ZoneModa Journal. Vol. 7 (2017)
ISSN 2611-0563

Brand placement o co-branding? Celebrities e attività di promozione nei film Zoolander 1 e 2

Stefania AntonioniUniversità di Urbino (Italia)

She is assistant professor at the Department of Communication, Humanities and International Studies of the University of Urbino Carlo Bo. She teaches Advertising Theories and Languages and Cinema and Photography. Her main research interests are promotional strategies, the analysis of communication in/of urban spaces, branded entertainment.

Pubblicato: 2017-12-29

Abstract

Brands’ promotional strategies are shifting towards liminal areas because their main strategic object seems to be, nowadays, hiding their original purpose and making difficult, for the audience, to avoid a content that is not so easy to classify as publicity. Among all the possibilities of this peculiar strategic communication, there are all the activities of non-conventional communication located in urban spaces but also, and especially, branded entertainment. So brands produce entertainment contents that seems to be free from promotional purposes and at the same time more similar to audiovisual fictional languages.

One of oldest and most widespread strategic communication activity, also because of its opacity, is for sure product placement. This activity could be declined in various types, more and more sophisticated because they use a sort of “invisible” promotion, effective when they are connected with the plot. Brand insertion needs a coherent and plausible integration within the plot that testifies the blurring boundaries between promotion and entertainment. But what happens if we consider celebrities as brands and we focus on the practice of celebrities’ endorsement? This leads us to consider this practice also as a co-marketing activity and, in some cases, as a brand alliance activity. If we turn to analyse the motion picture sector, we will find many interesting cases but one of the most meaningful, because of the way it intertwines the storyline with promotional contents, is undoubtedly the film Zoolander (2001) and its 15-years-later sequel Zoolander 2. Those films, set within the fashion world, are full of models, designers, stylist, actors singers and pop icons playing themselves so that we can say that those celebrities are brands promoting themselves and using a strategy of brand alliance with another brand, that is the movie in itself. Moreover, is also interesting to analyse the proper promotional activities, in particular of Zoolander 2, that used this peculiar mixture between promotional and story levels. These films will give the opportunity to reflect upon celebrities’ self-branding practices and upon the concepts of brand placement and brand alliance.

Keyword: Celebrities; Endorsement; Brand alliance; Brand placement; Co-branding

Strategie di branding e celebrities: un binomio in continua riattualizzazione

Il fatto che la comunicazione di carattere promozionale in Italia riconosca nel brand il suo oggetto privilegiato è ormai un’evidenza dagli anni ’801 del Novecento, in quanto è proprio in quel decennio che gli sforzi comunicativi si concentrano nel dare calore e nel costruire un mondo finzionale attorno al prodotto. La creazione di una “marca aumentata”,2 infatti, definisce proprio quel lavoro di carattere connotativo che mira a dare vita non solo alla sua dimensione più astratta e valoriale, ma anche a quella di carattere eminentemente emozionale che le permette di iniziare a creare un contatto più intimo e personale con i propri consumatori. Il mezzo che più di ogni altro ha contribuito alla divulgazione e alla costruzione di un immaginario appannaggio di tale tipologia di marca è stato sicuramente la televisione con la forma dello spot, novità assoluta sugli schermi italiani che proprio negli anni ’80 vedevano l’introduzione delle televisioni commerciali e della connessa logica e necessità di basarsi sulle inserzioni pubblicitarie per il proprio sostentamento economico.3 In particolare, è proprio in quel decennio, pratica questa che si corroborerà nel corso di quello successivo, che anche in Italia si iniziano ad associare i brand alle celebrità di quel periodo, fossero esse provenienti dal mondo dello spettacolo in tutte le sue dimensioni, dalla moda, dallo sport, ecc. Nello scenario pubblicitario nazionale, per la verità, sin dai tempi di Carosello le star del momento erano tra le protagoniste dei filmati commerciali e, anzi, la loro fama si era ancor più accresciuta proprio grazie all’allora unico programma di pubblicità presente nel palinsesto televisivo. La presenza di queste star però, soprattutto attori/attrici e cantanti, era pensata in funzione della narrazione costruita attorno al prodotto e pertanto queste erano chiamate ad interpretare una parte specifica all’interno della sceneggiatura del filmato commerciale, e non tanto ad assumere una funzione di endorser in quanto tale. Le cose, appunto, cambieranno in Italia negli anni Ottanta e Novanta, quando la scelta di celebrities in qualità di endorser esplose in maniera esponenziale,4 portandole ad accrescere ancora di più la loro fama in una sorta di circuito comunicativo rafforzativo. A questo proposito vale forse la pena dare una prima definizione di endorser ricorrendo ad una delle più conosciute in letteratura, quella di Grant McCracken,5 secondo il quale si tratterebbe di un individuo che gode del riconoscimento del pubblico e che usa questo riconoscimento per un bene di consumo apparendo con esso in una pubblicità.

Se volgiamo lo sguardo più indietro nel tempo e lo applichiamo allo scenario internazionale, più in generale possiamo affermare che la pratica dell’endorsement esiste dall’8006 e si sviluppa compiutamente nel ’900 con il diffondersi dei mass media. Si tratta, infatti, di un fenomeno che non può che essere incentivato e diffuso grazie ai media di massa, a partire dal cinema, che è il maggiore responsabile della creazione della figura della star, come ci ricorda, tra gli altri, Edgar Morin.7 Sin dagli anni ’20, periodo di fondazione del sistema degli studios e del correlato sistema delle star,8 i pubblicitari iniziarono ad utilizzare le celebrities per promuovere i prodotti da loro seguiti. Joan Crawford, Clara Bow e Janet Gaynor furono tra la prime star a promuovere dei prodotti e la spiegazione di questa scelta strategica, da parte delle agenzie, era che queste dive venivano impiegate per lo spirito di emulazione che riuscivano a suscitare nel pubblico.9

Hollywood, the star system, and celebrity endorsement are all profoundly cultural enterprises and our fascination with celebrities reflects our involvement in the meaning transfer system they accomplish. The celebrity world is one of the most potent sources of cultural meaning at the disposal of the marketing system and the individual consumer.10

Se, quindi, il rapporto tra media e celebrità può essere considerato indissolubile in quanto sono i media stessi a creare e diffondere il concetto di celebrità, questi hanno contribuito ad allargare esponenzialmente la loro fama, rendendo al contempo l’intrattenimento una sorta di valore di base nella società contemporanea. A questo proposito è interessante notare come, secondo Neal Gabler,11 la celebrità è di per se stessa intrattenimento che eccede rispetto ai film e alla televisione ed è questo che spiegherebbe l’affezione nei suoi confronti e la sua efficacia, in termini promozionali, nell’essere collegata ad un brand. Da questo punto di vista, infatti:

Celebrity endorsement has the power to instigate and inspire, enlighten and enrage, entertain and edify the consumer […]. Ultimately, celebrity endorsement is always worth investing in if you have the right person. It’s an expensive but easy option for companies, but it should be treated like a marriage.12

Chiaramente si tratta di una strategia che comporta anche dei rischi, ma cionondimeno viene sempre più largamente utilizzata se è vero che nel 1970 solo il 15% della pubblicità faceva uso delle celebrities, nel 1990 la quota è salita al 25% mentre oggi è diventata una delle modalità predominanti nella pubblicità contemporanea. Ma quali sono i motivi che possono spiegare questo massiccio utilizzo di endorser nell’ambito promozionale contemporaneo?

Osservando il panorama pubblicitario contemporaneo, ciò che emerge è uno slittamento dei brand in territori “liminali”, in qualche modo sfidanti nei confronti dei pubblici ai quali si rivolgono, in termini di riconoscibilità e intelligibilità dei loro obiettivi comunicativi. Infatti, da un lato l’affollamento pubblicitario che riguarda i mezzi tradizionali – unito al loro elevato costo – e dall’altro la disaffezione mostrata dai pubblici nei confronti delle forme più classiche di promozione, hanno fatto sì che i brand e i professionisti della comunicazione cercassero strade “alternative” per riuscire ad intercettare i loro pubblici. Da questo punto di vista, quindi, l’obiettivo strategico più generale che le marche sembrano perseguire è quello di rendere la loro comunicazione promozionale sempre più difficilmente distinguibile e riconoscibile in quanto tale, in maniera da minimizzare l’azione di evitamento e mancata selezione da parte delle audience. Si tratta, in altre parole, di quell’azione di opacizzazione13 che fa sì che pubblicità e promozione non siano immediatamente riconosciuti come tali per poter raggiungere il loro obiettivo, ovvero l’efficacia. D’altra parte, i cambiamenti nel comportamento dei consumatori si trovano ad essere rispecchiati dal passaggio radicale nei budget di marketing e comunicazione dalla pubblicità tradizionale alla promozione più in generale, specialmente in forme ibride come il branded content, il product placement, le sponsorizzazioni e tutte le possibilità connesse al digitale come i siti, i blog brandizzati, gli advergame e le chat interattive brandizzate.14

Tra le numerose declinazioni possibili che può assumere una tale e più generale azione strategica, possiamo annoverare tutte le attività di comunicazione non convenzionale che coinvolgono gli spazi urbani, ma anche tutto il settore in espansione del branded entertainment, termine ombrello che comprende la produzione di contenuti significativi e immersivi in una logica di storytelling. Infatti, il contesto globale ci restituisce una situazione nella quale:

[…] there are also significant rises in video and other forms of brand sponsored content that are presented as entertainment or information and reflect a strategic need not to sell as such but, rather, to maintain brand presence and visibility by integrating the brand seamlessly within consumers’ media consumption for entertainment, news, information and social media.15

Le marche, quindi, si fanno promotrici di contenuti di intrattenimento, sempre più simili ad altri prodotti culturali, che appaiono sganciati da finalità strettamente e palesemente promozionali e che sono più affini ai linguaggi audiovisivi finzionali, come ad esempio il film pubblicitario o le branded web series.16

Corrisponde a pieno a questa necessità di non rendere immediatamente evidenti le loro finalità strumentali in senso commerciale, la strategia che porta ad associare brand e celebrities; infatti “Consumers are likely to build fewer defenses against celebrities compared to corporate messages such as advertising, the commercial intentions of which consumers are aware. In contrast, selling products is not seen as the primary aim of celebrity endorsement”.17 In altro parole, l’endorsement può essere considerato come il mezzo attraverso il quale superare le barriere difensive e la diffidenza che i pubblici nutrono ormai da anni nei confronti della pubblicità.

Ma, al di là della percezione di una comunicazione meno invadente e allo stesso tempo apparentemente disinteressata, le celebrities vengono impiegate soprattutto per attirare l’attenzione sui prodotti ai quali sono collegate e sostanzialmente per aumentare il prestigio dei brand stessi che, attraverso il processo di endorsement hanno la possibilità di associarsi ai mondi più glamour, alla moda, delle celebrità. Le persone famose, inoltre, permettono di raggiungere un grado più elevato di attenzione e ricordo rispetto ad altri tipi di endorser. Queste, inoltre, contribuiscono ad aumentare l’awareness di un’azienda, creano sentimenti positivi nei confronti del brand e sono percepiti dai consumatori come più “intrattenenti”. Fattore, quest’ultimo, che abbiamo visto essere di capitale importanza in uno scenario non solo economico, ma anche culturale e sociale, che riconosce all’intrattenimento un ruolo fondamentale.

Hollywood, the star system, and celebrity endorsement are all profoundly cultural enterprises and our fascination with celebrities reflects our involvement in the meaning transfer system they accomplish. The celebrity world is one of the most potent sources of cultural meaning at the disposal of the marketing system and the individual consumer.18

La possibilità di riuscire a catturare l’attenzione, di avvicinarsi ad un pubblico più ampio, di beneficiare dell’aura di esclusività e ricercatezza connesse con l’essere celebrity, di poter beneficiare di un trasferimento positivo di significati, in sintesi, dovrebbe però portare le aziende a scegliere le celebrità più coerenti con i propri valori e con la propria identità di marca già radicata. Il processo di selezione della star, in altre parole, è cruciale per la comunicazione del brand perché si tratta di riuscire a stabilire un vero e proprio rapporto di correlazione che permetta di collegare due ambiti significanti diversi ma che dovrebbero essere compatibili: “there must exist a symbolic match between the image of the endorser and the brand. Such effectual match creates/establishes a correlation between celebrity endorsement and brand image”.19

Questo rapporto di mutua collaborazione tra brand e celebrità è particolarmente significativo e altrettanto significativamente adottato nell’ambito della moda sin da quando questa è emersa come impresa commerciale.20 Ed è proprio nell’ambito della moda che il rapporto tra brand e celebrità diventa ancora più stretto ed esclusivo, portando ciascuno dei due soggetti a beneficiare – in termini di reputazione (beninteso nei casi di successo), di attenzione e di ampliamento della propria aura – di questa relazione. Infatti:

The relationship between celebrities and fashion may become symbiotic; brands benefit from the attention celebrities bring them, while celebrities not only earn considerable sums via endorsement deals, but also enhance their own reputations to their association with the apparent glamour world of fashion. As such, brands and celebrities have a mutual interest in developing and perpetuating collaboration.21

Nel mondo della moda, chiaramente, la lista di coloro che possono essere considerati celebrità comprende stilisti, modelle, fotografi e personaggi importanti coinvolti negli aspetti più “artistici” della moda, come ad esempio i truccatori o i consulenti di moda.

Il ricorso così massiccio all’endorsement da parte di celebrities nell’ambito dei marchi di lusso del settore moda può essere spiegato con le seguenti ragioni:

  • si tratta di uno strumento per creare brand awareness, soprattutto per nuovi soggetti commerciali;

  • aiuta a posizionare o a riposizionare brand esistenti;

  • contribuisce a sostenere l’aura del brand;

  • serve a ravvivare e rivitalizzare brand troppo seriosi o compassati;

  • fornisce la possibilità di utilizzare a proprio vantaggio le relazioni pubbliche e di beneficiare di altre opportunità comunicative;

  • crea una brand awareness di respiro globale;

  • promuove i prodotti e l’appeal del brand.

Quanto appena esposto, in termini di vantaggi per la marca, rende evidente il motivo per il quale si tratta di una pratica così diffusa, ma allo stesso tempo questo approccio non consente di evidenziare adeguatamente la biunivocità, la mutualità che si viene ad instaurare tra brand e celebrità. Per questo motivo si rende necessario adottare un diverso punto di vista che permetta di osservare questa pratica comunicativa strategica in maniera più complessa e allo stesso tempo comprendente, tentativo che verrà intrapreso nel prossimo paragrafo.

Celebrities, endorsement e co-branding

Innanzi tutto può essere utile considerare che la crescita della rilevanza delle celebrities nella società contemporanea induce a ritenere che quella che può essere riconosciuta come la logica specifica della celebrità inizia ad essere adottata in vari ambiti non solo della comunicazione, ma anche della società. Per spiegare questo tipo di dinamica, che riguarda gli individui e la società, Olivier Driessens utilizza i termini di celebrificazione (celebrification) e celebritizzazione (celebritization).22 Con il primo intende il processo attraverso il quale le persone “normali” o le figure pubbliche hanno la possibilità di trasformarsi in celebrità, mentre con il secondo intende il meta-processo di lungo periodo che implica una democratizzazione della natura della celebrità e il suo diventare parte della cultura e della società (attraverso la diversificazione e la migrazione). La celebritizzazione è quindi una dinamica che ha a che fare con i più ampi processi sociali e culturali implicati dalla celebrità, assimilabile a dinamiche come la globalizzazione, la mediatizzazione e l’individualizzazione, e che porta alla mobilità delle celebrità attraverso vari settori dei media e dell’intrattenimento. L’aspetto più interessante sottolineato da Driessens riguarda non solo la generalizzazione di una processo sospinto dall’ecosistema mediale nel suo complesso, ma anche la sua diffusione a livello culturale, tanto da far pensare ad una vera e propria colonizzazione, da parte della logica della celebrità, di tutti gli ambiti della vita sociale, dall’informazione, alla politica, all’attivismo, ecc.

Se, quindi, il concetto di celebrità viene riconosciuto nodale a tal punto che viene ritenuto influenzare individui e vari settori della società, a maggior ragione non può non riguardare anche l’ambito più prettamente promozionale, come abbiamo già visto in precedenza. Osservata da un punto di vista più culturalista, possiamo considerare che la relazione che lega brand e celebrità è una relazione che riguarda il processo di significazione, o meglio, lo slittamento della significazione da un soggetto all’altro. Infatti, la questione cruciale è che le celebrità incorporano dei significati anche di carattere culturale che poi vengono trasferiti sul prodotto/brand e da questo ai consumatori. Non si tratta, quindi, di un processo basato esclusivamente sull’attrattiva delle star, ma della possibilità, da parte del pubblico, di identificare significati culturali più profondi in queste figure.23 In questo senso, infatti, muovendoci all’interno dell’impianto teorico della consumer culture theory, non possiamo non riconoscere che il mercato, e l’immaginario costruito dalla pubblicità, contribuisce a costruire un orizzonte di significati ben definito, all’interno del quale i soggetti si trovano ad inserire azioni, esperienze, scelte e comportamenti.24 A questa predeterminazione dei significati, però, si abbina il riconoscimento che l’identità del brand e l’essenza dei prodotti dipende da un processo di co-costruzione attivato assieme ai pubblici di riferimento, i quali hanno la possibilità di “‘play’ with the product through their imagination and creativity in ways not intended by the producers”.25
E questo processo di produzione di significati riguarda ovviamente anche le celebrities e le loro carriere, che in tal modo divengono facilmente identificabili anche dal pubblico.

In altre parole:

Celebrities ‘own’ their meanings because they have created them on the public stage by dint of intense and repeated performance […]. Celebrities draw these powerful meanings from the roles they assume in their television, movie, military, athletic, and other careers. Indeed these careers act very much like large ads.26

Considerare le carriere stesse delle star come dei veri e propri mega spot, come fa McCracken, induce a valutare che queste possono essere viste come dei brand a loro volta che intrecciano un rapporto di co-costruzione di significati assieme ad altri brand (quelli commerciali). A riprova della possibilità di collocare le celebrities nella stessa cornice concettuale del brand, possiamo ricordare che esse fanno ricorso a strategie comunicative per auto promuoversi, simili a quelle utilizzate dalle marche, come il merchandising, il concedere in esclusiva il proprio nome, lanciare le proprie linee di prodotto, tutto ciò per aumentare la propria visibilità e raggiungere pubblici diversificati.27

Osservata in quest’ottica, la pratica dell’endorsement, quindi, può essere considerata come una vera e propria forma di co-branding, nella quale il brand della celebrity costituisce una partnership con la marca commerciale vera e propria. Infatti, una prima e utile definizione di co-branding può essere quella che lo riconosce come “a strategy that allows valuable brand asset to be leveraged and combined with other brand names to form a strategic alliance in which, from a financial point of view, the brand value of both is greater than individual parts”.28

Se riteniamo che le celebrities siano dei brand veri e propri, i modelli che finora hanno spiegato come funziona il processo di endorsement oggi appaiono incompleti e inadatti a descrivere la complessità delle dinamiche contemporanee. Alcune ricerche condotte sulle personalità delle celebrities dimostrano quanto queste incidano sulla personalità del brand, ovvero i caratteri attribuiti alla celebrità si trasferiscono al brand, nella percezione del pubblico.29 Pertanto la relazione che lega la celebrità, intesa come brand, e il vero e proprio brand commerciale si configura come una sorta di trasferimento della personalità che è più marcato nei casi di marche meno conosciute. Un rapporto che nasce proprio con la volontà di conferire personalità alla marca, antropomorfizzarla, darle calore attraverso il legame con personaggi famosi, trova il suo compimento nel processo di trasferimento dei significati e dei valori dagli uni all’altra.

Seguendo questa accezione, possiamo cercare di definire in maniera più complessa il co-branding, riconoscendo che:

The essence of co-branding is a public relationship between independent brands. This relationship reaches beyond a mere transaction, where money is exchanges for an image transfer […]. The mutual benefit takes the form of a continuing exchange, or flow, of strategically desirable image attributes, or ‘meaning’ between the co-branding parties that can be managed in an exclusive and dynamic process.30

Altri studiosi preferiscono definire questo processo di promozione vicendevole come una vera e propria alleanza tra brand (brand alliance):

The use of celebrities for commercial purposes is not a one-way process, however, as celebrities are becoming brands in their own right, with their own values existing in the minds of their audience in a similar way to corporate and consumer brands […]. The existence of reciprocal meanings transfer would also suggest that celebrity endorsement should be considered as a brand alliance where meanings and values can transfer from either partner to the other.31

Utilizzare il concetto di co-branding o di alleanza tra brand porta a considerare i due soggetti che si relazionano come posizionati sullo stesso piano e a rendere più difficilmente definibile la maggiore o minore influenza dell’uno sull’altro:

In the case of celebrity endorsement this concerns both the celebrity and the corporate brand having brand leverage similar to each other. Therefore, if meanings could transfer not only from the endorser to the brand, but also from the brand to the celebrity, it would imply that celebrity endorsement should be considered as an alliance of equals and be treated more in brand alliance.32

Il fulcro di tale ragionamento, pertanto, è che l’immagine del brand e quella della celebrity è l’elemento che consente di metterli in relazione e che influisce sul rispettivo valore. Come già detto, si tratta di un processo biunivoco, di influenza reciproca, che ovviamente ha le proprie ricadute sulla equity di entrambe i soggetti.

In conclusione, possiamo definire il concetto di co-branding come la co-costruzione di una narrazione o l’innestarsi di una narrazione sull’altra, come se fossero delle storyline differenti ma in interazione. Se infatti, come abbiamo visto, le celebrities sono portatrici di significati che si sono costruiti e drammatizzati nel corso della loro carriera (seppur breve), questi significati di origine culturale, come ci ricorda McCraken, confluiscono nella narrazione costruita dal brand. Il caso peculiare che prenderemo in considerazione nel prossimo paragrafo riguarda, infatti, quello che può essere interpretato come un processo di co-branding che vede come protagoniste le star (brand) che appaiono in un film sulla moda e la pellicola stessa.

Zoolander 1 e 2: fra co-branding e product placement

Prima di passare ad esaminare il caso di studio selezionato, occorre ribadire che “The relative lessening of importance of traditional, sales-oriented advertising and benefit-based branding reflect the need to address the new, performative consumer cultures”.33 In questo tentativo di avvicinare i consumatori contemporanei, la pubblicità diviene sempre più promozione e tende a sganciarsi dalle sue modalità più classiche per accostarsi, invece, all’ambito dell’intrattenimento pure e apparentemente disinteressato.

Tra le modalità di comunicazione strategica più “antiche” e allo stesso tempo maggiormente utilizzate oggi perché caratterizzata dall’opacità alla quale facevo riferimento in precedenza, c’è sicuramente il product placement. Questa pratica ha trovato la sua applicazione nel cinema sin dai suoi esordi, e oggi ha conquistato un sempre più ampio spazio in vari prodotti audiovisivi come programmi e serie tv, ma anche videogiochi, ecc.

La pratica del product e del brand placement, volendone offrire una definizione, prevede la presenza di un brand, un prodotto, un’attrezzatura all’interno di un contenuto audiovisivo, a fronte del pagamento di una somma in danaro da parte dell’azienda alla produzione.34 Questa attività può essere declinata attraverso varie tipologie, che raggiungono livelli sempre più sofisticati quando prevedono una promozione invisibile e in un certo senso tanto più efficace quanto più è collegata con la trama, non risultando come un’aggiunta posticcia. L’inserimento del brand nel plot prevede quindi una sua integrazione coerente e credibile all’interno della storia35 che pertanto testimonia di una dissoluzione della barriera che separa l’intrattenimento dalla promozione o, quantomeno, le rende sempre più difficilmente distinguibile. Infatti l’inserimento di prodotti o di una marca “has given way to brand integration, in which identifiable characters, whether in drama, news, documentary or reality television, either utter the name or exhibit a consumable product […] This is neither old style product placement nor straightforward endorsement: it is an integration of commercial content and dramatic content. It’s impossible for viewers to avoid”.36 L’efficacia, quindi, viene fatta coincidere con l’inevitabilità del contenuto promozionale, inserito in maniera coerente e congrua all’interno della narrazione, in modo che non ne venga percepito l’intento strategico. Il brand, in altre parole, deve trovare il proprio posto all’interno di una narrazione finzionale complessa, come quella cinematografica o seriale, per poter essere visto ma non colto consapevolmente come elemento surrettiziamente inserito. In questo senso il brand placement ottimale in termini di efficacia è quello che fa diventare la marca uno degli elementi di “arredo” della storia, associandosi al piacere dell’essere intrattenuti e condotti all’interno del mondo costruito dalla narrazione. Il product placement, infatti, prevede che:

The promotional intent is not made explicit but is presented, ostensibly, as part of the dramatic entertainment. In this way product placement inserts the brand into the consumer’s experience with an intimacy that conventional promotion cannot match […]. It seems clear that there is a different cognitive and emotional engagement with entertainment than with advertising.37

In questo senso la differenza sostanziale rispetto alla pubblicità convenzionale è rappresentata proprio dalla possibilità di essere percepiti come parte di un’esperienza che ha a che fare con l’emozionalità, il piacere, il divertimento ma anche la riflessività. Un’esperienza profonda che può essere in grado di costruire un legame ed un coinvolgimento totale del quale beneficia, ovviamente, anche il brand. Tra i vari tipo di branded entertainment che la letteratura sul tema ha individuato, Paul Lehu ed Etienne Bressoud38 rintracciano la modalità della plot insertion, ovvero l’inserimento e l’integrazione del brand all’interno della sceneggiatura stessa. Questa modalità, proprio per il suo elevato grado di integrazione che le permette di poter essere percepita come parte costitutiva, essenziale per la storia, può essere definita come la più efficace perché elimina anche il solo “sospetto” di inserimento prezzolato e perciò forzato del brand. In ultima analisi l’azione di mimetizzazione o di camouflage, come la definisce Patrick Vonderau,39 perseguita dal product placement, è ciò che le permette di essere una forma persistente di comunicazione, incisiva nell’andare alla ricerca dello spettatore senza tediarlo.

Il settore cinematografico dalla sua fondazione presenta una miriade di casi e occasioni offerte al brand placement, ma uno dei più significativi e interessanti in virtù dell’intreccio di piani promozionali diversi, e che si presta come caso di analisi del tutto peculiare dal punto di vista della commistione tra plot e promozione, è rappresentato dal film Zoolander del 2001 e dal suo sequel Zoolander 2 del 2016.

Si tratta di un case history particolarmente rilevante perché all’interno del film, sia nel primo che nel secondo, compaiono modelle, stilisti, cantanti nonché vere e proprie icone pop (tra le quali David Bowie nel primo) la maggior parte dei quali recitano nella parte di loro stessi. Pertanto l’utilizzo delle celebrities in qualità di endorser, che abbiamo visto essere concettualmente superato dalla dinamica del co-branding o dell’alleanza tra brand, trova in queste pellicole non solo la sua massima espressione, ma anche una interessante ibridazione con la pratica del brand placement esaminata nel paragrafo precedente.

Vale la pena ricordare, infatti, che i due film,40 diretti da Ben Stiller che ne è anche il protagonista assieme a Owen Wilson, sono ambientati nel mondo della moda che diventa l’oggetto principale della parodia messa in scena, che ne estremizza eccessi e vacuità dei suoi protagonisti, stilisti e modelle/i in primis. In questa cornice, le numerosissime celebrities appartenenti soprattutto alla fashion industry sono chiamate ad interagire con la trama del film, del quale divengono parte integrante e non posticciamente aggiunta, rappresentando una plot insertion del tutto coerente.

Molto brevemente, possiamo ricordare che nel primo film il protagonista, il modello in crisi di identità Derek Zoolander, dopo aver gestito costruttivamente l’eterna conflittualità con il suo rivale, Hansel McDonald, incrocia nel suo percorso alla ricerca del significato della vita non solo una serie di stilisti (personificazioni del loro brand) come Karl Lagarfeld, Donatella Versace, Tom Ford, ma soprattutto il perfido fashion designer Jacobean Mugatu, che è costretto ad affrontare per evitare un assassinio. Può essere interessante rilevare anche che la pellicola, uscita nelle sale poco prima dell’11 settembre 2001, non aveva ottenuto degli incassi rilevanti, ma è riuscita a costruire nel corso del tempo e a livello globale una fan base che gli ha permesso di diventare una sorta di film di culto per il genere.

Il sequel del 2016, con i medesimi protagonisti, propone il ritorno sulle scene dei due modelli, ormai allontanatisi del mondo della moda, allo scopo di riuscire a salvare il figlio di Derek Zoolander, Derek junior, al centro di una macchinazione ordita dal perfido Mugatu assieme ad alcuni personaggi appartenenti al gotha del fashion system globale, come Tommy Hilfiger, Valentino, Marc Jacobs, Alexander Wang, che compaiono tutti nella pellicola.

La partecipazione di alcuni dei più grandi stilisti della fashion industry mondiale, assieme a quella di Claudia Schiffer, Paris Hilton, Melania Trump, Carmen Kass, Frankie Rayder (nel film del 2001) e di Kate Moss, Naomi Campbell, Anna Wintour, Jourdan Dunn (nel film del 2016) può anche essere interpretata come un inserimento di brand e celebrities (che funzionano come brand che attualizzano forme di self branding) le quali in tal modo si posizionano e auto promuovono grazie al film. In questo senso possiamo parlare di una pellicola che funziona come gigantesco palcoscenico per azioni di brand placement per stilisti e modelle, ma anche per tutte le altre celebrities presenti nei due film.41 Ma al contempo si tratta di un prodotto audiovisivo che può essere letto anche in un’ottica di co-branding, poiché la relazione reciproca tra il brand Zoolander e i vari brand (del mondo della moda e le varie altre celebrità) presenti al suo interno genera un effetto moltiplicatore dell’awareness di tutti i soggetti coinvolti.

Nel sequel del 2016, poi, la presenza di attori, modelle, cantanti e stilisti è ancora più massiccia ed arriva ad un livello di sofisticatezza e di commistione tra piani narrativi e promozionali diversi, molto più che nella versione del 2001. Infatti Zoolander 2, oltre a rinnovare l’interesse per il mondo del fashion, per il quale di nuovo esercita la funzione di incredibile e popolarissima cassa di risonanza, ha inserito nella sua strategia di promozione e lancio una serie di azioni di comunicazione non convenzionale che hanno visto i protagonisti Derek Zoolander e Hansel McDonald (gli attori Ben Stiller e Owen Wilson) uscire dallo schermo e materializzarsi nella vita reale. I due, infatti, nell’autunno del 2015 hanno partecipato alla settimana della moda di Parigi, sfilando sulla passerella di Valentino, che ricordiamo essere uno degli stilisti/brand presenti nella pellicola, dando vita ad uno dei teaser più precoci e allo stesso tempo concreti che si possano ricordare. La partnership con lo stilista italiano si è rinnovata l’anno successivo, in occasione dell’uscita nelle sale del film e ha visto i due personaggi comparire in qualità di manichini viventi nelle vetrine della sua boutique di Piazza di Spagna a Roma. Ovviamente le due occasioni hanno alimentato una produzione di immagini, selfie, video prodotti “dal basso”, oltre che dalla stampa istituzionale, che ha innescato un passaparola digitale e una diffusione della notizia impensabile nel 2001. Nel frattempo, infatti, il panorama e la cultura mediale si sono enormemente modificati dando vita ad una realtà di pubblici connessi e ad una circolazione di user generated content mai sperimentata prima. La generalizzazione di pratiche che possono essere ricondotte al prosumerismo42 digitale, tra le altre cose, ha sospinto ulteriormente il circuito di produzione, diffusione, condivisione e consumo di contenuti visuali, tra i quali uno dei principali è sicuramente rappresentato dalla forma del selfie. A questo proposito può essere curioso ricordare che una delle pose più classiche di questo genere fotografico, la cosiddetta duck face, trova il suo insospettabile antesignano proprio in Zoolander, che lancia le espressioni facciali definite Blue Steel e Magnum proprio per identificare le movenze dei top model di fronte alla macchina fotografica.

Del processo di word of mouth innescato dalle azioni di promozione del film attraverso le performance dei suoi attori hanno beneficiato sia il film, ovviamente, che la maison Valentino, rendendo evidente quali siano le potenzialità di una relazione di co-branding intesa come vera e propria alleanza. Anche per quanto riguarda la promozione più tradizionale della pellicola, i poster e il materiale a stampa sono stati concepiti in modo assolutamente mimetico rispetto all’immagine utilizzata da alcune campagne pubblicitarie di famosi brand di moda, così come il titolo stesso del film è stato modificato in Zoolander nº 2, chiaramente richiamando la celeberrima fragranza di Chanel. In questo senso, quindi, i prodotti marcati Zoolander hanno costruito una narrazione che ha beneficiato del contributo e dell’intersezione con ulteriori narrazioni costituite dai brand di moda e dalle celebrities che hanno preso parte a questo progetto, oltre ad aver attinto potentemente ad un certo immaginario condiviso sulla moda, sia per quanto riguarda la sceneggiatura sia per quanto attiene alle immagini e allo stile adottato dalle campagne di promozione del film. Il processo di trasferimento di significati tra piani diversi è in questo caso particolarmente evidente e allo stesso tempo permette di dare conto anche delle enormi potenzialità di questo tipo di alleanza tra brand.

In conclusione, possiamo affermare che il cortocircuito tra piani promozionali e narrativi diversi è altamente significativo nel caso preso in esame, che ben si presta ad una riflessione più generale – che abbiamo cercato di condurre nel corso di queste pagine – sulle pratiche di self branding messe in atto dalle celebrities e sulle diverse possibilità aperte dal product e brand placement e più in generale dalle forme di branded entertainment. Ciò che può essere osservato, infatti, è che la distinzione tra contenuto creativo, finzionale, di intrattenimento puro e il marketing è completamente collassata, dando vita ad un prodotto che riesce a mescolare e a rendere indistinti promozione e prodotto culturale pop. A riprova del fatto che non solo quella delle celebrities è una forma culturale socialmente diffusa e in continua migrazione verso altri contesti, ma anche che si tratta di un’opportunità comunicativa altamente risonante che consente di “fashioning entertainment in the context of the brand”.43 La chiave sta nel riuscire ad inserire i brand – e le celebrities in quanto brand a loro volta – all’interno di narrazioni complesse e coinvolgenti, che appaghino la performatività delle audience contemporanee e la loro sensibilità all’immersione in storie considerate soggettivamente significative.

Riferimenti bibliografici

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  1. Ovviamente nel mondo anglosassone, e in particolare nello scenario americano, questa attenzione comunicativa alla marca più che al prodotto può essere fatta risalire ad almeno 20 anni prima.

  2. Lombardi, 2010.

  3. Non è obiettivo dell’autore, né questa la sede più adatta per ripercorrere la storia della televisione italiana e del ruolo da sempre svolto dalla pubblicità nei suoi palinsesti. A questo scopo può essere utile rimandare, tra gli altri, a Codeluppi, 2013, Pitteri, 2002, ma anche Grasso, 2004, Scaglioni, 2013.

  4. Si tratta del periodo nel quale Scavolini sceglie Raffaella Carrà come “più amata dagli italiani”, caffè Kimbo si affida alla fiducia ispirata da Pippo Baudo, Yomo alla humour nonsense di Beppe Grillo, Lavazza sceglie di ritrarre Nino Manfredi nella sua “quotidianità”, spesso accompagnato dalla fedele governante Natalina, ecc., solo per citare alcuni degli esempi più popolari.

  5. McCracken, 1989.

  6. Nell’ambito della moda, in particolare, si fa risalire al couturier Charles Frederick Worth la consapevolezza dell’importanza del legame tra brand e celebrità. Infatti lo stilista divenne il fornitore di una delle donne più influenti nell’alta società francese, la principessa Von Metternich, e in questo modo divenne il couturier più influente del mondo.

  7. Morin, 1995.

  8. Costa, 2011.

  9. Ogunsiji, 2012.

  10. McCracken, 1989, p. 318.

  11. Gabler, 1998.

  12. Crutchfield, 2010.

  13. Luhmann, 1996.

  14. Hackley, Hackley, Bassiouni, 2017.

  15. Hackley, Hackley, Bassiouni, 2017, p. 17.

  16. Antonioni, 2016.

  17. Jimenez-Zarco, Gonzalez-Gonzalez, Gonzalez-Rodrigo, 2016, p. 616.

  18. McCracken, 1989, p. 318.

  19. Ogunsiji, 2012, p. 141.

  20. Wigley, 2015, p. 1.

  21. Wigley, 2015 pp. 6-7.

  22. Driessens, 2013.

  23. McCracken, 1989.

  24. Arnould, Thompson, 2005.

  25. Lanier, Schau 2007, p. 327.

  26. McCracken, 1989, p. 315.

  27. Ambroise, Pantin-Sohier, Valette-Florence, Noel, 2014.

  28. Oeppen, Jamal, 2014, p. 926.

  29. Ambroise, Pantin-Sohier, Valette-Florence, Noel, 2014.

  30. Seno, Lukas, 2007, p. 123.

  31. Halonen-Knight, Hurmerinta, 2010, p. 452.

  32. Halonen-Knight, Hurmerinta, 2010, p. 454

  33. Hackley, Bassiouni, 2017, p. 18.

  34. Cain, 2011.

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  37. Hackley, Tiwsakul, 2006, p. 64.

  38. Lehu, Bressoud, 2008.

  39. Vonderanu, 2016.

  40. Zoolander, uscito nel 2001, è diretto da Ben Stiller che ne firma la sceneggiatura assieme a Drake Sather e a John Hamburg. Il sequel Zoolander 2, uscito nel 2016, è diretto sempre da Ben Stiller che ne firma la sceneggiatura assieme a Justin Theroux, Nicholas Stroller e John Hamburg.

  41. La lista della celebrità che hanno preso parte ai due film è veramente sterminata; basterà qui ricordare David Bowie, Sting, Madonna, Justin Bieber, Lenny Kravitz, Susan Sarandon, Bruce Springsteen, Kate Perry, Ariana Grande, Natalie Portman, Winona Ryder, Christian Slater, ecc.

  42. Con questo termine si intende più in generale il nuovo “statuto” dei soggetti contemporanei che incorporano e mettono in atto pratiche che integrano allo stesso tempo produzione e consumo.

  43. Grainge, 2011, p. 169.