ZoneModa Journal. Vol.15 n.1 (2025), 17–35
ISSN 2611-0563

Fortuny, estetica dell’atmosfera e biofilia della moda: pigmenti, morfologie e aura d’inizio Novecento

Carlo ChiusiUniversità Iuav di Venezia (Italy)

PhD student in Fashion Design at the Università Iuav di Venezia, in collaboration with MUSE – Science Museum of Trento. He obtained his Bachelor’s degree in Cultural Heritage from the University of Trento (2020) and a Master’s degree in Visual Arts and Fashion from Università Iuav di Venezia (2023). In 2019, he attended the Cool Hunting and Trend Research course at Central Saint Martins in London. He has collaborated as an art director with various brands and art galleries. His current research focuses on atmospheric interactions within fashion spaces, with an emphasis on sustainability, ecodesign, and technological innovation.

Giulia CiolaUniversità Iuav di Venezia (Italy)

She is a PhD student and designer in the field of fashion materialities and ecologies at Iuav University of Venice. Her current research topic aims to observe how fashion practices can cultivate regenerative atmospheres. In 2023 she received her master’s degree in Fashion and Textile Design from NABA with a thesis on textile design, soil and composting practices, later published on Base, Diseño y Innovación. She contributes to projects and residencies inserted between art, science and ecology such as Waking Life, Labverde and Tba21, focusing on the materiality of elements like air, algae, hemp, mycelium.

Alessandra VaccariUniversità Iuav di Venezia (Italy)

She is professor and researcher in Fashion history and theory at Università Iuav di Venezia, where she has founded and is the academic coordinator of the Master programme in Fashion (tracks in Fashion Design and Fashion Ecologies). With a background in Art history, her work focuses on three main areas: modernist fashion in the early 20th Century; the relationships between time and fashion; present-day fashion cultures and theories in their implications on environmental sustainability and social change. On fashion and time she has co-edited Time in Fashion (2020). On fashion and Modernism she has published Indossare la trasformazione (2022). Her forthcoming book The Four Elements of Fashion will be published in 2025.

Pubblicato: 2025-07-15

Abstract

This article places the historical-critical reflection on the work of the artist, inventor and designer Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871–Venice 1949) and of his closest collaborator, his wife Adèle Henriette Nigrin (Fontainebleau 1877–Venice 1965), within the framework of recent studies on the biophilia of fashion. In the last decade, an initial analysis has been undertaken to link Fortuny’s experiments with light–in painting, textiles, photography and set design–to the concept of atmosphere elaborated in philosophy by Gernot Böhme and Tonino Griffero. However, a study of Fortuny and Nigrin’s proto-ecological sensibility with respect to such a concept of atmosphere is lacking. Delving into the field of textile and clothing design that they developed in the early 20th Century, the article focuses on three interconnected atmospheric aspects: the aura radiated by the clouds, skyes, and water of the Venice lagoon; the relationship between fashion, bodies and vegetable morphology in the Art Nouveau; and the materiality of the pigments and fibers adopted. The article aims to demonstrate how Fortuny-Nigrin’s environmental thinking and their aesthetics of atmosphere participate fully to the idea of Total Work of Art.

Keywords: Biophilia; Atmosphere; Fortuny-Nigrin; Total Work of Art; Fashion.

Gli autori hanno condiviso l’impostazione e i contenuti del presente articolo. Le sezioni Introduzione e Moda, corpi e morfologie vegetali sono state scritte da Alessandra Vaccari; le sezioni Ipotesi e metodologia e Materialità atmosferica di pigmenti e stoffe sono state scritte da Giulia Ciola; le sezioni Venezia tra cielo, terra e acqua: l’atmosfera di Fortuny e Conclusioni sono state scritte da Carlo Chiusi.

Introduzione

Un rinnovato interesse per la natura emerge in Europa tra Ottocento e Novecento, quando alcuni artisti sviluppano un linguaggio ispirato alle forme del mondo organico, vegetale e animale. L’Art Nouveau è la corrente che meglio aiuta a comprendere la tendenza in cui si muovono artisti e designer come Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871–Venezia 1949) e sua moglie Adèle Henriette Nigrin (Fontainebleau 1877–Venezia 1965), la cui poliedrica opera si basava sullo sviluppo di materiali tessili e tecniche tintorie in dialogo con l’ambiente. Lui di origine spagnola e lei francese, si conobbero a Parigi nel 1902 e qualche anno dopo si stabilirono definitivamente a Venezia, partecipando alla scena cosmopolita della città. La prospettiva dell’Art Nouveau permette di inquadrare l’interesse della coppia Fortuny-Nigrin per un’arte autenticamente nuova e volta a contrastare l’immissione sul mercato di facili produzioni in serie di carattere industriale. Pur privilegiando il “fatto a mano” e l’unicità delle creazioni, quest’arte era affascinata dalle innovazioni tecnologiche e dall’approccio scientifico ai fenomeni naturali, proponendosi di ricostruire i legami con il mondo a partire dalle sue manifestazioni quotidiane, compresa la moda. Altri autori hanno esplorato l’operato di Fortuny nel contesto dell’Art Nouveau e del gusto della Belle Époque, come nel caso di Cristina Nuzzi e di Ilaria Caloi.1 Il loro obiettivo era mostrare la modernità del suo lavoro in un quadro di rivalutazione culturale delle arti decorative che comprendeva anche la moda e il complesso dialogo tra fascino per il passato e aderenza al presente. Questo articolo utilizza una chiave di lettura diversa, da un lato scegliendo di non approfondire la figura di Fortuny in seno al passatismo e alla citazione su cui altri autori hanno lavorato nel quadro della riflessione sulle avanguardie,2 dall’altro adottando una prospettiva transtorica, che permette di rileggere l’esperienza dell’Art Nouveau da parte di Fortuny-Nigrin non solo come estetica e movimento culturale circoscritto al periodo in cui hanno operato, ma come metodo conoscitivo per riconsiderare il rapporto tra corpo, abito e ambiente. La prospettiva transtorica consente di mettere in relazione e analizzare fenomeni lontani nel tempo, come il linguaggio dell’Art Nouveau, le sue materialità ispirate e informate dalla natura, e la biofilia, tanto caratterizzante dell’attuale ‘green turn’.3 Biofilia è un concetto elaborato negli anni Ottanta del XX secolo dal biologo Edward O. Wilson che ha indicato una “tendenza innata a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda”4 e ad affiliarvisi. Nel XXI secolo si ritrova questo concetto integrato nelle molteplici pratiche del green design e della green fashion, nelle quali biomateriali, tinture naturali e design circolare riprendono una relazione partecipata con l’ambiente. Inoltre, la biofilia permette di basarsi sul concetto di atmosfera, superando così la dicotomia natura-cultura. Attraverso il concetto di atmosfera, s’intende mettere in evidenza come la percezione di Fortuny-Nigrin dell’ambiente e del clima — particolarmente influenzata da una visione proto-ecologica — si rifletta nella loro pratica artistica multidisciplinare e polimorfa. Non si limitano, infatti, a creare opere visive, ma coinvolgono in modo profondo la percezione sensoriale e il rapporto dell’osservatore con l’ambiente circostante. In altre parole, con atmosfera, ci si riferisce al contesto meteorologico e alla materialità degli elementi quali l’acqua e i cieli di Venezia che ispirano il lavoro di Fortuny-Nigrin. Ci si riferisce anche agli stati d’animo e all’esperienza vissuta del tempo atmosferico, accogliendo l’invito del filosofo tedesco Gernot Böhme a non confinare l’estetica all’ambito dell’arte, ma di estenderla all’intera percezione sensibile.5 Secondo il filosofo italiano Tonino Griffero, le atmosfere sono affetti che “provengono dal di ‘fuori’, piuttosto che dal ‘dentro’ di un essere umano”6 e pervadono lo spazio vissuto. Benché sia considerata esempio di Arte totale per la sua molteplicità e polimorfia, l’opera di Fortuny-Nigrin non ha ricevuto una adeguata attenzione critica in termini di biofilia e ambiente, sebbene questi siano stati temi centrali nella concezione dell’Arte totale, dal primo Romanticismo e fino all’Art Nouveau.

Ipotesi e metodologia

L’articolo propone un affondo sulle proprietà materiali, fisiche e biologiche del lavoro della coppia di artisti e designer, come la luce, i riflessi, i colori e le forme. In particolare, indaga tre aspetti atmosferici interconnessi: l’aura irradiata dai cieli, dalle nuvole, dall’acqua di Venezia; la morfologia del mondo vegetale, animale e del corpo umano; la materialità di pigmenti e stoffe. L’analisi considera l’approccio di Mariano Fortuny e di Henriette Nigrin alla materia e al luogo dove operano, evidenziando le analogie con le pratiche che caratterizzano la contemporanea tendenza alla biofilia della moda.7 L’ipotesi è che, in un’epoca di crisi climatica, la lezione dell’Art Nouveau si rinnovi, sia suggerendo un equilibrio tra innovazione tecnologica e sensibilità ecologica, sia proiettando il passato nel futuro della moda contemporanea.

La ricerca è stata condotta largamente attraverso la consultazione di fonti primarie, principalmente conservate nel Fondo Mariutti-Fortuny depositato alla Biblioteca Nazionale Marciana a Venezia. Il fondo è stato donato nel 1971 da Angela Mariutti de Sánchez Rivero che aveva lavorato alla Marciana come bibliotecaria e lo aveva ricevuto in dono da Henriette Nigrin, affinché potesse studiarlo e conservarlo.8 Sono risultati particolarmente interessanti i materiali che descrivono come il pubblico e i clienti percepissero il lavoro di Fortuny e Nigrin. Parte della rassegna stampa ha permesso di tracciare l’esperienza ambientale e sensoriale che le loro stoffe e abiti sembravano emanare. Questi ritagli di giornale testimoniano come Fortuny-Nigrin avessero costruito con cura uno storytelling dei loro tessuti e abiti, mettendo l’esperienza sensoriale al centro della narrazione. Tra le liste di ordini e le ricevute presenti tra i miscellanei del fondo sono stati conservati materiali grezzi e ingredienti utilizzati nella realizzazione dei lavori, particolarmente utili per questa analisi. Un’accurata visita al Museo Fortuny, già Palazzo Pesaro degli Orfei, dimora e atelier della coppia di artisti, ha consentito di consultare direttamente gli album di immagini che Fortuny aveva accumulato nel tempo; i libri degli indirizzi e dei contatti commerciali; i testi e le riviste della sua biblioteca di ricerca. Tra i vari contenuti dei volumi, che riflettono i molteplici interessi di Fortuny, spiccano quelli legati agli elementi naturali e i manuali tecnici sulle stoffe e i colori. Lo studio delle fonti primarie è andato di pari passo a quello delle secondarie. I testi di Guillermo de Osma e Wendy Ligon Smith,9 sono stati particolarmente rilevanti per l’osservazione delle materialità, mentre i pensieri dei già citati Böhme e Griffero hanno costituito la base teorica per il concetto di atmosfera. Il ricorso a fonti orali — nello specifico l’incontro con Cristina Maria Da Roit10 del Museo Fortuny e con Antonio Sicilia11 di Tessuti Fortuny — ha permesso di raccogliere il contributo di chi lavora quotidianamente con l’archivio di Fortuny e Nigrin. L’articolo è il primo esito della ricerca intitolata Il museo dell’atmosfera, attualmente in corso presso l’Università Iuav di Venezia insieme al Muse - Museo delle scienze di Trento.12

Venezia tra cielo, terra e acqua: l’atmosfera di Fortuny

Alla fine del XIX secolo, Venezia si configura come una metafora estrema e ambivalente delle inquietudini che caratterizzarono l’intero secolo. Diversi autori si sono soffermati a descriverla; tra questi, lo storico dell’arte Julius von Schlosser, nel suo ritratto della città, interpreta il senso profondo di Venezia attraverso le sue architetture contraddittorie e artificiose, nonché attraverso la teatralità che permea il continuo mutare del panorama cromatico e urbano: “dal solido suolo della terraferma vi furono trapiantati come esotiche piante di serra, mentre i palazzi romanici e gotici vennero spontaneamente alla luce sul terreno lagunare come deliziosi fiori acquatici”.13 Venezia, celebrata come fonte d’ispirazione per artisti e poeti, intensifica in quel periodo il suo mito letterario. L’incantesimo della città si cela nei riflessi dei marmi corrosi e degli ori velati, nei giochi di luce e acqua che creano abbagli effimeri e illusioni mutevoli. Una città permeata di atmosfera che: “come una ‘pelle’ proprio-corporea”14 la riveste. Il cielo cristallino, le vibrazioni delle acque, le abitazioni dai colori vivaci che emanano complesse combinazioni cromatiche e peculiari grafie, insieme all’oro e all’orientalismo dei suoi monumenti, un ambiente atmosferico che viene assorbito da artisti e letterati dove “la percezione proprio-corporea oltrepassa le singole impressioni e raccoglie quanto appare sensibilmente nel sentimento dell’atmosfera”.15

L’approdo a Venezia di Mariano Fortuny, avvenuto nel 1889 e preceduto dalle iniziali esperienze pittoriche a Parigi, consente di situare l’artista in un contesto di transizione tra due poli culturali fondamentali e profondamente diversi. Cosa suscitò però questo spazio sospeso tra cielo e acqua nell’animo di un Fortuny appena diciottenne? Venezia viene così descritta dal filosofo tedesco Walter Benjamin nel suo Bildungsreise in Italia nella Pentecoste del 1912, al suo arrivo nella “città sull’acqua”.

Scende la sera e il cielo è coperto. Un largo specchio d’acqua grigia, […] a destra case grigie, marroni, insignificanti, nelle quali a volte brilla una luce d’oro oscura. […] L’acqua è inverosimile […]. Al contrario, posso accettare i palazzi quasi senza stupore. La cosa più strana è che affondino le radici nell’acqua. […] Si potrà mai “disinfettare” questa atmosfera stantia, liberarla dal cerchio fermo della sua aura […].16

In questi passaggi, Benjamin associa alla città di Venezia elementi naturali che si riflettono dal sotto al sopra, dove cielo acqua e terra possiedono un’anima atmosferica, naturale e vegetale; “superando in treno il gran ponte sulla veneta laguna” — scrive Nicola Emery — “costruito con la fissazione di settantacinquemila pali nel fango — [Benjamin] vide subito i palazzi come piante”.17

Possibile che anche Fortuny e la sua partner creativa Henriette Nigrin abbiano avuto un pensiero simile rispetto alla città di Venezia dove è proprio il contrappunto tra cielo e terra che si ritrova nel loro operato artistico, dall’attenzione ai fenomeni atmosferici all’obiettivo di rievocarne le qualità emotive e fisiche attraverso la loro Arte totale. Un interesse che poi scende verticalmente al legame con la terra, la vegetazione, le radici e matrici erbose ricercate ed elaborate da Fortuny. Questo interesse lo si ritrova nell’esercizio di trompe-l’œil realizzato a Palazzo Pesaro degli Orfei, dal 1898 sua dimora e officina creativa. Un giardino dipinto, opera voluta e realizzata dal magicienne che ripone in questo progetto il suo interesse per gli elementi naturali, a partire dall’intelaiatura di carta incollata su teli di canapa dipinti e fissati alle pareti. “Un ideale ‘giardino incantato’ animato da figure allegoriche, satiri e animali esotici: tutti ambientati in una loggia corinzia ‘alla Veronese’ arricchita da lussureggianti motivi vegetali, rigogliose ghirlande e raffinati drappi”.18 Di particolare interesse risulta l’attenzione riservata alla resa minuziosa e realistica degli elementi vegetali, ma anche alla restituzione materica dei pigmenti utilizzati.

Fortuny e Nigrin trasformarono il piano nobile del palazzo in un atelier decoratissimo, destinato ad accogliere i loro ospiti. Le lampade in seta stampata, appese al soffitto, e le pareti ricoperte da tessuti stampati creavano un ambiente suggestivo e sospeso. Accanto ai disegni di Fortuny, i tessuti antichi, molti ereditati dal padre,19 ispiravano i suoi modelli di abiti e i tessuti d’arredo. L’interno era ricco di oggetti d’antiquariato e curiosità, che Fortuny utilizzava per costruire il suo linguaggio visivo. Nigrin giocò un ruolo centrale nel processo creativo, contribuendo alla realizzazione dei progetti e alla gestione delle collezioni, come è emerso soprattutto nelle ricerche degli ultimi dieci anni.20 Il giardino dipinto fa quindi da cornice al primo piano della dimora, divenuta dopo l’acquisizione della famiglia Fortuny, una fucina di idee, un iperuranio Fortuniano, un regno magico. La magia è per definizione un insieme di arti, pratiche occulte, credenze volte a esercitare un dominio su forze naturali e soprannaturali; più che dominarle, il mago Fortuny vuole rivelare la natura, scoprirla per replicarla e renderla così visibile e percettiva anche a chi non poteva contemplarla. Tutto il palazzo di Fortuny era un luogo di moltiplicazione magica, di replica incessante o, come affermato da Giandomenico Romanelli, di mimesi infinita.21

Per comprendere meglio come veniva percepita l’aura magica di Fortuny il medico e psichiatra Corrado Tumiati, che ha vissuto dal 1913 al 1931 a Venezia, ne ha lasciato questa descrizione:

Per tre anni, a Venezia, ho abitato muro a muro con quel mago. […] Sono entrato questa notte nel palazzo misterioso ed ho visto i suoi sortilegi. Sono passato davanti a lampade risplendenti come soli e il mio corpo non ha dato ombra; ho visti, […] arazzi sciamiti broccati damaschi sui quali neppure un filo era tessuto; sono entrato in una stanza chiusa e remota e ho visto il cielo, un vero cielo, in bonaccia e in tempesta […]. D’improvviso, una luce d’aurora tinge quel cielo fittizio, lo colora d’azzurro, lo riempie di nuvole chiare che sembrano perdute in un infinito di luce”.22

Sono molteplici i riferimenti all’atmosfera, alle luci e ai colori in questa testimonianza di Tumiati, tra realtà e finzione. Gli ambienti descrivono a pieno gli interessi di Fortuny per il cielo in senso fisico e psicologico, aspetti fondamentali per declinare la passione e dedizione per il teatro da parte dell’artista che vedeva il palcoscenico come un’immagine tridimensionale e di cui si considerava “pittore di scenari”23 piuttosto che scenografo. Attraverso la scienza, di cui si interessa a partire dagli studi del primo scienziato e pittore moderno — tanto che “in città era considerato un ‘Leonardo da Vinci’”24 — era determinato a liberare il teatro dai suoi limiti fisici, per mostrare “agli spettatori, senza sovrapporlesi, la bellezza intrinseca dell’opera poetica, realizzandone l’atmosfera”.25 Per realizzarla ha la necessità di essere multidisciplinare e trasversale, in quanto la “percezione atmosferica è […] un essere-nel-mondo olistico ed emozionale […] solo se si sta nel mondo e non lo si ha di fronte a sé, si può sentire”.26 Questo porta a riflettere su come Fortuny fosse immerso in un’ecologia di relazioni, in grado di percepire l’ambiente come parte integrante di sé, sperimentando ed elaborando gli spazi, vivendoli e facendo confluire il suo interesse per la luce, il cielo e la natura in tutto il suo operato artistico e vitale. La sua percezione atmosferica e ambientale può quindi dirsi totale, proprio come la sua arte.

“La lumière est au coeur de sa recherche”27 scrive Olivier Saillard nella prefazione del catalogo della mostra del Museo Galliera realizzata nel 2018 a Parigi. Come è noto, la luce è al centro delle riflessioni dell’artista, lo testimoniano i suoi brevetti sulle tecniche di illuminazione per il teatro all’inizio del XX secolo, la progettazione di lampade e le sue ricerche sulla fotografia. Lo stesso interesse riguarda anche la progettazione di abiti e tessuti. Se, nel caso dell’illuminazione teatrale e della progettazione di lampade, autori come Guillermo de Osma hanno approfondito il ruolo centrale della luce elettrica nel dibattito culturale di fine Ottocento, resta ancora da indagare quale fosse il valore della luce atmosferica nel pensiero e nella pratica di Fortuny. Esaminando un’indagine della storica del teatro Cristina Grazioli è evidente come il lungo percorso di studi e sperimentazioni tecniche e scientifiche messe in atto da Fortuny abbiano come fine: “realizzare delle atmosfere suggestive (che inducano un ‘sentimento’ del colore e dell’immagine) e di ottenere mutamenti di scena grazie alla luce cangiante, sovrapponendo immagini o colori”.28

Lo studio dei cieli trova applicazione nella cupola Fortuny, dispositivo atmosferico teatrale capace di evocare il senso dello spazio infinito costituendo l’applicazione pratica più efficace di un’altra innovazione di Fortuny: la sostituzione dei tradizionali fondali dipinti con superfici su cui proiettare colori e luci.

Così quei cieli tutti di un colore […] quei nuvoli […], gli parevano la cosa meno celeste del mondo; e gli venne appunto l’idea di sostituirli con fondali di colore unito, sui quali luci colorate dovevano dare l’impressione del cielo: una luce rossa proiettata sul basso, una luce azzurra sull’alto, dettero il primo cielo serale, perfettamente sfumato.29

Attraverso le luci proiettate all’interno della cupola, egli non solo sperimentava con le potenzialità espressive della luce, ma riusciva a ricreare suggestioni atmosferiche capaci di evocare sia il mare che il cielo, dimostrando così un’attenzione peculiare alla dimensione sensoriale e immersiva dello spazio illuminato. Come si evince da Böhme, è la luce che crea lo spazio.30 Ed è proprio attraverso la luce che Fortuny elabora questi spazi in senso atmosferico ed emotivo, che vengono così da essa modellati e plasmati (Fig. 1). Per creare un cielo realistico con effetti atmosferici studiò con grande cura il movimento delle nuvole, dedicandosi con meticolosità a decifrarle per riprodurle. Le nuvole, infatti, come elemento naturale, possiedono un forte impatto emotivo e una straordinaria capacità di influenzare l’atmosfera. “La contemplazione delle nuvole (cloudspotting) […] ravvisa nelle peculiarità formali delle nuvole (cumuli, strati, nembo-strati, cirrocumuli, ecc.) l’espressione degli umori dell’atmosfera”.31

L’ideazione delle luci riflesse non prevedeva la proiezione diretta della luce dalla sorgente al fondale, ma il suo passaggio attraverso uno specchio, consentendo così di ottenere una diffusione più omogenea e una qualità luminosa caratterizzata da maggiore morbidezza e atmosfera. Fu proprio attraverso l’impiego di questi specchi che Fortuny creò quello che viene definito dal giornalista triestino Alberto Spaini “cielo Fortuny”, definizione rappresentativa dell’“effetto Fortuny”. Si tratta di un “effetto di orizzonte infinito di trasparenza d’aria”32 in grado di spingersi a rappresentare anche “stelle, nuvole, luna e sole”33 come da brevetto del 1901. Una rappresentazione luminosa capace di evocare suggestioni naturalistiche e una percezione atmosferica profondamente innovativa per l’epoca:

il pittore, invece di schiaffare grosse nuvole […] sopra i mastodontici fondali, dipingeva ora con grande cura, con grande finezza i suoi specchi, con tutte le possibili nuvole, fonde nel mezzo, trasparenti ed argentate agli orli, attraversate dalla luna, infilate da raggi prepotenti di sole. Il cielo […] è qualcosa che si respira coll’aria.34

Figura 1: Due immagini del modello del Teatro di Bayreuth di Mariano Fortuny. Progetto per l’applicazione del “Sistema Fortuny” a luce diffusa e indiretta. Collezioni Museo Fortuny, Fondazione Musei Civici di Venezia. Per gentile concessione della Fondazione Musei Civici di Venezia.

La luce e i colori — che hanno influenzato fortemente la ricerca atmosferica di Fortuny — venivano utilizzati per la pittura come pigmenti coloranti su canapa e tele, per l’abbigliamento e la tessitura di velluti, sete e cotoni. Un mago che proprio dal colore trae il proprio potere “da cui molte idee sviluppate dall’uomo fin da tempi remoti interessano appunto le loro facoltà magiche”.35 È la ricerca della natura profonda delle cose che si spinge oltre il visibile, la volontà del magicienne de Venice di rendere visibile l’invisibile attraverso l’atmosfera, una percezione sensibile anche data dalla Venezia lagunare e sospesa che influenza i suoi studi sulla luce, sul tempo e sulle forme. I colori svolgono qui un ruolo primario, Fortuny così interessato al mondo antico trova nella natura i colori per le sue creazioni tessili dove la ricerca della luce e dell’atmosfera ne compenetrano l’opera. Le stampe dei tessuti Fortuny, infatti, erano in grado di catturare un’abbagliante gamma cromatica; le velature trasparenti davano una forma unica ai suoi capi evidenziandone la tridimensionalità: “La trasparenza e la riflessione esistono soltanto nella dimensione della profondità di un’immagine visiva”.36

Il colore luminoso che Fortuny produceva con la seta naturale deriva dall’esclusiva struttura innata della fibra. Mary Schoeser spiega che la seta ha una superficie simile a un prisma: “in cross section it is more triangular than round, its surface, prism-like, intensifies the effect of any color”.37 Dopo molteplici saturazioni nelle vasche di tintura, è stato questo effetto strutturale di prisma a creare la caratteristica luminosità del Delphos.

Per le sue belle stoffe egli ha catturato le sfumature della luce come si riflettono nella laguna e la sua luce è quella che egli vede nell’acqua o traverso i vapori quasi invisibili che avvolgono le isole. […] Dalle finestre del palazzo Orfei il mago tende le sue reti giorno e notte per sorprendere e prendere i riflessi luminosi che fanno di Venezia un prisma.38

Moda, corpi e morfologie vegetali

Il lavoro di Fortuny-Nigrin nell’ambito della moda è stato studiato soprattutto con attenzione al passato e per le numerose citazioni archeologiche, come nel caso dei riferimenti all’abbigliamento minoico che caratterizzano lo scialle Knossos, primo frutto della collaborazione creativa di Fortuny e Nigrin. A quest’ultima lo stesso Fortuny attribuisce un ruolo di primo piano nell’ambito delle creazioni tessili e d’abbigliamento che prendono avvio tra il 1906 e il 1907 a Palazzo degli Orfei.39

I motivi d’ispirazione archeologica sono confermati dalla presenza nella biblioteca di Fortuny di testi come il Manuale di storia dell’arte di Anton Springer, il cui primo volume, dedicato all’Arte Antica, era stato pubblicato in Italia nel 1904 ed era divenuto un punto di riferimento culturale per il paese.40 Questo libro era presente a quelle date anche nella biblioteca della creatrice di moda, teorica e femminista Rosa Genoni, interessata all’antichità nelle sue forme più dinamiche. In questo libro sono contenute immagini di statuette ellenistiche Tanagra, modellate in terracotta e celebrate per il loro “soffio di grazia e di vivacità”,41 la resa del movimento dei corpi e il “modo di drappeggiare”42 gli abiti.

Come ha notato Ilaria Caloi,43 l’interesse di Fortuny-Nigrin per l’arte dell’antica Grecia si colloca pienamente nel quadro dell’Art Nouveau, la cui influenza sul loro lavoro emerge anche dall’attenzione alla natura e, in particolare, alle linee ondulate di matrice zoomorfa e fitomorfa. Un elemento centrale della biofilia dell’Art Nouveau è il fascino per le strutture organiche, soprattutto quelle derivate dal regno vegetale, come le piante e i fiori, ma anche le forme sinuose degli animali e del corpo umano. La biofilia dell’Art Nouveau è stata spesso spiegata come reazione all’approccio storicista delle tendenze artistiche precedenti, come nel caso del Neogotico e del Neorinascimento. L’articolo intende fare luce su un aspetto poco considerato dell’Art Nouveau che, piuttosto di rifiutare la storia, ne promuove un nuovo modello di organizzazione. Tale modello è utile a spiegare anche il lavoro di Fortuny-Nigrin. L’ipotesi qui proposta è che L’Art Nouveau abbia contribuito a promuovere una diversa concezione della storia, non lineare, ma generativa. In questo senso, le strutture organiche invocate come motore del rinnovamento stilistico ed estetico da parte dell’Art Nouveau non devono essere intese solo come un insieme di motivi decorativi, ma anche come un principio strutturale e dinamico basato sulla metamorfosi e il cambiamento. A sostegno di questa ipotesi, si può sottolineare come le forme organiche siano una interpretazione della visione scientifica del mondo introdotta dalla biologia evoluzionistica di Charles Darwin.44

Secondo Fortuny, arte e scienza non sono mai separate, ma si intrecciano nella comprensione della realtà. Nei raccoglitori conservati nella biblioteca-studio del Museo Fortuny sono presenti materiali che confermano l’interesse dell’artista e designer per lo studio degli elementi naturali, con particolare attenzione al regno vegetale. Si tratta di album di erbari contenenti esemplari di foglie e fiori non classificati in modo scientifico. La quasi totale mancanza di nomenclatura e principi di classificazione evidenziano un interesse primario per le forme, confermato da una raccolta di fotografie a contatto di specie vegetali, sempre conservata nella biblioteca-studio di Fortuny. Tra queste, spiccano per il loro aspetto decorativo un mazzo di mughetti, una foglia di faggio con le nervature, un ramoscello di foglie di quercia, e fiori tropicali come Clerodendrum Thomsoniae. Fiori e foglie diventano per Fortuny-Nigrin fonti di ispirazione per tessuti dipinti, stampati con matrici lignee o a pochoir, tecnica di coloritura consistente nel realizzare immagini e pattern per mezzo di mascherature di carta. Il pochoir, riscoperto dall’Art Nouveau, permetteva loro di esaltare la bidimensionalità del disegno e il contrasto dei contorni netti, come hanno notato Giovanni e Rosalia Fanelli.45 Tra gli esempi esposti nell’attuale allestimento del Museo emergono i fiordalisi azzurri e rosa su seta e i motivi stilizzati di rose selvatiche e campanule. Di particolare interesse nel repertorio di Fortuny-Nigrin è il fitomorfismo marino delle alghe riprodotte insieme a polipi sugli scialli Knossos ispirati alla pittura vascolare di epoca micenea. Le alghe compaiono anche nei motivi di cinture di seta stampata da indossare con gli abiti Delphos e nelle fasce di vegetazione lussureggiante che sembrano muoversi al ritmo delle onde, anch’esse rappresentate nei repertori dei motivi decorativi utilizzati e nelle prove di stampa tessile. Questi esempi evidenziano il ruolo di motivi decorativi come quello delle alghe nel materializzare la stratificazione di epoche storiche: dai riferimenti alla pittura vascolare micenea ai paesaggi sottomarini della laguna di Venezia contemporanea a Fortuny.

Già Marcel Proust si era soffermato sulla liquidità degli abiti di Fortuny e sul loro essere pieni di riflessi come i canali di Venezia, sulla superficie dei quali si riflette lo scintillio del cielo lagunare. Questi abiti non solo avevano attivato in Proust il ricordo di Venezia, ma erano anche la materializzazione della città. Nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto, lo scrittore francese aveva paragonato la sensazione di stringere a sé un corpo che indossa un abito Fortuny a quella di serrare “al cuore l’azzurro luccicante e dorato del Canal Grande”.46 Allo stesso modo, Gérard d’Houville, pseudonimo maschile della scrittrice francese Marie de Heredia, aveva messo in relazione i primi modelli di sciarpe Knossos alla morfologia di Venezia, descrivendo in un articolo del 1911 “una sciarpa lunga, stretta e sinuosa come un canale; era dipinta con fiori e alghe, arabeschi come quelli che compaiono sui fianchi dei vasi di Cnosso a Creta”.47 Secondo la stessa scrittrice, i tessuti Fortuny captavano le sfumature di luce riflettendo la “luccicante lagune Lumière”,48 quest’ultima immaginata presumibilmente come sostituto mediterraneo della Ville Lumière, la Parigi della Belle Époque (Fig. 2). Nel racconto della scrittrice, la visione di farfalle gialle ondeggianti sull’acqua è paragonata agli abiti ondeggianti e impalpabili di Fortuny.

Figura 2: Opuscolo con campioni di paillettes del produttore “Ch. Averseng. Fabricant de paillettes” di Parigi. Conservato nel libro Addresses di Mariano Fortuny. Collezioni Museo Fortuny, Fondazione Musei Civici di Venezia. Per gentile concessione della Fondazione Musei Civici di Venezia. Fotografia di Alessandra Vaccari.

Sia in Proust, sia in de Heredia la liquidità e la sinuosità degli abiti creati da Fortuny e Nigrin introducono la nuova morfologia del corpo femminile condivisa tanto dall’Art Nouveau quanto dalla moda d’inizio secolo. Sebbene molti esponenti dell’Art Nouveau, tra cui il belga Henry van de Velde e lo stesso Fortuny, si fossero fatti portavoce di una riforma della moda distante dalle tendenze del mercato guidato dall’haute couture francese, gli ideali di un corpo snello e dinamico si diffusero nella stessa misura nei contesti artistici e commerciali. L’ideale statuario del corpo femminile era ancora prevalente all’inizio del XX secolo,49 e la forma a colonna del Delphos ne è una testimonianza. Brevettata a Parigi nel 1907, la tunica Delphos prendeva sì ispirazione dalla statua in bronzo dell’Auriga di Delfi, ma per affermare i nuovi ideali del corpo in movimento. La sua struttura finemente pieghettata aderiva al corpo senza costrizioni. Non era un caso che la indossassero professioniste del corpo in movimento, in particolare attrici di teatro come Eleonora Duse e danzatrici d’avanguardia come Isadora Duncan. Secondo i registri delle vendite conservati presso il Fondo Mariutti-Fortuny, l’anticonformista ed eccentrica Marchesa Luisa Casati fu la prima ad acquistare un Delphos.50 L’abito non è più un esoscheletro che conferiva al corpo una forma, come era accaduto fino all’inizio del XX secolo, ma si modella sulla forma del corpo. È in questo periodo che le riviste di moda internazionali e italiane insistono sull’importanza della silhouette, intesa come linea generale della figura, chiamata ad esprimere il dinamismo, la flessuosità e la magrezza del corpo femminile come valori della modernità. Un articolo pubblicato dalla rivista italiana “Regina” nel 1912, ad esempio, metteva in relazione in modo significativo magrezza e gioventù. Nel proporre le nuove guaine che sostituivano i vecchi busti affermava che “la silhouette moderna non richiede alcuna compressione che possa riuscire dannosa alla salute”.51 Sempre nel 1912, la stessa rivista pubblicò un’ironica illustrazione di Laterza intitolata Macroschelia. Il liberty… della bellezza,52 in cui una scheletrica figura femminile dalle gambe lunghissime era sdraiata su una altrettanto sottile chaise longue in stile Thonet, espressione precoce del design modernista. L’espressione Liberty che compare nel titolo è il modo in cui in Italia viene recepita l’Art Nouveau.

La biofilia che inneggia la vita e i processi vitali è la radice comune di questa visione del corpo che rappresenta un punto di svolta dal decadentismo al modernismo d’avanguardia, come ha osservato Mark Anderson nel suo studio sullo scrittore Franz Kafka, la moda, il nudismo e l’estetica Art Nouveau.53 Oltre alle case di cura naturiste frequentate da Kafka, un esempio chiaro di biofilia e avanguardia è la comune svizzera di Monte Verità studiata da dal curatore Harald Szeemann.54 A inizio del XX secolo si insediarono a Monte Verità artisti provenienti da diverse parti d’Europa, per vivere a contatto con la natura in semplici abitazioni autoprodotte, adottando un’alimentazione che escludeva cibi di origine animale, vestendo tuniche sciolte ispirate dalla riforma dell’abbigliamento, praticando il nudismo nei bagni di sole integrali; privilegiando il contatto prolungato con gli elementi naturali ed esercitando l’euritmia, arte del movimento creata da Rudolf Steiner e dalla danzatrice Lory Maier-Smits, attraverso la scuola estiva di arte del movimento diretta da Rudolf von Laban a Monte Verità tra il 1913 e il 1910. Anche la proto-ecologia di Fortuny e Nigrin è caratterizzata da un interesse specifico per gli elementi naturali. Restano alcune fotografie scattate da Fortuny alla moglie che indossa il Delphos in contesti boschivi e in montagna. Queste ultime sono oggetto di indagine fotografica specifica da parte dell’artista, come si evince dagli album conservati presso il Museo Fortuny.

Materialità atmosferica di pigmenti e stoffe

La scelta dei pigmenti, le tecniche di tintura e di stampa, e la tipologia di fibre hanno distinto il carattere inconfondibile e senza tempo dei tessuti e degli abiti di Fortuny e Nigrin.55 Tuttavia l’aspetto su cui l’articolo intende soffermarsi è l’instancabile ricerca e sperimentazione condotta dalla coppia che caratterizza la materialità specifica dei lavori qui definita atmosferica. È possibile osservare come l’ambiente — Venezia, l’acqua, la materia organica grezza — non sia nell’opera di Fortuny semplice fonte di ispirazione, ma anzi la informi del suo proprio carattere fisico e sensoriale tanto da far emergere l’ambiente dalle stoffe stesse. Intendendo il concetto di atmosfera sia nella sua connotazione di fenomeno meteorologico che di esperienza sensoriale,56 questa sezione dell’articolo vuole evidenziare come la scelta ed elaborazione dei materiali da un lato includa l’atmosfera nel processo, dall’altro evochi un’esperienza atmosferica in chi osserva o indossa le stoffe e gli abiti Fortuny. In una bozza di articolo firmato G. M. destinato a un quotidiano e ora conservato tra i miscellanei del Fondo Mariutti-Fortuny si legge:

è ben Venezia, con la malia de’ suoi cieli così mutevoli e con i riflessi iridescenti delle sue acque, la città che poteva offrire meglio d’ogni altra l’atmosfera, il clima adatto tutto pervaso di splendori e colori, per creare queste stoffe che sembrano avere rubato al cielo la sua luce, i suoi riflessi così fantastici all’acqua delle lagune.57

Un esempio tra molti che testimonia come alla città in cui Fortuny e Nigrin radicarono la loro pratica e realizzarono i loro lavori venisse attribuito un ruolo tutt’altro che di sfondo. Le sete scintillanti del Delphos così come le luminose decorazioni oro degli scialli, non solo evocavano l’ambiente e l’estetica della laguna veneziana, ma sembravano trasportarla dentro di essi e farla esistere. È proprio questa esperienza sensoriale che viene raccontata dal già citato Marcel Proust in una delle opere più emblematiche di inizio Novecento: il narratore ne Alla ricerca del tempo perduto ad un certo punto descrive le decorazioni della vestaglia indossata da Albertine come somiglianti a quelle delle colonne dei palazzi di Venezia o ai luccichii e i riflessi creati dalle gondole sul Canal Grande. E in quel momento la veste viene vissuta come “l’ombra tentatrice di questa invisibile Venezia”.58

Figura 3: La Garance et L’Indigo di G.-F. Jaubert. Libro appartenuto a Mariano Fortuny con una sua nota manoscritta. Collezioni Museo Fortuny, Fondazione Musei Civici di Venezia. Per gentile concessione della Fondazione Musei Civici di Venezia.

La materialità atmosferica dei capi e tessuti di Fortuny-Nigrin sono frutto di uniche e spesso segrete sperimentazioni con pigmenti e tinture. Testimonianza di questi studi sono i numerosi testi relativi ai processi di estrazione di pigmenti e di metodi di colorazione che riempiono la biblioteca dell’artista spagnolo a Palazzo degli Orfei, oggi Museo Fortuny. Tra i libri consultati, di particolare interesse quelli che raccolgono ricette e indicazioni sulle piante tintorie — come Les Plantes Tinctoriales et leurs principes colorants e La Garance et l’Indigo (Fig. 3) — dove si trovano anche commenti e annotazioni autografe riguardo ai contenuti. La ricerca di materie prime naturali per la creazione di pigmenti è confermata anche dai materiali grezzi contenuti in vasi e bottiglie di vetro esposti nel Museo Fortuny e dalle ricevute di acquisto — conservate tra i miscellanei nel Fondo Mariutti-Fortuny — che elencano tra gli altri l’albumina e l’oro.59 Questi materiali erano solo il punto di partenza per Fortuny che grazie a prove e sperimentazioni creò le sue ricette tuttora segrete.

Negli anni Trenta del Novecento, l’artista brevetta le Tempere Fortuny che perfeziona inviando ad amici artisti dei campioni con allegate le indicazioni sull’applicazione.60 La decisione di utilizzare vernici tradizionali come la tempera andava controcorrente rispetto alla diffusione di inizio secolo dei colori acrilici caratterizzati da una componente chimica più alta e dalle pericolose tinture sintetiche che già nel XIX secolo erano state causa, nella moda, di intossicazioni, malattie e anche morti.61 Questo approccio più naturale agli elementi impiegati nella realizzazione della sua arte, ci rimanda a simili tendenze contemporanee dove artiste e designer fanno della creazione da zero dei pigmenti il carattere distintivo della loro pratica. Nonostante in più occasioni i colori di Fortuny siano stati definiti ‘plant-based’ e naturali,62 la composizione dettagliata delle tempere e dei pigmenti per i tessuti è rimasta per lo più ignota63 a causa dei brevetti. Ad oggi, alcuni tentativi di analisi sono stati realizzati nell’ambito di ricerche magistrali (come il lavoro di Cecilia Zanin64 per quanto riguarda i materiali pittorici e di Virginia Farinelli65 per quanto riguarda le tecniche di stampa) che hanno preso in esame rispettivamente alcuni tubetti di tempera e la tavolozza, stampe su carta e su frammenti di tessuto. Tuttavia, ciò che questo articolo vuole ricercare, non è tanto l’esattezza della naturalità degli ingredienti, ma quanto dall’originalità della sperimentazione di questi materiali emerga l’ambiente in cui vennero utilizzati.

È proprio con questo approccio sperimentale al colore che Fortuny e Nigrin dirigono il workshop di design e stampe a Palazzo degli Orfei e successivamente dal 1923 la Società Anonima Fortuny oggi Tessuti Artistici Fortuny. La resa atmosferica dei loro lavori non è solo data dalla scelta delle materie prime ma da un utilizzo unico e inconfondibile di queste. Come viene spiegato da Antonio Sicilia, direttore showroom, durante il nostro incontro presso la fabbrica di tessuti Fortuny — ancora oggi attiva sull’isola della Giudecca — le ricette elaborate dall’artista rimangono non divulgabili in quanto sono le stesse che vengono tuttora seguite per la realizzazione delle stoffe decorative. Tuttavia, ciò che si vuole indagare non sta nello svelare le formule, ma nell’osservare la materialità atmosferica dei lavori di Fortuny-Nigrin che li rende allo stesso tempo creati da e creatori di un ambiente fisico e sensoriale. Se l’atmosfera si emana dalle cose66 e si colloca in un in-between tra la costellazione di cose in un ambiente e l’esperienza del corpo in quell’ambiente,67 la scelta delle materialità dei tessuti Fortuny irradia sensazioni che rimandano a un luogo e all’esperienza vissuta propria di quel luogo. Prendendo come esempio gli iconici Delphos e i tessuti stampati — che venivano utilizzati sia per la realizzazione degli scialli Knossos che per la decorazione di interni — di seguito si osserverà nello specifico il mescolarsi dell’ambiente naturale nei materiali e nei pigmenti dei design di Fortuny e Nigrin.

Guillermo De Osma descrive il Delphos come “un rettangolo di tela con delle aperture per il collo e per le braccia”68 la cui semplicità andava controcorrente rispetto all’eccesso della moda dell’epoca e allo stesso tempo liberava dai corsetti il corpo femminile. Vestito in seta plissettata, il Delphos venne brevettato nel 1909 a Parigi e sul documento ufficiale Fortuny appuntò in nota che l’ideatrice era la moglie e musa Henriette Nigrin.69 Dopotutto sono numerosi i testi che ricordano come fosse proprio Nigrin a gestire lo studio a Palazzo degli Orfei70 e a supervisionare la produzione del design dei capi e dei tessuti.71 L’iconico vestito era realizzato in tussah, seta particolarmente lucente che sembrava quasi bagnata.72 Veniva tinta — anche più volte — con un solo colore73 e plissettata con un lungo e meticoloso processo sia manuale che meccanico che probabilmente includeva dei passaggi in cui il tessuto veniva immerso proprio in quell’elemento, l’acqua,74 che a sua volta evocava. Probabilmente per fissare le pieghe veniva utilizzata una colla a base di albume,75 metodo riprodotto anche nei Knossos, che venivano solitamente indossati sopra ai Delphos.76 De Osma suggerisce che l’albumina nel caso degli scialli stampati venisse applicata non in modo omogeneo ma solo in alcune zone, sulle quali venivano pressati dei pigmenti naturali con un rullo.77 Questa tecnica conferiva al capo un carattere di antico e vissuto dato proprio dalla resa tenue e velata dei colori che emergeva in contrasto con gli inserimenti metallici di alcuni elementi delle stampe. Secondo Deschodt78 i capi venivano sottoposti a un ulteriore trattamento che non solo aveva un effetto visivo ma anche olfattivo: l’ambra. Applicata sul tessuto la resina si solidificava esaltando le decorazioni più luminose e impregnando il mantello di una fragranza piacevole che evocava altre epoche e ambienti. La ricchezza e l’equilibrio dell’elaborata commistione di materiali a cui venivano esposti sete, velluti, lini e cotoni della produzione Fortuny, attribuiva ai tessuti questa magica capacità di provocare sensazioni non solamente estetiche e limitate al capo ma anche corporee. È proprio questo aspetto atmosferico che si vuole notare: l’esperienza di un capo Fortuny infatti non si esauriva nell’apprezzamento per l’incredibile maestria tecnica ma si espandeva in “un piacere incosciente e indefinibilmente misterioso” che sorgeva dai capi, come troviamo descritto in un ritaglio di stampa del 1911 intitolato “Le stoffe di Mariano Fortuny”.79 La materialità atmosferica di questi abiti e stoffe, sembra dunque far accadere qualcosa difficile da descrivere, qualcosa di magico, carattere che proprio il filosofo tedesco Gernot Böhme attribuisce alla creazione atmosferica spiegando come quando questa accade “attraverso il carattere dei materiali può essere definita magia. Che cos’è la magia? Illusioni, telecinesi, l’attivazione di effetti attraverso segni. La magia è sconcertante, è incomprensibile”.80 Proprio come oggetti e ambienti possono irradiare un’atmosfera, così i materiali che compongono e danno forma ai tessuti Fortuny sembrano avere la capacità di suscitare l’esperienza di un ambiente con i suoi odori, luci, colori, sensazioni.

L’aspetto atmosferico dei pigmenti e materiali dei tessuti Fortuny non sono solo un’evocazione e un’esperienza sensoriale ma anche un elemento presente allora così come oggi nel processo di creazione. Come introdotto all’inizio, l’atmosfera può riferirsi simultaneamente sia all’esperienza sensoriale sia all’evento climatico. In questo caso, è evidente come il metodo di tintura artigianale di Fortuny non potesse non subire l’influenza data dalle condizioni presenti nel luogo in cui avveniva. Di conseguenza i fenomeni meteorologici della laguna veneziana erano e sono tuttora coinvolti nella realizzazione dei tessuti. Come ci viene raccontato durante la nostra visita alla fabbrica Tessuti Fortuny, ogni pezzo è unico perché il procedimento, nonostante possa essere standardizzato per quanto riguarda alcune fasi — come il numero di bagni di colore, o il pre-trattamento del cotone — rimane esposto alle condizioni dell’ambiente presenti in quel preciso momento. E così il cotone assorbirà in modo diverso il colore a seconda della temperatura e dell’umidità e il risultato finale porterà con sé quelle variabili atmosferiche. L’ambiente dunque nel lavoro di Fortuny-Nigrin è chiaramente non semplice fonte di ispirazione estetica ma ha un ruolo attivo in quei “procedimenti specialissimi di cui la formula è tenuta naturalmente segreta”.81 Se si osserva la tendenza a processi artigianali e sperimentali diffusi nelle pratiche tessili e di moda ecologiche, facilmente si riscontrano delle somiglianze con la presenza dell’ambiente all’interno di esse. Tra tutti, gli studi sui pigmenti e le tinture naturali hanno un rapporto con le condizioni atmosferiche di un luogo imprescindibile. Sono queste infatti a determinare per esempio la crescita delle piante tintorie e a determinarne il colore. E anche qui la temperatura e l’umidità influiscono sulla mordenzatura e l’assorbimento del colore, così come la luce sulla resa finale del colore, portando a risultati più spesso vari e unici che sfidano l’omogeneità garantita dai processi sintetici.82 Come si ricordava precedentemente, l’epoca in cui Fortuny e Nigrin lavorano è anche momento di diffusione dei materiali artificiali sia per i colori che per i tessuti, tuttavia il loro approccio rimane per molti aspetti artigianale esaltando e apprezzando l’inevitabile diversità dei risultati. Oggi la ricerca dei pigmenti naturali è mossa da un’urgenza nel trovare alternative per rimediare alla crisi ecologica83 che non erano presenti a inizio Novecento, ma ciò che condivide con l’opera di Fortuny-Nigrin è senza dubbio un coinvolgimento dell’ambiente all’interno dei processi che emerge negli ingredienti e nell’estetica.

Conclusioni

L’Arte totale di Fortuny e della sua partner creativa Nigrin è stata esplorata in questo articolo attraverso il prisma teorico dell’atmosfera, mettendone in evidenza la sensibilità proto-ecologica. Come si è cercato di dimostrare, l’attenzione da loro riservata agli elementi naturali non era meramente decorativa, ma radicata in un dialogo profondo con la materia e con il paesaggio veneziano, contesto al loro lavoro. La loro pratica artistica era multidisciplinare e polimorfa, informata dall’ambiente circostante e profondamente legata ad esso. L’articolo ha evidenziato l’approccio biofilico caratteristico della loro opera. Si tratta di una biofilia definita da un interesse specifico per gli elementi atmosferici del luogo in cui lavorano e che si esprime nella sperimentazione su luce, palette, tessuti, pigmenti e morfologie. Attraverso le riflessioni sul concetto di atmosfera elaborate dai filosofi Gernot Böhme e Tonino Griffero, si è approfondito lo studio dell’acqua e della trasparenza della luce, dimostrando come la sensibilità atmosferica sia conciliabile con una concezione biofila della moda. In particolare è stato analizzato in che modo la coppia creativa Fortuny-Nigrin abbia assimilato la matericità della laguna veneziana, sviluppando un’estetica che non era limitata alla rappresentazione visiva, ma coinvolgeva anche la percezione corporea e sensoriale. La presenza di erbari nella loro biblioteca testimonia la volontà di comprendere e reinterpretare la morfologia vegetale in chiave artistica e tessile negli anni dell’Art Nouveau. Mentre è attraverso la materialità atmosferica di pigmenti e tessuti che le loro opere si fanno evocatrici di esperienze emozionali legate all’ambiente e, allo stesso tempo, sono determinate dalle condizioni atmosferiche e climatiche della laguna.

La prospettiva transtorica adottata in questo articolo ha offerto spunti significativi per riflettere in modo non lineare sul rapporto tra arte, moda e sostenibilità. In un’epoca in cui il cambiamento climatico e la crisi ambientale impongono nuove strategie di progettazione, l’approccio di Fortuny e Nigrin può essere letto come un proto modello di integrazione tra estetica e responsabilità ecologica. La loro eredità artistica si configura in questo modo come un invito a riconsiderare il nostro rapporto con l’ambiente, attraverso una presa di consapevolezza del ruolo dell’atmosfera e della sua azione sulla percezione degli esseri viventi.

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  1. Cfr. Cristina Nuzzi et al., Fortuny nella Belle Époque (Milano: Electa, 1984); Ilaria Caloi, Modernità minoica: l’arte egea e l’Art Nouveau. Il caso di Mariano Fortuny y Madrazo (Firenze: Firenze University Press, 2011).↩︎

  2. Fabriano Fabbri, La moda contemporanea, Vol. 1: Arte e stile da Worth agli anni Cinquanta (Torino: Einaudi, 2019).↩︎

  3. S.M. Shatarah, “Biophilic Design In Fashion: Enhancing Sustainability Through Nature-Inspired Garments,” Migration Letters, Vol. 21 (February 2024), 1830–1837.↩︎

  4. Edward O. Wilson, Biophilia (Cambridge: Harvard University Press, 1984), 1. La traduzione dall’inglese è di chi scrive.↩︎

  5. Gernot Böhme, The Aesthetics of Atmospheres (London: Routledge, 2018).↩︎

  6. Tonino Griffero, Quasi-things: The Paradigm of Atmospheres (Albany, NY: State University of New York Press, 2017), 93.↩︎

  7. Cfr. Edwina Ehrman (a cura di), Fashioned from Nature (London: Victoria and Albert Museum, 2018).↩︎

  8. “Un capolavoro al mese - Fondo Mariutti-Fortuny,” accesso 12 febbraio 2025, https://biblioteche.cultura.gov.it/it/notizie/notizia/Un-capolavoro-al-mese-Fondo-Mariutti-Fortuny/.↩︎

  9. Guillermo de Osma, Mariano Fortuny: His life and work (Milano: Rizzoli, 1980); Wendy Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light (New Haven and London: Yale University Press, 2022).↩︎

  10. L’incontro con Cristina Maria da Roit è avvenuto il 13 gennaio 2025, presso il Museo Fortuny, Fondazione Musei Civici di Venezia. Si ringrazia da Roit per il costante supporto alla ricerca e Chiara Squarcina della Fondazione Musei Civici di Venezia per l’accoglienza e l’incoraggiamento.↩︎

  11. L’incontro con Antonio Sicilia si è svolto il 20 gennaio 2025 presso Tessuti Fortuny, Giudecca, Venezia.↩︎

  12. Il museo dell’atmosfera. Ricerca interdisciplinare su moda, ambiente e sostenibilità, ricerca co-finanziata da Muse-Museo delle scienze di Trento e Università Iuav di Venezia nell’ambito del Corso di Dottorato di Ricerca in “Culture del progetto” (XL ciclo), Ministero dell’Università e della ricerca, PNRR ex. D.M. 630/2024. Gli autori ringraziano il Muse di Trento e in particolare il direttore Massimo Bernardi per avere supportato il progetto e Patrizia Famà, Carlo Maiolini e David Tombolato per i dialoghi costruttivi sul concetto di atmosfera.↩︎

  13. Cfr. Simone Viani, “Il ‘superfluo necessario’,” in Fortuny nella Belle Époque (Milano: Electa, 1984), 159.↩︎

  14. Tonino Griffero, Atmosferologia: estetica degli spazi emozionali (Milano: Mimesis, 2017), 96.↩︎

  15. Griffero, 96.↩︎

  16. Nicola Emery, “Walter Benjamin e l’aura di Venezia,” in Vesper: Rivista di architettura, arti e teoria 1 (Autunno/Inverno 2019), 8.↩︎

  17. Emery, 8.↩︎

  18. “Museo Fortuny”, accesso 15 gennaio 2025, https://fortuny.visitmuve.it/it/il-museo/percorsi-e-collezioni/casa-museo/.↩︎

  19. Wendy Ligon Smith, Reviving Fortuny’s Phantasmagorias (Manchester: The University of Manchester, 2015), 54.↩︎

  20. “Museo Fortuny”, accesso 16 gennaio 2025, https://fortuny.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/inverno-palazzo-fortuny-2015/2015/10/16077/henriette-fortuny-una-musa-silente/.↩︎

  21. Ligon Smith, Reviving Fortuny’s Phantasmagorias, 94.↩︎

  22. Corrado Tumiati, Il mio vicino mago, 6 settembre 1932, Fondo Mariutti-Fortuny, R.S.1 (Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia). D’ora in poi poi Fondo M–F.↩︎

  23. Gino Damerini, Il mago Fortuny, 7-8 giugno 1949, Fondo M–F, R.S.1.↩︎

  24. Doretta Davanzo Poli, a cura di, Le collezioni della Fondazione di Venezia. I tessili di Fortuny (Venezia: Arsenale Editrice, 1997), 17.↩︎

  25. Damerini, Il mago Fortuny, 7-8 giugno 1949, Fondo M–F, R.S.1.↩︎

  26. Griffero, Atmosferologia, 23.↩︎

  27. Olivier Saillard, “Avant-propos,” in Mariano Fortuny: Un espagnol à Venise (Paris: Paris Musées, 2017), 23.↩︎

  28. Cristina Grazioli, Luce e atmosfera: una direttrice alternativa, cit. in La scena di Mariano Fortuny. Atti del Convegno Internazionale di Studi Padova-Venezia, 21-23 novembre 2013, a cura di Maria Ida Biggi, Claudio Franzini, Cristina Grazioli e Marzia Maino (Roma: Bulzoni Editore, 2016), 58.↩︎

  29. Alberto Spaini, L’uomo dei cieli e delle cupole, Fondo M-F, R.S.1.↩︎

  30. Böhme, The Aesthetics of Atmospheres, 245.↩︎

  31. Gavin Pretor-Pinney, The Cloudspotter’s Guide (New York: St. Martin’s Press, 2006), 9, cit. in Griffero, Atmosferologia, 96.↩︎

  32. Mariano Fortuny, Appunti Manoscritti, Fondo M-F, M7.8/1.↩︎

  33. Fortuny, Fondo M-F, M7.8/1.↩︎

  34. Alberto Spaini, L’uomo dei cieli e delle cupole, Fondo M-F, R.S.1.↩︎

  35. Riccardo Falcinelli, Cromorama (Torino: Einaudi, 2017), 67.↩︎

  36. Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sui colori (Torino: Einaudi, 1977), 26.↩︎

  37. Mary Schoeser, The Science of Silk, cit. in Wendy Ligon Smith, Reviving Fortuny’s Phantasmagorias (Manchester: University of Manchester, 2015), 111.↩︎

  38. “Le stoffe di Fortuny,” Fondo M-F, M6.16.3↩︎

  39. Daniela Ferretti, “Ritratto di una musa”, in Henriette Fortuny. Ritratto di una musa (Venezia, Museo Fortuny-MUVE, 2015), 11–19.↩︎

  40. Anton Springer, Manuale di storia dell’arte, vol. 1, Arte Antica, a cura di C. Ricci (Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1904). Cfr. Alessandra Vaccari, Indossare la trasformazione : moda e modernismo in Italia (Venezia, Marsilio, 2022).↩︎

  41. Springer, 271.↩︎

  42. Springer, 271.↩︎

  43. Cfr. Caloi, Modernità minoica.↩︎

  44. Carlo Ginzburg, “The Convolvulus and the Lily. A Case-Study in the History of Reception”, Cosmo, n. 18: Morphology and Historical Sequence (2021), 15–26.↩︎

  45. Giovanni e Rosalia Fanelli, Il tessuto moderno. Disegno, moda, architettura: 1890-1940 (Firenze: Vallecchi, 1976), 16. Cfr. Cristina Maria Da Roit, “Mariano Fortuny. Printing on fabric between Experimentation and Innovation”, in Italian Textile Design From Art Deco to the Contemporary, a cura di Vittorio Linfante, Massimo Zanella (Venezia, Marsilio, 2023), 33–35.↩︎

  46. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, a cura di P. Pinto, G. Grasso, ebook, New Compton, Roma. 2011, 2412.↩︎

  47. “une écharpe longue, étroite et sinueuse comme un canal; il y avait peint des fleurs et des algues, des arabesques d’après celles-là qui figurent aux francs des poteries de Knossos en Crète.” Traduzione di chi scrive. Gérard d’Houville [Marie Louise Antoinette de Heredia], “Un magicien”, Le Figaro (1 maggio, 1911), Fondo M-F, R.S 4.3.↩︎

  48. “miroitante lagune Lumière”, Le Figaro (1 maggio, 1911), Fondo M-F, R.S 4.3.↩︎

  49. Caroline Evans, The Mechanical Smile: Modernism and the First Fashion Shows in France and America, 1900-1929 (New Haven: Yale University Press, 2013).↩︎

  50. Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light.↩︎

  51. “La silhouette della donna moderna”, Regina. Rivista per le signore e per le signorine, Vol. 9, (15 novembre 1912), 5.↩︎

  52. “Macroschelia. Il liberty… della bellezza”, Regina. Rivista per le signore e per le signorine, Vol. 9, (15 ottobre 1912).↩︎

  53. Mark Anderson, Kafka’s Clothes: Ornament and Aestheticism in the Habsburg Fin de Siècle (Oxford, Clarendon Press, 1995).↩︎

  54. Harald Szeemann et al., Monte verità: antropologia locale come contributo alla riscoperta di una topografia sacrale moderna, (Milano, Dadò-Electa, 1978).↩︎

  55. de Osma, Mariano Fortuny: His life and work, 22.↩︎

  56. Böhme, The Aesthetics of Atmospheres, 2.↩︎

  57. “Le stoffe di Fortuny,” Fondo M–F, M6.16.3.↩︎

  58. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. La prigioniera (Roma: Newton Compton Editori, 1990), 291.↩︎

  59. Fondo M–F, M6.8.3.↩︎

  60. Simona Rinaldi, “Le tempere veneziane di Mariano Fortuny”, in L’immagine tra materiale e virtuale. Contributi in onore di Silvia Bordini, ed. Francesca Gallo, Claudio Zambianchi (Roma: Campisano Editore, 2013), 1–14.↩︎

  61. Alison Matthews David, Fashion Victims: The Dangers of Dress Past and Present (London: Bloomsbury Publishing, 2015).↩︎

  62. de Osma, Mariano Fortuny: His life and work, 171.↩︎

  63. Cecilia Zanin, “Studio dei materiali pittorici di Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949), con particolare riferimento alle Tempere da lui prodotte” (Università Ca’ Foscari, 2015), 1.↩︎

  64. Zanin, 1.↩︎

  65. Virginia Farinelli, et al., “Study and characterization of the polychrome printing methods on Fortuny textiles by Mariano Fortuny y Madrazo (1871–1949),” (Università Ca’ Foscari, 2024).↩︎

  66. Böhme, The Aesthetics of Atmospheres, 25.↩︎

  67. Böhme, 1.↩︎

  68. Guillermo De Osma, “L’abito di Fortuny,” in Mariano Fortuny. La seta e il velluto. (Losanna: Skira, 2010), 25.↩︎

  69. Cristina Da Roit et al., Henriette Fortuny. Ritratto di una musa (Venezia, Museo Fortuny-MUVE, 2015), 89.↩︎

  70. Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light, 100; Sophie Grossiord, Mariano Fortuny: un espagnol à Venise. (Parigi: Palais Galliera Paris-Musées, 2017), 102.↩︎

  71. Guillermo De Osma, “L’abito di Fortuny,” in Mariano Fortuny. La seta e il velluto. (Losanna: Skira, 2010), 16; Anne-Marie Deschodt, Mariano Fortuny: Un Magicien de Venise. (Paris: Éditions du Regard, 1979), 83.↩︎

  72. Mary Shoeser, Silk (New Haven: Yale University Press, 2007), 144, 146, cit. in Wendy Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light (New Haven and London: Yale University Press, 2022), 82.↩︎

  73. Shoeser, 82.↩︎

  74. de Osma, Mariano Fortuny: His life and work, 148.↩︎

  75. Anne-Marie Deschodt, Mariano Fortuny: Un Magicien de Venise. (Paris: Éditions du Regard, 1979), 176.↩︎

  76. Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light, 73.↩︎

  77. de Osma, Mariano Fortuny: His life and work, 174.↩︎

  78. Ligon Smith, Fortuny: Time, Space, Light, 73.↩︎

  79. “Le stoffe di Mariano Fortuny,” Fondo M-F, R.S3 230.↩︎

  80. Böhme, The Aesthetics of Atmospheres, 146. Trad. di chi scrive. “Through the character of materials can indeed be called magic. What is magic? Conjuring, telekinesis, the triggering of effects through signs. Magic is puzzling, it is incomprehensible”.↩︎

  81. “Le stoffe di Fortuny,” Fondo M-F, M6.16.3.↩︎

  82. Diana Cayuela, Barbara Pizzicato et al. M., “Advancements in sustainable natural dyes for Textile Applications: A Review,” Molecules, 28(16) (August 2023): 5954, https://doi.org/10.3390/molecules28165954.↩︎

  83. Pubalina Samanta, “A review on application of natural dyes on textile fabrics and its revival strategy,” Chemistry and Technology of Natural and Synthetic Dyes and Pigments (January 4, 2020). https://doi.org/10.5772/intechopen.90038.↩︎