Premessa
Il 21 novembre del 2024, presso la Graduate School di Design dell’Università di Harvard, si è tenuto un simposio dedicato a Giuliana Bruno,1 professoressa di Studi Visuali presso il Dipartimento di Arte, Film e Studi Visuali dell’Università di Harvard. Invitatɜ2 a parlare, accademichɜ aprivano la loro relazione ricordando come avessero incontrato per la prima volta il lavoro della scholar celebrata. Moltɜ dellɜ presentɜ — che sono statɜ anche suɜ alunnɜ e dottorandɜ — hanno raccontato di essersi avvicinatɜ al lavoro della Prof.ssa Bruno con l’incontro fortuito e la lettura del testo Atlas of Emotions (trad. italiano in Atlante delle Emozioni, Bruno Mondadori, 2006). Condivido questo aneddoto perché anche io — sedutə fra il pubblico — sono entrata in contatto con Bruno per un fortuito e fortunoso caso, avendo casualmente notato l’Atlante riposto su una mensola della biblioteca del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. In una delle numerose conversazioni con Benedetta, coautrice del contributo, le ho consigliato la lettura del volume, aprendo così un ampio spazio di confronto tra noi che tiene dentro moltissimi dei temi che si intrecciano nell’Atlante, dando così lo spunto di farli dialogare con le nostre ricerche. Ci piacerebbe che la scrittura di questo articolo venisse intesa come una reiterazione delle pratiche di trasmissione — creative e teoriche — di questo libro, che è stato ed è ancora di grande ispirazione per moltɜ.
La Carte de Tendre
Sin dal primo impatto visivo, il volume di Bruno cattura l’attenzione per la scelta della copertina: un’immagine che evoca il concetto di viaggio, richiamato anche nel sottotitolo (“in viaggio tra arte, architettura e cinema”), ma che a prima vista sembra avere scarsa attinenza con le discipline nominate. Si tratta di una mappa: la Carte du Pays de Tendre (tradotto in italiano “Carta del Paese della Tenerezza”), un’incisione realizzata da François Chauveau nel 1654 e ora conservata presso la Bibliothèque Nationale de France.
In una Parigi della seconda metà del 1600, la scrittrice Madeleine de Scudéry — nota anche come Madame de Scudéry — apre il suo salotto, in Rue de la Beauce, all’interno del quale organizza una serie di incontri e scambi intellettuali tra donne colte e borghesi.3 In questo salotto culturale, luogo di dibattito e affermazione femminile, prende vita la Carte de Tendre,4 una mappa immaginaria, disegnata appositamente per il romanzo Clélie, historia romaine5 di Scudéry, che, rappresentando un paesaggio multiforme composto dai classici elementi geografici quali terra, mare, fiumi, alberi e città, metaforicamente intende restituire la complessità delle relazioni umane. Troviamo come esempi di questa trasposizione città nominate con sostantivi astratti quali “Nuova amicizia”, “Indiscrezione”, “Pettegolezzo”, “Malvagità”, “Orgoglio”, ma anche “Coccole”, “Sensibilità” e la centrale “Tenerezza”; oltre che il “Fiume Riconoscenza”, il “Mare dell’Inamicizia” o il “Lago dell’Indifferenza”.
Inoltre, all’interno del romanzo si racconta come sia proprio un
personaggio femminile a tracciare tale mappa con l’intento di indicare
la via che conduce alla terra della tenerezza, metafora di quello che
sarà un viaggio interiore, un itinerario emotivo che ci viene raccontato
nelle pagine dell’opera. Questa descrizione cartografica del paesaggio,
tradizionalmente concettualizzato come qualcosa di inerente allo spazio
fisico e naturale — dunque esterno e diverso dall’interiorità del
soggetto umano — non è altro che un’allegoria grafica di ciò che avviene
all’interno quando si viene attraversati da sentimenti e emozioni
diverse, in ciò che potrebbe essere definita una cartografia emotiva.
Questo ci riporta a Giuliana Bruno che, delineando la genesi del suo
Atlante delle Emozioni, racconta come il percorso di creazione
della mappa che coinvolge anche le geografie dell’intimo, si sia
generato dall’esigenza di disegnare una nuova mappa a partire da quella
di Scudéry e dalla sua geografia tenera.6 Un
altro significativo aneddoto legato all’Atlante, presente
nell’introduzione al libro, è rappresentato dal racconto di una
esperienza che ha segnato la salute di Bruno, grazie alla quale la
stesura del libro è avvenuta “addirittura attraverso il tessuto del mio
corpo”, della sua interiorità, come se si trattasse appunto di una forma
geografica di pensiero.7 Da qui si ri-innesca la relazione
tra corpo e geografia, già presente e inclusa nel design della copertina
tratta dalla Carte de Tendre. Infatti, la mappa delinea un
paesaggio in cui le ramificazioni fluviali richiamano una figura che
evoca la struttura del sistema ovarico, giocando sui ribaltamenti fra i
termini dello spazio corporeo: se il paesaggio diventa un corpo, il
corpo a sua volta può diventare un luogo di cui disegnare una mappa.8
Facendo un passo indietro, è opportuno interrogarsi sulle modalità di
ideazione e creazione della mappa di Scudéry. In genere, le mappe sono
testimonianze di un apprendimento basato sull’esperienza, una
rappresentazione che segue un viaggio concluso, un percorso portato a
termine. Ci si potrebbe dunque chiedere: quale fu l’esperienza personale
e intellettuale che alimentò l’immaginazione della scrittrice francese?
Le donne francesi del XVII secolo rifiutarono spesso i ruoli
tradizionalmente assegnati loro dalla società. Attraverso l’occupazione
di nuovi spazi di espressione, esse riuscirono a riconfigurare le forme
della produzione culturale.9 Nello stesso periodo, si
osservò un’intensificazione dell’influenza della presa di parola
collettiva sulla produzione letteraria, in particolare all’interno dei
salotti letterari femminili. Questi incontri, spesso denominati con il
giorno in cui si svolgevano — come i samedis nel caso di
Madeleine de Scudéry — divennero laboratori cruciali per l’elaborazione
di nuove forme di narrazione.10 A differenza delle
precedenti collaborazioni poetiche, i salotti del XVII secolo si
concentrarono principalmente sulla narrativa in prosa, un genere che
richiedeva un livello di collaborazione più complesso. I monumentali
romanzi di Madeleine de Scudéry ne sono l’esempio più emblematico,
rappresentando il culmine della cosiddetta “scrittura da salotto”.11 L’ampia produzione editoriale delle
sue opere, come Artamène ou le Grand Cyrus — pubblicato in
volumi di 1200-1500 pagine ogni sei mesi — rende infatti improbabile che
simili imprese letterarie siano state realizzate da una sola persona.
Considerando la vastità tematica e geografica delle ambientazioni dei
romanzi, appare inevitabile che tali opere siano il frutto di un’estesa
collaborazione intellettuale collettiva.
In questo contesto, il soggetto femminile trova un nuovo spazio di espressione: il salotto come forma collettiva di produzione letteraria favorì l’emergere di un discorso intersoggettivo. Anche la Carte de Tendre fu concepita all’interno di questa modalità collaborativa. I salotti, tipicamente dominati da una presenza femminile, costituirono un luogo dove le relazioni interpersonali e le idee delle frequentatrici furono elevate a forme di autorialità pubblica. Le donne che animavano questi salotti possono essere considerate per alcuni aspetti quasi le progenitrici delle moderne femministe, poiché rivendicavano — seppur in forme diverse — il controllo sul proprio corpo e sulla propria voce culturale.
La cultura del salotto attribuiva valore alle relazioni interpersonali, portando le conversazioni private su un piano pubblico, tradotte poi in produzione letteraria intellettuale femminile. Non solo si osservava, ma si sapeva anche “organizzare” e strutturare un discorso, traducendolo in un paesaggio e disponendolo topograficamente. Questo tipo di sapere collettivo fu reso possibile grazie all’eredità dell’arte della memoria, che consentiva di trasformare il savoir topographique in una vera e propria arte della mappatura.12
La Carte de Tendre quindi rappresenta la documentazione geografica dello spazio relazionale, tradotto in forma di mappa. Frutto di un lavoro collettivo, questa rifletteva a più livelli, nella propria struttura, i legami interpersonali da cui aveva preso forma.13 La mappa non era solo una rappresentazione statica, ma un atto creativo che inscriveva le relazioni affettive all’interno di un orizzonte culturale e politico. In tal senso, la Carte de Tendre incarna sia la capacità del salotto di trasformare l’intimità in narrazione collettiva, sia il ruolo delle donne come artefici di una nuova geografia simbolica, emotiva e reticolare.
Giuliana Bruno e l’Atlante delle Emozioni
Nel 2002, Giuliana Bruno si trovava a metà della sua carriera come docente presso il Dipartimento di Arte, Film e Studi Visuali dell’Università di Harvard, un ateneo nel quale era approdata circa vent’anni prima. Con la sua opera e la sua figura intellettuale, Bruno ha contribuito a trasformare radicalmente il dipartimento: se al suo arrivo esso era focalizzato principalmente sullo studio dell’arte e degli “Environmental Studies”, grazie al suo lavoro la teoria critica è emersa come strumento indispensabile, radicandosi nelle pratiche artistiche dellɜ artistɜ che avevano i propri studi presso il Carpenter Center for the Visual Arts — l’unico edificio progettato da Le Corbusier sul suolo americano.14 Atlas of Emotions, che nasce quasi accidentalmente – come una “nota a piè di pagina che si era dilungata un po’ troppo”15 del suo precedente volume Rovine con vista. Napoli e il cinema di Elvira Notari — è stato pubblicato per la prima volta da Verso Books e successivamente tradotto in italiano nel 2006 da Bruno Mondadori. Acclamato come “Il miglior libro sull’immagine in movimento”,16 nominato Outstanding Academic Title dall’American Library Association17 e insignito del titolo di Libro dell’Anno da The Guardian,18 il volume si è imposto come un contributo pionieristico, anticipando “infrastrutture teoriche e metodologiche contemporanee”, incluse quelle della cosiddetta “archeologia dei media”. 19 La sua forza risiede nella capacità di combinare con rigore e creatività elementi disparati, uniti attraverso un approccio interdisciplinare media-genealogico. Presentato formalmente come un travelogue accademico, Atlas of Emotions intreccia l’analisi teorica dell’arte, dell’architettura e del cinema con una narrazione intima e personale del viaggio fisico e intellettuale dell’autrice. Bruno ci guida attraverso un itinerario che si snoda tra ambiti culturali eterogenei, configurando il libro come un percorso fluido e stratificato in cui teoria e pratica, oggettività e soggettività si incontrano e si compenetrano. A livello retorico e linguistico, il volume si muove sapientemente tra confini sfumati e poetici, giocando con termini come “optic” e “haptic”, “emotion” e “motion”, “sight” e “site”. Questi lemmi, in apparenza antitetici, complicano e destabilizzano le divisioni naturalizzate tra visione e corporeità, tra emozione interna e movimento nel mondo, tra la vista come percezione fissa e lo spazio come esperienza sensoriale accessibile attraverso il corpo. L’approccio interdisciplinare adottato da Bruno è ispirato da una molteplicità di metodologie e tradizioni filosofiche, ma al contempo genera un metodo originale, capace di connettere concetti e pratiche provenienti dalla teoria classica del cinema, dalla storia dell’arte, dall’architettura modernista, dalla geografia culturale e dal pensiero cartografico, dalle fenomenologie dell’incorporamento e delle esperienze aptiche, fino alle teorie dell’affetto (affective theory) e al pensiero femminista. La struttura non lineare del testo rispecchia questa ricchezza di riferimenti e il dinamismo del percorso intellettuale che propone. Le analisi dettagliate degli spazi sono esemplari di questa metodologia: Bruno esplora luoghi fisici e mediali, dalle città ai dispositivi pre-cinematici, dalle Camere delle Meraviglie ai teatri immersivi, dai panorami urbani alle carte da parati, fino al viaggio spettacolare attraverso visioni mozzafiato. Ogni capitolo, ogni sezione diventa una tappa di un viaggio in cui l’autrice intreccia sguardi, sensi ed emozioni, offrendo allɜ lettorɜ una mappa complessa e in continua evoluzione.
L’atlante che attraversiamo con Bruno non è solo un dispositivo concettuale, ma una rappresentazione personale e incarnata. La mappa che lei stessa disegna è al tempo stesso una traccia e una creazione: essa illustra non solo i territori della ricerca accademica, ma anche le connessioni profonde che emergono tra teoria, esperienza e affettività. Gli occhi dell’autrice si posano su oggetti tridimensionali, luoghi e immagini per poi tradurli attraverso il filtro delle sue emozioni corporee, dimostrando come la realtà sia, in ultima analisi, un campo relazionale. Come se Bruno stesse sedendo nei salotti proto-femministi parigini del 1600, ciò che si offre alla nostra lettura è uno spazio bidimensionale e letterario in cui legami possibili e accidentali emergono, prendono forma attraverso rappresentazioni verbali e visive che, come l’atlante stesso, sono al contempo materiali e immaginative, soggettive e condivisibili.
Alessandro Michele e La Carte De Tendre per Gucci
La mappa di De Scudéry costituisce un elemento che, sin dalla sua
creazione, è stato oggetto di riproduzioni e rielaborazioni, assumendo
lo status di un topos ricorrente nella produzione culturale
occidentale in molteplici ambiti. Riproposta all’attenzione
contemporanea attraverso l’Atlante di Giuliana Bruno, sia sul
piano metodologico che estetico, tra la fine del 20° e l’inizio del 21°
secolo, questa mappa si è rivelata pionieristica nel contesto delle
sperimentazioni volte a ripensare il segno della rappresentazione
geografica dello spazio, con particolare rilevanza nel campo artistico.
Numerose opere contemporanee hanno adottato e rielaborato i principi
dell’arte della mappatura, reinterpretandoli e trasformandoli. Tra le
pratiche di arte cartografica contemporanea, spicca il lavoro di Annette
Messager, artista francese nota per le sue installazioni spaziali
concepite come pratiche femministe di riappropriazione di oggetti
domestici associati al lavoro di cura della casa o del corpo femminile.
Messager utilizza la topografia per riflettere sul corpo umano,
rappresentandolo come un libro aperto, dove i confini tra interno ed
esterno si dissolvono.20 Un’altra figura di rilievo è
Rebecca Horn, artista tedesca, che nell’opera Journey within the
Body (1992) trasforma il viaggio in una performance filmata,
esplorando il proprio corpo anche attraverso una lente erotica. Di
particolare interesse è inoltre il lavoro di Guillermo Kuitca, che nella
sua opera Untitled (1989) condivide la sua esperienza di
migrante, scrivendola su una mappa-materasso punteggiata di ombelichi,
offrendo così una riflessione intima e universale sulla mobilità e
l’appartenenza.
Fra i casi più recenti di re-impiego e rimediazione della mappa della tenerezza è possibile individuare la stagione Primavera/Estate 2016 del brand Gucci, la seconda collezione progettata e curata da Alessandro Michele, direttore creativo approdato presso le stanze della nota casa di moda fiorentina a Gennaio 2015. Tale collezione, presentata presso l’ex-scalo Farini di Milano il 23 settembre 2015, si ispira e prende il nome di Carte De Tendre, un omaggio alla celebre mappa riprodotta fedelmente sia su un abito sia su una gonna, oltre che agli altri look che hanno attraversato la passerella. La collezione infatti viene descritta come “l’esito di una dérive di matrice situazionista”21, una metodologia che per Michele si configura come “una tecnica indiziaria di comprensione del contemporaneo basato su un processo esplorativo di raccolta e interpretazioni di segni, suggestioni, tracce vitali, tonalità emotive e mondi simbolici”22, che lasciano tracce eterogenee e si fanno detrito visuale sulla superficie dell’abito fino ad essere una testimonianza del viaggio personale del designer nell’allegorica e “tenera” città culturale fatta delle sue referenze artistiche ed intellettuali. Come descritto nel lancio della collezione, ogni oggetto della collezione si offre come un piccolo atlante delle emozioni, come uno scrigno prezioso di riferimenti estetici e come una “cartografia affettiva in cui si intrecciano disegni, lavorazioni insolite e materiali ricercati”.23 In definitiva, non solo il tessuto dell’abito è una testimonianza visuale degli incontri intellettuali del designer, ma è anche traccia materica dell’esperienza interiore di Michele. Questa concezione aggiunge una connotazione politica all’estetica: riconoscere il mondo interno — delle donne per Mme de Scudéry, dell’accademica per Bruno, artista per Michele — ci consente di affermare politicamente il desiderio e di ricollocare i sentimenti sulle mappe, e “di modificare dunque le carte di cui ci serviamo per perlustrare il nostro mondo”.24
La collezione Donna Primaversa/Estate 2015 Carte de Tendre non appare come un unicum nella storia delle creazioni Gucci a cura di Alessandro Michele. Infatti, gli anni in cui Alessandro Michele ha ricoperto il ruolo di direttore creativo del brand (2015–2022) rappresentano una fase di intensa e sfaccettata riflessione sul tempo, sulla memoria e sulla capacità di riattivare frammenti del passato per attribuire loro nuovi significati. Fin dall’Autunno/Inverno 2015–2016, Michele ha dichiarato di ispirarsi al filosofo Giorgio Agamben, per il quale “è davvero contemporaneo chi non coincide col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale”.25 Questa affermazione — citata anche all’interno della cartella stampa della suddetta sfilata — costituisce un principio cardine della sua visione della moda: la contemporaneità non si misura attraverso l’adesione all’attualità, ma nella capacità di attraversare il tempo, mettendo in relazione “sopravvivenze del passato” e “prefigurazioni di futuro”. Michele prosegue sostenendo come questa collezione non sia uno sguardo sul passato ma piuttosto impersonifichi la “libertà di riattualizzare delle possibilità accantonate”,26 costruendo nuovi significati all’intersezione di temporalità diverse. Questo approccio dialogico emergeva già nella collezione Uomo Primavera/Estate 2015, in cui il concetto situazionista di détournement, teorizzato da Guy Debord, rivela l’intento di Michele di decontestualizzare frammenti e oggetti, strappandoli alla loro storia per reinserirli in un nuovo circuito di significato. Come osserva Agamben, la memoria è uno strumento potente, capace di restituire al passato la sua possibilità e una nuova ragion d’essere27: similarmente, per Michele, essa non è un archivio statico, ma un dispositivo dinamico capace di reinventare ciò che è stato. L’archivio, quindi, non si configura mai come un deposito passivo di vestigia storiche, bensì come uno spazio fluido in cui i frammenti vengono riattivati, rielaborati e fatti risuonare nel presente. Come egli stesso afferma: “Il passato è un contenitore immenso. Il passato è questo grande pavimento, è il racconto della tua storia, è un oggetto che compro, è un racconto sentito per strada, è un libro […] Il passato è tutto. Ed è parte del nostro oggi.”28 La collezione Donna Primavera/Estate 2016 Carte De Tendre si rivela essere un un momento fondamentale nella resa di questa visione: qui, l’ispirazione situazionista si sviluppa attraverso il concetto della dérive — intesa come pratica ludica di attraversamento e di comprensione dello spazio urbano — e si traduce nel lavoro del designer in un’azione di raccolta e interpretazione di segni, tracce e suggestioni. In questo contesto, attingendo alla Carte De Tendre e richiamando esplicitamente la riflessione di Giuliana Bruno sul rapporto tra spazialità, affettività e geografie dell’emozione, Michele plasma la tavola originariamente create da Mme De Scudéry in una chiave interpretativa essenziale per il concetto di archivio, che viene inteso come una mappa emotiva che suggerisce l’esplorazione del passato non come luogo immobile, ma come territorio da attraversare, scoprire e reinventare. Analogamente alla dérive situazionista, che procede attraverso associazioni impreviste e percorsi non lineari, l’approccio di Michele all’archivio si configura come un processo aperto e rizomatico. Questa attitudine si manifesta con particolare evidenza anche nella collezione Uomo Autunno/Inverno 2016, intitolata Campi di riattivazione poetica, in cui Michele, appellandosi alle parole di Walter Benjamin, sostiene come le “tracce che ci giungono dal passato non sono reliqui inerti e pietrificate, né semplici oggetti da museificare.”29 La memoria, quindi, si trasforma in un’operazione creativa e poetica, in grado di assemblare frammenti provenienti da un altrove temporale30 in un processo di interpretazione e costruzione di nuovi significati. Tale visione si sviluppa ulteriormente nella collezione Donna Autunno/Inverno 2016–2017, dove Michele introduce il concetto di partiture rizomatiche: un pensiero autenticamente trasformativo deve proliferare in più direzioni. Anche in questo caso, emerge un riferimento all’archivio: non si tratta di seguire un percorso lineare e deterministico, ma di attivare connessioni impreviste e multidirezionali, in linea con il modello rizomatico di Deleuze e Guattari. Il viaggio, centrale nella collezione Uomo Primavera/Estate 2017 — Scavare nel paesaggio, rappresenta un ulteriore sviluppo di questa riflessione, configurandosi come metafora della conoscenza e strumento di esplorazione. Scavare nel paesaggio diventa una pratica di raccolta e interpretazione dei segni del passato, riaffermando l’archivio come uno spazio critico e poetico da attraversare. La moda, nel linguaggio di Michele, si fa così medium conoscitivo e creativo e si determina come un ponte tra passato e futuro. L’evoluzione stilistica e concettuale di Alessandro Michele dimostra la sua capacità di trasformare la moda in una pratica interpretativa complessa, in costante dialogo con la memoria e l’archivio. La stagione della Carte de Tendre emerge come un momento cruciale di questa visione, poiché sancisce l’archivio come luogo di attraversamento, esplorazione emotiva e reinvenzione poetica. Il lavoro di Michele si configura, in ultima analisi, come un dispositivo di riattivazione temporale: frammenti del passato vengono sottratti alla loro inerzia storica per acquisire nuovi significati, in un processo ininterrotto di trasformazione e proliferazione creativa.
L’archivio Gucci e la memoria culturale
Per il suo stretto legame con il passato e il suo punto di vista selettivo — talvolta distorto — la moda fornisce una lente privilegiata per analizzare le pratiche culturali del ricordare e del dimenticare. Come sostengono Sara Chong Kwan, Morna Laing e Mario J. Roman, “proprio per questo legame e per il suo selettivo — e a volte distorto — punto di vista sul passato, la moda fornisce una lente per esplorare le pratiche culturali del ricordare e del dimenticare.”31 L’archivio, concetto centrale per la memoria culturale, assume un ruolo fondamentale anche nella moda. Achille Mbembe sottolinea che “non ci può essere una definizione di archivio che non includa tanto la struttura — simbolo di una istituzione — quanto i documenti che contiene.”32 In questo senso, il lavoro dei designer rielabora gli archivi trasformandoli in veri e propri laboratori, dove le narrazioni del passato vengono messe in discussione e reinterpretate. Questa pratica consente di accogliere visioni e letture alternative della storia, ma anche di riparare alle esclusioni compiute. Un esempio significativo è offerto dalla mostra Gucci Cosmos, curata da Maria Luisa Frisa.33 Tra le sezioni espositive progettate dall’artista Es Devlin, una in particolare, intitolata Archivio, esplora i cento anni di storia della maison fiorentina attraverso gli oggetti del suo archivio.34 Maria Luisa Frisa descrive l’archivio Gucci come “un serbatoio di forme e codici che ogni autore riprende e interpreta senza nostalgia.”35 L’archivio Gucci, con sede a Palazzo Settimanni, è stato aperto al pubblico nel 2021 in occasione del centenario del marchio, sotto la direzione creativa di Alessandro Michele, con il supporto scientifico di Valerie Steele. Questo spazio, visitabile virtualmente sul sito del marchio, riflette l’immaginario del direttore creativo, con stanze e arredi che riprendono i temi centrali delle sue collezioni. L’archivio — istituito originariamente nel 1996 come parte del rilancio del marchio — è stato concepito come un insieme di oggetti, disegni, bozzetti, fotografie e altri materiali che documentano la storia della maison, la catalogazione dei quali ha fatto riferimento a modelli virtuosi utilizzati dalla Library of Congress e del Getty Information Institute.36 La creazione dell’archivio e la curatela di percorsi espositivi a cura (anche) di Michele, esemplifica la posizione del designer, che considera la memoria non come un’ancora, ma come un processo dinamico che permette di rileggere il passato e attribuirgli nuovi significati. Come dichiara nel comunicato stampa della collezione uomo Autunno/Inverno 2016, “le tracce provenienti dal passato non sono reliquie inerti e pietrificate, ma scintille capaci di innescare una reazione esplosiva […] La memoria non è una registrazione passiva della storia, ma un atto interpretativo e poetico.”37 Questo approccio si riflette anche nelle operazioni di recupero e citazione che Alessandro Michele ha effettuato a partire dall’archivio Gucci. Molti dei codici recuperati dal direttore creativo infatti appartengono al periodo di Tom Ford, il quale, negli anni novanta, aveva reinventato l’identità del brand lavorando su un archivio limitato a un semplice scatolone contenente fotografie di celebrità come Liz Taylor e Grace Kelly.38 Nel 2016, Michele ha reso omaggio al lavoro di Ford, esponendo 54 look da lui disegnati in due stanze del Museo Gucci, anch’esso interno al Palazzo Gucci a Firenze.39 Nel 2018, il progetto del museo diventa il Gucci Garden, un progetto firmato dallo stesso Michele, che include ristorante, boutique, libreria e uno spazio espositivo curato da Maria Luisa Frisa fino al 2020. Le mostre organizzate nella Gucci Garden Galleria hanno raccontato i codici estetici di Alessandro Michele attraverso gli oggetti selezionati dall’archivio, come valigeria, elementi equestri, loghi e motivi floreali e animali, evidenziando la profondità del suo rapporto con la storia del marchio.
Mappa e Archivio: strumenti per non perdersi
La relazione tra mappa e archivio si radica nella loro comune funzione intrinseca di contrastare la perdita e preservare tracce di significato nel tempo. Entrambi, infatti, si presentano come dispositivi che fissano ciò che rischia di scomparire: la mappa, orientando il viaggiatore attraverso lo spazio, e l’archivio, custodendo la memoria culturale e storica. Tuttavia, nessuno dei due è un mero strumento statico di registrazione passiva, bensì si configurano come dispositivi dinamici e performativi, capaci di attivare e generare nuovi significati. Nel loro processo di organizzazione e conservazione, mappa e archivio compiono una selezione, tracciando percorsi che non solo registrano, ma interpretano e trasformano il mondo che rappresentano. La mappa orienta all’interno dei paesaggi geografici, mentre l’archivio guida lз ricercatorз attraverso i territori complessi della memoria, agendo come uno spazio fluido di ri-significazione. Tale intersezione tra mappa e archivio trova una potente metafora nel concetto di giardino. Il Gucci Garden, ideato da Alessandro Michele, rappresenta un luogo in cui le tracce del passato si intrecciano per generare nuovi percorsi, analogamente a un giardino che richiede cura e attenzione per mantenere in vita le sue piante. Michele concepisce il Gucci Garden non solo come spazio espositivo, ma come una vera e propria “mappa affettiva”, un dispositivo che permette di navigare attraverso le geografie della memoria della maison, tracciando legami tra codici estetici, materiali e storie che appartengono sia al passato remoto che a quello recente. Qui, l’archivio diventa un giardino della memoria, in cui frammenti e reliquie del passato vengono selezionati, rielaborati e trasformati in narrazioni aperte al futuro. La metafora del giardino richiama anche l’immaginario della Carte de Tendre di Madeleine de Scudéry, nella quale la spazialità assume una valenza emotiva e affettiva. Analogamente, né la mappa né il giardino possono essere considerati rappresentazioni neutre o oggettive: sono strumenti che incorporano desideri, emozioni e percorsi personali. In questo senso, il Gucci Garden riflette perfettamente l’approccio situazionista di Michele, il quale trasforma l’archivio in un luogo rizomatico e aperto, dove ogni frammento del passato diventa un nodo da cui si diramano connessioni inattese. Attraverso questa prospettiva, il passato non si limita a essere conservato, ma si rigenera, proliferando in nuove direzioni e assumendo significati inediti. Il giardino, inteso come spazio dove la memoria e la creatività si incontrano, si riallaccia inoltre alle riflessioni di Giuliana Bruno e Madeleine de Scudéry sull’arte della mappatura come pratica emotiva. Nel Gucci Garden, come nella Carte de Tendre o nell’Atlante delle Emozioni, il viaggio diventa un’esplorazione del sé: non solo un movimento nello spazio, ma un’esperienza affettiva capace di trasformare i frammenti del passato in nuovi percorsi simbolici. Con il Gucci Garden, Alessandro Michele ridefinisce l’archivio come un “giardino vivo”, come un intreccio di emozioni, ricordi e segni che, collegando passato e presente, aprono alla possibilità di reinventare il futuro. Questo approccio non si limita a esaltare e a valorizzare il legame tra mappa e archivio, ma lo riconfigura come un atto politico: creare mappe affettive significa non solo evitare la perdita e preservare la memoria, ma anche rivendicare il diritto di creare nuove narrazioni, sfidando i confini imposti dalle logiche lineari del tempo e dello spazio.
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Vacca, Federica. “Knowledge in Memory: Corporate and Museum Archives.” Fashion Practice 6, no. 2 (2014): 273–288.
“Symposium in Honor of Giuliana Bruno: With Keynotes by Isaac Julien and Emanuele Coccia”, Harvard University Graduate School of Design, ultimo accesso il 12 dicembre 2024, https://www.gsd.harvard.edu/event/symposium-in-honor-of-giuliana-bruno-with-keynotes-by-isaac-julien-and-emanuele-coccia/.↩︎
In questo saggio, si è deciso di adottare un linguaggio di genere inclusivo reso dall’uso della schwa. La schwa viene utilizzato per includere anche soggettività che non si riconoscono né con il maschile né con il femminile, superando così una visione dicotomica dei generi. La schwa è reso graficamente con il simbolo «ə» per le forme singolari e «з» al plurale, inoltre questo simbolo ha una corrispondenza nell’alfabeto fonetico — il suo suono è quello di una vocale intermedia tra le vocali esistenti.↩︎
Joanne Davis, Mademoiselle de Scudéry and the Looking-Glass Self (New York: Peter Lang, 1993); N. Aronson, Mademoiselle de Scudéry ou le voyage au pays de tendre (Paris: Fayard, 1986); Ead., Mademoiselle de Scudéry (Boston: Twayne, 1978); Georges Mongrédien, Madeleine de Scudéry et son salon (Paris: Editions Tallendier, 1946).↩︎
Giuliana Bruno, Atlante delle Emoaioni (Milano: Bruno Mondadori, 2006), 196.↩︎
Madeleine de Scudéry, Clélie, historie romaine (Paris: Folio Classique, 2006).↩︎
Bruno, Atlante, 4.↩︎
Bruno, Atlante, 4.↩︎
Bruno, Atlante, 209.↩︎
Tiziana Goruppi e Guido Paduano (a cura di), Narrativa femminile francese: dal Seicento all’Ottocento (Milano: Bompiani, 2017).↩︎
Joan Elizabeth De Jean, Tender Geographies. Women and the Origins of the Novel in France (New York: Columbia University Press, 1991), 21.↩︎
Per approfondimenti si rimanda a Joan Elizabeth De Jean, Tender Geographies. Women and the Origins of the Novel in France (New York: Columbia University Press, 1991), English Showalter, The Evolution of the French Novel (1641–1782) (Princeton: Princeton University Press, 1972).↩︎
Bruno, Atlante, 198.↩︎
Bruno, Atlante, 201.↩︎
“Carpenter Center | Building”, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://carpenter.center/building.↩︎
Da una conversazione con Giuliana Bruno durante le lezioni del suo seminario dottorale in Film e Cultura Visuale presso il Dipartimento di Arte, Film e Studi Visuali dell’ateneo di Harvard, autunno 2024.↩︎
Riconosciuto come tale dal premio Moving Image Book Award della fondazione inglese Kraszna-Krausz.↩︎
“Atlas of emotions: journeys in art, architecture, and film | Awards & Grants”, American Library Association, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.ala.org/awardsgrants/node/19260.↩︎
Valerie Martin, “More Pages of Pleasure”, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.theguardian.com/books/2003/dec/06/bestbooksof2003.↩︎
Jussi Parikka, “Review of Atlas of Emotions: Journeys in Art, Architecture, and Film”, Leonardo Reviews Archive, ultimo accesso 8 dicembre 2024, https://leonardo.info/review/2018/09/review-of-atlas-of-emotion-journeys-in-art-architecture-and-film.↩︎
Si veda Alejandra Soares, “Immagini Inimmaginabili: Geografia Corporea”, Meer, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.meer.com/it/11011-immagini-immaginabili.↩︎
“Carte De Tendre,” Gucci, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.gucci.com/ch/it/st/stories/article/agenda_2015_issue03_map?srsltid=AfmBOorVFWGEzpIscTnk1phpP89ddskMxpnEtrPqGdGtlJemGCzECDXG.↩︎
Emanuele Coccia e Alessandro Michele, La vita delle forme (New York: Harper Collins, 2024), 167–168.↩︎
Coccia e Michele, La vita delle forme, 167–168.↩︎
Bruno, L’Atlante, 202.↩︎
Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo? (Milano: Nottetempo Edizioni, 2008), 24-25 e citato da Michele nella cartella stampa della sfilata “Il contemporaneo è l’intempestivo”, collezione Autunno-Inverno 2015-2016.↩︎
Coccia e Michele, La Vita delle Forme, 164.↩︎
G. Agamben, in Coccia e Michele – cartella stampa della sfilata “Détournement”, collezione Uomo Primavera/Estate 2015, 165-166.↩︎
Alessandro Michele in Maria Luisa Frisa e Alessandro Michele, “Alessandro Michele: archeologo delle cose a venire”, in Ephimera. Dialoghi sulla moda, curato da Sofia Gnoli (Milano: Electa, 2021), 57.↩︎
Walter Benjamin, I “Passages” di Parigi, Vol. 1, a cura di E. Ganni, Torino: Einaudi, 2010.↩︎
Coccia e Michele, La vita delle forme, 169.↩︎
Sara Chong Kwan et al., “Fashion and Memory”, Critical Studies in Fashion and Beauty, Vol. 5, no. 2 (2014): 201.↩︎
Achille Mbembe, “The Power of the Archive and Its Limits,” in Refiguring the Archive, a cura di Carolyn Hamilton et al. (Dordrecht: Springer, 2002), 19.↩︎
“Gucci Cosmos a Kyoto: mostra terminata”, Gucci, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.gucci.com/it/it/nst/cosmos-exhibition?srsltid=AfmBOopsb1vi1lq16fxnxq7lXwLNDACYLykNuccTjyFQHP1sh8To-CNA.↩︎
Federica Vacca, “Knowledge in Memory: Corporate and Museum Archives”, Fashion Practice, Vol. 6, no. 2 (2014): 274.↩︎
Maria Luisa Frisa, “Gucci COSMOS: Interpreting a Brand Archive”, Archivio Magazine, Vol. 9 (2023): 110.↩︎
Aurora Fiorentini, “Processi e Metodi per la realizzazione di un archivio aziendale poliedrico: il caso Gucci (1996-2000)”, Seminario di studi Archivi della moda del ’900: primi risultati del progetto a Firenze e in Toscana, II sessione, Archivi della moda: esperienze a confronto, Firenze, 4-5 giugno 2009.↩︎
Alessandro Michele, A Magazine Curated By, Vol. 16 (2016): 123.↩︎
Cathy Horyn, “Tom Ford gets candid about his years at Gucci”, The Cut, ultimo accesso 5 dicembre 2024, https://www.thecut.com/2015/04/tom-ford-gets-candid-about-his-years-at-gucci.html.↩︎
Suzy Menkes, “Tom Ford back at Gucci”, Vogue Germany, 26 giugno 2016, https://www.vogue.de/blogs/suzy-menkes/tom-ford-back-at-gucci2.↩︎