ZoneModa Journal. Vol.8 n.1 (2018)
ISSN 2611-0563

Una fonte per la storia della moda italiana: l’Archivio Rosa Genoni

Manuela SoldiUniversità Iuav di Venezia (Italy)

Bachelor of Literature, had a PhD in 2014, working on a dissertation about Italian textile handicraft and fashion in the second half of 1800s, that won Franca Pieroni Bortolotti Award 2015. She is also an archivist, and worked at CSAC in Parma and at Mantua’s Festivaletteratura. Now she joines a fellowship at IUAV to work on Bottega Veneta archive and she teaches Archive management at Accademia SantaGiulia in Brescia.

Pubblicato: 2018-07-24

Abstract

The paper would give information about a first description of Rosa Genoni and Alfredo Podreider (Genoni’s husband) archive carried out between 2015 and 2016 under the supervision of Lombardy Soprintendenza archivistica (regional archive authority) and the State Archive of Milan by Manuela Soldi, who studied Genoni during her doctoral research. In Milan between XIX° and XX° century, Rosa Genoni was a teacher and a tailor famous for her proposal of Italian Fashion during the Milan International Exhibition in 1906, also known for her socialist militancy and pacifist ideas. The work on the archive highlights the bonds between the various fields of Genoni’s activities, showing the complex remaining of a life and a family. The archive is not only a source for fashion studies but also for other branch of knowledge, which needs a comprehensive description to allow its conservation and investigation.

Keywords: Rosa Genoni; Fashion Archives; Fashion History; Archives.

Introduzione

Anni fa ebbi occasione, durante le ricerche effettuate per la stesura della mia tesi di dottorato, di accostarmi per la prima volta all’archivio di Rosa Genoni. Erano già conosciuti e studiati gli abiti donati dagli eredi alla Galleria del costume di Palazzo Pitti.1 Meno nota, forse, la documentazione archivistica, comunque già fonte di alcuni lavori di tesi.2 La Genoni compariva inoltre in numerosi studi in qualità di esponente del socialismo italiano e di attivista per la pace. Mi stupì dunque scoprire che l’archivio non era stato oggetto fino a quel momento di specifici lavori di riordino e digitalizzazione. Recentemente tali carte sono state valorizzate attraverso nuove pubblicazioni,3 mostre – delle quali una è in corso di svolgimento durante la redazione di questo articolo –4 e raccontate a festival ed eventi.5 Un momento cruciale nella loro vicenda si è verificato nel 2016, quando la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia ha concluso il procedimento per la formale dichiarazione di notevole interesse storico del fondo, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. lgs. 42/2004 e successive modifiche e integrazioni). Un atto che, oltre a sottolineare ulteriormente la già riconosciuta importanza della Genoni nella storia della moda e della politica italiana, pone le basi per la preservazione definitiva dell’archivio – pure già oggetto di valorizzazione da parte dei proprietari – dai pericoli della dispersione e dell’oblio. La dichiarazione è stata inoltre occasione, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, di una ricognizione preliminare e della stesura di un elenco di consistenza,6 primo strumento di accesso al nucleo di documentazione, di entità limitata ma di notevole complessità. È di quest’ultima operazione e delle riflessioni ad essa connesse che l’articolo darà conto.

Rosa Genoni tra impegno politico e battaglie per la moda

Prima di delineare le vicende dell’archivio, è bene ricordare brevemente quelle del suo soggetto produttore, con un’attenzione particolare all’attività di quest’ultimo nel campo vestimentario. Rosa Genoni nasce a Tirano (SO) nel 1867, primogenita di una famiglia di umili origini; a lei seguiranno molti fratelli e sorelle. A dieci anni viene affidata dalla famiglia a una zia milanese, per la sartoria della quale lavora in qualità di “piscinina”, frequentando nel frattempo le scuole domenicali. Ormai giovane donna, la Genoni si accosta al socialismo, e diciottenne abbandona l’Italia per la Francia, perfezionandosi poi come sarta tra Parigi, Londra e altre città europee. Tornata a Milano, continua la sua militanza (parteciperà con Anna Maria Mozzoni al Congresso socialista internazionale di Zurigo del 1893) e lavora prima alla sartoria Bellotti, per assumere in seguito la direzione della sartoria della ditta Haardt et Fils, specializzata fino ad allora in biancheria francese. Dal 1905 collabora con la Società Umanitaria di Milano, istituzione filantropica che opera principalmente nell’ambito della formazione professionale. Qui insegna per lo più Storia del costume nell’ambito della Scuola professionale femminile fino al 1933, adottando un programma didattico basato sull’osservazione di opere d’arte che la porterà a utilizzare lo strumento della diapositiva durante le lezioni. Nel 1906 la Genoni propone all’Esposizione internazionale di Milano diversi abiti che possono essere definiti di moda italiana, sia per la provenienza di materie prime e semilavorati sia per l’ispirazione: critica e stampa italiana ed estera danno molto risalto alla vicenda, primo passo di una campagna per la moda italiana che vedrà Rosa protagonista. Nel 1908 la Genoni tiene una relazione sul tema della nascita di una moda nazionale al Primo congresso delle donne italiane, organizzato a Roma da due associazioni femminili da poco istituite, il Consiglio nazionale delle donne italiane e l’Unione delle Donne Italiane. Il suo impegno continuerà negli anni successivi, sia attraverso una serie di articoli pubblicati sulle pagine delle riviste Vita femminile italiana e Vita d’arte, sia attraverso il libro Per una moda italiana (1909), che propone disegni e immagini fotografiche delle toilettes da lei ideate in quegli anni, ispirate per lo più all’arte rinascimentale, medievale e classica, indossate talvolta da esponenti del mondo dello spettacolo e dell’aristocrazia milanese che sostengono la proposta di una moda nazionale. Pur continuando ad occuparsi di moda e costume per esigenze professionali, la sarta milanese, con l’avvicinarsi della guerra, concentra i propri sforzi sulla militanza politica e umanitaria, sposando la causa pacifista. Neutralista convinta, la Genoni fonda la società Pro Umanitate per aiutare i profughi del primo conflitto e prende parte ad altre iniziative. Nel 1915 è la delegata italiana al Congresso WILPF (Women International League for Peace and Freedom - Lega Internazionale di Donne per la Pace e la Libertà) dell’Aja. Dopo la guerra la Genoni porta avanti la sua attività pubblicistica anche in campo politico. Pubblica inoltre il primo volume di un manuale, Storia della moda italiana attraverso i secoli a mezzo dell’immagine (1925) che non troverà seguito nei previsti due tomi successivi: il progetto di storia per immagini da lei tracciata, frutto di un metodo elaborato nei lunghi anni di insegnamento, si arena così senza giungere nemmeno all’età romana. La Genoni si stabilisce poi in Liguria con il marito Alfredo, che morirà nel 1936, e si appassiona alle teorie antroposofiche. Vivrà i suoi ultimi anni al fianco della figlia Fanny, che ne condivide gli interessi relativi al tessile e alle idee di Rudolf Steiner, del quale traduce alcuni scritti. Nel 1928 proprio Fanny darà alle stampe, a partire dalla sua tesi di laurea, il volume Storia dei tessuti d'arte in Italia. Secoli XII-XVIII, prefato da Paolo D’Ancona. Dopo la morte di Rosa sarà lei la depositaria della memoria materna, anche attraverso la conservazione dell’archivio.

Vicende e stato dell’archivio

La ricognizione da me operata tra 2015 e 2016 ha dato modo di indagare anche le vicende archivistiche del fondo,7 che probabilmente durante l’attività di Rosa Genoni è stato per la maggior parte del tempo conservato presso la sua abitazione milanese, in via Kramer 6. Al momento del trasferimento dei coniugi Podreider in Liguria, in una piccola casa in locazione, il nucleo più consistente della documentazione è stato trasferito presso la villa acquistata nel 1922 a Varese (una parte rimarrà in questo luogo fino al 2015). Solo nel 1932 Rosa e Alfredo acquistano una villa a Sanremo, dove certamente viene in seguito radunata almeno la documentazione corrente. Dopo la morte della Genoni, l’archivio entra nella proprietà della figlia Fanny Podreider, sua unica erede, che ne conserva gran parte presso l’abitazione milanese di via Legnano 28. Segue infine la proprietaria quando quest’ultima nel 1973 si trasferisce presso la casa della figlia, Raffaella, che lo conserva tuttora. Dopo la morte della madre, Fanny si prodiga per preservarne la memoria anche in contesti inconsueti, ad esempio prestando gli abiti alla Rai perché comparissero durante la trasmissione Lascia o raddoppia (1958) e cercando più avanti, tra anni Settanta e Ottanta, di donarli a un’istituzione museale, poi individuata nella nascente Galleria del costume di Palazzo Pitti, che accoglie nel suo patrimonio due dei modelli presentati all’Esposizione di Milano 1906 (un manto di corte ispirato al Pisanello e un abito in tulle ricamato ispirato alla Primavera di Botticelli), e un campionario di ricami e merletti raccolto dalla madre. La figlia della Genoni sicuramente interviene sulla documentazione, operando spostamenti e ricomposizioni e raggruppando le carte sulla base delle attività esercitate dalla madre, apponendo segnature ancor oggi riconoscibili: un’azione dalla doppia valenza, che integra alcune informazioni ma esercita un effetto perturbante rispetto all’ordine originario delle carte, rendendo labili alcuni vincoli che le mettevano in relazione e ponendone altri in evidenza.

I contenuti

La ricognizione ha permesso di ripartire virtualmente la documentazione in tre nuclei. Il primo è costituito dalla documentazione prodotta e acquisita nell’ambito delle attività lavorative della Genoni, il secondo nella sfera di quelle politiche e associative, il terzo in quello delle relazioni sociali e familiari. Si tratta soprattutto di carteggi, rassegne stampa, immagini fotografiche e disegni, nonché diversi volumi e opuscoli acquisiti dalla Genoni nel corso delle proprie attività e da considerarsi come parte della sedimentazione archivistica.8

Oggi il fondo si presenta scompaginato, a causa dei traslochi e dei rimaneggiamenti subiti, ma probabilmente anche a causa di successivi interventi da parte della Genoni stessa, che nell’ultima parte della sua vita riprende in mano le carte, aggiunge commenti, riempie quaderni e fogli sparsi di appunti autobiografici forse destinati a un volume che non prenderà mai forma. Un lavoro continuo di riesumazione del passato, di auto-costruzione di una narrazione che, sfumata dalla nebbia del tempo, assume contorni quasi epici.

Al momento della ricognizione non era presente alcuno strumento di ricerca, se si eccettuano alcuni indici redatti per quaderni di appunti, registri di rassegna stampa e per alcuni album miscellanei rilegati da Fanny. Gli appunti della Genoni, in particolare, sono costruiti attraverso una complicata struttura di rimandi che dimostrano ampiamente la coscienza da parte della produttrice della necessità di elaborazione di questi strumenti: del resto l’archivio è per lei, per lungo tempo, uno strumento di lavoro prima che una fonte per la propria auto-memoria, e in quanto tale deve rispondere a criteri di efficienza. Sono in particolare gli appunti relativi alla didattica e alla costruzione del volume Storia della moda – probabilmente la documentazione che ha una gestazione più lunga e complessa tra quella superstite – che si presentano fortemente connessi tra loro grazie a questi rudimentali strumenti. In mancanza di esaustivi strumenti di ricerca, la fruizione del fondo è stata mediata prima da Fanny e poi dalla figlia Raffaella, ad oggi principale depositaria e divulgatrice della memoria dell’antenata, anche attraverso mostre e conferenze.

La ricognizione

Dal punto di vista conservativo la documentazione è per la maggior parte in buone condizioni, sebbene la Genoni usasse spilli e altri arnesi metallici per tenerla insieme, che oggi naturalmente risultano ossidati, e in altri casi sia stata trattata con collanti per farla aderire ai fogli di alcuni registri. La figlia Fanny ha inoltre aggregato con nastri azzurri (rilegatura oggi in stato precario) alcuni documenti e fogli di cartoncino leggero sui quali ne erano stati incollati altri. È possibile quantificare la consistenza dell’archivio nell’ordine di 5-6 metri lineari (parte della documentazione è da conservare però in posizione orizzontale), cifra suscettibile di modifiche una volta che si sarà proceduto alla ricomposizione delle unità archivistiche, il cui numero esatto oggi è difficilmente ipotizzabile. Si è inoltre stimata la consistenza della documentazione all’interno in ogni attuale aggregazione (che si tratti di aggregazioni miscellanee riunite arbitrariamente in passato o di unità archivistiche vere e proprie, la documentazione all’interno delle quali è unita da vincoli logici evidenti), al lordo di copie difficilmente individuabili.

Durante la ricognizione è stato possibile intervenire per un primo condizionamento, allocando la documentazione in cartelle per proteggerla dalla polvere e dalla luce e limitare il pericolo di dispersione delle carte, ma non è stato possibile procedere a un riordino sistematico: le unità di conservazione recavano spesso al loro interno materiale composito non sempre suddiviso in fascicoli, pertanto ogni nuova aggregazione sarebbe risultata arbitraria senza uno studio approfondito. L’intervento in corso rispondeva a esigenze e tempistiche diverse, per lasciare a un secondo momento la stesura di un inventario analitico e il riordino.

Data la situazione attuale delle carte è parso dunque prematuro identificare delle vere e proprie serie archivistiche, sebbene in alcuni casi fosse chiaramente identificabile la pertinenza di certi documenti a una precisa unità archivistica. Ci si è limitati a ricondurre sulla carta le unità riscontrate a una macro-categoria tra le seguenti: Moda, Politica, Famiglia, Varia (attribuita quando la documentazione appariva a un primo esame estremamente eterogenea). Alle attuali unità, quale che fosse la loro natura, è stata attribuita una numerazione progressiva provvisoria per facilitare la gestione e la consultazione del materiale.

Nuovi elementi posti in luce dalla ricognizione

Il principale elemento di novità emerso in seguito alla ricognizione è la presenza di documentazione (ca. 300 unità documentarie) riconducibile ad Alfredo Podreider, avvocato milanese compagno di Rosa Genoni, che le diede la figlia Fanny nel 1903 e ne divenne il marito nel 1928, e alla famiglia di origine di quest’ultimo. In particolare sono stati rinvenuti documenti riguardanti i genitori: la madre Carolina Miccio, sorella di Pasquale e Giuseppe Miccio, titolari di un grande magazzino napoletano, e il padre Francesco, nato a Venezia nel 1823, esule a Parigi dopo aver partecipato alla battaglia di Solferino e San Martino (1849) e in seguito, dopo il ritorno a Milano, dipendente Edison. Di quest’ultimo si conservano anche carte riguardanti le vicende risorgimentali alle quali prese parte. La pertinenza di questi documenti all’archivio Genoni è dovuta al fatto che Rosa è insieme alla figlia Fanny l’unica erede dei Podreider. Gran parte di questi documenti sono stati aggregati in alcuni degli album ai quali si è accennato sopra, che presentano diversi problemi sia per quanto riguarda la conservazione che la disposizione della documentazione, che è stata fissata in vari modi e raggruppata secondo criteri non sempre facilmente intellegibili. La presenza di queste carte può forse, in prima istanza, apparire quale fattore di discontinuità all’interno di un fondo che si è finora ritenuto personale, ma di fatto contribuisce non poco alla ricostruzione del contesto familiare alto borghese del quale la Genoni entra a far parte grazie all’unione con Alfredo Podreider, peraltro osteggiata dalla suocera, che oppone non poche difficoltà e resistenze dovute alla sua estrazione popolare, alla sua condotta emancipata e alla sua fede politica, che pure condivide con il compagno di vita. Anche la figura di quest’ultimo assume maggiore consistenza in qualità di sostenitore appassionato delle attività di Rosa, e probabilmente di finanziatore di alcune delle sue iniziative.

Per quanto riguarda le carte prodotte dalla stessa Genoni, la prima analisi ha in gran parte confermato la presenza di documentazione ascrivibile alle categorie individuate sopra, anche se di alcune attività certamente intraprese dalla Genoni le testimonianze appaiono estremamente labili. Ricca risulta invece la collezione di figurini (oltre 300) che sono risultato di varie collaborazioni di Rosa e presentano, come spesso accade, problemi di conservazione relativi alla presenza di materiali eterogenei: a essi infatti sono talvolta fissati con spilli o spille da balia dei campioni di tessuto.9 Poche, se si eccettuano i figurini, sono invece le carte identificate finora che testimoniano il pluridecennale rapporto di lavoro con la Haardt. Non identificate al momento nemmeno carte relative al precedente rapporto con la sartoria Bellotti.

Particolarmente corposo appare invece il numero di foto e lettere relative ai rapporti intrattenuti da Rosa con i fratelli emigrati in Australia (poco meno di 200 pezzi già identificati), dove sono descritte la loro vita e le loro attività. Sezione dell’archivio che, sebbene contenente di certo dati sensibili da tutelare, potrebbe rivelarsi per storici dell’emigrazione di un certo interesse. Durante la ricognizione è infine emersa, in maniera discontinua perché compresa tra la documentazione più scompaginata, anche qualche testimonianza dell’adesione della Genoni alla dottrina antroposofica, finora meno indagata.

Il risultato concreto della ricognizione è la stesura di un elenco di consistenza, oggi nelle mani degli eredi e della Soprintendenza, che ha stimato la presenza di oltre 100 unità archivistiche provvisorie per un numero di unità documentarie intorno ai 3000 pezzi. Si tratta indubbiamente di uno strumento transitorio, che ha il pregio di fissare l’attuale stato del fondo ma necessita di maggiore approfondimento e va intesa come azione preliminare a un riordino e a un’eventuale e auspicabile digitalizzazione, da far seguire a quella, già intervenuta,10 delle pubblicazioni della Genoni.

Un archivio come fonte per la storia della moda

La varietà di supporti rintracciabili all’interno dell’archivio Genoni permette un approccio alla sua attività nel campo dell’abbigliamento attraverso una pluralità di linguaggi: disegno, fotografia (di testimonial che indossano i suoi abiti ma anche della stessa Genoni e della sua famiglia), scritti.11 Documenti che diventano un complesso omogeneo grazie alla volontà del soggetto di mantenere la propria memoria. L’archivio personale, infatti, non risponde con la sua esistenza a particolari obblighi per quanto riguarda la sua conservazione e il suo ordinamento, ma è il risultato di una volontà di auto-ricordo e appare in quanto tale una rappresentazione unilaterale, fortemente identitaria, del proprio soggetto produttore,12 chiave valida e fondamentale ma non totalmente oggettiva ai fini della ricostruzione del suo operato. In quest’ottica, esso diventa anche strumento per avvicinarsi alla personalità del soggetto: mancanza di cura o viceversa grande attenzione nei confronti di determinati contenuti o documenti suggeriscono in parte anche quali fossero i temi e le attività alle quali esso attribuiva valore. Allo stesso modo possono diventare parlanti le eventuali lacune, qualora si riesca per lo meno a ipotizzarne le cause. L’archivio Genoni è in tal senso ancora più interessante se si considera che l’attivista milanese è probabilmente tra le prime in Italia a personalizzare fortemente la propria produzione, presentandosi con il proprio nome al pubblico,13 specie quando presenta i propri modelli “in stile” e ne perora l’utilità e la novità, ponendosi obiettivi che si discostano dalla strategia commerciale della Haardt.

Prima di individuare nell’archivio le principali testimonianze utili agli studiosi di moda, è necessario premettere che esso non si può considerare unicamente una fonte per la storia della moda: sarebbe certamente riduttivo. Se infatti per statuto un documento archivistico si contraddistingue per una pluralità semantica, tale caratteristica risulta amplificata nell’archivio di persona in particolare, in quanto sedimentazione dell’attività di un singolo che spesso porta avanti interessi molto diversi tra loro. I campi d’azione di Rosa Genoni sono molteplici e interconnessi e per leggere e interpretare adeguatamente ciò che resta delle sue attività sono necessarie diverse competenze, non solo quella dello studioso di moda. Ad esempio, per comprenderne a pieno la portata a documentazione relativa al rapporto con i fratelli emigrati in Australia potrebbero giovare conoscenze preliminari di storia dell’emigrazione italiana e di storia dell’agricoltura, dato che essi probabilmente tentarono la via della biodinamica nel nuovissimo continente, come la stessa Genoni in Italia dopo il trasferimento in Liguria.

Per quanto riguarda il nucleo di documentazione pertinente all’attività della Genoni nel campo della moda, possiamo per prima cosa considerarlo in un discorso più ampio, che coinvolge ogni archivio di moda nel quale sono presenti testimonianze delle fasi preparatorie dei prodotti. In questi casi la sedimentazione archivistica diventa cristallizzazione di un percorso creativo che, se interrogata con gli strumenti adatti, può restituire lo svolgersi di un processo intellettuale. Interessante da questo punto di vista il confronto tra i figurini (non tutti ascrivibili alla mano della Genoni, che certamente si rivolgeva a disegnatori e che per individuare nuovi talenti organizza anche un concorso in collaborazione con la rivista Vita d’arte)14 e le immagini fotografiche dei modelli finiti, partendo dall’assunto che in un atelier sartoriale come quello diretto da Rosa difficilmente il disegno registrava una fase del lavoro avanzata, ma costituiva piuttosto il punto di partenza di un percorso che si determinava anche in base alle esigenze e alle aspettative fisiche, estetiche e sociali della cliente. Un confronto non restituisce solo un’interpretazione dello stesso abito attraverso due linguaggi molto diversi. Da un lato i disegni restituiscono informazioni tecniche e dall’altro le fotografie inseriscono il modello concretamente realizzato in un ambiente (solitamente si tratta di ricostruzioni in studio), ma permettono anche di cogliere le novità intervenute in fase di realizzazione e di attribuire nuovi significati alla stilizzazione operata dal tratto grafico, che talvolta può apparirci ingenua, ma semplicemente, oggi, non è più in grado di restituire informazioni relative al capo che probabilmente venivano mediate oralmente attraverso il confronto diretto tra cliente e première.

Dall’esame delle carte affiora anche il lavorio intellettuale sotteso all’attività didattica di Rosa, ventotto lunghi anni di insegnamento presso l’Umanitaria di Milano, per lo più in qualità docente di storia del costume. La Genoni nei suoi scritti dedica spazio al tema della formazione delle artefici e dei disegnatori, sottolineando l’importanza dello studio degli stili e degli oggetti del passato e lamentando la mancanza nei musei italiani di collezioni tessili storiche accessibili per studenti e addetti ai lavori.15 Questa ricerca di ispirazione nel passato non è solo invocata nei suoi articoli, ma emerge chiaramente dai suoi appunti che dimostrano uno studio puntuale di repertori, cataloghi e testi, ma anche visite in prima persona ai musei per l’osservazione diretta delle opere d’arte. Appunti dunque che ci portano a conoscenza delle fonti alla base delle sue ricerche sul costume, spesso ma non sempre esplicitamente dichiarate in occasione della pubblicazione dei modelli,16 meno note forse per quanto riguarda l’apparato iconografico del quale si avvale durante il suo insegnamento. Esse denotano la radicata appartenenza di Rosa, come insegnante e come designer (sebbene forse sarebbe più corretto definirla, con un termine da lei usato correntemente, “artefice di moda”)17 a una temperie culturale che pone al centro la riflessione sugli stili storici andata consolidandosi a livello internazionale nel corso dell’Ottocento, che in Italia trova ancora piena espressione negli anni Venti, quando si diffondono da un lato un concetto di decorativismo “moderno” e dall’altro istanze razionaliste che circoscrivono il fenomeno del revival.18

Un altro elemento da tenere in considerazione guardando a questo fondo è che nella maggior parte dei casi si tende a collocare gli archivi di moda nel dominio degli archivi d’impresa.19 Basta scorrere l’elenco dei soggetti aderenti al portale Archivi della Moda del Novecento per ricordarci che non sempre tale identificazione è possibile. Testimonianze relative alla moda sono in realtà a disposizione anche all’interno di molti archivi personali, che si tratti di promotori di iniziative particolari o di singoli designer di moda, i quali però, in molti casi, hanno prima o poi esercitato autonomamente la loro professione, magari dando vita a un proprio marchio. Genoni vive invece la sua avventura quando la moda italiana non era ancora una realtà consolidata e dunque non si mette mai “in proprio”, pertanto non c’è da stupirsi che, ad esempio, le carte da lei conservate relative alla sua attività di première siano poche. Probabilmente la gran parte della documentazione che riguardava questa sua attività si trovava presso la Haardt e là è rimasta dopo le sue dimissioni. A testimoniare la sua attività presso la casa di mode milanese è soprattutto un folto gruppo di figurini che recano impresso il timbro della ditta, a differenza di un altro nucleo di disegni con varia finalità che ne risulta privo. Sarebbe semplicistico ricondurre i due nuclei di figurini – con e senza timbro – a due diversi ambiti dell’attività di Genoni, quella di première di una casa di mode dedita soprattutto all’imitazione dei figurini francesi, che non a caso non vuole essere menzionata direttamente in relazione alla proposta di moda italiana presentata all’Esposizione del 1906, e quella più personale che vede Rosa al centro di questa campagna. La realtà è probabilmente assai più sfumata: tra i figurini timbrati infatti ritroviamo disegni di abiti “in stile” molto simili a quelli che verranno pubblicati nel volume Per una moda italiana (1909) e nella rubrica dedicata al tema su Vita d’arte, e gli stessi inviti della Haardt ricordano in calce che, per chi volesse, la Genoni è disposta a firmare modelli originali e italiani. Elementi che dimostrano come la Haardt, pur non volendosi accollare il rischio d’impresa relativo all’Esposizione del 1906, cavalchi il successo dell’iniziativa posta in essere dalla Genoni, che godeva probabilmente di una certa libertà d’azione. È tuttavia la battaglia per la moda italiana, proprio perché condotta in prima persona, a essere testimoniata con maggiore dovizia di documentazione: una ricchissima rassegna stampa, i materiali iconografici realizzati in occasione degli articoli per Vita d’arte e Per una moda italiana, quelli relativi alla partecipazione all’Esposizione del 1906 e al Congresso delle Donne italiane del 1908. Ma nell’ottica della promiscuità tra imitazione imposta e originalità perseguita e desiderata, particolarmente interessante è notare che gli interlocutori – o meglio, più spesso, le interlocutrici – in entrambi i casi sono spesso i medesimi, che si tratti di fornitori o di clienti. È del resto la Genoni stessa che, in un’intervista, confessa pubblicamente – non sappiamo con quale grado di sincerità e con quali reazioni da parte dei titolari della Haardt – che talvolta i modelli “francesi” confezionati da lei, ma anche da sue colleghe per le clienti più esigenti, sono in realtà frutto di un’italianissima creatività che non può dichiararsi esplicitamente.20

In conclusione

Per il suo particolare statuto, l’archivio di Rosa Genoni più che fornire risposte, suscita nuove domande. Oggi è un fondo dichiarato di notevole interesse culturale, quasi un riconoscimento tardivo all’operato della produttrice che nell’ultima fase della sua vita, probabilmente anche a causa delle sue idee socialiste, vede alcune istanze delle quali era stata riconosciuta una pioniera fatte proprie dal regime fascista senza che il suo nome fosse ricordato, e non ha la possibilità di portare a termine la pubblicazione della sua Storia della moda, ideale conclusione di un lungo percorso di insegnamento.

Un fondo che racchiude al suo interno fonti che ci raccontano un lontano momento a cavallo tra Ottocento e Novecento, nel quale da più parti si levano voci a favore di una moda italiana. In quello scenario Rosa emerge avanzando una proposta concreta sotto forma di modelli esibiti dalle sue clienti. Essa rimane però un esperimento, non potendo né contare su un esteso favore di pubblico né sulla volontà degli operatori del periodo di allargare questo possibile mercato. Una proposta tangibile e futuribile che si accende di velleità nazionalistiche e cerca la sua legittimazione nelle manifestazioni artistiche che nel passato hanno conferito prestigio alla Penisola. Essa appare dunque piena espressione del periodo nel quale è formulata, quando la giovane nazione italiana era alla ricerca di basi culturali definite, sulle quali impostare il proprio prestigio e la propria identità. Una testimonianza dunque relativa a strategie politiche ed economiche, non solo a orientamenti formali, che, soprattutto, avrebbe l’ambizione di essere condivisa a livello nazionale e non riguarda il singolo percorso professionale della Genoni.

L’archivio, quindi, di un’operatrice di moda che risulta eccentrica rispetto al periodo nel quale si colloca poiché non si rassegna all’egemonia francese, che firma modelli propri pur esercitando la propria professionalità in una maison dedita per lo più alla copia dei figurini d’oltralpe. Si nota nella sedimentazione archivistica la dicotomia tra la realtà vissuta ogni giorno da Rosa e l’utopia di costruire un brand Italia che costruisca il proprio successo a partire dall’immenso heritage storico-artistico e folcloristico della penisola, dove il designer sembra interpretare principalmente il ruolo del mediatore: tra passato e presente, tra opera d’arte e abito a essa ispirato. Quanto questa visione ha trovato spazio nell’evoluzione futura della moda – e della cultura – italiana? Quanto le testimonianze relative ad essa hanno da dire a chi si occupa di moda oggi: alle aziende, alle istituzioni, ai designer? Ma soprattutto, qual è il legame tra quell’episodio storico, quegli atteggiamenti e il sistema che si è sviluppato successivamente? Studiare e valorizzare questo archivio, riscoprire quelli ai quali esso è collegato da invisibili fili, ma prima di tutto renderlo accessibile grazie a dettagliati strumenti di ricerca, è il primo passo per tentare di fornire adeguate risposte a queste domande.

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Soldi, Manuela. “Mani italiane. Lavorazioni tessili e industrie artistiche in Italia 1861-1911”. PhD diss., Università degli Studi di Parma, 2014.

Vaccari, Alessandra. La moda nei discorsi dei fashion designer. Bologna: CLUEB, 2012.


  1. Aurora Fiorentini, “L’ornamento di ‘pura arte italiana’: la moda di Rosa Genoni”, in Abiti in festa. L’ornamento e la sartoria italiana, a cura di Roberta Orsi Landini (Livorno: Sillabe, 1996), 41-59, catalogo della mostra; Aurora Fiorentini, “Rosa Genoni”, in Donne protagoniste nel Novecento/Women in the Spotlight in the Twentieth Century, a cura di Caterina Chiarelli (Livorno: Sillabe, 2013), catalogo della mostra. Sulla collezione di tessili si veda anche il recente Elisa Masiero, “Bellezza, armonia e tecnica nella moda”italiana" di Rosa Genoni", in Tra arte e moda, a cura di M. L. Frisa, E. Morini, S. Ricci, A. Salvadori (Firenze: Mandragora, 2016) catalogo della mostra, 49-55.

  2. Tatiana Vannucci, “Rosa Genoni: alle origini della moda italiana” (Tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, 2003/04); Tatiana Vannucci, “Istruzione professionale e questione femminile nel regno d’Italia dal 1860 al 1920: l’esperienza di Rosa Genoni alla Società Umanitaria di Milano” (Tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, 2009/2011); e infine Manuela Soldi, “Mani italiane. Lavorazioni tessili e industrie artistiche in Italia 1861-1911”, (PhD. diss. Università degli Studi di Parma, 2014), 333-68.

  3. Eugenia Paulicelli, Rosa Genoni. La Moda è una Cosa Seria. Milano Expo e la Grande Guerra/Fashion is a serious business (Milano: Deleyva, 2017).

  4. Rosa Genoni (1876-1954): una donna alla conquista del '900. Per la moda, l’insegnamento, la pace, l’emancipazione, Archivio di Stato di Milano (12 gennaio-13 marzo 2018).

  5. Tra le numerose testimonianze orali della nipote Raffaella Podreider, si veda quella resa a M. Soldi, in Archivio Festivaletteratura, Sezione audio, A PROPOSITO DI ROSA GENONI, Testimoni d'archivio, n. 2014_09_04_036, disponibile online all’indirizzo: http://archivio.festivaletteratura.it/flm-web/audio/detail/IT-FLM-AV0001-0001325/a-proposito-rosa-genoni-testimoni-d-archivio-n-2014-09-04-036.

  6. Fondamentale in questo frangente è stato l’apporto dell’Archivio di Stato di Milano e dell’allora direttrice, dott.ssa Daniela Ferrari.

  7. Da Raffaella Podreider, figlia di Fanny, in seguito a numerosi colloqui e sopralluoghi, sono state raccolte molte delle informazioni relative alla trasmissione e alla conservazione della documentazione.

  8. Anna Manfron, “Biblioteca e archivio di persona: da fondo speciale a complesso documentario”, in Archivi di persona del Novecento. Guida alla sopravvivenza di autori, documenti e addetti ai lavori, a cura di Francesca Ghersetti e Loretta Paro, (Treviso: Fondazione Benetton Studi Ricerche - Fondazione Giuseppe Mazzotti per la civiltà veneta - Antiga Edizioni, 2012).

  9. In assenza di convincenti alternative, ad oggi si è ritenuto che le parti metalliche che uniscono il figurino ai campioni non dovessero essere rimosse.

  10. Il progetto, operativo dalla primavera del 2017, è stato reso possibile dalla collaborazione tra Raffaella Podreider, nipote e presidente dell’Associazione Amici Rosa Genoni, la Biblioteca Centrale del Campus di Rimini e AlmaDL, la Biblioteca Digitale d’Ateneo dell’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna e la Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini; le opere digitalizzate sono consultabili al seguente indirizzo: http://amshistorica.unibo.it/rosagenoni.

  11. Sulla pluralità di linguaggi che interessano la moda in relazione alla conservazione degli archivi si veda Arturo Carlo Quintavalle, Archivio della moda, in Brunetta. Moda critica storia (Parma: CSAC dell’Università di Parma - Comune di Parma, 1981), VII-XII.

  12. Il concetto del rispecchiamento del soggetto produttore nel proprio archivio è questione dibattuta da lungo tempo nell’ambito dell’archivistica e della storia delle istituzioni. Ad esso l’archivista e storico Claudio Pavone ha dedicato un notissimo scritto, che racchiude alcune considerazioni e domande valide anche nel caso in cui il soggetto produttore non sia un ente strutturato ma una singola persona, avulsa da obblighi giuridici e amministrativi nei confronti della tenuta e dell’ordinamento delle proprie carte. Claudio Pavone, “Ma è poi tanto pacifico che l'archivio rispecchi l'istituto?”, in Rassegna degli Archivi di Stato XXX, no. 1(1970); 145-49.

  13. Alessandra Vaccari non a caso la identifica già come “fashion designer” in La moda nei discorsi dei fashion designer (Bologna: CLUEB, 2012),76.

  14. Si veda in proposito Manuela Soldi, “Il disegno della moda italiana prima della moda italiana”, in Fare ricerca in design. Forum nazionale dei dottorati di ricerca in design: seconda edizione, a cura di Raimondi Riccini (Padova: Il Poligrafo, 2016), 236-41.

  15. Rosa Genoni, “Cronache del costume. Nel libro d’oro della Moda Italiana”, Vita d’arte vol. 33 (settembre 1910); 121-24.

  16. Si pensi ad esempio all’apparato iconografico di Per una moda italiana e degli articoli pubblicati su Vita d’arte, nelle didascalie dei quali molto spesso sono citati puntualmente l’artista e/o la singola opera d’arte dai quali l’abito prende spunto.

  17. Ad es. in Rosa Genoni, Per una moda italiana. Relazione al 1° Congresso nazionale delle donne italiane in Roma (sezione letteratura ed arte) (Milano: Balzaretti, 1908), 21.

  18. Indagano esaurientemente i mutamenti intercorsi tra anni Venti e Trenta in Italia Mario Lupano e Alessandra Vaccari in Una giornata moderna. Moda e stili nell’Italia fascista (Bologna: Damiani, 2009).

  19. Tra i contributi che ne trattano in questi termini ricordiamo ad esempio: D. Tamblé, Intervento in Gli archivi raccontano la moda: testimonianze, immagini e suggestioni, giornata di studi: http://moda.san.beniculturali.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/07/Tamble2.pdf; Giovanni Luigi Fontana, “Archivi di prodotto e archivi della moda: questioni ed esperienze”, in Moda. Storia e storie, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, Giorgio Riello, Elisa Tosi Brandi (Milano: Bruno Mondadori, 2010) 234-46; Alessandra Arezi Boza, “Gli archivi delle imprese di moda: conservare e valorizzare la creatività” in L’impresa dell’archivio. Organizzazione, gestione e conservazione dell’archivio d’impresa, a cura di Roberto Baglioni, Fabio Del Giudice (Firenze: Polistampa, 2012), 145-58.

  20. Paola Lombroso, “Un’intervista a Rosa Genoni. Una sarta artista”, Il Piccolo della sera, 5 dicembre 1906.