Verso un nuovo paradigma produttivo: il ruolo della manifattura digitale e del design partecipativo nella moda sostenibile
Nel panorama odierno, in cui la moda funge da lente attraverso la quale osservare mutamenti sociali, culturali e tecnologici, si assiste a una metamorfosi profonda dei processi produttivi: dall’uso esclusivo di tecniche tradizionali si è passati a un modello decisamente transdisciplinare, capace di integrare materiali innovativi, ricerca sociologica e soluzioni tecnologiche all’avanguardia per generare risultati non solo creativi, ma anche sostenibili. In un contesto globale nel quale la sostenibilità ambientale, sociale ed economica è ormai riconosciuta come imperativo strategico, l’industria della moda è chiamata a riconfigurarsi, bilanciando l’urgenza di innovare con la necessità di ridurre al minimo le ripercussioni sull’ambiente e sulle comunità locali.1
Tale evoluzione, pur avendo trovato negli ultimi anni una forte accelerazione, non nasce dal nulla: già le prime teorizzazioni sulla moda come sistema sociale ed estetico avevano evidenziato la necessità di un approccio etico, capace di mitigare l’eccesso di ostentazione mediante la tutela dell’ambiente.2 Sul versante operativo, grandi maison — da Alexander McQueen, che ha saputo coniugare rispetto per le tecniche artigianali e sperimentazioni tecnologiche, a Coperni, che ha fatto della digitalizzazione e dell’innovazione partecipativa il cuore della propria ricerca — hanno anticipato dinamiche oggi imprescindibili per un modello di produzione culturalmente e ambientalmente sostenibile. Tuttavia, tali trasformazioni non sono esenti da sfide: la produzione di massa e il consumo intensivo hanno accentuato l’inquinamento da microplastiche e l’aumento delle emissioni di gas serra, tanto che, come evidenziano le Nazioni Unite, l’85 % dei capi rilascia fibre sintetiche nell’ambiente marino durante il lavaggio e l’intero comparto contribuisce al 10 % delle emissioni globali di CO₂.3
È dunque necessario ripensare i modelli produttivi, orientandoli verso sistemi più resilienti e integrati, capaci di coniugare tecnologia, tradizione e innovazione sostenibile.4
Le nuove prospettive offerte dalla manifattura additiva e dal design partecipativo, che vanno a intrecciarsi con i concetti di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, pongono un’importante riflessione: come può il design sostenibile non soltanto rispondere alle necessità di un mercato sempre più eco-consapevole, ma anche recuperare e preservare una ricchezza culturale che rischia di perdersi nel vortice della globalizzazione e dell’omologazione?
Questo paper intende esaminare il caso di designedbyedoardo, giovane brand di manifattura digitale specializzato in prodotti stampati in 3D, riconosciuto come vero e proprio hub di promozione di pratiche green e partecipative. Attraverso l’analisi delle strategie progettuali e dei processi produttivi adottati, la ricerca mette in evidenza come l’integrazione tra tecnologie additive e coinvolgimento delle comunità possa generare un modello capace non solo di rispondere alle esigenze di un mercato sempre più consapevole delle tematiche ambientali, sociali ed economiche, ma anche di contribuire al recupero e alla valorizzazione di un patrimonio culturale a rischio appiattimento. Riflettendo su come un progetto comunicativo ben sviluppato possa aiutare i fruitori a cogliere l’essenza del patrimonio, che va oltre la sua evidente bellezza estetica, l’idea di un essere umano in continua evoluzione — da mero “consumatore” di beni e servizi, a “soggetto attivo” nello scenario consumistico del mercato globale — genera un cambio di paradigma.5
A partire da questa consapevolezza, il presente studio ha evidenziato come le green aesthetics possano costituire un paradigma progettuale efficace per affrontare le sfide ambientali e culturali del design contemporaneo, in particolare nel settore degli accessori di moda. Attraverso l’impiego di materiali innovativi ottenuti da scarti biologici, si delinea un percorso di valorizzazione che non solo riduce l’impatto ambientale, ma promuove anche una nuova estetica sostenibile fondata sull’economia circolare. L’integrazione di strategie partecipative e il coinvolgimento attivo delle comunità locali si rivelano strumenti fondamentali per la conservazione e la reinterpretazione delle tecniche artigianali tradizionali, rigenerate mediante l’adozione di tecnologie contemporanee. I casi studio analizzati, selezionati sulla base di un approccio interdisciplinare, dimostrano come l’innovazione possa fungere da ponte, generando pratiche di produzione responsabili che custodiscono la memoria culturale e rispondono in modo consapevole e creativo alle esigenze della sostenibilità.
Stato dell’arte delle pratiche di sviluppo sostenibile
Sebbene l’industria della moda stia adottando pratiche come l’upcycling, il downcycling e il riutilizzo di fibre tessili, è fondamentale cogliere l’opportunità di allinearsi a programmi di sviluppo sostenibile che abbraccino i diversi fronti interconnessi: quello ambientale, sociale, economico ma anche, in un certo senso, culturale; ed è una responsabilità dei progettisti quella di porre l’accento e interrogarsi su quale sia il vero senso di agire al servizio della sostenibilità in senso lato.
Sostenibilità ambientale: la scelta consapevole dei materiali eco-compatibili
Dal punto di vista ambientale, la diffusione e l’impiego di materiali eco-compatibili, compostabili e biodegradabili rappresenta un passo fondamentale per ridurre gli sprechi e minimizzare la produzione di scarto. L’acido polilattico, più comunemente conosciuto come PLA, è la bioplastica maggiormente impiegata per la prototipazione e lo sviluppo di progetti a basso impatto realizzati mediante l’uso di stampanti 3d sia in ambito di design degli interni sia nella moda. Sempre più di frequente, la formulazione di questo materiale è oggetto di sperimentazione da parte di aziende, startup e designer indipendenti volti ad ottimizzarne la formula e integrare una sempre maggiore attenzione verso l’impiego degli scarti. Su questo fronte, l’azienda francese Francofil ha sviluppato un filamento con residui di grano di birra provenienti dal birrificio “Les Brasseurs Normands” di Rouen. Il risultato è un materiale totalmente sostenibile di origine biologica, privo di coloranti o additivi industriali, che va ad affiancare la già vasta ricerca condotta da quest’azienda che ha ulteriormente testato la produzione mediante il reimpiego di scarti di cozze, gusci di ostriche, capesante e fondi di caffè. E se da un lato la sperimentazione su materiali eco-compatibili “vergini” è ben più che inoltrata grazie alle efficaci proprietà versatili del PLA, d’altro canto, l’impiego di materie completamente riciclate, come ad esempio il PETg, sta finalmente acquisendo rilevanza. Nel 2013 nasce dal designer olandese Dave Hakkens, Precious Plastic, un’iniziativa globale nata per combattere l’inquinamento da plastica attraverso il riciclo fai-da-te (Fig. 1). Con l’idea di fondo di decentralizzare il riciclo della plastica per renderlo accessibile a chiunque e ovunque nel mondo, il movimento, ha ispirato molte iniziative locali e startup che lavorano con materiali riciclati per ridurre i rifiuti e promuovere l’economia circolare. Fornendo una condivisione di disegni e istruzioni, Precious Plastic ha contribuito ad una diffusione di macchinari open-source affermandosi come una piattaforma educativa in grado di connettersi con la comunità globale e connettere piccole realtà locali sotto un ombrello comune favorendo l’innesco di shared-scenarios per favorire una forma di progettazione partecipata, condivisa e green che vede i destinatari di questi prodotti non più come passivi consumatori bensì attori attivamente partecipi alle diverse fasi dei processi di produzione: si tratta dei cosiddetti prosumer.
Sostenibilità economica e culturale: modelli di business etici e partecipativi per un equilibrio necessario
Questa nuova direzione implica un ripensamento radicale dei modelli di business e delle strategie di comunicazione, in cui la trasparenza, la partecipazione e la condivisione diventano le chiavi per instaurare un rapporto autentico e sostenibile con il mercato. L’aspetto economico, strettamente interconnesso con le prime due dimensioni, si manifesta nella riduzione della complessità logistica e nella diminuzione degli sprechi, fattori che consentono una maggiore efficienza produttiva e una diminuzione dei costi operativi. Tale approccio olistico sottolinea come l’economia sia indissolubilmente condizionata dagli aspetti ambientali e sociali, creando un circolo virtuoso in cui ogni dimensione ne rafforza le altre. Ma imporre pratiche di produzione di tipo estensivo, che si discostano diametralmente rispetto alle lunghe filiere a cui siamo abituati, è una responsabilità. Se il settore della moda ha sempre educato i suoi consumatori diversamente, non è possibile immaginare dall’oggi al domani di radicare meccanismi orizzontali. Vanno adottate, quindi, delle strategie di sensibilizzazione che da un lato aiutano a diffondere queste pratiche ma d’altro canto si impongono come uno strumento di difesa da quelle che, ad oggi, vengono considerate delle minacce come, ad esempio, l’intelligenza artificiale generativa. Secondo un report del World Economic Forum 10, i lavori in discesa saranno fortemente influenzati dall’avanzare delle tecnologie e dall’automatizzazione di molte mansioni. E se da un lato le previsioni per il 2030 mettono in cima tutti i lavori legati all’ IA, in via di sparizione vengono classificati una serie di mestieri strettamente connessi all’industria della moda, tra cui i graphic designer. Per cui, risulta cruciale operare per una sostenibilità culturale attivando modelli e pratiche fortemente umanizzanti in grado di connettere e educare al confronto e al dialogo attraverso tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. In questa prospettiva, i social, rappresentano un’opportunità senza eguali, una finestra da cui poter raccontare le storie che si celano dietro ai progetti e condividere step-by-step stati d’avanzamento anche non rifiniti. Così facendo ci si distingue rispetto ai modelli generativi di IA (che hanno oramai acquisito il meccanismo di concettualizzazione e visualizzazione) per promuovere strategie che mettano in evidenza storytelling, prospettive ed eredità culturale in una dinamica che mette in luce la verità e l’imperfezione dei processi creativi. Esattamente come l’arte povera, che faceva uso di materiali semplici, quotidiani e rifiutati dalla tradizione per valorizzare la bellezza intrinseca della materia, educare i designer ad acquisire una sensibilità culturale tramite l’impiego di materie riciclate derivanti dal patrimonio naturale, trova riscontro in una dimensione cruciale e spesso sottovalutata che ha la capacità di preservare e valorizzare le pratiche locali e tradizionali. Come suggerito dalla Kyoto Design Declaration del 2008,11 ciò non solo rafforza l’identità culturale di una comunità, ma costituisce anche una responsabilità etica nella costruzione di società sostenibili e creative. In questa logica, iniziative come “Turn Green” muovono i passi proprio in questa direzione. A partire da un’attività di incentivazione sul riciclo di materiali tessili e oggetti di varia natura, promuovono anche il riutilizzo di residui biologici, richiamando lo spirito dell’arte povera.12 Un esempio significativo è rappresentato dall’impiego della buccia d’arancia e dei gusci di noce per produrre utensili compostabili e biodegradabili mediante la stampa 3D.
Metodo e obiettivi: la manifattura additiva come pratica di “industrianato”
Designedbyedoardo è un brand impegnato nella produzione di borse in materiali sostenibili e riciclati mediante stampa 3D, che prova a ridefinire obiettivi e metodologia degli small business fronteggiando eventuali ricadute culturali. L’obiettivo primario del progetto è coniugare l’innovazione tecnologica della manifattura additiva con un approccio artigianale di valorizzazione culturale: da un lato sperimentare l’impiego di materiali naturali e organici (PLA derivato da mais non geneticamente modificato, filamenti a base di zucchero estratto da scarti agricoli, resine biodegradabili certificate), dall’altro reinterpretare forme e tecniche tradizionali dell’estetica mediterranea, raccogliendo e tributando saperi locali che rischiano l’oblio. Il progetto si pone tre obiettivi di sperimentazione:
dimostrare che l’additive manufacturing può inserire nel processo produttivo elementi di identità culturale senza rinunciare a performance tecniche elevate;
esplorare modelli di co-design partecipativo con comunità artigiane locali, coinvolgendole nella scelta dei pattern e delle texture;
progettare un workflow on-demand in microfactory, riducendo scarti e tempi di magazzino, per coniugare sostenibilità ambientale e resilienza economica.
La metodologia adottata si ispira alle microfactories di UNSW Sydney: impianti su scala ridotta, digitalizzati e interconnessi, che abilitano produzioni decentralizzate e modulabili in base alle richieste del mercato. Il processo di ricerca-sviluppo ha seguito un approccio iterativo che si configura come una pratica di “industrianato”,13 attraverso un ciclo costituito da fasi che ciclicamente sovrascrivono un livello di dettaglio crescente: dal file CAD al prototipo di stampa, fino alla finitura manuale e all’assemblaggio artigianale. Pur essendo realizzato attraverso macchine, ogni pezzo è sottoposto a un raffinamento manuale nella post-produzione (levigature, tinte naturali, lucidatura), che ne garantisce unicità e qualità estetica. Sulla base delle due traiettorie di innovazione individuate — la sperimentazione di materiali bio-compatibili e l’integrazione del design partecipativo —, designedbyedoardo ha selezionato una serie di prototipi di borse archiviate nella propria microfactory digitale. Tutti i prototipi sono nati da un processo di decostruzione delle forme tradizionali: a partire dalla scomposizione dell’oggetto campione in componenti geometriche e alla successiva attribuzione di simbolismi culturali sotto forma ornamentale e decorativa, si è ricostruito digitalmente il prodotto per elevarne il grado di astrazione e sperimentare nuove relazioni tra elementi strutturali e ornamentali. Questa fase, mutuata dall’industria e adattata al contesto moda, ha permesso di cogliere il valore simbolico e di trasferirlo in un linguaggio di produzione digitale. A questo step ha fatto seguito un metodo trial-and-error: ogni iterazione era seguita da test di durabilità, impatto visivo e comfort di utilizzo, fino al prototipo finale che meglio rispondeva agli obiettivi di qualità tecnica, sostenibilità e valore culturale. Questa metodologia non si pone in sovrapposizione alle linee di produzione tradizionali, bensì aspira a integrarsi in un ecosistema produttivo ibrido, in cui piccole microfactories possono affiancare le grandi strutture industriali apportando flessibilità, personalizzazione e rigenerazione del patrimonio culturale locale. In questo senso, la manifattura additiva non rappresenta solamente uno strumento d’innovazione, ma anche un mezzo per rafforzare la resilienza del settore della moda, contribuendo alla creazione di un sistema produttivo più flessibile e adattabile alle esigenze del mercato globale.14 Nell’ultimo decennio, infatti, nonostante il crescente interesse verso la stampa 3D nella moda, le applicazioni su vasta scala rimangono circoscritte a start-up e pratiche sperimentali dalle elevate barriere economiche. Progetti come designedbyedoardo dimostrano però che, attraverso un’accurata strategia di innovazione partecipativa e l’impiego di materiali naturali, è possibile superare i limiti concettuali degli accessori tradizionali, aprendo nuove strade per un design sostenibile che risponda alle esigenze di un mercato eco-consapevole con soluzioni “on demand”15 e contribuisca al recupero di competenze culturali fragili.
Designedbyedoardo: fasi preliminari e momenti di ricerca
Alla luce di queste riflessioni e consapevole del ruolo di conducenti che i designer hanno in questa transizione verde, designedbyedoardo nasce nel 2024. Il progetto è una sperimentazione di manifattura digitale su scala domestica, finalizzata alla creazione di un marchio indipendente di moda e design impegnato nella realizzazione di borse stampate in 3D con materiali biodegradabili ed eco-compatibili ispirati ai valori della cultura mediterranea. Nel panorama della moda sostenibile, il progetto si pone come esempio significativo di integrazione delle tecnologie digitali e delle pratiche ecocompatibili che, attraverso l’impiego della stampa 3D, hanno dato vita a una collezione di borse che unisce l’estetica mediterranea a un approccio innovativo alla produzione. L’articolazione del processo di progettazione è avvenuta mediante una fase preliminare di ricerca e osservazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) sanciti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Questi punti, che rappresentano una visione globale per la fine della povertà, la protezione del pianeta e la promozione della prosperità, abbracciano una gamma ampia di temi, che vanno dalla lotta alla fame e alla povertà, alla promozione della salute, dell’istruzione, della parità di genere, fino alla gestione sostenibile delle risorse naturali e alla lotta contro il cambiamento climatico. Nel contesto delle Fashion Industries, alcuni di questi obiettivi assumono un’importanza particolarmente rilevante. L’SDG 12, che promuove il consumo e la produzione responsabili, invita le aziende a ripensare l’intero ciclo di vita dei prodotti — dalla scelta dei materiali, alla produzione, distribuzione, fino allo smaltimento — con l’obiettivo di ridurre l’impronta ecologica e minimizzare gli sprechi. Allo stesso modo, l’SDG 13, dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico, stimola il settore a intraprendere azioni concrete per ridurre le emissioni di gas serra e adottare pratiche che favoriscano un utilizzo più efficiente dell’energia. Infine, l’SDG 8, che promuove il lavoro dignitoso e la crescita economica, sottolinea l’importanza di garantire condizioni di lavoro eque e sicure lungo tutta la filiera produttiva. I designer e le aziende del settore giocano un ruolo cruciale in questo processo di transizione. Essi sono chiamati a innovare non solo in termini estetici, ma soprattutto a ripensare la scelta di materiali eco-compatibili, nell’adozione di tecnologie di produzione avanzate — come la stampa 3D e altre tecniche di manifattura additiva — e nella promozione di modelli di business circolari che allungano il ciclo di vita dei prodotti e riducono l’impatto ambientale. La diffusione generalizzata di macchinari specializzati a basso costo e la continua espansione di materiali idonei alla stampa hanno infatti reso possibile la sperimentazione di nuovi modelli di business e di produzione anche a piccole imprese e a designer indipendenti, in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti del mercato e alle richieste di customizzazione dei consumatori.16 In questo modo, la moda diventa un veicolo per la diffusione di pratiche sostenibili, capace di educare i consumatori e influenzare positivamente l’intera catena del valore. In questo contesto, in cui il design fa da ponte tra le varie discipline coinvolte, la ricerca si è articolata in tre momenti distinti:
Ideazione e concept: L’ispirazione, scaturita da elementi iconici del paesaggio mediterraneo, è stata alimentata da una volontà non ferma alla mera estetica quanto più ad una massiccia narrazione visiva per sensibilizzare su tematiche relative alla fragilità dei paesaggi costieri mediterranei (e tutta l’eredità patrimoniale che questi portano con sé). Per cui, gli elementi naturalistici della fauna e della flora presi in esame, come chele di granchio, ricci di mare, conchiglie o, più semplicemente il moto ondoso del mare, diventano, in questa logica, promotori iconografici di una presa di posizione. Vestirsi, arredare, sono sinonimi di comunicare. In qualche modo, compiendo queste azioni, esprimiamo noi stessi. Il concetto di sensibilizzazione, quindi, si fa spazio in questa radicata convinzione per operare a difesa del nostro pianeta attraverso l’impiego di tecniche di produzione e materiali ecocompatibili. Sviluppati i concept di accessori, borse e vasi che esplicitamente riprendono le sembianze di ogni elemento che viene minacciato in questi ecosistemi fragili, l’idea è di avvicinare i consumatori in una vicenda in cui tutti, direttamente o indirettamente, siamo coinvolti. Secondo un report di Plan Bleu, 17 l’area mediterranea è stata identificata come una delle più sensibili al mondo per il degrado ambientale.18 In un contesto caratterizzato dalla scarsità di risorse fondamentali per lo sviluppo umano, come acqua e terra coltivabile, e da una forte pressione antropica sulle risorse, il cambiamento climatico assume sempre più il ruolo di variabile determinante nell’amplificare i fattori di crisi dell’area come crisi idrica, insicurezza alimentare e flussi migratori, tutti elementi che contribuiscono a incrementare l’instabilità interna che rischia di ripercuotersi su tutti i paesi della regione mediterranea.19 A partire da pratiche bottom-up è possibile fornire un importante contributo per la co-creazione di soluzioni personalizzate e contestualmente rilevanti.20 L’innovazione, in questo contesto, non risulta imposta da un vertice aziendale, ma si sviluppa attraverso il contributo di tutti i livelli operativi, generando una maggiore aderenza alle necessità specifiche del mercato e una migliore capacità di adattamento ai mutamenti ambientali e sociali. In pratica, il modello bottom-up consente di sfruttare il potenziale creativo dei prosumer, trasformando consumatori in co-creatori attivi che contribuiscono direttamente a soluzioni sostenibili.
Progettazione e fabbricazione digitale: La progettazione rappresenta la cifra progettuale più importante del progetto. Adottando un processo iterativo, che vede ripetersi un ciclo di pianificazione, analisi, implementazione e testing per tutte le volte che sia necessario (Fig. 4), i prototipi sono stati realizzati attraverso software specializzati per l’elaborazione grafica, la modellazione tridimensionale digitale e la conversione da modelli CAD (Computer-Aided Drafting) a CAM (Computer-Aided Manufacturing). In primo luogo, una ricerca iconografica è stata cruciale per condurre l’estrapolazione di segni e trame ripetute significative. A questa fase, hanno fatto seguito l’effettiva modellazione geometrica delle mesh e la conversione da disegno tecnico 3D a modello idoneo per la stampa.
Produzione e divulgazione: Integrati in una filiera produttiva domestica, i modelli tridimensionali, sono stati stampati con l’ausilio di materiali atossici e biodegradabili consentendo sia di ridurre sensibilmente l’impatto ambientale sia di operare in totale sicurezza in ambienti non specializzati. Questa opportunità offre di raggiungere una nuova frontiera in cui la produzione si piega a modelli di diffusione partecipati e orizzontali consentendo, grazie all’estrema flessibilità di queste macchine, di operare dovunque e di aprirsi anche al fare dei meno esperti. Un vero e proprio laboratorio di sperimentazione itinerante che si apre verso pratiche di co-design e workshop non solo fisiche, ma anche digitali. La narrazione e la divulgazione di designedbyedoardo (Fig. 5 e 6) hanno mosso i primi passi proprio sui social media, in cui il dibattito sulle nuove tecnologie a supporto della moda sostenibile ha trovato un forte riscontro tra neofiti ed esperti. Un’occasione unica per radicare nuove prospettive in nuove generazioni di makers e designer che si formano e apprendono anche attraverso le piattaforme digitali. Creare consapevolezza attraverso la diffusione è l’unico mezzo che si ha a disposizione per contrastare fenomeni di greenwashing. La promozione di pratiche molto più coscienziose spinge i consumatori a cambiare le loro percezioni e comportamenti verso prodotti e servizi circolari.21 L’applicazione trasparente di nuove tecnologie a supporto della moda sostenibile riveste un’importanza cruciale in un panorama in cui il fenomeno del greenwashing rischia di offuscare il reale impegno delle aziende verso una produzione più responsabile. In questo contesto, i social media si configurano come strumenti potenti e imprescindibili per diffondere informazioni verificate e aggiornate, contribuendo a educare il pubblico e a orientare il comportamento dei consumatori verso scelte autenticamente sostenibili. La rinuncia a pratiche non autentiche di sostenibilità e l’uso di una strategia focalizzata sulla riconquista della fiducia dei consumatori incrementa un sentimento positivo verso i brand, dimostrando come e in che misura il greenwashing può mettere a repentaglio l’industria della moda nell’affrontare le sfide legate all’implementazione di un’economia circolare più sostenibile orientata al riciclo, alla riduzione di sottoprodotti, all’abbassamento del consumo di energia e a favorire abitudini di acquisto sagge.22 In quest’ottica, il ritorno a modelli di design che privilegiano l’organicità e la sostenibilità si pone come una risposta alle esigenze contemporanee di un mercato che richiede trasparenza, responsabilità e un maggior coinvolgimento dei consumatori nel processo creativo. La sinergia tra l’innovazione tecnologica offerta dalla stampa 3D e il recupero di concetti estetici e metodologici dell’arte povera rappresenta, quindi, un ponte tra tradizione e modernità: si realizza una forma di design partecipativo che, pur abbracciando le tecnologie del futuro, si radica nella valorizzazione delle materie prime, della manualità e della bellezza delle imperfezioni. In sostanza, questo legame evidenzia come il ritorno a pratiche artistiche e artigianali “povere” non significhi rinunciare all’innovazione, bensì reinterpretarla alla luce di valori quali la sostenibilità, la responsabilità sociale e la partecipazione attiva. È una visione che promuove una moda e un design in cui l’innovazione tecnologica non si frappone all’arte e alla tradizione, ma le potenzia, integrandole in un modello che guarda al futuro senza omettere pratiche rilevanti dal passato.
Il ruolo e l’importanza dello storytelling nelle pratiche “green” di transizione
Un aspetto cruciale nell’integrazione delle pratiche sostenibili riguarda la capacità di raccontare le storie che si celano dietro ogni prodotto attraverso lo storytelling. In un’epoca in cui la tecnologia ha acquisito un ruolo dominante non solo come strumento d’innovazione, ma anche come elemento di resilienza, lo storytelling diventa un mezzo potentemente umanizzante.23 Attraverso il racconto delle origini, dei materiali e delle tecniche utilizzate, si creano connessioni emotive che favoriscono la maturazione di scenari condivisi. Tale approccio non solo aiuta a sensibilizzare i consumatori sulla necessità di adottare pratiche sostenibili, ma consente anche di distinguere i prodotti da quelli generati da sistemi di intelligenza artificiale generativa che, pur essendo capaci di concettualizzare e visualizzare idee, mancano della componente narrativa che caratterizza le storie di artigianalità e tradizione. La capacità di narrare il percorso evolutivo di un prodotto diventa pertanto un elemento di difesa contro il rischio di omogeneizzazione culturale, contribuendo al rafforzamento della sostenibilità culturale, una dimensione essenziale nel contesto della trasformazione dell’industria della moda. Alla luce di queste considerazioni, lo storytelling emerge come un elemento imprescindibile non solo nella trasmissione di conoscenze, ma nella definizione stessa del valore di un prodotto o di un’esperienza. Se da un lato la tecnologia ha rivoluzionato i processi creativi e produttivi, consentendo un’efficienza senza precedenti, dall’altro ha generato il rischio di un’omologazione dei contenuti e di una perdita progressiva di quelle narrazioni che conferiscono unicità agli oggetti, ai servizi e alle esperienze. La capacità di raccontare il percorso evolutivo di un prodotto, di un’idea o di un sapere diventa, in questo senso, una strategia per preservarne l’identità e rafforzarne il valore simbolico. Nel contesto della sostenibilità, questa dinamica assume un’importanza ancora maggiore. La crescente attenzione verso pratiche responsabili e rispettose dell’ambiente ha reso necessario un cambiamento non solo nei processi produttivi, ma anche nella percezione collettiva del consumo.24 Qui lo storytelling si configura come uno strumento di sensibilizzazione capace di colmare il divario tra la materialità di un prodotto e il suo significato culturale, tra la sua esistenza fisica e il valore immateriale che porta con sé. Il concetto di learner empathy, che emerge dagli studi di Parrish, si lega profondamente alla necessità di preservare una dimensione autentica e personale nel processo di apprendimento, analogamente a quanto avviene nella narrazione del valore culturale e sostenibile di un prodotto. Raccontare la storia dietro un capo d’abbigliamento, un oggetto di design o una tecnica artigianale significa ancorare quell’elemento a una tradizione, a un territorio e a un sistema di valori che altrimenti rischierebbero di dissolversi nella logica della produzione di massa. In un’epoca segnata dall’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa, in grado di simulare processi creativi e di produrre contenuti esteticamente coerenti, la componente narrativa diventa un fattore di distinzione ancora più marcato. Gli algoritmi possono generare immagini, concetti e persino testi con estrema rapidità, ma ciò che manca loro è la capacità di attingere all’esperienza vissuta, di intrecciare elementi di memoria, emozione e intenzionalità in una narrazione dotata di profondità. Il valore di un prodotto non si esaurisce nella sua estetica o nella sua funzionalità, ma si estende al racconto che porta con sé: una storia fatta di mani che lo hanno plasmato, di scelte etiche che ne hanno guidato la realizzazione, di saperi che si sono tramandati per generazioni. Se lo storytelling si rivela quindi essenziale nel preservare l’identità culturale e la sostenibilità di un prodotto, il suo impatto si estende anche alla costruzione di scenari condivisi, capaci di generare una maggiore consapevolezza nei consumatori. In un mercato sempre più globalizzato e standardizzato, dove l’abbondanza di offerta rischia di rendere i prodotti indistinguibili tra loro, la narrazione diventa il mezzo attraverso cui un oggetto può emergere non solo per le sue caratteristiche intrinseche, ma per il senso che trasmette. Questa dimensione narrativa favorisce un rapporto più profondo tra il consumatore e il prodotto, trasformando l’atto dell’acquisto in una scelta consapevole e culturalmente informata.25 In questo scenario, la sostenibilità culturale diventa un elemento centrale della discussione, poiché il rischio maggiore non è solo l’impatto ambientale delle produzioni industriali, ma anche la perdita progressiva di diversità nei modelli di consumo e nei riferimenti simbolici che caratterizzano le diverse società. Preservare la memoria storica di una tecnica, di un materiale o di un metodo produttivo significa resistere all’omogeneizzazione imposta dalle logiche di mercato e riaffermare il valore dell’unicità. In questo senso, il design narrativo assume una funzione quasi politica, poiché non si limita a descrivere un prodotto, ma lo colloca all’interno di un sistema di relazioni sociali, economiche e culturali che ne definiscono la rilevanza. Investire nella narrazione non significa dunque solo comunicare un prodotto in modo efficace, ma contribuire attivamente a costruire un futuro in cui il valore della sostenibilità non sia un semplice requisito tecnico, ma un principio vissuto e condiviso.26 Raccontare le storie che si celano dietro ogni creazione rappresenta un atto di resistenza contro la serialità impersonale della produzione di massa, un modo per restituire autenticità e profondità al nostro rapporto con gli oggetti e con il mondo che ci circonda.
Riflessioni e sfide future
Nelle dinamiche evolutive dell’industria della moda, l’integrazione di tecnologie innovative come la stampa 3D nelle microfabbriche rappresenta una frontiera dalle potenzialità ancora inespresse, sebbene oggetto di crescente attenzione. L’analisi si concentra sulle sfide attuali e future che ostacolano una più ampia diffusione di tali modelli produttivi, riflettendo sulle criticità connesse al greenwashing e sulla persistente natura elitaria e di nicchia di queste applicazioni, nonostante una presenza decennale nello scenario tecnologico.27 Inizialmente concepita come mero strumento di innovazione, la tecnologia, si configura oggi come un elemento cruciale per la resilienza del settore moda, abilitando una risposta agile alle fluttuazioni del mercato e alle impellenti esigenze di sostenibilità. Tuttavia, l’operare in un’ottica sostenibile trascende la semplice adozione di pratiche isolate, configurandosi come un concetto olistico dove le dimensioni ambientale, sociale, economica e culturale interagiscono sinergicamente. In questo contesto, la narrazione che accompagna i prodotti realizzati mediante tecnologie avanzate come la stampa 3D assume un ruolo fondamentale nel conferire autenticità e profondità al valore sostenibile intrinseco. Nonostante le promettenti premesse, la diffusione capillare della manifattura digitale nell’industria della moda stenta a concretizzarsi.28 Sebbene la tecnologia sia disponibile da almeno un decennio, la sua integrazione rimane prevalentemente confinata a esperienze puntuali ed elitarie, lontane da una pratica industriale consolidata. Questo scenario solleva interrogativi sulle barriere che ne limitano la scalabilità e l’adozione su vasta scala. Una delle principali criticità risiede nel rischio di omogeneizzazione culturale indotto dall’adozione massiva di tecnologie digitali e dall’impiego di sistemi di intelligenza artificiale generativa. Se da un lato l’innovazione facilita la concettualizzazione e la visualizzazione rapida di nuove idee, dall’altro sussiste il pericolo di una standardizzazione dei contenuti, dove la ricchezza narrativa — l’intreccio di storia, tradizione e unicità — rischia di essere relegata a un mero espediente di marketing.29 In questo scenario, il valore distintivo di un prodotto sostenibile, radicato nella sua storia e nelle pratiche artigianali locali, potrebbe essere diluito, perdendo la specificità che lo differenzia in un mercato globalizzato e competitivo.30 Parallelamente, la scalabilità delle pratiche sostenibili rappresenta un’ulteriore sfida significativa. Pur riconoscendo le notevoli potenzialità della manifattura additiva per la produzione on demand e la minimizzazione degli sprechi, il passaggio da sperimentazioni su piccola scala a modelli produttivi industriali implica la necessità di assicurare la continuità nella qualità dei materiali eco-compatibili e la trasparenza dei processi produttivi. La produzione di bioplastiche, l’impiego di materiali riciclati e la personalizzazione dei prodotti richiedono investimenti sostanziali in ricerca e sviluppo, unitamente a una coordinazione efficace tra designer, artigiani e prosumer. In assenza di un approccio sinergico, si paventa il rischio che le soluzioni innovative rimangano confinate a nicchie di mercato, senza esercitare un impatto significativo sulla struttura complessiva dell’industria. L’adozione di tecnologie come la stampa 3D non è immune dal rischio di greenwashing.31 L’ostentazione di processi produttivi tecnologicamente avanzati come simbolo di sostenibilità può celare una mancanza di reale impegno verso pratiche ambientali e sociali responsabili.32 È fondamentale che la narrazione sulla sostenibilità non si limiti all’esaltazione dell’innovazione tecnologica, ma sia corroborata da dati trasparenti e verificabili sull’intero ciclo di vita del prodotto. Nonostante queste sfide, esempi come la fashion designer Iris Van Herpen dimostrano il potenziale creativo e innovativo della stampa 3D nell’alta moda. Le sue creazioni, spesso caratterizzate da geometrie complesse e materiali sperimentali, rappresentano un’applicazione elitaria ma significativa della tecnologia. Allo stesso modo, la collaborazione tra l’azienda Rapid Liquid Print e il brand Coperni per la realizzazione di una borsa stampata in un acquario di gel a base d’acqua evidenzia come la stampa 3D possa dare vita a prodotti unici e concettualmente innovativi, sebbene ancora distanti da una produzione di massa (Fig. 7). Tuttavia, superare il rischio di greenwashing, garantire la scalabilità delle produzioni, preservare la ricchezza culturale e rendere economicamente accessibili queste tecnologie rappresentano passaggi cruciali per una reale integrazione della stampa 3D nel tessuto produttivo della moda, trasformando le attuali esperienze elitarie in una pratica diffusa e significativa.
Conclusioni
Nel ripensare il ruolo della manifattura additiva nella moda sostenibile emerge con chiarezza che ciò che da un lato appare come tecnologia rivoluzionaria, capace di trasformare gli scarti plastici e i residui biologici in nuovi manufatti, dall’altro rivela limiti strutturali e concettuali spesso trascurati. Se è vero che la stampa 3D consente di impiegare materiali di origine biomassa o filamenti ricavati da scarti industriali, dando nuova vita a frammenti altrimenti destinati alla discarica e richiamando l’estetica e la filosofia dell’arte povera, che fin dagli anni Sessanta valorizzava il rifiuto come materia prima,33 è altrettanto innegabile che l’adozione di questa tecnologia su scala commerciale si scontri con ostacoli di natura operativa. I tempi di stampa, spesso prolungati per garantire un’adeguata qualità superficiale e strutturale dei componenti, insieme alle variazioni intrinseche di resistenza meccanica dei materiali bio-compatibili, richiedono processi di post-produzione manuale che ne dilatano costi e tempistiche, rendendo difficilmente sostenibile un confronto con le filiere tradizionali ad alto volume. Parallelamente, l’entusiasmo per l’innovazione digitale rischia di sovrapporre la concretezza del gesto artigianale a un’estetica parametrica e standardizzata. In un mercato dove la personalizzazione su piccola scala rappresenta un vantaggio competitivo, l’utilizzo di pattern generati da algoritmi e la dipendenza da modelli CAD parametrizzati possono, paradossalmente, diventare strumenti di omologazione culturale, privando ogni oggetto della ricchezza narrativa che caratterizza il design partecipativo autentico. L’adesione superficiale ai principi dell’economia circolare diventa così oggetto di greenwashing34 quando l’enfasi sul nuovo materiale “eco-friendly” non è accompagnata da una reale integrazione con le comunità locali né da un rigore metodologico che garantisca trasparenza lungo tutta la filiera produttiva. In questo contesto critico, la prospettiva delle microfactories assume un ruolo centrale: non più come semplice estensione della produzione industriale, bensì come dispositivi di innovazione di nicchia in grado di coesistere con le grandi catene di montaggio. È in queste piccole realtà, distribuite sul territorio e accomunate da una forte vocazione alla sperimentazione, che la stampa 3D può esprimere al meglio la sua capacità di coniugare materialità povera e fortemente identitaria con processi digitali su misura. La fabbrica alla piccola scala (o domestica) non mira a scalare i volumi, bensì a presidiare segmenti di mercato in cui la personalizzazione, la rapidità di prototipazione e la valorizzazione del patrimonio culturale si trasformano in leve strategiche. Laddove le grandi case di moda continuano a fare affidamento su produzioni centralizzate e omogenee, le microfactories possono offrire un’alternativa mirata: generare collezioni in edizione limitata, co-progettate con comunità artigiane locali, capaci di recuperare tecniche tradizionali e reinterpretarle in chiave contemporanea.35 Un simile approccio consente al design di riappropriarsi della sua dimensione etica e culturale, evitando che l’innovazione tecnologica si configuri come fine a sé stessa. Il valore della narrazione, elemento cardine dell’arte povera e della pratica partecipativa, trova qui nuova linfa, perché ogni oggetto prodotto diventa testimonianza di un dialogo tra sapere digitale e memoria locale. In tal senso, la stampa 3D non si pone come sostituto delle grandi produzioni, bensì come complemento prezioso: un laboratorio diffuso capace di fornire prototipi, campionature e pezzi speciali che, pur mantenendo intatti i criteri di sostenibilità ambientale — dallo scarto come risorsa alla riduzione degli sprechi — sfuggono alla minaccia di omologazione grazie alla capacità di reinterpretare le imperfezioni e le specificità culturali. Se guardiamo al futuro dell’innovazione nella fashion industry, dobbiamo riconoscere che un’autentica integrazione della manifattura additiva richiede investimenti mirati in ricerca sui materiali, divulgazione delle buone pratiche e formazione multidisciplinare. Solo così sarà possibile superare la dicotomia tra digitale e artigianale, tra efficienza produttiva e profondità culturale, e costruire un sistema in cui queste pratiche puntuali diventino l’avamposto di una moda realmente sostenibile: non un’alternativa asettica alle grandi industrie, ma un complemento capace di stimolare la creatività, tutelare le tradizioni e diffondere un’estetica che riconosce nello scarto non un limite, ma l’occasione per ridefinire i confini stessi del bello.
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