ZoneModa Journal. Vol.15 n.1 (2025), 87–98
ISSN 2611-0563

Giallo come la ginestra, verde come il futuro: le nuove suggestioni delle fibre ritrovate

Elena PapaUniversità di Torino (Italy)

She is Full Professor of Italian Linguistics at the University of Turin. Her research interests are focused on anthroponymy and toponymy, lexicon and lexicography, norms and use of Italian in a diachronic perspective. Further lines of research concern twentieth-century industrial archives, the language of fashion and interlinguistic contact.

Pubblicato: 2025-07-15

Abstract

Hemp, broom, and jute, reintroduced during the autarkic period as fibers both strong and flexible, made a significant contribution to the renewal of textile production, with an immediate impact on fashion and interior design. Traditional rustic plants, alongside the “fibers of the Empire,” inspired research, leading to the development of technological patents and new industrial brands. Their promotion ranged from major national exhibitions to the fashion pages of women’s magazines, which played a crucial role in shaping the collective imagination and refining taste through a language capable of speaking simultaneously to reason and emotion. The rediscovery of humble plant-based fibers as an essential resource for responsible fashion is now driven by the urgent need to transition away from high-impact production methods. The green revolution is bringing broom back into focus through research into eco-sustainable solutions and new forms of clothing. Following the narrative that underpins the development of modern green awareness, this study aims to highlight the relationship between continuity and innovation in the linguistic choices related to the promotion of new natural materials, presenting the initial results of a diachronic analysis of lexicographical sources and historical and contemporary specialized texts.

Keywords: Language of Fashion; Neologisms; Autarchic Fibres; Eco-sustainable Fashion; Brand Names.

Sui flussi ondivaghi delle mode, sul potere della comunicazione e sulla possibilità di costruzione e decostruzione della storia appare illuminante una lettera pubblicata alla fine degli anni Settanta sulle pagine di un noto quotidiano. Un lettore si rivolge al giornale per esprimere il suo stupore di fronte al ritorno sul mercato di zoccoli femminili “in sughero e non in legno” del tutto simili alle modeste calzature di produzione autarchica indossate per necessità in tempi di ristrettezze e sanzioni.

Trasformati dalla pubblicità in oggetti desiderabili “all’insegna della praticità e dell’eleganza”, i nuovi zoccoli “anatomici” occultano il loro umile passato raggiungendo “un prezzo da stangata”. La lettera si conclude con un monito:

Questo potrebbe essere un campanello di allarme, perché non ci vuole niente ad arrivare ai vestiti fatti con la ginestra (l’orbace), spacciandoli come il non plus ultra della moda e dell’eleganza, ignorando che pure allora, durante il ventennio nero, la stoffa fatta con la ginestra era in auge.1

Al di là della provocazione, lo sguardo disincantato del lettore aveva colto nel segno. Se guardiamo alle tendenze attuali della moda, dobbiamo riconoscere che proprio la ginestra, come molte altre fibre vegetali un tempo relegate tra le produzioni tessili di scarso pregio, è protagonista di una nuova stagione in cui creatività e ricerca si fondono per soddisfare etica e gusto, investendo nella valorizzazione di materiali naturali e lavorazioni ecosostenibili.

La ginestra ha in sé la forza di diventare simbolo di questa rivoluzione perché coniuga bene tradizione e innovazione, mentre la potenza evocativa del suo nome è sufficiente a richiamare lo splendore del fiore e la sua intensa fragranza: “ginestra odorosa” è infatti la denominazione propria della ginestra comune (dal lat. genista, nella classificazione scientifica Spartium junceum), la stessa “odorata ginestra, contenta dei deserti” cantata da Leopardi, essenza selvaggia, rassegnata, tenace di cui l’uomo ha saputo giovarsi fin dall’antichità.

L’affermazione della ginestra come fibra tessile “naturale” non può essere disgiunta dal complesso sistema di relazioni con le memorie e la storia delle popolazioni mediterranee, costantemente rievocate nella moderna narrazione che si accompagna alla promozione delle molteplici applicazioni del filato. La moda e il gusto si nutrono di parole e attraverso la parola ogni epoca ridisegna i confini dell’invenzione creativa.

Dal panno ginestrino al tessuto di ginestra

La narrazione del periodo autarchico si costruisce sulle memorie di una produzione tradizionale radicata in Toscana, così come in alcune zone della Calabria e della Basilicata.2 A metà Settecento il medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti aveva descritto la macerazione delle ginestre praticata a Bagni ad Acqua (oggi Casciana Terme, in provincia di Pisa) sfruttando gli effetti delle sorgenti termali. La fibra ricavata era impiegata per la produzione di un tessuto rustico, detto “panno ginestrino”,3 piuttosto pesante e poco adatto al caldo estivo, come lo stesso autore rilevava presentando l’abbigliamento popolare in Maremma: “D’estate la biancheria lina, anzi canapina e ginestrina così grossa, ed i panni lani, forzano troppi sudori ed inzuppano troppo l’umidità dell’aria oltre al non conferire molto alla pulizia”.4

Localmente la tela di ginestra era nota con il nome di carmignolo.5 La prima testimonianza si legge nel Dioscoride di Andrea Mattioli (1548), che descrivendo la pianta precisava: “Altri macerano le Genestre come si fa il Canape & fattogli la medesima cura ne fanno canapi grossı per le navi & ne tessono quella tela grossa che s’adopera per far sacchi che noi chiamiamo Carmignolo”.6

La citazione fu ripresa da Ottaviano Targioni Tozzetti che aggiunse ulteriori notizie: “Tal pianta [la ginestra] fu chiamata perciò Lino Ginestra, dal Vigna, il quale avverte che, al tempo del Granduca Ferdinando II, nel museo dell’Università di Pisa si conservavano alcuni Tovagliolini fatti di Ginestra”.7

Il termine carmignolo viene quindi registrato dal Tommaseo-Bellini come voce settoriale delle arti e dei mestieri, ed è accolto nei dizionari dell’uso dove permane ben oltre la seconda metà del Novecento,8 per quanto già segnalato come “ant[ico]” dal GDLI nel 1962. Il dato va ricordato perché nella pubblicistica autarchica si parla molto di ginestra, poco di panno ginestrino e ancor meno di carmignolo,9 segnalando un’espressa volontà di distinguere la lavorazione tradizionale dai nuovi modelli di produzione nazionale. La presa di distanza dal passato artigianale trova conferma nella distribuzione cronologica delle occorrenze dei sintagmi panno ginestrino/tela ginestrina e tessuto/tela di ginestra restituita da Ngram Viewer,10 che mostra il progressivo scadimento della voce tradizionale a partire dal 1936, a fronte delle forme non marcate che si mantengono dominanti fino al 1943 (apice nel 1938).

Figura 1: Attestazioni di panno ginestrino/tela ginestrina e tessuto/tela di ginestra tra 1800 e 2022.

La contrapposizione tra passato e presente si coglie bene in questo estratto:

La ginestra è stata utilizzata, quale fibra tessile, fin dal secolo XVI. Le primitive tecniche d’allora ne ricavavano cordami a grosse tele che prendevano il nome di carmignolo o panno ginestrino. I progressi attuali della tecnica tessile rendono dunque perfettamente logici i successi ottenuti, e fanno sperare altri ulteriori progressi.11

La rinascita della ginestra come fibra dell’industria moderna è il risultato di una massiccia operazione di promozione che trova il suo punto d’avvio nel discorso di Mussolini all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni. Il programma di autosufficienza economica, presentato come risposta alle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni, trova uno snodo simbolico nell’immagine della ginestra, emblema di un riscatto possibile:

La deficienza di talune materie prime tessili non è tuttavia preoccupante: è questo il campo dove la scienza, la tecnica e l’ingegno degli Italiani possono più largamente operare e stanno infatti operando. La ginestra, ad esempio, che cresce spontanea dovunque, era conosciuta da molti Italiani soltanto perchè Leopardi vi dedicò una delle più patetiche poesie: oggi è una fibra tessile che può essere industrialmente sfruttata. I 44 milioni di Italiani avranno sempre gli indumenti necessari per coprirsi: la composizione di questi tessuti è − in questi tempi − una faccenda assolutamente trascurabile.12

La campagna per il rilancio della ginestra assume toni eroici, proponendosi come alternativa alla sopravvivenza, sia pur tenace, della pianta dei deserti. La scelta dell’aggettivo “patetico”, riferito alla poesia leopardiana, prepara l’attacco a ogni atteggiamento di passiva accettazione. La via da seguire è quella dell’azione, che prevede prima di tutto una rivalutazione del problema. Da qui il cambio di passo nel prosieguo del Discorso, che ribadisce come la parola possa ridisegnare una nuova “rappresentazione” del mondo:

La questione delle materie prime va dunque, una volta per tutte, posta non nei termini nei quali la poneva il liberalismo rinunciatario e rassegnato ad un’eterna inferiorità dell’Italia, riassumentesi nella frase, ormai divenuta abusato luogo comune, che l’Italia è povera di materie prime. Deve dirsi invece: l’Italia non possiede talune materie prime, ed è questa una fondamentale ragione delle sue esigenze coloniali; l’Italia possiede in quantità sufficiente alcune materie prime; l’Italia è ricca di molte altre materie prime. Questa è l’esatta rappresentazione della realtà delle cose.

I valori e le parole

La narrazione che si produce intorno alla ginestra contribuisce a delineare una prospettiva di sviluppo, indicando una precisa direzione da percorrere. L’idea di una pianta che cresce spontanea, non necessita di cure e aspetta solo di essere raccolta alimenta molte speranze. La promozione delle fibre fino ad allora trascurate viene perseguita attraverso una pluralità di canali, dalle riviste tecniche alle grandi esposizioni nazionali, dai quotidiani alle pagine delle riviste femminili, il cui apporto fornisce un contributo essenziale alla creazione di un immaginario della moda e del gusto italiano. I primi sondaggi su queste fonti composite13 mostrano la progressiva strutturazione di un codice unitario, che privilegia alcune parole chiave e ne respinge altre coerentemente con il sistema di valori che si viene formando. Il confronto con le forme dell’attuale comunicazione tesa a promuovere le fibre naturali14 rende ancora più evidenti le differenti strategie linguistiche come riflesso di una diversa sensibilità.

L’obiettivo autarchico era l’autonomia produttiva e i testi lo ribadiscono riprendendo, con maggiore o minore fedeltà, il citato Discorso alle Corporazioni. Alle elevate frequenze registrate da voci come produzione e industria si accompagna la scelta di verbi (estendere, accrescere, avviare) che ne misurano l’espansione:

Altri provvedimenti sono pure in corso per estendere la produzione nazionale del lino e per l’impiego di altre fibre quali quella del ramié, della corteccia dei rami del gelso e della ginestra. (R1938a)

[…] possiamo accrescere notevolmente l’attuale produzione di lino e possiamo raccogliere quantità notevoli di ginestra che cresce selvatica in molti nostri terreni rocciosi e collinosi. (R1938b)

L’autarchia non deve essere limitazione ma stimolo economico a maggior produzione, ampliamento delle risorse nazionali, conquista di materie nuove, potenziamento industriale. (R1938c)

Vogliamo […] che le materie tessili che si ricavano da piante finora trascurate o che addirittura si creano chimicamente, non abbiano il carattere esclusivo di surrogato, ma, ampliando e migliorando le risorse tecniche, avviino l’industria verso produzioni nuove ed originali. (R1938c)

La visione antropocentrica dell’epoca giustifica il concetto di “sfruttamento” delle risorse. Nei testi, l’uso può apparire neutralizzato, come si osserva in questi esempi: “le materie prime più comunemente oggetto di possibile sfruttamento” sono “lino, canapa e ginestra” (RT1936d); “la ginestra maggiormente sfruttata è la cosiddetta ginestra di Spagna che si trova anche in Piemonte” (Q1942c); “si danno […] suggerimenti per mettere in grado agricoltori e massaie in specie di sfruttare le possibilità della ginestra, nel campo dell’abbigliamento familiare” (Q1942c).

Le implicazioni deteriori non sono tuttavia completamente cancellabili: i termini sfruttare e sfruttamento sono infatti evitati nella moderna narrazione legata alla lavorazione delle fibre naturali, coerentemente con una visione sostenuta da motivazioni etiche oltre che economiche.

Un elemento che sembra accomunare passato e presente è invece l’apprezzamento per la capacità della ginestra di attecchire spontaneamente e crescere in condizioni ostili. Nei subcorpora di riferimento le voci correlate a questo campo semantico ricorrono con discreta continuità, ma l’analisi dei contesti evidenzia anche in questo caso differenze profonde.

Nel periodo autarchico la diffusione spontanea della ginestra rappresenta un valore economico in sé, sia pure con i limiti connessi alle operazioni di raccolta:

Si faccia un calcolo anche approssimativo e si vedrà qual cumulo enorme di quintali potranno, in caso di bisogno guerresco, essere raccolti in tutti i Comuni dell’Italia Centrale e Meridionale, perchè quasi tutti, dal più al meno, hanno i loro ginestreti spontanei. (Q1936f)

Il Donini ha dato in un chiaro opuscolo («Della ginestra», Fabriano 1937) la dimostrazione che la coltura razionale di questa leguminosa spontanea nel nostro paese è rimuneratrice in relazione ai modestissimi capitali che esige. (R1937a)

Di particolare attenzione è stata oggetto la ginestra per ricavarne un succedaneo della juta; e invero, sarebbe questo il più utile impiego di quella pianta spontanea, se il costo della trattura della fibra non fosse pur sempre elevato, e se, dopo un’idonea lavorazione, la bellezza e la qualità della filaccia non la rendessero adoperabile per più nobili usi. […] Ma è appunto la raccolta che presenta le maggiori difficoltà pratiche, trattandosi di riunire tante sparpagliatissime vegetazioni spontanee. (R1942b)

Se si osservano gli esempi contemporanei, la generazione spontanea della pianta non è collegata alla resa, ma al vantaggio in termini di salute e di sostenibilità ambientale, valori particolarmente attraenti per un consumatore critico:

La ginestra è infatti una pianta spontanea che cresce nell’area mediterranea e che non ha necessità di trattamenti chimici di nessun tipo. (SMS2020)

Come pianta spontanea, non ha necessità di irrigazione, né trattamenti, il territorio stesso le fornisce tutto ciò di cui ha bisogno, in pieno accordo con i principi di sostenibilità. (BM2021)

Crescendo spontaneamente, non ha lo stesso bisogno di acqua di coltivazioni come quelle di cotone. (LM2024)

L’innovazione lessicale

L’investimento nelle risorse naturali e la ricerca di nuove tecniche produttive introducono cambiamenti sul piano sociale e culturale che coinvolgono la popolazione nel suo complesso con una ricaduta diretta sul linguaggio. Sul piano strettamente lessicale, il periodo successivo alle sanzioni risulta particolarmente creativo. Il ciclo produttivo della ginestra determina la nascita delle voci ginestriere ‘addetto alla raccolta e alla lavorazione della ginestra’15 e ginestrificio ‘stabilimento per la lavorazione delle fibre di ginestra’,16 accanto agli aggettivi ginestrifero ‘(terreno) popolato da ginestre’17 e ginestricolo ‘(terreno) adatto alla coltura della ginestra’.18

Nello stesso periodo si introducono i termini fiocco ‘fibra tessile naturale pronta per le lavorazioni preliminari’19 e ginfiocco ‘fiocco ricavato dalle fibre della ginestra’.20

La formazione di quest’ultima voce si connette al crescente repertorio di denominazioni commerciali di nuovi filati brevettati in quegli anni. È del 1942 il marchio “GILATEX – Roma” depositato dalla Ginesfibra, fabbrica romana per la lavorazione della fibra di ginestra, il cui nome presenta la stessa struttura di ginfiocco. Il logo ha forma circolare e al suo interno è posta l’immagine di uno stelo di ginestra con due fiori. La combinazione di parole, piuttosto oscura nonostante il richiamo iconico, indicava un tessuto misto di gi[nestra] e la[na].21 Degno di menzione è anche il marchio autarchico FIBRAMIA per la produzione di fibre e fiocco di ramia,22 registrato nel 1941. In questo caso il risultato della fusione tra fibra e ramia si presta anche ad essere letto come composto di fibra +mia, introducendo un ulteriore livello di significazione. Il gusto per le parole macedonia si osserva anche nel nome della ditta proprietaria, la Società Anonima “Tessicoltura” Agricola Industriale di Roma.23

In funzione contrastiva può essere citata l’attuale tendenza ad attingere alla lingua inglese per la coniazione di nuovi marchi, scelta spesso strategica per adeguarsi agli standard di un mercato globalizzato. In questo contesto merita di essere citato il marchio comunitario GINEXTRA, registrato nell’ambito del progetto di ricerca Artes, realizzato dall’Università della Calabria e finalizzato all’estrazione di fibra di ginestra ad alto pregio attraverso l’uso di tecnologie enzimatiche.24 Pur nella ridefinizione della grafia, la denominazione resta trasparente, lasciando emergere l’elemento lat. extra, ‘di qualità superiore’, riconoscibile anche nel contesto internazionale.

L’oro verde della Calabria

Proprio dalla Calabria parte il recupero della lavorazione della fibra di ginestra, reinventata grazie all’avvento della nuova tecnologia di trasformazione delle vermene.25 L’investimento su questa risorsa tende a promuovere una produzione ecosostenibile, rispettosa dell’ambiente e della tradizione locale. La parola chiave è riscoperta, voce che si riconnette al passato e alla memoria, individuati come valori preziosi e vitali:

Già in passato ha svolto un ruolo centrale e adesso questa fibra è pronta ad essere riscoperta e a tornare sul mercato. (SMS2020)

La pianta di Ginestra, è parte della memoria del nostro territorio ed il filato che si ricava dalla pianta, è una risorsa antica, da riscoprire e valorizzare. […] Noi nel nostro piccolo, porteremo avanti in ogni caso il processo di riscoperta di questo filato autoctono, riscoprendo anche le antiche tecniche di lavorazione perché fanno parte del nostro patrimonio territoriale. (BM2021)

Autoctona, resistente e ricca di fibra, questa pianta viene oggi riscoperta grazie al suo fascino e alle sue qualità. (TN2023)

I modi e le forme di presentazione della fibra della ginestra si possono leggere come un rovesciamento della narrazione autarchica che aveva scelto di marcare la distanza tra la lenta lavorazione artigianale e l’industrializzazione dei processi produttivi. Nonostante l’intensa propaganda a livello nazionale, l’impatto sull’abbigliamento fu piuttosto limitato: nei periodici femminili i riferimenti a lavorazioni di pregio sono rari,26 mentre prevale la “fabbricazione di tessuti d’uso domestico […] tessuti grezzi ma di buon impiego domestico: tovaglie, asciugamani, centri di tavola, sacchi, ecc.” (RF1937d).

L’attuale riscoperta della ginestra come fibra tessile è invece accompagnata da una narrazione che enfatizza i valori della tradizione, rivitalizzati dall’innovazione tecnica e dall’attenzione all’ambiente. Lo sviluppo del discorso non punta sull’oggetto di consumo, ma sulle suggestioni evocate dalla materia stessa, a partire dal paesaggio (“Quale immagine racconta meglio la primavera in Italia delle colline tinte di giallo dalle piante di ginestra?”, SMS2020) e dai colori (“La Ginestra, l’oro della Calabria”, BM2021).

Emerge il valore del territorio come espressione di identità, appartenenza e radicamento:

La ginestra […] cresce rapidamente ed è ampiamente disponibile sul nostro territorio. (SMS2020)

Un progetto che celebra la profonda ammirazione che lega Fendi agli antichi mestieri del nostro territorio (AD2021)

La pianta di Ginestra, è parte della memoria del nostro territorio ed il filato che si ricava dalla pianta, è una risorsa antica […]. Una pianta da sempre lavorata sul nostro territorio e che ha fornito materia prima sia per tessuti che per svariate altre lavorazioni, in virtù della sua eccezionale resistenza e tenacia. (BM2021)

Accanto all’uso del possessivo nostro, a indicare l’intimo legame tra la terra e chi la abita, si può rilevare l’alta frequenza dell’aggettivo autoctono, che non trova corrispondenza nel concetto di “italianissima fibra” (RF1937d), ma si collega al riconoscimento della ginestra e della sua lavorazione come patrimonio materiale e immateriale della comunità:27

La ginestra presenta, inoltre, il vantaggio di essere una fibra autoctona, senza particolari esigenze idriche e cresce in abbondanza nel mediterraneo senza bisogno di essere coltivata. (HB2021)

È un piccolo passo, ma di grande valore e dimostra il nostro impegno nel riscoprire i filati autoctoni e le tradizioni della nostra terra. […] Spero che il progetto continui e si possa realizzare una filiera artigianale legata a questo meraviglioso tessuto autoctono. Noi nel nostro piccolo, porteremo avanti in ogni caso il processo di riscoperta di questo filato autoctono […] (BM2021)

Autoctona, resistente e ricca di fibra, questa pianta viene oggi riscoperta grazie al suo fascino e alle sue qualità. (TN2023)

In parallelo al tema delle radici, una nuova narrazione contribuisce alla costruzione della moderna sensibilità green. La ginestra è apprezzabile perché è naturale e sostenibile:

[…] una fibra naturale recuperata dalla nostra storia […] (SMS2020)

È naturale, con caratteristiche specifiche che la rendono unica. (LM2024)

Lavorata senza l’aggiunta di soda in bollitura o coloranti chimici, è uno dei prodotti più naturali nel manufatturiero. (LM2024)

Come pianta spontanea, non ha necessità di irrigazione, né trattamenti, il territorio stesso le fornisce tutto ciò di cui ha bisogno, in pieno accordo con i principi di sostenibilità. (BM2021)

Tornare a lavorare la ginestra come facevano i nostri antenati unisce sostenibilità ambientale e valorizzazione di una tradizione millenaria […] (HB2021)

La caratteristica principale del tessuto derivato dalla ginestra è la sua connaturata sostenibilità […] (TN2023).

Il profilo verde della ginestra si esprime nel riconoscimento del suo valore come tessuto ecologico,28 ancora più apprezzabile perché la “capacità di assorbimento” delle sue fibre “facilita la colorazione con pigmenti naturali, come quelli che venivano usati un tempo, quali la liquirizia, il melograno o il fiore della ginestra stessa” (TN2023).

Entrano quindi nel circuito narrativo neologismi settoriali, come ecotessuto,29 ecoprinting,30 agri-tessuti,31 non ancora registrati a livello lessicografico, ma diffusi nei media nell’ambito della moda etica.

La lavorazione della ginestra si pone come una scommessa sul futuro, uno spazio di ricerca e sperimentazione. L’impianto pilota per la sfibratura a impatto zero realizzato dall’Università della Calabria investe in un progetto di ampio respiro con il coinvolgimento di giovani stiliste. Si deve a Flavia Amato la creazione di due raffinati capi per l’abbigliamento femminile, un trench e una tuta palazzo dalle tonalità naturali (BM2021), mentre dalla collaborazione con Eleonora Riccio, nota per la sua attenzione alla moda sostenibile, nasce l’abito sfoggiato da Elisa Egger alla Biennale di Venezia del 2022,

lungo, aristocratico, in stile preraffaellita e composto da un corpetto realizzato in fibra di ginestra, da una morbida gonna in satin di seta rosa perla, una creazione di alta moda in cui raffinatezza, ricerca meticolosa, altissimo standing estetico plasmano una silhouette raffinata di suprema eleganza. (WY2022).

Riconosciuto come simbolo dell’eccellenza artigiana in Calabria, il tessuto di ginestra ottiene grande visibilità grazie al progetto Hand in Hand, che, a distanza di 25 anni, propone una reinterpretazione della storica borsa Baguette, lanciata nel 1997 da Silvia Venturini Fendi. Nella collezione, composta da venti modelli unici che intendono “celebrare l’heritage di ogni regione” (RMeB2021), la Baguette dedicata alla Calabria “presenta disegni ispirati a motivi tradizionali locali”; il logo è “colorato con tinture naturali vegetali” mentre “i lati della borsa sono decorati da lunghe frange di filo di ginestra interamente annodate a mano” (AD2021).

Le caratteristiche della ginestra rispondono bene all’attuale richiesta di modelli di consumo più rispettosi dell’ambiente e delle persone,32 istanze che si riflettono anche nelle descrizioni degli abiti e degli accessori realizzati con questa fibra; nonostante il prodotto resti per ora costoso e di nicchia perché in gran parte artigianale, il suo sviluppo prefigura un futuro verde,33 sostenuto dall’attenzione dei grandi atelier di moda e dall’urgenza di una riconversione delle attuali forme di produzione ad alto impatto ambientale.

L’analisi del discorso in diacronia mostra una crescente consapevolezza del valore delle risorse naturali come elementi di un sistema globale. Abbandonata la logica dello sfruttamento intensivo, la riscoperta delle fibre tradizionali diventa l’occasione per promuovere la ricerca di un nuovo equilibrio tra comunità e territorio, mentre la parola stessa si trasforma in un potente strumento per avviare il cambiamento.

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RMeB2021: Genta, Donatella. “Fendi: giro d’Italia tra gli artigiani che rivisitano l’iconica baguette.” Repubblica Moda e Beauty. 8 Aprile 2021. https://www.repubblica.it/d/2021/04/08/news/fendi_baguette_hand_in_hand_artigiani_italiani-295509549/

RT1936d: Lombardi, E. “Il Convegno e la Mostra di Forlì per le fibre tessili nazionali e dell’Impero.” L’Industria, Vol. I, n. 12 (Dicembre 1936): 408–11.

RT1937c: Sivier, C. “Come si lavora la ginestra per farne della fibra tessile.” Textilia. Le industrie tessili, 156, n. 12 (Dicembre 1937): 627.

RT1940b: Cambiano, Salvatore. “La ginestra e la sua valorizzazione.” Ingegni e congegni. Le attualità scientifiche, X, n. 5 (Febbraio 1940-XVIII): 7–12.

SMS2020: Gambi, Silvia. “Vestiti di ginestra: una fibra naturale recuperata dalla nostra storia.” Solo Moda Sostenibile, 17 Aprile 2020.

TN2023: “Tessuto di ginestra: una trama fra l’antico e il moderno.” TerraNuova, 8 Ottobre 2023. https://www.terranuova.it/chiedi-all-esperto/tessuto-di-ginestra-una-trama-fra-l-antico-e-il-moderno.

WY2022: Ceccarelli, Dionilla. “Elisa Egger: in Eleonora Riccio sul carpet di Venezia.” WonderYou Magazine, 5 Settembre 2022. https://www.wonderyou.it/elisa-caterina-egger-look-eleonora-riccio-sul-red-carpet-del-festival-di-venezia-2022/.


  1. Giorgio Monti, “Zoccoli revival”. Stampa sera. Le lettere del lettore (10 Ottobre 1979): 32. L’associazione tra ginestra e orbace, tessuto di lana grezza di lavorazione tradizionale in Sardegna, è probabilmente indotta dal valore simbolico assunto da entrambe le fibre nella propaganda di regime.↩︎

  2. Vedi le Relazioni dei Giurati italiani sulla Esposizione universale di Vienna del 1873 (Milano: Regia stamperia, 1874), f. XIV, 77, dove la fibra di ginestra trovò uno spazio proprio nella categoria delle “materie tessili”.↩︎

  3. Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali ec. (Firenze: Stamperia Imperiale, 1751–54), t. III, 325. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si diffonderà l’uso del sintagma “tela ginestrina”, che conferma la funzione aggettivale della voce con valore di relazione.↩︎

  4. Targioni Tozzetti, t. 6, 39.↩︎

  5. Alla base è probabilmente il lat. tardo carminare ‘cardare’. Costruito sulla voce carmen, carminis ‘strumento che serve per cardare la lana’, carminare prese il posto del lat. classico carĕre, trovando continuazione in molti dialetti italiani.↩︎

  6. Pietro Andrea Mattioli, Il Dioscoride (Venezia: Vincenzo Valgrisi, alla bottega d’Erasmo, 1548), 616.↩︎

  7. Istituzioni botaniche del dottore Ottaviano Targioni Tozzetti pubblico professore di botanica, e agricoltura (Firenze: Stamperia Reale, 1802, II ed. in 3 tomi), t. III, 113. La prima edizione, in due tomi, era uscita nel 1794 presso Luigi Carlieri di Firenze.↩︎

  8. Si veda, a titolo d’esempio, ZAN1983, s.v.↩︎

  9. Le rare attestazioni sono circoscritte ai contesti in cui si richiama l’utilizzo della ginestra nella storia.↩︎

  10. Google Books Ngram Viewer: https://books.google.com/ngrams/graph?content=&year_start=1800&year_end=2022&corpus=it&smoothing=3↩︎

  11. S.M.B., “La canapa,” in Almanacco della donna italiana 1938 - anno XVI (Firenze: R. Bemporad e Figlio, 1937): 330.↩︎

  12. “Il discorso di S. E. il Capo del Governo all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni,” Bollettino del R. Ministero degli Affari Esteri (Marzo 1936–XIV): 193.↩︎

  13. Spogli mirati relativi agli anni 1936-1943 sono stati condotti su riviste generaliste (in sigla R: La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia; L’Illustrazione Italiana; Nuova Antologia; Le vie d’Italia), riviste tecniche (RT: L’industria; Textilia; La Seta; Ingegni e congegni), quotidiani (Q: La Stampa, Gazzetta di Venezia, Il Piccolo di Trieste, Il Popolo del Friuli), rubriche di moda in periodici femminili (RF: Dea; Bellezza; I Diritti della scuola, Pagine gentili). Nelle citazioni si fornisce la sigla e l’anno, con rimando alla bibliografia per lo scioglimento.↩︎

  14. Gli spogli relativi agli anni 2020-2024 sono stati condotti principalmente su periodici digitali o su siti di riviste di moda e di tendenza che rendono disponibili gli archivi degli articoli pubblicati online: AD; Elle (in sigla EL); Harper’s Bazar Italia (HB); Io Donna (ID); Lampoon (LM); Repubblica Moda e Beauty (RMeB); Terra Nuova (TN); Vanity Fair (VF); Vogue Italia (VI); WonderYou Magazine (WY). Sono stati inoltre presi in considerazione i blog Solo moda sostenibile (BSMS) e Malìa Lab (BM). Come per il periodo 1936-1943, nelle citazioni l’indicazione della fonte si compone di sigla e anno.↩︎

  15. Bruno Migliorini, Appendice al Dizionario moderno di Alfredo Panzini (Milano: Hoepli, 1942). Gli esempi attestati risalgono al 1939 (“Nella riunione degli industriali e degli esperti ginestrieri tenutasi recentemente presso il Ministero delle Corporazioni sotto la Presidenza del Ministro Ricci sono state messe in piena evidenza tutte le vaste possibilità autarchiche che la ginestra ci offre”, RT1940b) e al 1941 (“Il ginestriere che ci accompagna continua a parlare della tenace concorrenza della canapa e della juta, con accenti profetici, dell’assoluta necessità di coltivare la ginestra sulle colline, sugli argini dei fiumi, sulle scarpate ferroviarie”, RF1941c).↩︎

  16. Migliorini, Appendice, s.v. Un esempio si ritrova in RT1937c: “quasi tutti gli scrittori opinano che l’impianto del ginestrificio debba sorgere nel cuore dei ginestreti”.↩︎

  17. Formato con il suff. -fero dal lat. -fer (fĕrre ‘portare’). Privo di riscontri lessicografici, come ginestricolo, è attestato in Q1942c: “il treno della ginestra […] compie dei giri di propaganda allo scopo di far conoscere come si estrae la fibra dalla ginestra e nello stesso tempo di spronare ed avviare su questa lavorazione gl’industriali che volessero creare nei luoghi ginestriferi un ginestrificio”.↩︎

  18. Formato con il suff. -colo ‘relativo alla coltura di’, dal lat. colĕre ‘coltivare’. Risulta attestato in Q1941b: “Basta che i parrocchiani delle zone ginestricole offrano alla chiesa dei fasci di ginestra per la vendita al Consorzio”.↩︎

  19. Migliorini, Appendice, s.v.↩︎

  20. Cesare Meano, Commentario-Dizionario italiano della moda (Torino: Accame, 1936).↩︎

  21. Usuale l’elemento tex, ripreso dal lat. tex[tum] o tex[tile, -is] ‘tessuto’, ‘tessile’, che nelle denominazioni commerciali poteva comparire sia in posizione finale (cfr. Selatex ‘tessuto di se[ta] e la[na]’), sia in sede iniziale o interna (cfr. Texorit ‘tessuti or[iginali] it[aliani]’ accanto a Ortexital ‘or[iginali] tessuti ital[iani]’).↩︎

  22. O ramié, dal malese rami, nome di alcune piante urticacee originarie dell’Asia che all’epoca trovarono impiego in ambito tessile (in particolare la Boehmeria nivea e la Boehmeria utilis).↩︎

  23. Bollettino dei brevetti per invenzioni, modelli e marchi (Roma: Istituto poligrafico dello Stato, 1945), 62.↩︎

  24. Lilia Infelise, Janusz Kazimierczak, Justyna Wietecha and Ewa Kopania, “GINEXTRA®: A Small-Scale Multipurpose Modular and Integrated Biorefinery Technology,” in Processes for Biomass Conversion to Biomaterials, Biofuels, and Fertilizers, eds. Juan-Rodrigo Bastidas-Oyanedel, Jens Ejbye Schmidt (Cham, Switzerland: Springer International Publishing, 2019), 594–614.↩︎

  25. La voce, adottata nella terminologia settoriale del periodo autarchico, è quasi del tutto assente nel subcorpus moderno, dove compare un’unica occorrenza, in forma di denominazione: “I giunchi dell’arbusto per esempio, chiamati vermene, sono ricchi di fibra” (TN2023).↩︎

  26. Alla Mostra del tessile nazionale del 1938 si elogia per esempio “il rustico avorio della ginestra con palme chiare di cotone setificato” che nell’“eleganza intima” compete con “la bianchezza opaca rilevata da lucenti trame di rayon” (RF1938e).↩︎

  27. L’accezione è quella biologica che si esprime nel concetto di specie autoctona, con valore positivo anche in termini di sostenibilità, in contrapposizione a specie alloctona, connotata negativamente per il suo impatto ambientale e per l’alterazione indotta nell’equilibrio dell’habitat preesistente.↩︎

  28. Un esempio è in HB2021: “I rami di questa pianta vengono lavorati per creare tessuti ecologici”.↩︎

  29. “Scopriamo le caratteristiche dell’ecotessuto che se ne ricava” (TN2023). L’accezione di ‘tessuto ecologico’ con riferimento all’abbigliamento è recente. Risale invece alla fine del secolo scorso l’introduzione di ecotessuto come termine specialistico nell’ambito dell’ecologia del paesaggio: vedi Vittorio Ingegnoli, v. “ecotessuto” in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2008). https://www.treccani.it/enciclopedia/ecotessuto\_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/↩︎

  30. “I tessuti sono tinti a mano con elaborate tecniche naturali come l’ecoprinting, metodo che permette alle foglie di rilasciare sul tessuto la loro impronta, un’osmosi poetica, un’alchimia che genera bellezza, una narrazione in divenire […]” (WY2022). Si tratta di una tecnica impiegata e fatta conoscere dall’artista australiana India Flint, che la rese nota con il nome di ecoprint attraverso esposizioni di opere tessili e numerose pubblicazioni (https://www.indiaflint.net/plants-and-colour). La ricezione in Italia è più tarda: nel 2013 “L’ecoprint” risulta “ancora una tecnica di nicchia” (https://blog.iodonna.it/uncinetto-puntocroce/2013/04/17/ecoprint-due-artiste-a-confronto/). In seguito si diffonde il termine eco-printing o ecoprinting (https://blog.iodonna.it/uncinetto-puntocroce/2015/04/07/leco-printing-di-laura-dellerba/), che appare oggi prevalente. Più rari risultano i corrispettivi italiani stampa biologica, stampa vegetale, tintura ecologica, che non trovano effettivo radicamento nell’ambito della moda.↩︎

  31. “Vi è, in generale, una aumentata attenzione per la moda ecologica e sostenibile e quindi per gli agri-tessuti, di cui si può certificare la qualità e la provenienza” (HB2021). La voce inizia a circolare nel 2019 in seguito alla manifestazione organizzata dall’Associazione Donne in Campo Cia-Agricoltori Italiani per promuovere gli “agritessuti, prodotti con fibre naturali e tinture realizzate con scarti agricoli” (Redazione Ansa, “Moda ecologica, con scarti di ortaggi e frutta nascono gli ‘agritessuti’” https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/moda/2019/09/24/eco-tessuti-e-tinte-da-scarti-agricoli-moda-che-vale-30-mln_74114e38-4096-4d06-9ecf-8b595bfbcdb7.html). La grafia risulta oscillante. La prima attestazione documentata su Repubblica è agro-tessuti (Stefania Aoi, “Bucce di melograno e ricci di castagno, così tingiamo i tessuti” 26 Marzo 2019, https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/le-storie/2019/03/26/news/_bucce_di_melograno_e_ricci_di_castagno_cosi_tingiamo_i_tessuti_-222469114/), ma Agritessuti è il marchio registrato da Cia-Agricoltori.↩︎

  32. I rimandi testuali sono ricorrenti: “Il mondo della moda è alla ricerca di materiali sempre nuovi, ma soprattutto sostenibili.” (SMS2020); “Vi è, in generale, una aumentata attenzione per la moda ecologica e sostenibile” (HB2021).↩︎

  33. È questo l’auspicio condiviso: “Una pianta che non solo è bellissima, ma che è anche molto utile e che potrebbe rappresentare una delle fibre tessili del futuro” (SMS2020); “[…] la ginestra, come la canapa, si candida a fibra tessile del futuro” (HB2021).↩︎