Introduzione
Nessun gruppo potrebbe riprodursi nella propria identità
senza produrre e conservare un’immagine del passato consolidata.(Maurice Halbwachs, La Memoria collettiva, 1950)
Le collezioni di costume di scena conservate in Europa costituiscono una memoria culturale complessa: memoria per la storia dello spettacolo, memoria per la storia dell’interprete, memoria per la storia del costume scenico, inteso come artefatto portatore di un progetto artistico e di una tecnica artigianale. La memoria del costume di scena concorre alla definizione del concetto di identità culturale europea, segnando specifiche differenze in base alla diversità storica delle nazioni stesse. Il costume di scena può essere pertanto considerato come un “fantastico” documento di cultura materiale.1
Conservare l’effimero materiale scenico nato per lo spettacolo è una sfida che i maggiori teatri italiani hanno affrontato nel tempo, preservando costumi e scenografie ai fini del riuso performativo, una prassi invalsa in ogni epoca, oppure in nome della memoria, per un intento in questo caso meramente conservativo. Le specializzate botteghe, le sartorie, pronte a servire il palcoscenico, dalla testa ai piedi, dalle parrucche e dai copricapi sino alle calzature, un versatile catalogo di maestranze dislocate nella nostra penisola, tutti questi soggetti hanno raccolto nel corso degli ultimi due secoli ricchissimi campionari, alimentando archivi dell’effimero oggi di incredibile valore storico.
La geografia dell’Italia dello spettacolo muove da nord, ha i suoi monumenti nei teatri di Milano, Genova, Torino e Venezia, si sposta verso il centro, Firenze e Roma, raggiunge il meridione, Napoli o Palermo, per ricordare solo i centri maggiori e più vitali di un meccanismo di produzione artistica che è stata molto più capillare ed estesa nel nostro Paese.
Una sfida si pone perciò con urgenza nella contemporaneità: quale può e deve essere la funzione della conservazione di questi materiali, effimeri per genesi, ai fini della memoria collettiva?
Delle risposte sono state fornite dagli enti, sia statali sia privati, pur nelle difficili problematiche di gestione del bene collettivo italiano e in molti casi sono state approntate soluzioni tra loro diverse e per certi versi di matrice quasi pionieristica. L’identità del patrimonio dei costumi e degli oggetti di scena italiana è stata salvaguardata con numerose forme di iniziative culturali.
Oggetto di questo scritto è dare una cornice all’immagine italiana del costume di scena, presentare un soggetto che oggi – grazie a plurimi e congiunti sforzi – ha finalmente raggiunto una sua autonomia: nel terzo millennio l’arte del costume gode di un inedito interesse culturale, tanto da trovare un suo posto in un contesto scientifico che non ha precedenti in Italia.
Conservare significa contribuire alla definizione dell’identità collettiva, cui corrisponde una formazione culturale che la fonda e – soprattutto – la riproduce.2 La formazione culturale è il medium con cui un’identità collettiva viene costruita e mantenuta attraverso le generazioni.
Il costume scenico italiano oggi conservato partecipa a questo complesso processo di formazione identitaria della cultura artistica contemporanea.
Il costume di scena italiano nel confronto europeo: un patrimonio archivistico diviso tra pubblico e privato
Ho scoperto internet nel 1992, l’idea di costruire un archivio digitale è stata immediata.
(Franca Rame)
È solo dal secondo Novecento che il costume scenico diventa specifico soggetto d’interesse scientifico in Europa. Gli eccezionali archivi del Teatro dell’Opéra di Parigi,3 città di cui non occorre sottolineare il ruolo svolto nella storia dello spettacolo, fanno eccezione al generale disinteresse per questa tipologia di costume d’arte riscontrabile nel contesto europeo: sul finire del XIX secolo e nella prima metà del XX sono stati redatti interessanti studi di carattere documentativo su questo archivio francese. I primi interessi storici sull’oggetto-costume scenico nascono invece in Europa dagli anni ’60, in un territorio di studi al confine tra la storia materiale e quella dell’arte. In seguito alla promozione di mostre di arti applicate, gli oggetti effimeri per lo spettacolo vengono studiati, entrando così a buon diritto nella letteratura critica.4 In Italia dobbiamo aspettare gli anni settanta per leggere i primi contributi critici di natura storico-artistica, nati in seguito all’esposizione di materiali scenici, di costumi e di scenografie, valutati di qualità estetica e livello artistico.5
Possiamo perciò parlare della storia del costume teatrale, ed anche cinematografico, come di una disciplina piuttosto giovane, che nasce solo a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso. I lavori dagli anni ottanta a oggi, frutto dello sforzo unito di storici dell'arte e storici del teatro, hanno prodotto un buon numero di acquisizioni critiche fondamentali centrate sulla definizione di costume in relazione alle arti performative,6 sul rapporto tra costume e moda e sullo studio del costume tra identità culturale nazionale ed europea.7
Nel panorama continentale europeo la Francia si distingue in particolar modo e può vantare l’unica collezione di costumi per lo spettacolo – Centre national du costume de scène – in parte fruibile in rete: un’istituzione autonoma che raccoglie il notevole patrimonio di oggetti d’arte provenienti dall’Opéra di Parigi e dalla ricchissima collezione della Comédie-Française.8 L’ottimo strumento del sito web dell’istituzione fornisce una banca dati molto ricca allo studioso e allo studente del soggetto, senza precedenti. Il costume è stato documentato, privilegiando il suo rapporto con l’artista e la storia dello spettacolo. Un artista-stilista come Cristian Lacroix, per esemplificare un’operazione metodologicamente innovativa messa in atto dall’ente francese, ha curato mostre per il CNCS e contemporaneamente è l’autore di molti costumi scenici ivi conservati.9
Analogo stato dell’arte è consolidato anche nel Regno Unito ed è parte della cultura museale, raggiungendo il suo apice nella realtà londinese, nel “Victorian and Albert Museum”10 e nel “Museum of London”.11 La straordinaria ricchezza del materiale conservato negli archivi del Victorian and Albert, dal figurino al costume d’arte, ha permesso una completezza di studi molto significativa; la caratteristica importante è che non si tratta solo di materiale di origine anglosassone. Da qualche anno il Dipartimento di spettacolo è stato arricchito dalle collezioni di costume provenienti dal “Museum of Theatre” e del “Museum of London”. La scientificità su cui si impronta il V&A ha prodotto un’emblematica schedatura multidisciplinare degli oggetti, come la navigazione in rete permette di leggere, uno strumento di studio validissimo per il settore e di grande utilità per il campo di studi. Londra inoltre conserva nei maggiori teatri nazionali, National Theatre, Globe Theatre e la Royal Shakespeare Company, patrimoni archivistici ingenti, espressioni forti dell’identità culturale inglese del costume scenico; la volontà di valorizzare l’aspetto più propriamente culturale e comunicativo delle collezioni è in questi ultimi anni stata palesata dalle esposizioni di costumi che sono state curate dagli enti stessi. Si segnala in questa sede la grande mostra dedicata alle collezioni del National Theatre, 50 Years of Costume, dell’anno 2015, che ha aperto al pubblico un guardaroba scenico a 360 gradi esemplificativo delle sue tipologie: dalle più tradizionali a quelle frutto della sperimentazione più innovativa, l’immagine teatrale del classicismo britannico più pura si è incontrata con la street fashion londinese.12
I contributi francesi e inglesi sono l’esempio di impostazioni di studio che possono essere considerate come dei modelli per il loro carattere paradigmatico, poiché forniscono strumenti di analisi imprescindibili riguardo al rapporto tra costume di scena e progettazione grafica, tra costume e tecnica di realizzazione e, infine, tra costume e materiali impiegati.
La fruizione online del materiale catalogato da questi enti europei permette una conoscenza del costume scenico alla comunità scientifica e a quanti, artisti o studenti, vogliano intraprendere un lavoro di creazione nel campo dell’arte del costume.
L’Italia, al contrario, non ha un museo statale specificamente dedicato al soggetto, i costumi d’arte sono conservati tradizionalmente presso i maggiori teatri nazionali o nelle maggiori sartorie teatrali,13 per il cinema e la tv. La letteratura critica italiana del secondo Novecento ha privilegiato le grandi realtà dove si costudiscono manufatti di livello eccellente. La collezione del Teatro La Scala di Milano, per ragioni ben note vista la straordinarietà degli spettacoli che ha ospitato, dagli anni ’80 del Novecento, è stata oggetto di studio grazie a una serie di pubblicazioni. La potenzialità dei molti significati culturali di questi fantastici costumi è stata messa a fuoco a partire dalla semiologia,14 tuttavia gli studi si sono orientati nella sola direzione della documentazione del patrimonio, dimostrando la ricchezza degli archivi scaligeri soprattutto per il progetto grafico: il materiale iconografico di moltissimi bozzetti e figurini; in molti casi risulta invece scarso il valore scientifico di questi stessi studi per quanto concerne la conoscenza dei manufatti. Quest’ultimo aspetto accomuna molte delle pubblicazioni italiane dedicate alle collezioni del costume d’arte;15 una operazione di revisione metodologica, più attenta alla lettura del manufatto, unitamente a un diverso taglio di analisi scientifica risultano perciò necessari. I contributi di Vittoria Crespi Morbio, da anni impegnata nello studio degli archivi milanesi della Scala, dimostrano al contrario quante tematiche può aprire lo studio del costume, in questo caso teatrale: diffusione di modelli iconici per lo spettacolo, le arti visive e non ultimo per la società.16 Questo stesso approccio di studio ha guidato le pubblicazioni dedicate ai costumi Cerratelli, storicamente nati per una comunicazione artistica di profilo internazionale, oggi patrimonio della fondazione omonima.
La politica culturale delle mostre italiane sul tema costume teatrale e moda spesso è stata però limitata dall’impostazione monografica, alla ricerca dell’autorialità, del costume designer, e, talvolta, pur offrendo un catalogo di manufatti di impatto estetico molto forte, firmati da grandi nomi del made in Italy (da Valentino, a Armani fino a Versace), ha tuttavia lasciato la porta del tutto aperta a uno studio scientifico che voglia cogliere il significato dei costumi per comprendere l’identità culturale della produzione artistica italiana.17
Sullo scorcio del secolo scorso, numerosi archivi privati dello spettacolo, simboliche memorie storiche del saper fare, che rappresentano realtà che hanno partecipato a buon diritto alla storia dell’economia italiana e dei suoi beni culturali, hanno ben compreso l’importanza di organizzare una gestione “scientifica” dei materiali. È il caso delle sartorie cine-teatrali romane: l’internazionale Tirelli,18 la Farani,19 le Sorelle Fontana o la Maison Gattinoni, tutti nomi famosi per il cinema; o ancora della citata sartoria toscana Cerratelli, che eccelle per il teatro.20 In Italia non occorreva dimostrare il valore intrinseco di molti di questi archivi, che si pone ben oltre quello di un patrimonio culturale destinato ad un uso di fatto privato, ad una funzione, potremmo dire, “interna” ed in esclusiva relazione con la memoria dell’impresa stessa da cui sono nati.
Stacca per originalità in questo panorama, l’Archivio Rame Fo, voluto da Franca Rame, una cospicua memoria del Novecento, una storia della famiglia Rame e dell’attività artistica svolta da Franca insieme al compagno di vita Dario Fo: si tratta di un esempio di archivio privato digitalizzato con esclusivi materiali anche di storia del costume scenico. Il portale, nato in seguito alla scoperta di internet di Franca, alla fine del Novecento, è improntato a un criterio molto soggettivo, funzionale alla eterogeneità dei documenti che raccoglie, e si è posto nel contesto italiano con la forza innovativa propria dei nomi d’arte che rappresenta.21
Il costume scenico ha vissuto all’inizio del terzo millennio una fase di interesse senza precedenti.22 Lo studio del costume d’arte in Italia necessitava però di essere posto in una rete nazionale di riferimenti, di essere contestualizzato anche nel confronto tra le diverse anime storiche della multiforme tradizione italiana, in una prospettiva di memoria culturale.
Questa urgenza “scientifica” è stata colta in anni recenti dalla Sovrintendenza archivistica italiana e costituisce l’elemento di maggior innovazione culturale e scientifica apportato nel campo degli studi di storia del costume e della moda in Italia.
Il costume scenico nel progetto Anai: un portale per gli archivi dello spettacolo italiano
Il costume di scena ha avuto l'attenzione della comunità scientifica italiana con il progetto triennale gli Archivi della Moda del Novecento, ideato nel 2009 ed elaborato dall’Anai (Associazione Nazionale Archivistica Italiana), grazie al grande lavoro di coordinamento di Isabella Orefice e del Presidente Marco Carassi. Il progetto, come ben noto, ha realizzato un inedito censimento delle fonti e ha sostenuto la catalogazione e digitalizzazione dei materiali archivistici di alcune tra le più importanti case di moda italiane. È giusto sottolineare in questa sede come le Soprintendenze archivistiche abbiano dato un contributo notevole alla concreta realizzazione dell’operazione di censimento messa in atto sul territorio italiano, una capillare campagna che ha portato alla luce numerosissime realtà ancora produttive per il settore dello spettacolo e dell’allestimento in stretta relazione con il costume, che conservano archivi privati depositari di una specializzata memoria dell’artigianato italiano. Un grande merito di questa importante iniziativa è stato inoltre l’organizzazione di seminari e convegni di studio, che hanno permesso l’incontro di numerosi enti pubblici e privati, attivando un dialogo culturale tra studiosi e operatori senza precedenti nel nostro Paese. Gli incontri si sono svolti sul territorio italiano da Milano, Como, Biella a Bologna, passando per la Toscana, Roma, il meridione (Ischia e Vittoria (RG), e ne sono stati protagonisti proprio quegli archivi che sono emersi dai risultati dell’operazione di censimento.23 Nel Seminario inaugurale di studi “Archivi della moda del '900: primi risultati del progetto a Firenze e in Toscana” (tenutosi a Firenze, il 4-5 giugno 2009) le tematiche affrontate hanno focalizzato la Memoria e valorizzazione del patrimonio della moda, estendendo il dibattito al costume scenico; nell’occasione Renato Delfiol, Funzionario della Soprintendenza Archivistica per la Toscana, ha presentato i primi risultati del censimento sul territorio, una mappatura essenziale alla definizione dello stato dell’arte.24 In questa sede per la prima volta esperienze paradigmatiche di gestione e valorizzazione degli Archivi della moda fiorentini si sono incontrate: il Museo Salvatore Ferragamo e il suo archivio – illustrato quale – luogo di memoria e laboratorio di ricerca da Stefania Ricci, Direttore del Museo Salvatore Ferragamo, si è misurato con la Fondazione Emilio Pucci, luogo della “memoria come continuità tra passato e futuro” nella narrazione di Alessandra Arezzi Boza.25 I due casi citati si pongono a modello di valorizzazione di un archivio ai fini di garantire una continuità estetico-creativa e qualitativa di altissimo livello nella produzione contemporanea. Quanto a Ferragamo, le politiche culturali si segnalano ogni anno in una direzione unica: l’archivio appare sempre di più il pretesto per creare occasioni espositive con materiali che a esso si riconnettono per tematiche sempre di matrice molto interdisciplinare. Con cadenza annuale il Museo Salvatore Ferragamo propone mostre e relazioni culturali che nascono o interagiscono con il proprio patrimonio archivistico e altri archivi della memoria.26 | Il progetto Anai ha fortemente collaborato, anche in Toscana, a stendere i fili per permettere future tessiture tra le numerosissime parti di questo sistema che si muove tra moda e costume. Uno dei migliori “goal” raggiunti dal progetto può essere considerato “Il Portale della moda del Novecento”, un risultato di senso, grazie proprio alla sua visibilità e alla possibilità di consultazione in rete.27 Il tema delle relazioni tra moda e spettacolo è stato deliberatamente affrontato anche nel portale in Le sartorie cine-teatrali,28 una pagina che propone due sartorie, come le romane Tirelli e Anna mode, che hanno fatto la storia del cinema italiano e oggi lavorano su scala internazionale, presentate insieme alla toscana Cerratelli; ed è stato anche ben spiegato il ruolo che esse rivestono in quanto luoghi dei nostri beni culturali per quanto concerne gli artefatti effimeri dello spettacolo. Nel 2011 Anai per la moda organizza a Roma il primo Convegno di studi dedicato al soggetto: Lo stile italiano nella moda e nel costume tra teatro e cinema. Per la memoria degli archivi,29 un’occasione per valorizzare i manufatti e i documenti (carte, fotografie, disegni, abiti, accessori, costumi) dello spettacolo, in cui si sono incontrate sartorie che conservano archivi di costumi per il teatro e per il cinema unite dall’elemento comune di avere contribuito, nel Novecento, alla nascita di una tipologia di costume scenico che, per le sue qualità estetiche, identifica il made in Italy per lo spettacolo agli occhi del mondo.30
L’Atelier Annamode31 – un laboratorio artigianale che dal 1946 a oggi ha prodotto costumi per il palcoscenico sino al piccolo schermo contribuendo alla vincita anche di oscar per i costumi – ha in questa grande tavola rotonda comunicato con la Maison Gattinoni, la fucina del divismo hollywoodiano che ha saputo usare lo schermo come una passerella di moda italiana. Ed è ancora la pagina del “Portale della Moda del Novecento” che ripercorre la carriera di stilista di Fernanda Gattinoni, restituendo oggi un significato storico a questa figura femminile della moda italiana.32 Il potenziale archivistico della Maison Gattinoni è illustrato e consultabile nella rete del Sistema Archivistico Nazionale, dove troviamo gli abiti scenici ideati per le interpretazioni neorealistiche di Anna Magnani che affiancano altri esemplari, più artistici, costumi che omaggiano i maestri del Novecento, da Picasso a Guttuso.33
Il confronto sulle metodologie di conservazione e dei sistemi di catalogazione, messi in atto da archivi come quello della Fondazione Roberto Capucci, che conserva anche materiale per la scena, ha dato un notevole contributo scientifico portando il piano della discussione oltre la narrazione degli inventari dei singoli archivi, per quanto questa stessa potesse essere già un tassello decisamente importante nello stato dell’arte italiano a data 2011.34
Si deve a Paola Bignami, studiosa di storia della scenografia e del costume teatrale, la proposta di una riflessione più propriamente metodologica in merito alla catalogazione del costume di scena, una problematica già da lei affrontata nella letteratura35 e che ha portato nel “Portale della moda”, discutendone i contenuti basilari nel convegno romano: si tratta di una schedatura che muove dai criteri su cui si fonda la scheda ministeriale VEAC, ovvero un sistema di catalogazione per gli abiti storici e contemporanei che sono parte del sistema moda e abbigliamento.36 Questa scheda per il costume scenico, chiamata VAC-S, vuole offrire un modello di riferimento utile anche per catalogare le consistenti quantità di costumi conservati nei magazzini dei teatri pubblici italiani; la VAC-S segue alcune delle voci della scheda di un oggetto di moda che possono essere valide anche per definire un costume scenico (oggetto, autore, ente appartenenza, materiali, dati amministrativi etc.). Tuttavia, poiché molte sono le voci mancanti nel modello VEAC funzionali a un’esaustiva catalogazione del costume scenico, la VAC-S ne inserisce di nuove: in particolare alcune che sono funzionali a collocare il costume stesso nella storia dello spettacolo (per esempio: personaggio, opera di appartenenza, interprete, regista, luogo di rappresentazione etc.).37
La difficoltà di misurarsi con problematiche analoghe per schedare l’effimero, che sfugge per sua natura alle forme dell’abito e alle sue nomenclature, è stata criticamente discussa nel seminario anche da Olga Jesurum ed Enza Busseti, partendo da esempi da loro selezionati a seguito della catalogazione svolta su un consistente campione di oggetti scenici di grande valore estetico, parte del patrimonio di costumi dell’Opera di Roma: un archivio ricchissimo, fatto di esemplari che risalgono all’inizio del secolo scorso e che documentano modelli, decori e tessuti, forme sartoriali che appartengono ad anni piuttosto lontani del Novecento e pertanto risultano molto impegnativi e complessi da essere descritti.38
Le necessità della catalogazione di materiali scenici sono state presentate anche da Bruna Niccoli, Prima della Fondazione: l’Archivio Cerratelli. Il costume d’arte tra catalogazione, ricerca e didattica, sulla base, in questo caso, di un’esperienza che teoricamente vuole affrontare lo studio del costume di scena come oggetto di arte applicata: un oggetto che segue sue regole tecniche e risponde a complesse esigenze estetiche dettate dallo spettacolo per cui nasce; la sartoria scenica si fonda infatti su una grammatica del tutto specifica, che si differenzia da quella della sartoria di moda, ed è proprio da questa “fantastica” grammatica che nasce il linguaggio della costumistica per lo spettacolo.
Il merito di questo convegno Anai del 2011 è stato di fatto di aver messo in comunicazione esperienze di studio in fieri, che a quella data erano isolate e spesso senza neppure essere al corrente una dell’esistenza dell’altra (le operatrici delle citate catalogazioni, toscana e romana, per esempio non conoscevano le rispettive linee guida né gli esiti sino ad allora raggiunti). Grazie ad Anai è stata così attivata una rete scientifica che ha, a oggi, dato i suoi frutti scientifici nel campo in oggetto.
Una nota di curiosità emersa dal tavolo di confronto romano inerente alla terminologia del costume scenico: è ben noto come questa, nella nostra penisola, segua un lessico regionale, per certi versi anche portatore di contenuti dialettali; ad esempio più termini vengono usati per indicare il medesimo indumento (“corpino” o “corpetto”?; “inquartata” o marsina?) o talvolta lo stesso accessorio.
È stato perciò evidente come sia necessario riuscire a definire generali criteri di schedatura: in primis si è posta l’esigenza di redigere un lemmario specifico che possa essere normativo, tale da poter essere riconosciuto valido sul territorio nazionale; evidente è stata inoltre la carenza di definizioni comuni in uso per identificare le tipologie di costumi che siano esemplificative del costume scenico, che per sua natura si differenzia dall’abito di moda. È doveroso ricordare come il progetto Archivi della moda abbia dato spazio alla riflessione in merito ai criteri di conservazione più strettamente pertinenti all’oggetto effimero: sono stati in questa sede teorizzati ed esemplificati problemi che hanno contribuito sensibilmente a una riflessione scientifica di cui sicuramente si avvertiva la necessità nel panorama italiano. Di rilevanza in tal senso la comunicazione di Gian Domenico Ricaldone sulle problematiche di conservazione dell’archivio del Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, un patrimonio ligure che raccoglie tipologie di materiali e documenti tra loro diversi per genesi e valore, in quanto provenienti da fondi privati, donati da grandi interpreti e famosi personaggi che hanno fatto la storia dello spettacolo italiano.39
Nessuna relazione, precedentemente a questa sezione del progetto Anai, era mai stata instaurata tra le collezioni di costume e quelle di accessori e complementi del costume scenico stesso. È il caso della ditta Merola Gloves, produttrice di esclusivi guanti, un marchio del fatto a mano italiano, un simbolo che ha trionfato anche nel cinema hollywoodiano, oppure di Rocchetti & Rocchetti, di cui Patrizia Mustile ha presentato l’archivio unico e fantastico, che dal 1874 crea e realizza parrucche, una bottega nota per aver dato una testa d’epoca a grandiosi personaggi, come Casanova per l’omonimo film di Federico Fellini.
Tutti gli interventi citati sono consultabili in video nel portale Anai, a memoria della giornata romana ma soprattutto con il fine di permettere una maggior diffusione di contenuti che non sono rintracciabili in altre sedi, informazioni su archivi e su molte attività ancora oggi produttive per lo spettacolo, per dare una visibilità a realtà molto spesso nascoste nel nostro panorama culturale italiano.40
Casa d’Arte Cerratelli: un archivio per una Fondazione
Conoscere per conservare. Conservare per conoscere
(Donata Devoti)
Un caso di studio sui generis nel contesto italiano è stato presentato nella sessione La Formazione al servizio della creatività e della valorizzazione della giornata di studi Anai, Archivi della moda del '900: primi risultati del progetto a Firenze e in Toscana con la comunicazione Dall’oggetto-costume alla storia della moda. Workshop e didattica alla Fondazione Cerratelli a cura della scrivente.41 L’intervento ha illustrato la realtà della Fondazione Cerratelli, sede di un workshop di catalogazione e di una didattica innovativa, alla comunità scientifica italiana coinvolta nel progetto gli “Archivi della Moda del Novecento”. È stato ripercorso il cammino del nome Cerratelli in Toscana, una casa d’arte che si è affermata nel sistema del costume di scena con un’attività iniziata a Firenze nel 1914 e interrottasi nel 1995. L’internazionalità ha segnato la fama del “marchio” Cerratelli: più di 25.000 costumi nati per palcoscenici e schermi internazionali, degni del suo Presidente onorario, il maestro Franco Zeffirelli. Costumi e/o forme e materiali, da cui si configura l’oggetto-costume in quanto manufatto d’arte, creato in sartoria, ideato nel sistema dell’artigianato, comprensivo di tutte le declinazioni della tecnica: dalla costruzione del capo alle sue più sottili decorazioni, agli accessori.42 L’Archivio Cerratelli si è costituito quindi nel corso del Novecento all’interno di un’impresa familiare, in progress, anno dopo anno, selezionati esemplari sono spontaneamente stati conservati per rispondere alle esigenze di mercato che regolavano le produzioni dello spettacolo, prima teatrali e in seguito destinate anche al grande schermo. La critica storico-artistica del Novecento ha parlato di “icone” del marchio Cerratelli, attribuendo valore estetico ai manufatti più raffinati, firmati da figurinisti e da scenografi che sono stati attivi nei maggiori teatri d’Europa, nomi che hanno segnato la storia della costumistica e la sua contemporaneità.43 In equilibrio tra una straordinaria collezione privata e un funzionale archivio d’impresa, su questo confine ambivalente, si rintraccia la genesi della raccolta toscana, nel 2009 premiata dall’Unesco per l’importanza e il valore culturale dei suoi Monumenta.44 La Fondazione, che ne ha rilevato l’Archivio e porta il nome Cerratelli, si è fatta carico della storia di questi costumi di scena e con la sua politica si impegna a non tradirne l’originaria funzione: non vuole allontanarli dal mondo della comunicazione spettacolare e artistica, relegandoli a feticci da studio, limitandoli ad oggetti d’arte da studio, seppure esemplificativi di un grande passato:
In ogni museo l’oggetto muore – di soffocamento e degli sguardi del pubblico –, mentre il possesso privato conferisce al proprietario il diritto e il bisogno di toccare. Come il bimbo allunga la mano per toccare ciò di cui pronuncia il nome, così il collezionista appassionato restituisce all’oggetto, gli occhi in armonia con la mano, il tocco vivificante del suo artefice (Bruce Chatwin, UTZ, 1988).
Il tavolo di lavoro Anai ha permesso di segnalare a livello nazionale il workshop di catalogazione, alla sua origine voluto dalla professoressa Donata Devoti (Università di Pisa) e dal Direttore della Fondazione, Floridia Benedettini, un’attività che ha visto coinvolta, fin dal suo esordio nel 2006 la scrivente, in qualità anche di coordinatrice del contributo operativo di studenti dei corsi di laurea di indirizzo storico-artistico e di indirizzo storia dello spettacolo dell’Università di Pisa, impegnati secondo diverse fasi e tipologie di lavoro. L’innovativa attività didattica che si svolge in Fondazione è stata discussa nel testo Moda. Storia e storie, dedicato a diverse esperienze europee di storia della moda, a conferma della stretta relazione tra il manufatto “costume di scena” e il manufatto “abito di alta moda”.45 La comunità di studiosi, messa in rete grazie al progetto Anai, ha creato concretamente un confronto che si è poi esteso a scambi, collaborazioni e confronti nel tempo. Nel 2009 una scheda “normativa” di catalogazione del costume scenico mancava, come del resto ancora oggi è di fatto inesistente a livello ministeriale. In Fondazione Cerratelli nel 2011 proprio su questo tema si è svolto un seminario all’interno del progetto Anai: Costume di scena. Tra ricerca, formazione e didattica, una tavola rotonda che ha aperto a nuovi risultati su questi temi.46 In particolare si è discusso di come la citata scheda elaborata Vestimenti antichi e contemporanei, riconosciuta dal sistema di catalogazione ministeriale, considera la tipologia del costume “da travestimento”, comprende inoltre le tipologie del “costume teatrale” e di quello “cinematografico”, tuttavia non prevede termini specifici nel lemmario (vocabolario chiuso) che sono indispensabili per affrontare le problematiche descrittive connesse al costume scenico; la VEAC in sintesi non si pone il problema di comprendere queste tipologie di manufatti in relazione al sistema culturale da cui e per cui sono nate.47 Il modello di schedatura per il costume scenico basato sui criteri della VEAC che è stato elaborato, come visto, da Bignami e Ossicini che sono state tra le protagoniste anche di questa tavola rotonda, la VAC-S, risponde solo parzialmente al problema del lemmario; infatti si fonda sull’uso di una scheda che è stata sperimentata per la catalogazione di materiali contemporanei, più specificamente per catalogare un fondo di costumi teatrali conservati nel teatro Comunale di Bologna.48 Questa tipologia di costume, il costume scenico contemporaneo, è il caso di sottolinearlo, presenta elementi di diversità rispetto a costumi meno recenti o più antichi, per materiali, decori e modelli. Quest’esperienza diretta da Bignami dell’università di Bologna tuttavia costituisce senza dubbio un riferimento critico importante nella letteratura critica italiana.
Per quanto concerne la catalogazione informatica dell’Archivio Cerratelli, che si è sempre svolta in stretta collaborazione con l’Università di Pisa, come criterio scientifico di base è stato scelto di collocare il costume di scena in relazione con le specifiche discipline di cui è un elemento fondante: la storia del costume, la storia del teatro e del cinema, la storia dei costumisti, la storia della sartoria e quella delle sue tecniche.49 Nel corso degli anni, attraverso le diverse fasi di studio descritte, si è giunti all’elaborazione di una scheda informatica innovativa, basata su un’ontologia che si pone l’obiettivo di rispondere a una duplice richiesta di funzionalità: da una parte le esigenze dell’archivio privato, connesse con le attività più strettamente lavorative, dall’altra la volontà di collocare i materiali nel sistema culturale cui appartengono, oltre l’archivio privato, in quanto ogni costume è un documento unico che attesta un’operazione artistica del passato. È stata affrontata nelle linee guida di questa catalogazione – un grande work in progress – la problematica del lessico, per rispondere appunto alla carenza segnalata e alla sua urgenza critica. Punto di partenza per creare un lemmario è stato la lettura critica dei Registri dell’Archivio Cerratelli, un vero thesaurus di termini sartoriali, preziosi per conoscere il materiale conservato in Fondazione, che ha permesso inoltre di elaborare un glossario specifico di termini tecnici relativi al costume scenico, su cui si basa la catalogazione, che investe tutte le tipologie del costume d’arte: storico, fantastico e contemporaneo. È pertanto oggi in atto la stesura di un “vocabolario chiuso” per il costume scenico, che possa essere funzionale allo schedatore nella fase di descrizione del costume; si è tenuto conto della complessità del linguaggio italiano, per cui è in fieri una ricerca linguistica comparata, aperta al confronto con le terminologie specifiche in uso in altre realtà regionali italiane, ai fini di creare una terminologia normativa, il più possibile esaustiva per la costumistica italiana.
Nell'ambito della progettualità di ricerca e catalogazione della Fondazione Cerratelli si collocano i molti workshop didattici tenutisi in questi anni in Fondazione; una delle priorità è stata data al trasmettere un sapere tecnico, per insegnare a riconoscere i molteplici punti di visione di un oggetto d’arte: il costume. Il campionario tessile analizzato nel corso della catalogazione muove dagli anni Trenta agli anni Novanta, attraversa lo spazio del Novecento, segnato dall’entrata di nuove materie e dall’uscita di altre che cadono nel desueto. Come sosteneva Donata Devoti, ispiratrice di questi studi, il senso della ricerca è rintracciabile nella massima “Conoscere per conservare. Conservare per conoscere”.50
Una selezionata ed esemplificativa parte dei risultati di catalogazione è stata nel 2014 pubblicata in Europeana Fashion, il grande portale europeo che ospita una ingente banca dati dei maggiori archivi e delle collezioni della moda presenti in Europa, una piattaforma dove la moda entra anche in relazione con la creatività per lo spettacolo: moda e costume di scena, quasi “arti sorelle”, spesso tra loro in tensione imitativa e fonti reciproche di ispirazione.51 Per quanto Europeana Fashion abbia dato un grande palcoscenico digitale ai costumi Cerratelli, grazie ad un ampio campo di descrizione, uno spazio libero che ha permesso anche di spiegare le possibili fonti d’ispirazione usate dai costumisti per creare costumi “storici” e di segnalare anche i modelli storici di riferimento,52 esistono tuttavia limiti di comunicazione culturale, dovuti al progetto stesso, senza nulla togliere alla sua qualità: la mission non è infatti trattare oggetti in relazione con lo spettacolo, ma comunicare aspetti ed elementi del sistema moda. Ne consegue che in Europeana Fashion le tecniche e i materiali siano obbligati alla nomenclatura di un vocabolario chiuso che pertiene alla moda, senza coprire la versatilità che invece distingue il costume teatrale, specialmente quello che definiamo di “tipologia di fantasia”, per cui elementi come le “foglie secche” o la “carta” possono essere parte costitutiva di un costume scenico, insieme alla “gomma” o alla “plastica”: l’effimero non si veste solamente di sete e ricami preziosi.53
Conclusioni
Il profondo potere degli oggetti collezionati non deriva dalla singolarità né dalla storicità specifica: non per questa ragione il tempo della collezione non è tempo reale, ma per il fatto che l’organizzazione della collezione si sostituisce al tempo.
La funzione fondamentale della collezione è senza dubbio questa:
risolvere il tempo reale in una dimensione sistematica della collezione(Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, 1968)
Il 2017 è stato in Italia un anno che ha visto delle belle mostre sul costume scenico. In che senso “belle”? Sorge spontaneo chiederci, se diamo per buono che l’effimero comunica emozioni estetiche sempre e comunque, in quanto fa parte della sua magia. La bellezza di queste mostre va infatti al di là dei materiali esposti, che sono stati visti da un vastissimo pubblico alla ricerca di memorie dello spettacolo italiano, spinto dalle proprie sensazioni, individuali e soggettive, richiamate dall’ammirazione per interpreti, di lirica, di danza o di prosa, per registi, o per mattatori del palcoscenico e del grande schermo. I nomi? Sarebbero troppi, perché queste esposizioni hanno celebrato il secolo scorso e lo spettacolo italiano senza fare omissioni, a 360 gradi.
Milano ha ospitato in Palazzo Reale Incantesimi. I costumi del Teatro alla Scala dagli anni Trenta a oggi, per dimostrare anche al visitatore che “Dentro ogni costume ci sono mille segreti, dagli accostamenti cromatici ai decori, dalla scelta di un tessuto alla tecnica di una foggia”.54 I costumisti scelti, per raccontare settanta anni di storia del teatro, sono artisti che hanno solcato con innovazione e creatività il palcoscenico: un campionario “fantastico” conservato nei magazzini scaligeri e oggi studiato.
In Toscana a Castiglioncello, con Franco Zeffirelli al Castello. Costumi di scena della fondazione Cerratelli sono stati dipanati al pubblico i filoni della ricerca legata al costume: dallo studio sulla terminologia storico-linguistica, alla sottile relazione tra il linguaggio artistico e il costume scenico come espressione dell’arte applicata, al suo valore estetico di manufatto sino alla memoria che questi pezzi rivestono per lo spettacolo, quando “la scena è Zeffirelli”.55
Roma ha aperto al pubblico parte delle sue collezioni con Artisti all’Opera. Il teatro dell’Opera di Roma sulla frontiera dell’arte da Picasso a Kentridge 1880-2017 (Palazzo Braschi, Roma), mettendo in mostra solo una parte del tesoro, un numero quasi irrilevante ma di grandissimo rilievo sotto il profilo storico-artistico; la raffinata selezione dei pezzi deve tutto alla conoscenza che è stata raggiunta grazie alla catalogazione di questi anni.
La bellezza di cui parliamo è “scientifica”, nel senso che finalmente i costumi scenici sono stati studiati e il visitatore può comprenderli nel loro portato culturale più completo, sono stati collocati nel decennio che li ha visti nascere e nell’opera cui hanno dato un linguaggio espressivo, perché è questo che il costume svolge come funzione prima: è un segno di cui si serve il corpo dell’attore, voluto dalla visione del regista e ideato per comunicare nell’opera d’arte, sia essa sul palcoscenico o sullo schermo, sia grande che piccolo.
I cataloghi dei costumi scaligeri e di Cerratelli presentano schede cui rimandiamo, schede critiche che permettono al lettore attento di capire che sono state redatte a seguito di uno studio completo: dal progetto grafico, all’esecuzione sartoriale sino alla storia della perfomance e dei suoi interpreti e protagonisti.56
Catalogare ha senso solo se è possibile divulgare: gli archivi devono essere al servizio della ricerca. Allo studioso spetta il compito di aprire strade, di segnare il cammino con buone prassi, nella speranza che gli investimenti, statali e/o privati, per la ricerca giungano anche ai molti archivi “fantastici” dell’effimero che abitano la nostra penisola e sono a buon diritto parte della sua memoria e identità culturale.
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Cfr. Writing Material Culture History, a cura di Anne Gerritsen e Giorgio Riello (Londra: Bloomsbury, 2014) per l’accezione di cultura materiale.↩
Jan Assmann, La memoria culturale (Torino: Einaudi, 1992).↩
Martine Kahane, Opéra Coté costume (Parigi: Plumes Editions, 1959); cfr. in merito al potenziale delle collezioni, http://www.operadeparis.fr/, ultima consultazione 1 Marzo 2018.↩
Segna un primo punto di riferimento critico in questo campo lo studio di Martin Holmes, Stage costumes and accessories in the London Museum (Londra: H.M.S.O, 1968).↩
Visualità del Maggio. Bozzetti, figurini, spettacoli, a cura di Raffaele Monti (Roma: De Luca, 1979).↩
Diana De Marly, Costume on the stage 1600-1940 (Londra: Batsford,1982), saggio innovativo per le metodologie critiche.↩
Cfr. per il panorama italiano Paola Bignami, Storia del costume teatrale (Roma: Carrocci, 2005); in merito al confronto con l’Europa cfr. Bruna Niccoli, The art of costume. Italian creativity for theatre and film in Fashion throughout History, a cura di Giovanna Motta and Antonello Biagini (Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars Publishing, 2007), 604-13.↩
Cfr. Claude Fauque, Costumes de scéne à travers les collections du CNCS, Centre National du Costume de Scéne (Parigi: Edition Le Martinière, 2011);cfr. Centre National du Costume de Scène, http://www.cncs.fr/, ultima consultazione 1 Marzo 2018.↩
Cfr. Christian Lacroix Costumier, Centre National du Costume de Scéne, a cura di Martine Kahane e Delphine Pinasa (Parigi: Edition du Mécène, 2007).↩
Cfr. Victoria and Albert Museum, http://www.vam.ac.uk/, ultima consultazione 1 marzo 2018; maggiori sono i risultati della catalogazione fruibili in rete, rispetto agli studi pubblicati, che sono in stato di work in progress.↩
Cfr. Museum of London, http://www.museumoflondon.org.uk/, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Cfr. http://www.nationaltheatre.org.uk/, ultima consultazione 1 Marzo 2018.↩
Cfr. in riferimento al costume italiano per l’opera lirica conservato Bruna Niccoli, Vestire l’opera nell’Ottocento: il costume d’arte italiano nel confronto europeo in Fashioning Opera and Musical Theatre: Stage costume from late Renaissance to 1900, Atti del convegno, Fondazione Cini, a cura di Valeria De Luca (Venezia: 2014, pubblicazione online, http://www.cini.it/), 203-24.↩
Cfr. Gillo Dorfles (introduzione di), La danza, il canto, l'abito. Costumi del Teatro alla Scala 1947-1982 (Milano: Silvana Editore, 1982).↩
Cfr. Armonie del ’900. Costumisti d’eccezione per la lirica e il balletto. Mostra, incontri, seminari, rassegna video, a cura di Luisa Viglietti (Roma: Consorzio Arti Grafiche Editoriali, 2007); Il teatro degli artisti da Picasso a Calder, da De Chirico a Guttuso. Scene, bozzetti e costumi dal Teatro dell’Opera di Roma, a cura di Massimiliano Capella (Cinisello Balsamo (MI): Silvana Editoriale S.p.a., 2007).↩
Cfr. la collana e i relativi titoli di Vittoria Crespi Morbio, “Gli artisti dello spettacolo alla Scala”, a cura di Vittoria Crespi Morbio (Torino: Allemandi, 2011-2017).↩
Cfr. Il Teatro alla moda, a cura di Massimiliano Cappella (Torino: Allemandi, 2011).↩
Cfr. Il Guardaroba dei sogni. Cinquant’anni della sartoria Tirelli, a cura di Silvio D’Amico e Caterina D’Amico (Milano: Skira, 2014).↩
Cfr. Tra I vestimenti. L’inventiva della Sartoria Farani in 40 anni di cinema teatro e televisione, a cura di Simonetta Licastro Scardino, Maria Schiavone Panni di Napoli Rampolla e Clara Tosi Pamphili (Milano: Electa, 2004).↩
Si rimanda per le referenze su queste storiche sartorie al paragrafo seguente in questo scritto.↩
Cfr. Bruna Niccoli, Il costume di scena nella bottega Rame Fo in Dario Fo e Franca Rame Una vita per l’arte, a cura di Anna Barsotti e Eva Marinai (Corazzano (Pisa): Titivillus, 2011) 109-25. Si segnala che nel 2018 l’Archivio Rame-Fo è stato da Jacopo Fo trasferito a Verona dove è in corso una nuova catalogazione dei materiali presso l’Archivio di stato di Verona.↩
Si segnala ad esempio l’ingente lavoro realizzato dal Teatro Stabile di Torino, che ha digitalizzato molti materiali, soprattutto grafici, per il costume scenico, cfr. https://www.teatrostabiletorino.it/il-nuovo-archivio-digitale-del-teatro-stabile-di-torino, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Cfr. http://www.anai.org/anaicms/cms.view?munu_str=0_2_3&numDoc=143 per una mappatura dei luoghi e degli enti coinvolti in questa attività seminariale.↩
Gli interventi della giornata sono pubblicati in http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=archivi-della-moda-del-%E2%80%98900-primi-risultati-del-progetto-a-firenze-e-in-toscana-iii-sessione.↩
Cfr. Alessandra Arezzi Boza in http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=archivi-della-moda-del-%E2%80%98900-primi-risultati-del-progetto-a-firenze-e-in-toscana-iii-sessione.↩
Per una panoramica sulla tipologia di mostre ospitate dal Museo Salvatore Ferragamo in questi ultimi due decenni cfr. https://www.ferragamo.com/museo/it/ita/mostre/archivio_mostre, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?page_id=251, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=dossier-tematico-moda-e-spettacolo-le-sartorie-teatrali, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Il convegno Lo stile italiano nella moda e nel costume tra teatro e cinema. Per la memoria degli archivi si è tenuto a Roma, il 1° dicembre 2011, presso il Teatro dei Dioscuri. Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=lo-stile-italiano-nella-moda-e-nel-costume-tra-teatro-e-cinema-per-la-memoria-degli-archivi-2.↩
Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=gli-archivi-raccontano-la-moda, ultima consultazione 1 marzo 2018. Inoltre rimando a Niccoli, The art of costume. Italian creativity for theatre and film.↩
Cfr. il sito della Fondazione Annamode http://www.fondazioneannamode.it/in riferimento al patrimonio citato, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Si rimanda al portale http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?partner=maison-gattinoni,u, ultima consultazione 1 marzo 2018. Si deve alla Dottoressa Maria Natalina Trivisano l’ottima gestione scientifica in corso del portale.↩
Cfr. http://www.san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-complessodocumentario?codiSanCompl=san.cat.complArch.61135&step=dettaglio&id=61135, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?partner=fondazione-roberto-capucci e per l’archivio http://www.san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-complesso-documentario?codiSanCompl=san.cat.complArch.77514&step=dettaglio&id=77514, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Paola Bignami e Charlotte Ossicini, Il quadrimensionale instabile. Manuale per lo studio del costume teatrale (Novara: Utet , 2010); questa ricerca è strettamente connessa con l’Università di Bologna.↩
Cfr. Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un patrimonio, a cura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Roma: La mela verde snc., 2010).↩
Bignami e Ossicini, Il quadrimensionale instabile. Manuale per lo studio del costume teatrale, 101-5.↩
Enza Busseti e Olga Jesurum I costumi del Teatro dell’Opera di Roma: ipotesi per un archivio presentato in questa sede; inoltre su questo tema cfr. Vincenza Bussetti e Olga Jesurum, Giubbino, farsetto, inquartata: la catalogazione dei costumi teatrali e la questione del lemmario in Fashioning Opera and Musical Theatre: Stage costume from late Renaissance to 1900, 577-85.↩
Gian Domenico Ricaldone, Costume teatrale e moda. Materiali dai fondi del Museo dell’Attore.↩
Cfr. http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=lo-stile-italiano-nella-moda-e-nel-costume-tra-teatro-e-cinema-per-la-memoria-degli-archivi-2, ultima consultazione 1 marzo 2018.↩
Bruna Niccoli, Dall’oggetto-costume alla storia della moda. Workshop e didattica alla Fondazione Cerratelli. Seminario di studi Archivi della moda del ’900: primi risultati del progetto a Firenze e in Toscana. III sessione. La formazione al servizio della creatività e della valorizzazione, (Palazzo Spini Ferroni, Firenze, 4-5 giugno 2009) cfr. http://moda.san.beniculturali.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/07/Niccoli.pdf↩
Questa realtà mi vede coinvolta come studiosa di storia del costume e della moda dell’Università di Pisa dal 2006. I risultati del lavoro di catalogazione sono stati sin dagli esordi pubblicati: cfr. La fondazione Cerratelli costumi per lo spettacolo del Novecento, a cura di Bruna Niccoli (Pisa: Ets, 2008); percorsi monografici sono stati dedicati a importanti maestri della costumistica italiana: Lele Luzzati Atto III. Un mondo di fiaba, a cura di Antonella Capitanio e Bruna Niccoli (Pisa: ETS, 2009), Bruna Niccoli Prima della Fondazione. L’archivio Cerratelli in Monumenta,71-5; Costumi di scena. Anna Anni e l’Officina Cerratelli, a cura di Bruna Niccoli (Pisa: Felici Editore, 2013).↩
Cfr. Monti, Visualità del Maggio, testo con cui il marchio Cerratelli è entrato nella storia del costume europeo. Sulla collezione, sui suoi costumisti, interpreti maggiori e registi cfr. Bruna Niccoli, Ephimera Vestimenta oltre la performance in L’arte della meraviglia. Costumi di scena della fondazione Cerratelli, a cura di Roberta Orsi Landini (Caraglio (Cuneo): Edizioni Marcovaldo, 2013), 17-29.↩
Nel 2009 viene infatti premiata dall’ Unesco la pubblicazione Monumenta.↩
Bruna, Niccoli. Il Caso della Fondazione Cerratelli in Moda. Storia e Storie, a cura di Giuseppina Muzzarelli, Giorgio Riello e Elisa Tosi Brandi (Milano: Mondadori, 2010), 180-89.↩
Seminario Anai per la moda, Costume di scena. Tra ricerca, formazione e didattica 7 ottobre 2011, Fondazione Cerratelli San Giuliano Terme, Pisa.↩
Questa affermazione si basa su una lunga riflessione e sperimentazione della VEAC, le cui linee guida e i cui contenuti ho lungamente discussi con Grazietta Butazzi e Roberta Orsi Landini, ideatrici e curatrici della schedatura in oggetto, che costituisce un prezioso contributo alla catalogazione italiana. La riflessione conclusiva è stata quella di sentire l’esigenza di aggiungere alla VEAC una scheda specifica, comprensiva di un lemmario e di relativi grafici illustrativi, per il costume scenico, contenuti cui la scrivente sta appunto lavorando nella sua ricerca.↩
Cfr. Bignami e Ossicini, Il quadrimensionale instabile.↩
Le ultime pubblicazioni dell’Archivio Cerratelli comprendono schede che rispondono ai criteri enunciati, cfr.: Gli incantesimi di Emanuele Luzzati. Fiaba e magia nell’illustrazione e nel costume a cura di Roberta Orsi Landini, (Cuneo: Il Filataio, 2016), 54-69 e Bruna Niccoli, La fiaba in scena: le magie di Emanuele Luzzati, 71-7; Franco Zeffirelli al Castello. Costumi di scena della fondazione Cerratelli a cura di Floridia Benedettini e Diego Fiorini, (Pisa: Pacini Editore 2017), 169-175.↩
Alla professoressa Donata Devoti dell’università di Pisa, oggi scomparsa, va il nostro tributo per aver compreso il potenziale scientifico di questo archivio dell’effimero.↩
Europeana Fashion, http://www.europeanafashion.eu/, ultima consultazione 3 marzo 2018.↩
Europeana Fashion, ad esempio la scheda del costume di Giulietta indossato nella sequenza della festa e realizzato da Danilo Donati per il film Romeo e Giulietta regia di Franco Zeffirelli, vincitore del premio Oscar per i costumi 1969.↩
Niccoli, Ephimera Vestimenta oltre la performance, 22-9.↩
Vittoria Crespi Morbio, Incantesimi. I costumi del Teatro alla Scala dagli anni Trenta a oggi (Milano: Amici della Scala, 2017), 11.↩
Cfr. Bruna Niccoli, Il costume quando la scena è Zeffirelli, 29-37 e Antonella Capitanio, Costumi-arte applicata, 39-51 in Franco Zeffirelli al Castello. Costumi di scena della fondazione Cerratelli.↩
Capitanio, 169-175; cfr. Crespi Morbio, Incantesimi, 90 e ss.↩