pelle delicata, e cedente, con il calcagno d'altezza aggiustata, e più tosto tendente alla mediocre, che alla soverchia elevazione”; venivano anche mandate le misure: per i “vestimenti, deve avvertirsi che per regolar le lunghezze del giustacore, e del mantello, si manda solo l'altezza che è dalla punta della spalla alla legatura della legaccia sotto il ginocchio nella persona del signor principe. Per la lunghezza de i calzoni, si manda l'altezza che è dalla punta dell'osso del fianco, fino alla legatura sudetta di sotto il ginocchio. Et per la lunghezza delle maniche, si manda quella che è dalla punta della spalla sino al gomito, ad effetto che secondo ciascheduna di queste possano così adattare le lunghezze, e proporzioni richieste dall'usanza, nel giustacore, e mantello, ne calzoni e nelle maniche, mentre la suddetta qui annessa misura comprende in oltre anche quelle, che riguardano il busto”; tutto doveva essere fatto in gran fretta, per essere inviato tramite il corriere di Lione in due cassettine.38 Dalla lettera di Bassetti sembra che una parte della struttura degli abiti restasse fissa, da potere in parte modificare con particolari abbinamenti ad altri pezzi intercambiabili.
Dopo qualche giorno dell'Ara riceveva un'altra lettera nella quale il gran principe, ormai determinato ad apparire un modaiolo fatto e finito, ordinava “un modello bell'e cucito de' collari et de manichini, che si portano adesso costì da i principi, e primati di Corte, secondo l'usanza più moderna; ed ordina però che Vostra Signoria lo faccia far prontamente dell'uno, e degli altri, ma di tela pura, e senza alcuna sorte di pizzo, o ornamento, bastando solo che possano qua servire per esemplare della foggia, e del taglio”.39
8.
Dell'Ara di lì a poco inviava altre notizie sartoriali: oltre a informare come le 100 doppie d'Italia destinate agli abiti nuovi del gran principe erano state cambiate in 1050 franchi, rassicurava il Serenissimo padrone sul proprio scrupolo nello spendere: “Puole accertarsi Vostra Signoria che tal danaro si spenderà da me con quel rispiarmio [sic], e con quel dovere, che s'appartiene a fedel servo dell'Altezza Sua Serenissima” infatti, sebbene l'usanza francese fosse quella di “lasciar fare al sarto, circa la compra delle robe”, da dipendente obbediente “quando si tratta di servizio dell'Altezze Loro”, egli avrebbe evitato di delegare ad altri anche la più infima spesa, dopo avere “stiracchiato al possibile” sul prezzo, e trasferendosi ovunque “dove il bisogno” l'avrebbe richiesto ; comunicava poi d'aver inviato per il momento a Monsieur Mendet di Lione, tappa verso Firenze, l'abito da campagna “per il quale secondo il danaro per esso assegnatomi, ò cercato di stillare per farlo più nobile, e più conveniente a principe, che ò potuto”; per questo motivo aveva creduto necessari i bottoni d'argento dorati e il ricamo a giglietto, con smerli e punte, di filo d'oro alle maniche, “per che se si fussero presi di seta si sarebbe fatto cosa troppo ordinaria”, mentre ora “tanto per la finezza del panno, che per la vaghezza dell'ornamento d'oro, non può farsi cosa né più nobile, né più gentile, né più propria a gran Personaggio”; erano stati spediti in due scatole i vestimenti, nella prima un “abito cioè Giustacorpo, Calzoni, Giubbone”, nella seconda ci sarebbe stata insieme alle altre due la “guarnitura” verde per l'abito: consisteva in “18 galani per la cintura de calzoni di detto abito di campagna; 24 per le maniche che sono più corti; e 1 per la spalla del giustacorpo, che è il più lungo di tutti”; altri “8 galani più piccoli” sarebbero serviti per la tomaia della scarpa “alle quali invece di nodi per la campagna, si portano le fibbie”, incluse “nella scatola di detto abito”; insieme ci sarebbero state in più “con detta guarnitura le legacce compagne, e il cordon del cappello”, oltre ad un “paio di guanti guarniti di frangia d'oro, che accompagnono detto abito, un arriccia cappello d'oro e due paia di scarpe”.
Nella seconda scatola oltre a un primo set di “guarnimento” ci sarebbero state “due altre guarniture per abiti da città, una celestina, e l'altra capellina, con loro legaccie compagne, e cordoni da cappello, nastri a basetta da scarpa, due paia nastrini per il tommaio della scarpa per due paia, compagni di dette guarniture un paio per sorta”; vi sarebbe anche stata “una confusione40 di nastro per il d'appiede de calzoni compagna della guarnitura capellina”, cioè di un colore simile al castagno. In un foglio a parte erano mandate 18 aulne di nastro, 6 verde, 6 del capellino, 6 del celestino, “che accompagnano le 3 guarniture e servono per legare le maniche della camicia, e manichini”. Rimaneva ancora presso dell'Ara la “confusione celestina, compagna di detta guarnitura qui sopra narrata”, che doveva ancora essere attaccata ai calzoni dell'abito da città, da spedirsi in seguito; insieme con le due paia “di guanti guarniti” che avrebbero accompagnato dette 2 guarniture celestina, e capellina, quali sono delle più dolci delle più nobili e più modeste, che possano immaginarsi".41
9.
Il 3 dicembre dell'Ara spediva il vestito da città, ponendo dentro le tasche i ritagli per “allargare i giubboni” richiesti da Bassetti; dentro una “scatolotta” erano disposti, insieme ad alcuni libri, un “giubbone, calzoni, ferraiuolo, e i due paia di guanti guarniti, compagni delle guarniture”, tutti riusciti molto bene, secondo il mittente: in “quanto alla roba dell'abito predetto tanto sotto, che sopra, che il giglietto con il quale è guarnito, non può essere né più nobile, né più ricca; e in Parigi è impossibile immaginarsi cosa più vaga, o più gentile; quando anco dovesse servire per l'istesso re”; dell'Ara avvisava poi che i punti fatti in alcuni luoghi con il refe indicavano i luoghi dove attaccare “i galani”.42
Arrivate a Firenze le due scatole con il vestito da campagna e le guarnizioni complementari, dell'Ara venne lodato per “l'accorgimento con che ha saputo intendere, ed incontrare il gusto di Sua Altezza, tanto nella qualità delle robe, che nella foggia, e concerto de' colori, essendo parso il vestito decoroso, e galante, ed i guarnimenti distinti in grave, e nobile divisa”; ma “una disgrazia” aveva in parte vanificato gli sforzi di dell'Ara, infatti “il poco disegno del merciaro, o del sarto, che hanno accomodate nelle scatole le robe suddette” avevano causato un mezzo disastro, perché “il vestito è tutto macchiato, et in molti luoghi corroso su gli angoli delle pieghe, che facevano contatto co'l legno, et fino i bottoni d'argento sodo sono maltrattati ed infranti et anno prodotta una certa ruggine che oltre all'altre, ha fatte su'l panno tante macchie”, così da non potersi negare “che la cassa fosse malamente cautelata contro il pericolo delle piogge. L'altra poi delli nastri è arrivata tutta lacera, e disfatta in moltissimi pezzi, stante la sua incongrua sottilità, et eccedente larghezza”, con il risultato che a causa della “agitazione del trotto de' cavalli” si erano “si fattamente attorcigliati, e confusi insieme li stessi nastri, che una gran parte era resecata, e guasta, e gli altri tutti mal conci; e fino le scarpe si veggono in più luoghi arrotate e spulite.”43
Dell'Ara si scusava con l'affermare la propria buona volontà e l'intenzione di prevenire guasti come quelli avvenuti, tanto che “con il consiglio del merciaio” aveva fatto mettere “i nastri nella scatola tonda, a fine costì pervenissero senza gualcirsi” avendo affermato il merciaio d'averli sempre “accomodati così tutte le volte, che ne a mandati fuori”, e l'inviato granducale aveva visto che “tutte le guarniture mandate al signor Principe di Danimarca” erano state inviate in scatole come quella usata per Cosimo.44
10.
La menzione del principe danese doveva avere confermato Cosimo della giustezza della sua idea che la moda francese fosse ormai quella più diffusa in Europa e fece fare altri ordini: si trattava di “un'altro abito da campagna interamente alla moda, fornito di tutto punto, et con ogni sua accompagnatura”; avrebbe però dovuto essere “alquanto più ricco, et da fare maggior comparsa” di quello già spedito, connotato però da “una onesta moderazione, che escluda lo sfoggio eccedente e porti una galante nobiltà, regolata ne i colori, e nella qualità della roba”, secondo le avvertenze già date in precedenza; dell'Ara doveva ricordare bene che Sua Altezza non voleva “quelle giubbette ricamate, nuovamente introdotte, che chiamano alla persiana”; occorreva poi spedire un altro “vestito nero da città più ornato e ricco quanto li convenga, ma con le guarniture tutte nere secondo la foggia costà corrente”; dell'Ara avrebbe dovuto pensare a scegliere “della roba, de pizzi, e de nastri”, ricordandosi “che tanto questo come quello dà campagna” avrebbero dovuti essere indossati nei mesi “d'aprile, e di maggio; onde avvertino ad aggiustar l'apparenza, et il peso alla sudetta stagione”; si confidava poi che dell'Ara avesse conservato le misure, comunque “vorrebbe Sua Altezza la serra de' calzoni, et il busto più larghi quattro dita scarse.”45 Notizie successive di dell'Ara sugli abiti sarebbero arrivate qualche tempo dopo, con l'annuncio d'averli ordinati, “avendo levato la roba”;46 era poi annunciato l'invio dell'abito di campagna del principe, “giustacorpo, calzoni e giubbone”, insieme ad un tomo di un'opera geografica; l'abito nero sarebbe stato spedito la settimana successiva.47
11.
Bassetti scriveva in seguito a dell'Ara che il vestito da campagna con le sue guarnizioni era arrivato in ottimo stato, ma non era “piaciuto molto à Sua Altezza, e forse lascerà di portarlo. Pare che il drappo abbia nella foggia della sua opera più del Persiano e moscovitico che altro”, e se anche fosse quella “la moda, costì corrente, reputa l'Altezza Sua che sia di quelle sfacciate quali fra le regole” da lui spedite “la prima volta in genere di vestimenti, furono escluse sopra tutte l'altre”, in quanto al signor Principe piacevano le mode galanti e nuove, ma “temperate ne i colori, e negli ornamenti da una grave e nobile moderatione”; il pizzo “bensì ha dato gusto; ma la qualità del drappo, e la divisa de galani” era spiaciuta “essendo questa apparsa mal consonante a i colori dell'abito, et i nastri d'ignobile condizione.”48 Insieme al declino della potenza, la Spagna aveva visto anche quello della sua moda, ma Cosimo sembrava ancora influenzato dai modelli iberici a colori cupi, ormai desueti, improntati ad austerità e “alla dignità dell'età matura”; in contrapposizione programmatica erano gli abiti della corte francese di Louis XIV, connotati dall'uso “di colori chiari e freddi” e da forme più morbide.49
Era invece benaccetto il vestito nero, “riuscito d'intera soddisfazione” arrivato di lì a poco con i guarnimenti “molto conservati”,50 ma dell'Ara non rinunciava a difendere le proprie scelte in relazione al ripudiato abito da campagna, considerato “di foggia delle più sfacciate (se pure è alla moda)”, e lontano dall'essere conforme agli intendimenti cosimiani; il sostituto ambasciatore replicava “dove forse sarebbe più rispettoso tacere, per non lasciar senza difesa la premura, e la passione” messe in opera per soddisfare il proprio benevolo signore; raccontava come trasferitosi con il sarto dal primo mercante di Parigi “per comprar le robe”, aveva esaminato con i due esperti “tutte le mode, ma però le più serie”, con l'aggiungere che nei colori dei drappi “meno gravi, e più bizzarri” vi erano mescolati " del mavi –un turchino chiaro-, del color di fuoco, dell'incarnato, del giallo; e simili colori vivi e sfavillanti“, da lui neanche presi in considerazione; poteva assicurare che trovandosi dal sarto per”sollecitarlo, essendovisi abbattuti più cavalieri di corte, ogn'uno lodava detto abito, come nobile, e decoroso, benché quasi a tutti paressero troppo modesti i colori del drappo, e opera di esso“; in effetti dell'Ara aveva qualche dubbio, e avrebbe preferito acquistare”un grograno d'Inghilterra" in quanto più gentile e vago, “ma per non esser egli quasi più alla moda, e la qualità del drappo non si ricca”, pensava che sarebbe andato contro l'ordine del padrone, che desiderava invece un vestito più appariscente di quello mandato in precedenza; per questo aveva scelto di prendere, ancorché ritenendolo un po' stravagante, “un drappo a fiori”; spiegava poi come la guarnizione di questo, riuscita sgradita al principe, fosse stata scelta per il motivo che “sur un color modesto una guarnitura pur modesta, non può molto ben campeggiare, e sul drappo di quei colori non v'era altro nastro, che il color capellino, che potesse accompagnarla. Ma l'averne mandata una dell'istesso colore con gli abiti primi” l'aveva indotto a pensare di “dover cambiare”.51 La risposta di Bassetti arrivava secca: se dell'Ara si fosse spiegato meglio nella propria lettera, non ci sarebbe stato bisogno di fargli sapere dell'insoddisfazione di Cosimo, il quale “si è ben adesso degnato di mostrare aggradimento” verso la buona volontà del sostituto ambasciatore.52
In definitiva, la decisione presa da Cosimo dell'acquisto di vestiti alla moda corrente francese per il proprio viaggio d'aggiornamento sembra solo un'operazione superficiale di maquillage dell'immagine che voleva porgere di se stesso, anziché una convinzione profonda della necessità di un cambiamento radicale di punto di vista, di un rinnovamento profondo. Ormai alla cultura toscana sembrava mancare la capacità concettuale e la forza di creare qualcosa di esclusivamente suo, come aveva fatto in larga misura in passato.
Con l'accettazione di alcuni aspetti della moda di Francia e con il rifiuto di altri, Cosimo voleva compiere un ibrido impossibile. Quella che lui avrebbe voluto era un'infrazione ad un sistema di comunicazione preciso e articolato in più elementi accordati tra loro, per definire un'immagine e un segnale non casuali. Se anche il taglio e la tipologia degli accessori avessero seguito la moda, ma fossero stati ‘sbagliati’ i tipi di stoffe o i colori, i vestiti del quasi granduca sarebbero stati comunque fuori del sistema della moda corrente, e lui sarebbe rimasto un principe seminudo.
Fonti archivistiche
Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato 4814, Carteggio di Francia
Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 4198, Lettere di Londra
Opera di S. Maria del Fiore, Firenze, Registri Battesimali
Bibliografia
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Urbani, Patrizia. “Il viaggio in leggerezza di Francesco Riccardi nella Spagna del 1669”, in Viajes y caminos: relaciones interculturales entre Italia y Espãna, a cura di Xosé A. Neira Cruz, CampUSCulturae, Universidade de Santiago de Compostela. Santiago de Compostela: 2016, 231-245.
Come esempio di questa produzione critica può essere citato I volti del potere. La ritrattistica di corte nella Firenze Granducale, a cura di Caterina Caneva (Firenze: Giunti 2002), in cui convivono schede sia di storia dell'arte sia delle arti applicate.↩
Fernand Braudel, Civiltà materiale, economia, capitalismo, (sec. XV-XVIII), Le strutture del quotidiano (Torino: Einaudi, 1982), 282, citato da Maria Giuseppina Muzzarelli, Guardaroba medievale Vesti e società dal XIII al XVI secolo (Bologna: Il Mulino, 1999),7.↩
Roland Barthes, Il sistema della moda (Torino: Einaudi, 1970 edizione italiana).↩
Gillo Dorfles, Mode & Modi (Milano: Mazzocca, 1979, edizione rivista 1990).↩
Cfr. Muzzarelli, Guardaroba medievale.↩
Daniela Calanca, Moda e immaginari sociali in età contemporanea (Milano: B. Mondadori 2016).↩
Archivio di Stato di Firenze (d'ora in poi ASFI), Mediceo del Principato (d'ora in poi Mdp) 4198, Lettere di Londra (d'ora in poi LettLond), Amerigo Salvetti a Lorenzo Poltri, 16 marzo 1635.↩
Legislazione Toscana raccolta e illustrata dal dottore Lorenzo Cantini […], tomo decimo sesto (Firenze: Stamperia Albizziniana da S. Maria del Campo 1805), 72-3.↩
Rita Mazzei, “Continuità e crisi nella Toscana di Ferdinando II (1621-1670)”, Archivio Storico Italiano, vol. CXLV (dispensa I, n. 531,1987): 61.↩
Secondo quanto riporta la relazione del 6 marzo 1630 di Giorgio Scali al Granduca, in ASFI, Miscellanea Medicea 358, inserto 7, cc. 87r-88r; citata da Furio Diaz, Il Granducato di Toscana, I Medici, (Torino: UTET, 1976), 405.↩
Paolo Malanima, “L'economia toscana nell'età di Cosimo III”, in La Toscana nell'età di Cosimo III (atti del convegno Pisa-San Domenico di Fiesole, 4-5 giugno 1990), a cura di Franco Angiolini, Vieri Becagli, Marcello Verga (Firenze: Edifir, 1993), 7-13; anche Paolo Malanima, La decadenza di un'economia cittadina. L'industria di Firenze nei secoli XVI e XVII (Bologna: Il Mulino, 1982), 353, Appendice, tavola n. 4, dove è riportato come nel 1720 la quantità di drappi fiorentini esportati raggiungesse le 117.316 libbre.↩
Anne-Marie Piuz, “La soie, le luxe et le pouvoir dans les doctrines françaises (XVIe-XVIIIe)”, in La seta in Europa, secc. XIII-XX (atti della ‘Ventiquattresima Settimana di Studi’, Istituto Internazionale Storia Economica Datini, Prato 4-9 maggio 1992'), a cura di Simonetta Cavaciocchi (Firenze: Le Monnier, 1993), 817-818; la traduzione dal francese è di chi scrive.↩
Per alcuni dei dibattiti sul lusso, e in particolare sulla seta (fonte di guadagno o di impoverimento o di guasti morali), relativi a vari ambiti e periodi storici, soprattutto elvetici e francesi, cfr. Piuz, “La soie, le luxe et le pouvoir”, 822-837; in ambito italiano ha studiato in maniera analitica le leggi suntuarie M.G. Muzzarelli, “Le leggi suntuarie”, in La moda, Storia d'Italia, Annali 19, a cura di C.M. Belfanti, F. Giusberti (Torino: Einaudi, 2003), 185-220.↩
ASFI, Mdp 4199 LettLond, Amerigo Salvetti ad Andrea Cioli, 2 novembre 1635; di stoffa ‘di grana’ si parla anche in uno degli inventari – stilato intorno al 1474 – di capi di abbigliamento presi in esame in Muzzarelli, Guardaroba medievale, 61 e Glossario finale, alla voce.↩
ASFI Mdp 4199 LettLond, Amerigo Salvetti ad Andrea Cioli, 2 novembre 1635.↩
Malanima, La decadenza di un'economia cittadina, 344.↩
Per la famiglia dei Riccardi si può vedere Paolo Malanima, I Riccardi di Firenze. Una famiglia e un patrimonio nella Toscana dei Medici (Firenze: Olschki 1977).↩
Mdp 4814 Carteggio Francia (d'ora in poi CartFran), Apollonio Bassetti a Paolo dell'Ara (d'ora in poi Bassetti o dell'Ara), 16 giugno 1666; le carte della filza sono raccolte per destinatario e sono numerate fino a c. 472r; dopo inizia la parte non numerata, comprendente anche la sezione delle lettere di Dell'Ara, da ricercare per data. Il segno della nota viene messo dopo l'ultima citazione del documento intercalato dal testo non documentario, per non appesantire l'apparato delle note.↩
Mdp 4814 CartFran, Bassetti a dell'Ara, 23 gennaio 1667 stile corrente (da ora in poi s.c.), minuta; la forma “Calviste” è nel testo; si tratta con molta probabilità dell'opera di Blaise Pascal Lettres écrites par Louis de Montalte à un provincial de ses amis […], nota anche come Les Provinciales, pubblicate fra il 1656 e il 1657.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 6 agosto 1666.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 21 settembre 1666.↩
Mdp 4814 CartFran, Bassetti a dell'Ara, 17 settembre 1666, minuta.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 8 ottobre 1666.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 15 ottobre 1666.↩
Francesco di Cosimo Riccardi era nato il 1 aprile 1648 alle ore 3 1/2, Registri Battesimali, Opera di S. Maria del Fiore; registro 47, folio 51.↩
In quel periodo il marchese Gabriello ricopriva la molto prestigiosa carica di Maggiordomo Maggiore del sovrano, Mdp 4814 CartFran, Bracci a Cortesca e Farini a Parigi, sezione dell'Ara, 5 novembre 1666.↩
Della parte spagnola dei viaggi europei di Francesco e poi di Cosimo e della volontà di rimanere incognito di quest'ultimo, fonte di fastidi e disagi diplomatici, si è occupata Patrizia Urbani, “Il viaggio in leggerezza di Francesco Riccardi nella Spagna del 1669”, in Viajes y caminos: relaciones interculturales entre Italia y Espãna, a cura di Xosé A. Neira Cruz (Santiago de Compostela: CampUSCulturae Universidade, 2016), 231-45.↩
Il viaggio di Cosimo sarebbe iniziato il 22 ottobre 1667: “domattina per tempo ci mettiamo in cammino servendo il Principe Serenissimo alla volta del Reno”, Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 21 ottobre 1667, minuta.↩
Mdp 4814 CartFran, cc. 175rv Riccardi da Lione a Cosimo, 19 novembre 1665.↩
Mdp 4814 CartFran, cc. 178rv Cosimo a Riccardi; 2 gennaio 1666 s.c., minuta.↩
Per notizie su questi personaggi femminili si veda Benedetta Craveri, Amanti e regine Il potere delle donne (Milano: Adelphi, 2005), 184 per la Vallier, 197 per la Montespan.↩
Mdp 4814 CartFran, Riccardi a Cosimo, cc. 269r-278v, 7 maggio 1666; per non appesantire l'apparato delle note, si è scelto di indicare anche la fonte della lunga descrizione della giornata di Conflans una volta sola in ultimo, come si è fatto altrove.↩
Mdp 4814 CartFran, cc. 279rv, Cosimo a Riccardi, 28 maggio 1666, minuta.↩
Ancora molto utile per una prima informazione sul personaggio è il libro Madame de Chevreuse. Nouvelles études sur les femmes illustres et la société du XVIIIe siècle. Par M. Victor Cousin (Paris: Didier et C.ie éditeurs, 1862, deuxieme édition, revue et augmentée).↩
Norbert Elias, La società di corte (Bologna: Il Mulino, ed. 1980), 89.↩
Muzzarelli, “Le leggi suntuarie”, 217.↩
Adelina Modesti, “Cultural and Diplomatic Partnerships in Early Modern Europe: Vittoria della Rovere and Cosimo III de Medici” (International Workshop Florence, 12-13 december 2008), a cura di Giulia Calvi e Isabelle Chabod in EUI working paper HEC 2010/02, (Florence: European University Institute, 2010), 173, nota 99. La citazione di Modesti è tratta da ASFI Mdp 6186, Parigi 27 novembre 1665.↩
Mdp 4814 CartFran, Bassetti a dell'Ara, 6 novembre 1666, minuta.↩
Mdp 4814 CartFran, Bassetti a dell'Ara, 19 novembre 1666, minuta.↩
Dell'Ara con il termine ‘confusione’ intende forse il ‘ruban’, il nodo di nastri molto in voga sotto il regno di Luigi XIV, usato per decorare la testa, il cappello o parti dell'abbigliamento, come si trova in Monique Canellas-Zimmer, Histoires de mode (Bordeaux: Les Dossiers d'Aquitaine, 2005), 137.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 26 novembre 1666.↩
Mdp 4814 CartFran, dell'Ara a Bassetti, 3 dicembre 1666.↩
Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 17 dicembre 1666; minuta.↩
Mdp 4814, CartFran, dell'Ara a Bassetti, 7 gennaio 1667.↩
Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 29 gennaio 1667 s.c., minuta.↩
Mdp 4814, CartFran, dell'Ara a Bassetti, 18 febbraio 1667 s.c.↩
Mdp 4814, CartFran, dell'Ara a Bassetti, 25 febbraio 1667 s.c.↩
Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 19 marzo 1667; minuta.↩
Roberta Orsi Landini, “La seta”, in La moda, Storia d'Italia, Annali 19, a cura di C.M. Belfanti, F. Giusberti (Torino: Einaudi, 2003), 386.↩
Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 2 aprile 1667; minuta.↩
Mdp 4814, CartFran, dell'Ara a Bassetti, 8 aprile 1667; con ‘grograno’ si intende “gros grain”.↩
Mdp 4814, CartFran, Bassetti a dell'Ara, 29 aprile 1667; minuta.↩