Introduzione
Nello scenario musicale che prende forma a partire dagli anni ‘80, il caso dei Sonic Youth rappresenta un prototipo di celebrità piuttosto singolare. Infatti, se dovessimo commisurare il grado di popolarità della band in base al numero di dischi venduti nel corso della carriera o per qualche eccesso scandalistico, ne emergerebbe un rapporto superficiale e lontano dalla complessità che contraddistingue loro. È pur vero che gli album dei Sonic Youth non raggiungono i numeri di Nevermind, che le produzioni non prendono forma per compiacere platee di massa; allo stesso tempo è innegabile l’aurea di autorevolezza che li circonda in termini di progetto, tecnica e visione, ampiamente riconosciuta anche all’esterno. Un aspetto che erige loro a modello – fermo ma inimitabile – per i colleghi, nonché ad icone di stile per il pubblico. Un dettaglio che non sfugge neanche alle case discografiche, coscienti del potere attrattivo dei Sonic Youth per altri gruppi. Alcuni dei quali, inoltre, si rivelano ben presto ottimi investimenti per le labels, come il trio Kurt Cobain, Krist Novoselic e Dave Grohl o i Dinosaur Jr., originariamente band di supporto dei Sonic Youth. C’è da aggiungere che per le formazioni più giovani, in primis i Nirvana, i coniugi Gordon-Moore incarnano una sorta di surrogato parentale: di “genitori” ultra cool, come li definisce Jerry Thackray.1 Anche la stampa di settore, agli albori della decade ’90, titola la coppia come i nonni del grunge; oltre che come una delle facce più accreditate e rappresentative della musica di metà anni ’80, made in New York. Una band nata nei circuiti alternativi ma che riesce ad effettuare l’ambito passaggio dall’underground al mainstream, pur mantenendo una certa coerenza interna.
La questione della notorietà è un argomento su cui i membri dei Sonic Youth tornano ad esprimersi più volte, attraverso dichiarazioni e produzioni. Su una colonna del «New York Magazine», ad esempio, è la stessa Kim Gordon ad affrontare l’argomento del loro stato di (non) celebrità, ricordando di quando lei e il marito non vennero menzionati tra le personalità che affollavano gli spalti per assistere alla partita dei Knick: “Thurston and I went to the Knick’s play off game […]. They were, you know, naming off all the celebrities who were there – John McEnroe, Brooke Shields, Tony Bennett, Ethan Hawke, Spike Lee…but no Kim and Thurston”.2 Sono parole che la bassista riferisce nel corso di una intervista per promuovere Experimental Jet Set, Trash No Star, appena pubblicato. Un prodotto che non avrebbe ottenuto alcun disco di platino, come profetizza la stessa band, men che meno d’oro; ma che in futuro avrebbe dato alla loro bambina denti d’argento,3 come commenta ironicamente Gordon.
Pertanto, data la particolarità dello statuto dei Sonic Youth, che cosa significa celebrità nel loro vocabolario? Come e quando la band si inserisce nella dimensione narrativa di New York? Quanto (e se) l’ingresso nel mainstream modifica la “politica” e l’estetica del gruppo? Sono alcune delle domande che questo studio si propone di analizzare, prendendo in esame la storia dal 1981, anno di formazione, al 1994: anno di Experimental Jet Set, Trash No Star, che riporta il gruppo a quell’etica punk DIY (Do-It-Yourself) che li denota sin dagli esordi. Non si tratta di una ricerca sulla discografia, per cui si rimanda alle pubblicazioni sull’argomento; ma di uno spaccato della lunghissima carriera della band, tracciando quei punti salienti che li hanno resi i Sonic Youth.
Starpower/Mediapower
Se nell’uso quotidiano il termine celebrità viene attribuito ad una persona conosciuta socialmente, in realtà si tratta di un campo di ricerca più complesso e multidisciplinare, che pone le sue basi nelle trattazioni di Max Weber (1948) e di Charles Wright Mills. Quest’ultimo definisce la celebrità di professione come una vittoria della società capitalistica: un feticcio della competizione americana.4
Il concetto di celebrità chiama in causa la definizione di fama, in passato ascrivibile al carisma di un individuo, dal greco χάρισμα, inteso come grazia o dono divino. In età moderna, il carisma viene considerato in relazione alla condizione sociale di un individuo, come suggerisce Weber. Nella fattispecie si tratta di una particolare qualità che appartiene solo ad un certo tipo di persone e che permette loro di elevarsi rispetto alla popolazione ordinaria.5 Se in un primo momento questa formula si riferisce esclusivamente ai personaggi della storia, ai cosiddetti “eroi”; successivamente, si estende a connotare persone popolari in ogni campo.
Negli ultimi cinquant’anni il dibattito sul significato di celebrità si è sviluppato più intensamente, grazie ai contributi dei Daniel Boorstin (1961) e alla sua nota espressione: “he or she is well known for his (or her) well knownness”.6 Alla tautologia dello storico americano seguono gli studi del sociologo italiano Francesco Alberoni (1972); e, con ancora maggiore sistematicità, le ricerche di area francese inaugurate da Edgar Morin (1972[1957]) e Richard Dyer, che considera la celebrità come un’area di negoziazione tra il pubblico i media e la celebrità stessa;7 e le proposte di P. David Marshall (1997) e Graeme Turner (2004), solo per citarne alcuni.
Il termine celebrità contempla una sfera di attribuzioni piuttosto ampia, non strettamente definita e non necessariamente connotata in termini positivi. La definizione di star, invece, si applica generalmente all’attitudine e al talento di un certo personaggio che si distingue in ambito culturale o sportivo; in particolar modo, in ambito musicale si usa il termine icona/icona pop. Ad ogni modo, la maggior parte degli studiosi concordano nel dare ai media un ruolo di primo piano nel decretare lo status di popolarità di un individuo.
Seguendo Marshall: “celebrity can be thought of as the general and encompassing term, whereas concepts of hero, star, and leader are more specific categories of the public individual that relate to specific functions in the public sphere”.8 In linea con il ragionamento dello studioso, la celebrità può essere raggiunta anche attraverso rapporti familiari, apparizioni su stampa, TV, senza una qualità ben definita; nonché attraversano azioni negative che trovano cassa di risonanza nei mezzi di comunicazione. Detta attraverso la definizione di Giles: “The brutal reality of the modern age is that all famous people are treated like celebrities by the mass media, whether they be a great political figure, a worthy campaigner, an artist ‘touched by genius’, a serial killer, or Maureen of Driving School”.9
Il caso americano di Charles Manson può essere indicativo in questo senso. Al di là della sua ossessione di diventare una celebrità nel campo della musica, legato alla cultura rock’n’roll;10 egli è noto per avere compiuto una serie di crimini brutali, che culminano con l’uccisone dell’attrice Sharon Tate (incinta), moglie di Roman Polanski, e dei suoi ospiti nella villa di Hollywood. Un “mito”, quello di Manson, che attraversa varie generazioni ed è stato oggetto di diverse letture, non ultima la serie TV Aquarius. Come altre band, gli stessi Sonic Youth rievocano la storia del criminale e della sua comunità attraverso Death Valley ’69.
Kim Gordon, in uno dei suoi articoli per «Artforum», trattando alcuni aspetti della cultura popolare statunitense degli anni ’60, dei suoi stereotipi e dei suo modelli, cita il caso dell’uomo come una delle storie a tinte fosche dell’America:
On the level of popular culture there were such events as the mysterious death of Brian Jones and the Rolling Stone tour that culminated with the deaths at Altamont. And then there was Charles Manson and “the Family”. Many people who didn’t die in the upheavals of those years remain as casualties of the ’60s, maimed either by drugs or the Vietnam War.11
Se Andy Warhol, da un lato, è capace di trasformare qualsiasi corpo o oggetto in una immagine pop e replicabile all’infinito; dall’altra parte, come osserva Gordon, egli non avrebbe mai realizzato una serigrafia di Manson, poiché i suoi ritratti concernono gli eroi, gli eroi/vittime, come Marilyn Monroe. Il profilo dell’uomo in questione è “too articulate, too much a twister of language, too effective, to be put up as an emblem of American culture”.12 Manson, inoltre, è uno di quei personaggi che richiama alla memoria il concetto di mitopoiesi,13 costruendo attorno a sé un alone leggendario che perdura da decenni: una dimensione narrativa personale, avvalorata e condita dai circuiti mediatici, che a tutt’oggi trova riscontro nella letteratura e nei format televisivi.
Riportando il discorso in termini generali, è abbastanza comune leggere la celebrità attraverso i fattori che la legano alla creazione di una vera e propria filiera industriale del settore. Riprendendo echi di provenienza marxista sull’industria culturale, gli scritti di Adorno e di Horkheimer (1989), la celebrità può essere venduta come un prodotto che va prima confezionato, messo sul mercato e poi consumato, strutturando le strategie di marketing in accordo con il giudizio del pubblico, che ne testa l’autenticità. Rispetto al rapporto con il fruitore, è pur vero che le industrie possono fabbricare celebrità e metterle sugli scaffali (cioè i media) alla mercé del consumatore; ma è proprio costui a scegliere il “prodotto”, decretandone il successo o l’insuccesso, i tempi di avvio e di durata.14
Dal canto suo, Turner sostiene che dietro il concetto di celebrità si cela una logica sillogistica per cui è tale perché interessa al pubblico; se quest’ultimo è interessato ad una data persona, è una celebrità; dunque chiunque sia interessato ad un pubblico è una celebrità.15 Inoltre, il momento esatto in cui una figura diventa celebre coincide con uno spostamento della macchina mediatica dal focalizzarsi sul ruolo pubblico, al passare in rassegna ogni dettaglio della vita privata di una star.16
In merito al rapporto con il “consumatore”, è utile rivedere l’analisi preliminare proposta da Gordon alle performance di Glenn Branca; al cortocircuito che avviene tra artista e palcoscenico, artista e pubblico, nonché la scossa emotiva tra quest’ultimo e il suo eroe/eroina. Ancora in qualità di critica su «Artforum», la bassista osserva che:
When you’re actually on the stage after dealing with the ‘rock’n’roll bullshit’, […] you forget about everything else in the world. You forget how much the pay is and that you’re not really playing for enthusiastic kids but for bored young adults – and it becomes a challenge to try to move them, blow their brains out, put some edge into the atmosphere by using what is now a technologically primitive social tool, the electric guitar.17
Anche se il club funge da mediatore, cioè che accade durante l’atto non è prevedibile a priori. Seguendo ancora le parole di Gordon:
As a performer you sacrifice yourself, you go through the motions and emotions of sexuality for all the people who pay to see it, to believe that exists. […] Performers appear to be submitting to the audience, but in the process they gain control of the audience’s emotions. They begin to dominate the situation through the awe inspired by their total submission to it.18
Secondo l’autrice, colei che incarna la nozione di avanguardia emergente e insieme di cultura popolare (intesa come tecnologia multimediale) è Laurie Anderson, in grado di mettere in atto un eroismo e una sessualità diversi dalla figura rock’n’roll. Creando semplici movimenti, Anderson manipola impercettibilmente il pubblico. Al contrario, personaggi come Elvis Presley, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, sono vittime del loro “eroismo”, nel senso che forgiano la musica facendo leva sul proprio ego; in alcuni casi dando adito all’immagine creata dai media, utilizzandola in un certo senso contro sé stessi. A questo stato di cose concorre anche il ruolo del pubblico, che paga per vedere questa forma di distruzione, diventandone complice.
Glenn Branca si inserisce in quella tradizione ma riesce a trasformare lo stato malvagio, erotico del rock in una condizione primitiva: in una forma di resistenza. Come sottolinea Gordon: “Rock’n’roll as a big business produce own heroes through the record industry much the way movie studios created a star system. […] For Branca the art world offers a certain independence to pursue his work, although even within the art world the media play as important a role as they do in the commercial world”.19
In termini più ampi, nel campo della musica è più opportuno parlare di icona, in quanto si tratta di figure emblematiche di un’epoca, soprattutto di un genere e di un certo contesto musicale. In questo senso, l’icona viene associata al bagaglio visivo che la contraddistingue nell’immaginario popolare e che finisce per inquadrare un determinato arco cronologico e un proprio campo d’azione. Nel caso dei musicisti c’è da aggiungere che, oltre all’impatto estetico, vale anche il contributo culturale dato dal testo di una canzone, dall’album, dalla facoltà interpretativa; dunque dalla capacità di sapere intrattenere. Tutti questi aspetti si possono riassumere nella definizione di identità, indispensabile per marcare la differenza con altri colleghi, produrre qualcosa di estremamente rivoluzionario ma – al contempo – di riconoscibile.20
Lo statuto identitario ha a che fare con la coerenza che un artista è in grado di mantenere nel corso della carriera; che il pubblico, con il quale egli stipula una forma particolare di “contratto”, riconosce lui. Paul Ricoeur, nel definire la costruzione di un’identità narrativa, evidenzia come questa si basi sull’identità personale, sulla facoltà di essere sempre uguali a sé stessi, dunque identificabili immediatamente; e sul principio di ipseità. La coscienza della propria dimensione si basa su due figure tipologiche: il carattere e il mantenimento della parola, che concorrono a definire una identità pubblica, insieme e all’identità visiva (l’aspetto esteriore e quello del contenuto), e l’identità mediale, ovvero le scelte comunicative operate.21
Nelle pagine seguenti si proverà a fare emergere alcuni di questi aspetti, che ricorrono nella costruzione identitaria dei Sonic Youth: una forte caratterizzazione personale, abilità tecniche, la capacità di innovare, ma al tempo stesso di mantenere una propria logica interna; la scelta di comunicare, anche nell’ambito mainstream, secondo modalità coerenti con la propria estetica “dirty” e DIY. Se queste sono le basi su cui i Sonic Youth costruiscono la loro notorietà, la qualità delle competenze diverse eleva loro ad un grado di autorevolezza tale che: “The word of Thurston was law, in the same way that, to a lesser extent, John Peel’s word was law. Thurston said Mudhoney were cool, so Mudhoney were cool. It was simple. Courtney had been bangering Sup Pop to sign her, and they said, you’ve got be kidding. And then Thurston called up and said, I think Hole are pretty cool, and next thing you know Sup Pop’s putting out their single”.22
C’è un altro aspetto che concorre con buona probabilità alla loro lunga carriera: la curiosità, l’aggiornamento, la capacità di creare connessioni, l’altruismo nell’accogliere e spingere giovani band, trattandole alla pari. Questo approccio permette loro di rigenerare il proprio range di pubblico, da un lato; e di spingere continuamente la leva sui processi d’innovazione e sperimentazione, dall’altro.
It’s happened right there in the middle of New York City
La storia dei Sonic Youth è una storia tutta newyorkese. In realtà né Kim Gordon, né Thurston Moore, né Lee Renaldo, né tanto meno Steve Shelley,23 nascono nella City. Ciascuno dei componenti del gruppo, in maniera indipendente e in cerca di una propria ragion d’essere, ne sente la fascinazione e sceglie di abbandonare i rispettivi luoghi di provenienza per stabilirsi a New York.
Come ricorda Moore: “I moved to New York early ’77. I had planned it for the last couple of years; I fantasised about it constantly. My fantasies were fueled by the progressive development of punk. It was David Johansen to Patti Smith to John Cale to the Ramones to The Dictators to Punk magazine to New York Rocker to Rock Scene to St. Mark’s Place to Bleeker Bob’s to Manic Panic to Gem Spa to Max’s to CBGB”.24 Queste parole non solo forniscono alcune informazioni autobiografiche, ma mettono in fila una serie di nomi e un certo substrato culturale dell’epoca entro cui egli decide di muovere i primi passi. Una cornice che anche i restanti membri del gruppo, ancora sconosciuti gli uni agli altri, iniziano ad intravvedere distintamente.
Alla fine degli anni ’70 New York è una città fatiscente e pericolosa. Di giorno Wall Street brulica di uomini d’affari, ma di notte si trasforma in una sorta paesaggio post-apocalittico: insidioso, sporco e maleodorante. Chelsea è ancora territorio di nessuno, il Lower East Side è un crogiuolo di comunità diverse, un luogo di confine: selvaggio e sfrenato. Al contempo è una città in fermento, con spazi gravidi di opportunità e connessioni: facile ad idolatrare ed altrettanto rapida a divorare. New York è un travaso di culture, un territorio di ibridazioni, ma anche di scontri violenti, di profondi ed estremi contrasti: successo vs. fallimento, ricchezza vs. povertà, vita vs. sopravvivenza.
Nel 1977 il Punk è finito, ma le sue ceneri vengono raccolte, selezionate e rimescolate con altre culture per dare vita ad una forma d’avanguardia, poi ribattezzata Post-Punk: una parabola lunga dal 1978 al 1984.25 Sulla scena si affacciano i Talking Heads, i Contorsions, Glenn Branca, solo per citarne alcuni, impegnati a portare avanti quella forma di rivoluzione ingaggiata e mai conclusa del Punk, rivisitandola attraverso sonorità nuove ed eclettiche.26 Alla visione oscura dei movimenti hardcore, i suoi successori contrappongono la vita reale e il senso dell’urgenza, per dare fiato a quella volontà – precedentemente oscurata – di credere in un qualche futuro.27
In altre parole è la stagione della No Wave americana, fatta da musicisti ma più spesso da figure prestate alla musica. I principali animatori della scena provengono dalle scuole di arte e design, caldeggiano le avanguardie storiche: il Dadaismo, soprattutto. Si immergono nelle letture fantascientifiche e torbide di Burroughs e Ballard, perseguono le visioni ossessive di Dick. Essi cambiano le soluzioni, rimodulano le strutture, aprono i parametri ortodossi del rock agli orizzonti dell’America nera, della Giamaica, ma anche dell’Europa. Tecnicamente il punto di osservazione diventa il retaggio minimalista portato avanti dai Velvet Underground, ma ad emergere prepotentemente è l’aura glamour che circonda David Bowie su tutti. Costui è tra i fautori del distacco dal rock americano e tra i primi a seguire le rotte europee, con a capo i Kraftwerk e i Neu!. Emergono nuovi tipi di sonorità, dai potenti lamenti dei Teenage Jesus, al trash funk con reminiscenze Jazz dei Contortions, ai ritmi disturbati dei DNA.
Le produzioni smettono di regolarsi su basi canoniche, per cui al suono asettico dello studio di registrazione si preferisce il piccolo club, con volumi assordanti, suoni sporchi e distorti. L’obiettivo principale diventa vivere l’esperienza, infrangere le barriere fisiche e mentali tra artista e pubblico. I concerti di James Chance, ad esempio, incarnano i nuovi sentori e diventano popolari proprio per le azioni muscolari e aggressive a danno degli spettatori. Si tratta di anni in cui anche il filone delle arti visive sceglie il corpo per esprimersi, scopre le intimità e gli aspetti più bassi e viscerali: cerca l’interazione, persino brutale, con il pubblico; percepisce la medesima necessità di livellare la distanza tra sé e l’altro.
Intorno alla metà degli anni ’70, da Tribeca al Lower East Side, New York diventa anche il fulcro della scena letteraria non commerciale: espressioni di guerilla journalism popolano la stampa minore e fatta in casa. Le fanzine sono un mezzo di comunicazione, di scambio, persino di scontro verbale e visuale. Sono anch’esse forme ibride, dove il potere delle corde va a fondersi con quello della letteratura, della grafica e delle arti. Lo stesso Moore è un accanito consumatore e produttore di fanzine (Killer); Lydia Lunch, icona No Wave e frontwoman dei Teenege Jesus, prende parte con poesie e vari testi delle sue performance.
Come dichiara Ranaldo alcuni anni dopo, a quel tempo la Città era popolata da giovani affamati, cercatori desiderosi, cresciuti dal rock'n'roll, educati da film, arte e poesia; l’obiettivo era “to survive the city-to secure a vision-to make art”.28
Anche la moda partecipa a questa rivoluzione creativa, lavorando in simbiosi con le arti per rispondere alle nuove istanze della contemporaneità. Libertà, contaminazione, eccesso, colore, diversificazione, animano le forme del costume della decade ’80. Le spalline imbottite, i pantaloni a vita alta, ammorbiditi da pinces o asciugati sino alla pelle, si configurano come alcuni tratti di una commistione stilistica che tende a sfumare progressivamente la linea di demarcazione tra maschile e femminile.
L’inizio degli anni ’80 porta con sé l’avvento di una più ampia rinascita anche nel mondo dell’arte, sul piano espressivo ed economico. È il boom di Soho, che spalanca le porte alla speculazione edilizia ed immobiliare. A determinare questo cambio di marcia concorrono gli andamenti a rialzo di Wall Street. Nel 1983 il valore del mercato dell’arte della sola New York è di due miliardi di dollari; improvvisamente i galleristi assumono il ruolo di veri e propri uomini d’affari, i writers, un tempo ignorati, sono i nuovi geni da coltivare. Sul piano della tecnica, se gli anni ’70 si lasciano sedurre dalla sperimentazione e dalla contaminazione di materie, persino corporali; gli anni ’80 riportano in auge la pittura e la sicurezza che essa è in grado di generare in termini di sostentamento. Pertanto, il potere d’acquisto delle opere d’arte si traduce definitivamente in sinonimo di benessere. I soldi iniziano a circolare abbondantemente, così come l’AIDS che in quegli anni miete le prime vittime sociali, culturali e reali.
“The days we spend go on and on”
I Sonic Youth fanno il loro ingresso nel mondo della musica, della discografia e della cultura a stelle e strisce nell’ambiente culturale appena tracciato. Da questo contesto multiforme e mutante attingono voracemente contenuti da miscelare e confezionare in qualcosa di fresco, talvolta inaccessibile, ma vischiosamente legato ai miti e ai paradossi scomodi dell’America contemporanea.
Thurston Moore (Coral Gabbles, 1958), sin dalla giovane età, si nutre di musica, consuma dischi e divora riviste alla ricerca d’immagini da ritagliare dei suoi idoli: David Bowie, Alice Cooper, Iggy Pop. Arrivato a New York nel 1977, forma i Room Tone con cui inizia a suonare alle feste nei loft. Ben presto la formazione si ribattezza in Coachmen, come tributo alle garage band degli anni ’70. Nel gennaio del 1980 il gruppo condivide il palco del CBGB’s con i Flucts, il cui nome è un omaggio a Fluxus: una college band, anch’essa nel giro dei loft, sotto la guida del chitarrista Lee Ranaldo (Glen Cove, 1956). Alcuni anni più tardi, costui ricorda che “a very powerful culture was brewing in the worlds of music and art, which interacted with each other. […] Many people were willing to experiment, try new things, and that was the character of the City which influenced us most. I wanted to become a part of that”.29
Kim Gordon (Rochester, 1953), cresciuta a Los Angeles, sin dalla giovane età coltiva l’idea di diventare artista. Dopo una breve esperienza alla York University, a Toronto, si trasferisce all’Otis College of Art & Design, dedicandosi allo studio dell’arte post-concettuale. Nell’ultimo anno incontra Michael Gira, un altro studente della Otis. Una volta diplomatasi, Kim ritorna in California, scoprendo che anche Gira è un appassionato di No Wave, soprattutto è in procinto di trasferirsi a New York. Alla fine del 1979 Gordon lo segue, attraversando gli States in auto con un compagno della Otis: Mike Kelley. I due si conoscono dopo una lezione dell’artista Dan Graham, una sorta di mentore per il futuro elemento femminile dei Sonic Youth. È proprio Graham che la invita a scrivere per «Arforum», ed è Graham ad iniziarla al mondo della musica, chiedendole di accompagnarlo in una delle sue performance. Per l’occasione la sua allieva forma le CKM, con Miranda Stanton e Christine Hahn. Il gruppo non possiede alcuna preparazione musicale, i testi sono un collage di pubblicità di vestiti, rossetti, presi da «Cosmopolitan Girl». Una circostanza che Gordon descrive in questi termini: “Non avevo il look particolare, o dei costumi di scena. Eravamo decisamente punk-rockettare. Mentre suonavamo una di noi andò in bagno, le altre rimasero lì a chiacchierare con il pubblico. Non credo fosse quello che Dan voleva da noi, anche perché suonare ci preoccupava parecchio. L’esperienza mi acchiappò e da allora non ho mai smesso di stare in una band”.30
Per vivere nella Grande Mela, Gordon si dà da fare svolgendo alcuni lavoretti. Prima segretaria della galleria gestita da Larry Gagosian e Annina Nosei, dentro un loft sulla West Broadway a Soho; successivamente si occupa di Design Office, un concetto artistico in base al quale si ingegna a modificare un’abitazione in modo da riflettere la personalità dell’inquilino.31
Grazie a Miranda Stanton, Gordon e Moore si incontrano per la prima volta ad un concerto dei Coachmen, in un loft di proprietà di Giorgio Gomelski, impresario di origini russe, conosciuto per avere organizzato i primi live londinesi dei Rolling Stones. Il proseguo della storia privata tra i due è noto: Gordon e Moore si sposano nel 1984, dieci anni dopo nasce la figlia Coco; nel 2011 divorziano e con quella data si conclude la storia dei Sonic Youth.
Tornando ai primi anni ’80, i Flucts si sciolgono e Ranaldo prova a collaborare con Rhys Chatham; Thurston inizia a suonare con la tastierista Ann DeMarinis (fidanzata di Vito Acconci) e Miranda Stanton. Quando quest’ultima lascia il progetto, entra in gioco Kim. La band porta il nome di Male Bonding, per poi evolvere in Red Milk, quindi in The Arcadians. Dopo la defezione di DeMarinis, Thurston cambia ancora una volta la denominazione della band, unendo due icone dell’underground: il chitarrista degli MC5, Fred Sonic Smith; e il pioniere dub Big Youth. È il 1981, questa è New York e Sonic Youth è il nome definitivo. Tutte queste pillole informative, per quanto possano sembrare puramente cronachistiche, in realtà serbano al loro interno alcuni punti di aggancio culturale, a cui – singolarmente e collettivamente – i membri si stringono; nonché figure di riferimento a cui essi guardano e con le quali instaurano un rapporto osmotico, che si concretizza spesso in collaborazioni e citazioni di varia natura.
Nel 1981 Moore mette in piedi un festival di musica sperimentale al White Columns,32 uno spazio d’arte, durante il quale la formazione embrionale dei Sonic Youth ha l’opportunità di esibirsi (con Richard Edson alla batteria). L’idea di organizzare una manifestazione di questo tipo nasce da una dichiarazione pubblicata sul «Soho Weekly News» dal proprietario dell’Hurra’s club – Robert Boykin, secondo il quale le buone band stavano lasciando il passo a quelle capaci di produrre solo noise.33 Per questa ragione Moore decide di chiamare l’evento Noise Fest,34 con cui riscuote un certo successo. La struttura della rassegna musicale, oltretutto, ha l’obiettivo di creare connessioni tra i gruppi; non a caso si tratta di formazioni amiche o particolarmente apprezzate dal suo animatore. Dunque, già da questa parentesi, i futuri Sonic Youth manifestano quella volontà inclusiva che avrebbe tracciato l’intero corso della loro prolifica carriera.
Durante il Noise Fest, Kim propone a Thurston e Lee di fare delle jam; la settimana dopo il trio si riunisce al White Columns per provare. Nel frattempo Josh Baer, proprietario del posto, in collaborazione con Branca fonda l’etichetta Neutral Records, e per l’uscita inaugurale ambisce ai Sonic Youth. Con un budget di 2000 dollari il gruppo entra al Radio City Studio nell’inverno 1981, sopra il maestoso Radio City Music Hall. Nel 1982 esce un Ep omonimo con cinque tracce registrate. Qualche tempo dopo Moore avrebbe detto: “We didn’t know how to play. What set us apart was that we were so unorthodox in our approach. We always knew that what we were doing was our own”.35 Proprio quell’approccio non ortodosso diventa uno dei loro punti di forza: un vero e proprio tratto distintivo e identitario.
Poco dopo il mixaggio dell’album, Edson lascia i Sonic Youth e il suo posto viene occupato da Bob Bert, il quale si guadagna da vivere facendo serigrafie. Tutti i Sonic Youth, per anni, continueranno a svolgere altri lavori per garantirsi una entrata fissa; poiché né con le vendite, né con i concerti raggiungono cifre oltre il livello di sopravvivenza, almeno sino alla firma con etichette più prestigiose. Leggendo le cronache, persino l’acquisto di nuova strumentazione risulta alquanto difficoltoso, costringendoli a ripiegare su strumenti di seconda mano e malfunzionanti, che Ranaldo e Moore manipolano in maniera singolare: “they really sounded horrible, especially when you tried to play normal guitar with them. But they sounded great if you got a drumstick and put it under the strings”.36
Dopo il tour con gli Swans nel 1982, Bert viene rimpiazzato dal batterista dei Teenage Jesus&Jerks: Jim Sclavunos,37 il quale prende parte solo ad un paio di concerti con la band, prima di iniziare a registrare quello che sarebbe diventato il loro secondo album: Confusion is Sex, il primo prodotto da Tiers, collaboratore di Laurie Anderson.
Se il disco d’esordio incarna la tendenza post ’77 di fondere arte e musica: espressione di una tipica art band di Downtown Manhattan, con riproduzioni in black-and-white in cui l’immagine di ciascun membro appare doppia, richiamandosi così al lavoro di Jeff Wall, Double Self-Portrait (1979); il secondo disco inaugura alcune nuove tendenze: l’utilizzo di copertine fotocopiate, in pieno stile punk DIY (basato su un disegno di Gordon), nonché personalissimi riff di chitarra.
Nel mondo dei Sonic Youth le copertine rappresentano sin dal principio un elemento di estrema caratterizzazione, poiché contribuiscono a creare quel grado di tensione, di “rumore”, e di sperimentazione che appartiene alle loro corde. Le covers diventano un altro pezzo di creatività, che aggiunge complessità all’insieme; talvolta essi stessi ne sono gli artefici, altre volte si avvalgono di quel ventaglio di culture e di personalità affini al loro modo di esplorare la realtà.
Tra i vari pezzi che animano l’album del 1983, si deve citare Shaking Hell.38 Una traccia che per Gordon rispecchia un mezzo di confronto con la sua personale identità, un tentativo di fare emergere il suo io più nascosto. Se Madonna, pur non avendo ancora raggiunto l’apice di popolarità, marca fieramente il suo sex appeal, sfruttando coscientemente la sensualità con fare ammiccante: proponendosi lei stessa come icona da divinizzare, prima ancora di esserlo; al contrario Gordon, ancora incerta sulle scelte estetiche, si adopera semplicemente per smorzare il suo look borghese.
Gli anni dal 1985 al 1988 per i Sonic Youth sono particolarmente produttivi, sia per lavorazione discografica, sia per le esibizioni dal vivo; soprattutto rappresentano quella fase preparatoria al grande salto, cioè al passaggio con la major: inaugurato dall’album Goo (1990).
Il 1985 è la stagione di Bad Moon Rising che racconta un paese di violenza e massacri, di serial killer e omicidi, dove ogni canzone si fonde nella successiva. Nella tradizione dei Sonic Youth, abituati a prelevare qualcosa dal modo pop e a rimodellarla a loro piacimento, il titolo si ispira ai Creedence Clearwater revival, riletto attraverso il filtro dei Velvet Underground.
In particolar modo Death Valley ’69, che contiene un’incursione vocale di Lydia Lunch, rivisita il mito di Manson. Il video del singolo è opera del regista e fotografo Richard Kern e si apre con un primo piano della modella Lung Lang. Si passa dai primitivi effetti girandola a scene del gruppo che danza in circolo, alla corsa folle di un furgone, da cui saltano fuori i membri della band in preda ad una incontrollabile frenesia: armati, carichi e pronti a sparare. In un crescendo di angoscia e tensione Lee, lampeggiando in una luce intermittente, ammicca verso la macchina da presa con un’insegna sulla quale è tracciata la parola “rise”. Dall’esterno l’obiettivo passa all’interno di una casa, dove la telecamera scorre sui resti di cadaveri sventrati. Il filmato è un rito di distruzione, rimanda ai feticci della cultura americana: omicidi, festini orgiastici, alterazioni psicotiche, echi di erotismo malsano, ostentazione da bulli; il tutto combaciante con la caotica aggressività di una performance dei Sonic Youth. Mentre le altre band hardcore cantano canzoni su Ronald Regan, i Sonic Youth intendono dare voce al lato oscuro della cultura pop americana. Seguendo il racconto di Moore: “When we wrote Death Valley ’69, we’d all been reading Heller Skelter and The Family. The music of that period was also influenced by the mid-Eighties horror-movie phenomenon”.39
All’inizio della primavera del 1986 il gruppo rientra in studio per registrare il nuovo album EVOL,40 LOVE al contrario, titolo che deriva da un lavoro di Tony Oursler; mentre in copertina compare ancora una volta Lung Leng, che scaglia il suo sguardo accigliato verso l’obiettivo di Richard Kern.
Anche in questo disco i riferimenti alla cultura pop e al mainstream non vengono meno. Shadow of doubt, ad esempio, si ispira ad Hitchcock, ma guarda anche ai Shangri-Las, ad un climax ascendente che esplode in un gesto violento. Starpower, cantata da Kim, parla della relazione quasi sessuale tra l’artista e il pubblico, un argomento al quale la Gordon è particolarmente legata: un interesse verificabile anche attraverso i suoi scritti. Expressway to Yr Skull, dichiaratamente apprezzata da Neil Young, si sarebbe rivelato un punto di svolta nel repertorio della band. In realtà questo brano è re-intitolato Madonna, Sean and Me, in riferimento a Maria Luise Veronica Ciccone e al suo ragazzo dell’epoca: Sean Penn. Nel 1986 Madonna è ormai una celebrità, l’album Like a Virgin è ai vertici di molte delle classifiche di riferimento mondiale. La copertina e le immagini contenute all’interno, opere di Steven Meisel, giocano tra sacro e profano: tra la purezza del nome e la sua sessualità spiccata e disinibita.
I Sonic Youth conoscono tutto di Madonna. La stessa Gordon considera la cantante come una delle figure più influenti degli anni ’80, poiché con lei cambia anche il modo di scrivere sulle donne del rock. In altre parole, dalla sua ascesa in poi non si è più parlato delle musiciste senza citare la loro sensualità.41 All’inizio considerata con superficialità e sufficienza, da Like a Virgin in poi la band confessa di guardare alla cantante con ammirazione: come una icona da omaggiare. Riconoscendone il valore pop, la formazione newyorkese comincia a diffondere i pezzi di Madonna durante il cambio delle chitarre, nel corso delle performance live. Dall’interesse per la Material Girl si origina l’idea dei Ciccone Youth, un progetto separato per non confondere eccessivamente il loro pubblico, utilizzato qualche tempo dopo per rifare integralmente il disco omonimo dei Beatles, conosciuto come “il doppio bianco”. Alla base, questo doveva essere una sorta di raccoglitore di scarti pop anni ’80, di campionature di suoni e giochi di beatbox; alla fine The White Album finì per proporre un vecchio singolo dei Ciccone Youth, insieme ad esperimenti con Wharton Tiers.
Nel marzo del 1987 la band si riunisce ai Sear Sound Studios per registrare il quinto album: Sister, che dimostra un ulteriore passo in avanti nel loro cantiere verbale e sonoro. In linea con la tipica modalità di appropriazione, propria del linguaggio pop, anche questa copertina è un montaggio di foto “di pubblico dominio” selezionate dai membri del gruppo.42 Il disco risente delle letture di Moore e Gordon su Philip K. Dick. Infatti, sia Schizophrenia sia Stereo Sancity rievocano l’immaginario dell’autore, i suoi dialoghi teologici. I Sonic Youth prendono in prestito intere frasi per i testi e ricoprendo la copertina interna dell’album con un corredo visivo collegato all’universo di Dick, fagocitando e restituendo una loro versione del materiale.
Pubblicato nel giugno del 1987, Sister gode di un ottimo responso critico, costruito sui precedenti progressi di visibilità ottenuti sui media. Scrivendo del disco sul «The New York Times», John Pareles ne loda la struttura compatta delle canzoni, i ritmi incalzanti e la nuova enfasi sulle chitarre, paragonando il gruppo all’innovatore del jazz Ornette Coleman e riconoscendo in loro la capacità di re-immaginare il suono in sé, ciò che può fare, ciò che può essere.43 Robert Christgau premia Sister con una A nella sua influente Consumer’s Guide, una colonna di recensioni discografiche sul «Village Voice». Il critico commenta il disco in questi termini:
Finally, an album worthy of their tuning system, and no, it's not like they've suddenly started to write tight or see a shrink. […] With the California punk cover acknowledging their debts and the bow to coherent content safeguarding against that empty feeling, their chief pleasure, as always, is formal-a guitar sound almost unique in its capacity to evoke rock and roll without implicating them in a history few youngish bands can bear up under these days.44
Keith Cameron, collaboratore di «NME», ricorda il tour di Sister come una rivelazione, non solo per impatto visivo e per l’immagine glamour della formazione, ma per i contenuti e la destrezza nel tradurli in note; confermando quanto il suono dei Sonic Youth fosse un prodotto americano, cioè mutato dalla cultura statunitense di cui si nutrono e allo stesso tempo manipolano.45
Daydream Nation (BlastFirst!/EnigmaRecords)46 del 1988 mette insieme un ampio corredo di armonie e un passaggio di qualità ulteriore sul piano della scrittura; soprattutto i testi di Gordon sviluppano con maggiore intensità i temi a lei cari della sessualità e dell’identità. In definitiva, il disco porta a maturazione quanto realizzato nei sette anni precedenti, tanto che anche «Rolling Stone» si accorge che “Daydream Nation presents the definitive American guitar band of the Eighties at the height of its powers and prescience”.47
Prima dell’uscita discografica il gruppo buca l’obiettivo di Michael Levine, da cui viene fuori un glamour a poco prezzo, tipico dell’apparato visivo della band. “Vuoi sembrare cool e attraente?”, chiede il fotografo a Gordon, nel corso dello shooting. Con il trucco argento, i jeans sbiaditi tagliati a mezza gamba, e il top semitrasparente con gli strass, da quel momento la quota femminile dei Sonic Youth sceglie di non essere solo cool o rock’n’roll, ma di apparire più una ragazza, come lei stessa ricorda nella sua autobiografia.48 Il momento è maturo, anche per Gordon, per interpretare quella fisionomia tipicamente anni ’80, ibrida, eclettica, maschile-femminile: androgina. In effetti, la crescente attenzione da parte dei media, le sue foto e del gruppo messe in circolazione, la pongono di fronte alla necessità di prestare più attenzione al look. È una Gordon diversa rispetto a quella di Shaking Hell, più concreta e cosciente del ruolo che può ricoprire tecnicamente ed esteticamente.
L’album prende il titolo da un’espressione usata in Hyperstation, da un racconto autobiografico di un rocker che schizza da una parte all’altra di una New York fatta di club, studi di registrazione e sale prova, passando le notti a viaggiare in acido e lasciarsi coinvolgere nelle risse.
Impacchettato nella sua copertina raffigurante il dipinto di una candela accesa, opera di Gerhard Richter, Daydream nation è il prodotto forse più ambizioso e coraggioso che i Sonic Youth avessero lanciato sino a quel momento. Lo stesso azzardo del formato dell’album doppio si rivela un trionfo, nonostante fosse ormai considerata una pratica obsoleta. Il tour di Daydream Nation percorre gli Stati Uniti da una parte all’altra e arriva sino in Unione Sovietica.
«Rolling Stone» premia il gruppo con una recensione positiva di tre stelle e mezzo; mentre per Peter Waltrous, del «New York Times», il disco possiede lo stesso potere esplosivo delle opere tarde di John Coltrane.49 Christgau appone ancora una A, commentando il lavoro in questi termini:
They don’t sound anywhere near as good as the happy-go-lucky careerism and four-on-the-floor maturity our Heroes are indulging now. Whatever exactly their lyrics are saying- not that I can’t make them out, just that catch-phrases like ‘You’ve got it’ and ‘Just say yes’ and ‘It’s total trash’ and ‘You’re so soft you make me hard’ are all I need to know- their discordant never-let-up is a philosophical triumph.50
Queste notazioni positive danno il polso del grado di attenzione e della visibilità che anche riviste con un taglio più commerciale iniziano ad elargire loro. Inoltre, da Tommy Mottola – della Sonic record – a Ahmet Ertegun, uno dei discografici più rispettati nella storia dell’industria musicale, anche l’interesse delle major nei loro confronti si fa sempre più pressante. Si susseguono varie mediazioni che si concludono in un contratto con la Geffen51 e l’addio definitivo alla Blast First. Una mossa che concede alla band supporto internazionale, promozionale e una certa stabilità economica. Si concretizza anche come occasione per espandere il proprio auditorio e per “convertire” nuove orecchie a quelle sonorità articolate di cui sono produttori ed interpreti. Per quanto fosse una scelta difficile per una band che aveva fatto della “sottocultura” una bandiera, per quanto questa decisione passò come un tradimento per alcuni fedelissimi; a ben vedere non si è di fronte ad un passaggio così radicale e alieno. A modo loro, sin dagli esordi i Sonic Youth corteggiamo la cultura mainstream, la esplorano, la modellano e la rimodellano. C’è da aggiungere che, nel corso di questo snodo professionale, la loro integrità è già ben costituita, come ricorda Ranaldo a questo proposito: “E, a prescindere da ciò che la casa discografica si aspettasse, non avevamo preconcetti su ciò che pensavamo potesse succedere con noi, le etichette significavano soprattutto distribuzione e così era come la vedevamo noi: avrebbero portato i nostri dischi in ogni negozio”.52
Nel 1989, il gruppo entra ai Waterworks, per registrare il loro album di debutto con la major: Blow Job. Il nome proviene da una maglietta di Moore con un’immagine di Raymond Pettibon della diva hollywoodiana Joan Crawford. J. Macis e Don Fleming, per l’occasione, rivestono il ruolo di consulenti al disco che poi si sarebbe chiamato Goo. La copertina è un disegno di Raymond Pettibon, raffigurante due beatnik in fuga, con occhiali scuri, capelli a caschetto: un’immagine ispirata alla coppia del film La rabbia giovane di Terrence Malick, il cui vestiario rievoca l’aspetto dei Velvet Underground.
Kool Thing, di Gordon, si rifà alla sua esperienza con i manager delle etichette discografiche, alla frustrazione di interagire con un sistema che dà per scontato che l’artista fosse necessariamente una persona fragile e l’essere donna una ulteriore complicazione. Una forma di ritrosia notata dalla bassista anche da parte della stampa, nel corso delle interviste e durante i tour. L’altra fonte d’ispirazione per il brano è il rapper LL Cool J, superstar di Long Island. L’episodio prende spunto da un’intervista condotta da Gordon a proposito di una canzone ispirata alla fascinazione di una donna bianca per l’uomo di colore. La bassista compone la sua versione mettendo insieme titoli e liriche appartenenti al canone del rapper: citando la radio che porta sempre con sé e l’andatura spavalda. L’obiettivo dell’autrice è far emergere la delicata questione del ruolo delle donne nell’universo hip hop. Un argomento che si lega, dunque, alla liberazione femminile, al rapporto con i movimenti dei diritti delle minoranze etniche degli anni ’60-’70, e l’adozione da parte del Rap dell’uso sfrontato delle donne all’interno di testi e video.53
Il videoclip di Kool Think è girato da Tamra Davis, con riferimenti al filmato di LL Cool J – Going Back to Cali, mostra una Gordon determinata, sexy e spregiudicata. L’estetica, l’abbigliamento, i colori acidi e sgargianti sono gli stessi che sarebbero entrati nella memoria visiva degli anni ’80. Ad interpretare il ruolo del rapper gradasso compare il frontman dei Public Enemy: Chuck D.
Anche con un’etichetta in grado di investire in produzioni più raffinate e ad alto budget, i Sonic Youth provano ad applicare il loro tratto distintivo: l’estetica DIY e di produzioni dal basso. L’atmosfera nervosa di Tunic (Song for Karen) viene letta attraverso l’occhio di Tony Oursler, inserendo dei frammenti di vecchi video sfocati dei Carpenter. Karen Carpenter è un altro di quei soggetti che rispecchiano le due facce della medaglia dell’America: la vicenda di una famiglia di successo, da un lato; dall’altro, l’ambiguità del rapporto con il fratello, produttore discografico di successo: maniaco del controllo. Il solo aspetto che la Carpenter è nelle facoltà di controllare di per sé è il proprio corpo, sino a quando anch’esso non degenera e giunge alla morte.
Tamra Davis dirige anche Dirty Boots, che racconta la storia d’amore nata sotto un palco durante un concerto dei Sonic Youth, con una ragazza che indossa la maglietta dei Nirvana di Thurston.
Nel 1991 la band va in tour con Neil Young. La scelta proviene da un desiderio del cantante di avere qualcuno che la gente potesse amare oppure odiare, senza vie di mezzo: come i Sonic Youth. Il tour tocca i centri civici, arene, anfiteatri in tutto il paese. La band suscita reazioni piuttosto scomposte, che vanno dalla perplessità a fischi e bottiglie, e ne esce alquanto frustrata. Si tratta del primo vero confronto con il mondo mainstream: fatto di un pubblico molto eterogeneo e fortemente legato ad un certo gusto rock, difficile da sradicare.
Sempre nello stesso anno i Sonic Youth si avvalgono di varie band di supporto, scegliendole tra le praterie delle zone in cui erano chiamati a suonare. Tra di esse figurano i Nirvana, con i quali si incontrano per la prima volta al Maxwell’s. Già Bruce Pavitt, della Sub Pop, racconta loro dell’adorazione di cui gode Kobain: che – in pratica – cammina sul pubblico.54
Dave Markey segue il tour con i più acerbi Nirvana, da cui viene fuori il film 1991: The Year Punk Broke. Nonostante i protagonisti principali fossero i Sonic Youth, il documentario riscuote una buona visibilità grazie agli spezzoni contenenti immagini di Kurt Cobain e compagni, a seguito dell’uscita e del boom di Nevermind (Geffen). Un album che si eleva a nuovo parametro di riferimento per le vendite dei gruppi underground, raggiungendo immediatamente ed inaspettatamente il livello da disco d’oro.
In effetti, con il successo dei Nirvana che fa da traino anche ai Sonic Youth, la band comprende di dovere percorrere altre strade. Un aspetto che mettono in pratica tornando a registrare nel 1992, collaborando con Butch Vig come produttore e Andy Wallace per il mixaggio dell’album, che plasmano le loro distorsioni in qualcosa di più radiofonico. Ne viene fuori un lavoro come Dirty, forse l’album più politico della band. Al contempo sorgono alcuni problemi con la casa discografica per il contenuto delle immagini che raffigura gli artisti Bob Flanagan e Sherry Rose completamente nudi, in atteggiamenti troppo compromettenti con animali impagliati per una circolazione su larga scala.55 La copertina è un estratto del lavoro di Mike Kelley, preso dalla serie Arenas, una foto di uno dei pupazzi fatti ad uncinetto, simbolo del lavoro manuale e feticcio dell’infanzia da cui è difficile liberarsi, poiché abbandonare un oggetto della fanciullezza genera lacerazioni emotive ma obbligate per accedere all’età adulta. Un messaggio in piena sintonia con la cultura americana, in cui la vecchia forma delle cose viene rimpiazzate dal nuovo con lo scopo di esorcizzare la morte.
Nell’album finale non vi sono featuring particolari, se non quello con MacKaye. Eppure i testi di Dirty sono affollati di riferimenti allo star system: Sugar Kane, di Thurston, allude a Marilyn Monroe; mentre Swimsuit Issue si riferisce a vari scandali sessuali di alto livello, chiudendosi con un elenco di modelle nello “Swimsuit Issue” (lo speciale costumi da bagno della rivista «Sport Illustrated»); Crème Brulée (Gordon), si richiama a Young: “Last night I dreamt I kissed Neil Young/ If I Was a boy that would’ve been fun”. Il lato torbido dell’America torna a farsi sentire attraverso Chapel Hill, con le sue allusioni testuali all’omicidio irrisolto di Bob Sheldon, un attivista pacifista.
Sugar Kane, diretto da Nick Egan, girato in Super 8, così da conferirgli una parvenza meno commerciale ma anche meno fruibile in TV, vede il debutto di Chloë Sevigny, all’epoca stagista per la rivista «Sassy». Lo stage è lo showroom di Marc Jacobs, così come anche gli abiti.56 Questo passaggio segna l’inizio dell’amicizia tra i Sonic Youth, Jacobs e Sevigny. Questi ultimi sono i nuovi interpreti di un’altra forma di costume e bellezza, di nuovi principi di creazione e consumo. In particolar modo Jacobs, con la sua collezione, inaugura una prospettiva che solo più tardi i colleghi avrebbero seguito. Egli riesce ad incarnare il nuovo corso generazionale: dando voce e veste ad un’idea di bellezza imperfetta, di cui i maggiori protagonisti sono: Kate Moss, per il fashion; e Cobain, per la musica.
In reazione al cambio di marcia che avviene con Nevermind, ai risultati ottenuti con Dirty, i Sonic Youth si vedono costretti a rivedere ancor auna volta alcune direzioni intraprese, partendo dal riaffermare le loro connessioni con l’underground. Una direzione che Thurson Moore sintetizza molto bene in questa espressione: “When we were recording Experimental Jet Set, Trash and Star, we wanted it to be a very simple measure. That whole Dirty period, touring with Nirvana e Mudhoney, we were copping real big rock moves, and only too happy to be a part of it. But out of that came a more reactive music, which was more inward and cerebral, like Lou Barlow when he left Dinosaur and started making records, or Pavement decidedly bucking the hard-rock model. We responded to that, which didn’t make any sense to the record company. They wanted bigger, more ‘rock’ records, but we didn’t. We decided early on that we weren’t going to follow any advice from the ‘success industry’. From there we sort of spun inward”.57
Qualche anno dopo – nel 1997 – queste parole trovano ancora maggiore concretezza quando il gruppo fonda la Sonic Youth Records (SYR), con un proprio studio di registrazione, per pubblicare tutto ciò che per la Geffen resta off limits e tracciare per molti anni ancora la differenza rispetto agli altri.
La storia della band si conclude nel 2011, ma questa prima fase della loro carriera fornisce alcuni spunti di riflessione. Certamente ai Sonic Youth manca quell’assenza di autostima, quella volontà autodistruttiva ed esposta, che è alla base della fortuna o della disfatta di altre band. La formazione di base newyorkese, al contrario, mantiene una capacità di gestione e autogestione interna più misurata rispetto ad alcuni colleghi. Il loro essere algidi, in un certo senso, funge da limite ma anche da riparo alla morbosità mediatica, spesso cullata dalle star medesime; non si impregnano di quella patina di sacralità che ricopre i corpi di Jimi Hendrix o Kurt Kobain o Elvis Presley, solo per citarne alcuni. I Sonic Youth, a modo loro, si costruiscono una dimensione narrativa ed estetica in maniera molto personale, senza delegare all’altro: alla stampa o al pubblico. Più che incarnare il grido di una generazione, i Sonic Youth entrano, leggono e sviscerano i passaggi trans-generazionali. Si servono di ciò che il sistema mette a disposizione, ne colgono il lato sinistro, sfruttano le immagini sedimentate nelle memorie e le affrontano con velata ironia. Con una forte coscienza dell’attualità appena trascorsa, essi prendono e usano la contemporaneità: la realtà nuda e cruda, i feticci, i paradossi della società americana, le inquietudini, il lato colloso e misterioso di certi fatti di cronaca mai risolti e la rielaborano, trasmutando le paure in corde tese; gli incubi in note graffiate; gli stereotipi in espressioni sottili.
C’è ancora un aspetto che marca la differenza con altre band, lacerate da gelosie e personalismi. La consequenzialità progettuale degli anni ’70, nel decennio successivo lascia campo libero ad un nuovo eclettismo e ad un rinnovato culto dell’Io, dellʼartista individualista (eroe): un fattore che contribuisce a destabilizzare numerosi gruppi dell’epoca. Per quanto la figura di Kim Gordon, in quanto donna e musicista, possa avere goduto di un’attenzione mediatica diversa rispetto agli altri componenti; per quanto Moore possa avere mostrato – almeno all’inizio – una personalità più spiccata; leggendo le dichiarazioni dei Sonic Youth si evince che a prevalere è la volontà di presentarsi come soggetto plurale. Essi privilegiano la riconoscibilità e l’appartenenza d’insieme piuttosto che dell’uno: del noi invece che dell’io. D’altronde, negli scritti dei primi anni ’80, la stessa Gordon attribuisce la causa della distruzione di molti nomi assoluti della musica al marcato egocentrismo, che sfida sino al parossismo la macchina mediatica e dello show business.
C’è ancora un altro punto che caratterizza la singolarità dei Sonic Youth, che induce a pensarli come influencer ante litteram, ed è la puntualità nel conoscere, scovare nuovo humus sonoro proveniente dagli scantinati dei club, portandolo alla luce: cioè in tour. Quest’attitudine permette ai Sonic Youth non solo di mantenere un bacino ormai consacrato di fedelissimi, ma anche di agganciare nuovi auditori, più giovani; soprattutto di tenere costantemente premuto il pedale sulla sperimentazione.
Tornando alla domanda proposta nella premessa: che cosa significa “celebrità” nel vocabolario dei Sonic Youth? La questione si pone su un doppio binario. Ci sono gli idoli di cui essi stessi si nutrono. C’è, dunque, la celebrità osservata, cantata, esplorata, discussa nei loro testi, nel loro apparato comunicativo e non incarnata; semmai auto-proiettata su si essi in maniera ironica e giocosa. Dall’altro c’è la crescita in termini di notorietà, che non è stata bruciante; ma raggiunta nel corso di un arco temporale piuttosto lungo, ormai coscienti della propria identità e lucidi nella direzione da perseguire. In fondo come dichiara Kim Gordon: “when you get to a certain point in your life, maybe you should be a role model or feel like that’s part of your responsibility. But I see it in more of a personal way, like if there's somebody I could give advice or something”.58
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Dave Markey, 1991: The Year Punk Broke 1992.
Cfr. Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 249).↩
Diehl, 1994, p. 53.↩
Ibidem. Il riferimento è alla figlia Coco che sarebbe nata qualche mese dopo, cioè il 1° luglio 1994.↩
Cfr. Wright Mills, 1956, p. 74.↩
Cfr. Weber, 1948.↩
Boorstin, 1992 [1961], p. 57.↩
Cfr. Dyer, 2007 [1979].↩
Marshall, 1997, p. 7.↩
Giles, 2000, p. 5.↩
Aveva irretito Dennis Wilson dei Beach Boys, grazie alla bellezza di alcune delle giovani ragazze di cui si attorniava, al quale aveva offerto la canzone Cease to Exist, che fu in gran parte riscritta prima di fare la sua comparsa in un successivo album del gruppo.↩
Gordon, 1985, p. 77.↩
Ibidem.↩
Cfr. Eco, 2006.↩
Cfr. Alberoni, 1972.↩
Turner et al. 2000, p. 9.↩
Cfr. Turner, 2004 p. 8.↩
Gordon, 1983.↩
Ibidem.↩
Ibidem.↩
Cfr. Spaziante, 2016.↩
Ricoeur, 1999, (trad. it. pp. 201 e sgg.).↩
Cfr. Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 277).↩
Il primo batterista fu Richard Edson, poi Bob Bert, sostituito da Jim Sclavunos, poi ancora Bert.↩
Moore, 2000.↩
Reynolds, 2005, (trad. it 2010, p. XVII).↩
C’è da precisare che i Cabaret Voltaire, come i Devo e molti altri manifestarono queste tendenze già da prima, almeno dal 1976.↩
Reynolds, 2005, (trad. it 2010, p. XXXII).↩
Cfr. Renaldo, Lee, On Branca, Chathman, and NYC Music Square 1979-80, in Groenenvoom, 2008, p. 30.↩
Cfr. Ranaldo, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 47).↩
Cfr. Gordon, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 60).↩
La prima “cavia” di questi esperimenti fu Dan Graham.↩
Il White Columns era uno spazio d’esposizione alternativo sulla Tredicesima Ovest, gestito da Josh Baer, figlio dell’artista Joe Baer e amico di Kim. Fu Baer a proporre a Thurston di curare uno spettacolo musicale presso la galleria.↩
Cfr. Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 64).↩
Durante la rassegna, Gordon e Barbara Ess organizzarono collateralmente una mostra di opere visive, per lo più degli artisti/musicisti invitati a suonare.↩
Moore, in Groenenboom, 2008, p. 19.↩
Moore, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 77).↩
Sclavunos lascia il gruppo poco dopo la session di Confusion is Sex, di conseguenza Bert rientra nella formazione.↩
All’interno del documentario di Dan Graham – Rock My Religion – c’è una clip live dei Sonic Youth che performano Shaking Hell.↩
Cfr. Palmer, 1989.↩
Si tratta del primo album sotto l’etichetta SST, che ha in scuderia gruppi come i Black Flag, i Minutemen, gli Hüdisker Dü e i Meat Puppets. Nel frattempo Bob Bert lascia il gruppo e il posto viene offerto a Shelley.↩
Cfr. O’ DAir, 1997.↩
In realtà non tutte le immagini risultarono effettivamente di pubblico dominio, visto che il fotografo Richard Avedon minacciò di fare causa per l’uso non autorizzato di un suo ritratto di ragazza, in seguito cancellato.↩
Cfr. Parelas, 1987.↩
Cfr. Christgau, 1987.↩
Cfr. Cameron, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, pp. 176-177).↩
Il rapporto con la SST era in crisi, soprattutto da quando i Black Flag avevano smesso di andare in giro.↩
Palmer, 1989.↩
Gordon, 2015 (trad. ita. 1016, p. 187).↩
Cfr. Waltrous, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, pp. 194-195).↩
Cfr. Christgau, 1988.↩
In realtà firmarono per la DGC, una sussidiaria della Geffen.↩
Ranaldo, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, pp. 217-218).↩
La questione femminile per la bassista è un argomento che attraversa continuamente i suoi scritti, anticipando i proclami più espliciti del fenomeno Riot Grrrl, le cui origini si identificano nel 1991, durante l’International Pop Underground Convention, tenutosi a Olympia. I Sonic Youth vengono spesso associati al movimento, in realtà Gordon critica la questione per essere diventata un parametro sul quale misurare le rockers; rivendicando – in questo senso – la sua posizione di precorritrice dei tempi. Cfr. Gordon, in Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 280).↩
Gordon, 2015 (trad. ita. 2016, p. 205).↩
L’immagine viene inclusa in un’edizione limitata del disco da 5 mila copie.↩
Lo stilista aveva appena realizzato la sua collezione grunge per Perry Ellis.↩
Cfr. Chick, 2007 (trad. it. 2009, p. 285).↩
Cfr. O’Dair, 1997.↩