ZoneModa Journal. Vol.14 n.2 (2024), 19–32
ISSN 2611-0563

Weaving Archives. Riusare, reinventare e riprogettare i dati tessili

Margherita TufarelliUniversità degli Studi di Firenze (Italia)

PhD e Ricercatrice in Fashion Design presso il Dipartimento di Architettura (DIDA) dell’Università degli Studi di Firenze. La sua attività di ricerca esplora le opportunità e gli impatti delle transizioni digitale ed ecologica sulla progettazione moda, con particolare attenzione alla sostenibilità e all’innovazione nei processi creativi e produttivi.

Paolo FranzoUniversità degli Studi di Firenze (Italy)

PhD, è ricercatore in Fashion Design presso il Dipartimento di Architettura (DIDA) dell’Università degli Studi di Firenze. La sua attività di ricerca si focalizza sulla transizione ecologica e digitale nella moda, con particolare attenzione ai materiali innovativi e all’intelligenza artificiale nei processi creativi. È stato visiting scholar presso l’Università di Lisbona e collabora regolarmente con gruppi di ricerca internazionali.

Pubblicato: 2025-01-15

Abstract

With the spread of new technologies capable of shaping phygital spaces, where physical and digital reality intersect, great attention has been paid to business archives, their design, digitisation and reactivation. There are many relevant cases on the digitisation and reactivation of historical fashion archives, however, there are fewer experiments concerning textile archives, despite the crucial importance of the textile sector, particularly in Italy. The contribution analyzes the case study Prato Phygital, a project concluded in 2023 that saw the collaboration of universities, public institutions, museums and enterprises engaged in the elaboration of transmedia digital content from the materials of the business archives of the textile company Marini and the archives of the Museo del Tessuto in Prato. The project envisaged three main phases of implementation: (1) the elaboration of a digitisation procedure which, through the creation of a digital twin, would make it possible to reconstruct the fundamental characteristics of the selected textile materials, so as to convey their qualities on a digital support; (2) the use of the models obtained for the design of transmedia content; (3) the adaptation of this content to the development of audiovisual products, such as short films, films and animation, aimed at textile education. The textile archive thus becomes a generator of data, which is transformed into a new material for fashion.

Keywords: Phygital; Digital Textile; Textile Archives; Digital Archives; Living Archives.

Gli spazi multisensoriali della moda

Le tecnologie digitali sono da anni parte integrante dei modi di progettare, produrre e archiviare gli elementi materiali e immateriali delle produzioni culturali umane. Nella moda, in particolare, la transizione digitale solleva questioni ampie e complesse, che ridefiniscono concetti caratterizzanti, come lo spazio, il corpo, il tempo, la presenza, la memoria, ponendo interrogativi sulla necessità di un ripensamento in termini di metodologie, processi e competenze. La moda digitale e digitalizzata si evolve a tal punto da incidere sulla natura stessa dei prodotti che, pur mantenendo i valori identitari intrinseci che li caratterizzano, diventano immateriali, digitali e interattivi. Oggi numerose aree della filiera stanno sperimentando le opportunità offerte dalle tecnologie emergenti: i processi di progettazione e produzione assistiti dal computer stanno diventando sempre più centrali nel plasmare pratiche ed esperienze nella moda, stimolando una convergenza tra ambienti fisici e digitali.1

Il diffondersi di nuove tecnologie ha generato spazi e oggetti phygital, dove realtà fisica e realtà digitale si intersecano e si fondono sempre più.2 Nuovi prodotti e servizi si basano su immersione, immediatezza e interazione,3 in una perenne trasformazione ed evoluzione.4 La dimensione phygital, nella società attuale, è intesa quindi come l’ibridazione tra la dimensione fisica e quella digitale, basata sulla reciproca contaminazione e sulla permeabilità dei rispettivi confini.

In questa ibridazione e immaginazione di futuri possibili, un ruolo sempre più centrale è stato assunto dalla memoria, dalla storia, dall’heritage.5 Va in questa direzione la grande attenzione rivolta agli archivi di impresa, alla loro progettazione, digitalizzazione e riattivazione. Oltre allo scopo conservativo, infatti, i processi di digitalizzazione degli archivi d’impresa consentono di generare un continuum tra la documentazione della memoria storica, la trasmissione delle conoscenze, la fruizione e l’applicazione del sapere nelle attività di progettazione, che diventano così knowledge centered.6

Il digitale sta quindi guidando un cambiamento trasversale, in grado di rompere i silos disciplinari. In questa prospettiva, la moda interagisce attivamente con i media digitali,7 diventando terreno fertile per la contaminazione con altre discipline attraverso una sinergia di approcci e metodologie di ricerca multiple.8 Le recenti incursioni della moda in altri settori dell’industria creativa, come il cinema e il gaming, confermano questo fenomeno, permettendo al settore della moda di nutrirsi delle competenze acquisite in altre industrie creative e viceversa, in un processo di ibridazione sostenuto dalla prospettiva phygital.

Una delle trasformazioni più significative del nostro tempo — che Maurizio Ferraris definisce documanità,9 ossia il dominio dei documenti e della registrazione digitale nella costruzione della realtà sociale — è strettamente legata ad una specifica caratteristica del digitale: la registrazione degli oggetti non solo precede la loro comunicazione, ma ne costituisce la condizione necessaria. In altre parole, il dato, una volta digitalizzato, registrato e archiviato, diventa il fondamento su cui si costruiscono le successive dinamiche di interazione e significato. Questo processo attribuisce al dato digitalizzato un ruolo centrale nella continua costruzione e attivazione dell’heritage d’impresa. L’archiviazione digitale quindi non si limita a preservare la memoria storica di un’azienda, ma la trasforma in un patrimonio attivo, sempre disponibile e prontamente mobilitabile per la narrazione, la valorizzazione e l’innovazione. In tal modo il digitale non solo conserva, ma riattualizza costantemente l’heritage d’impresa, integrandolo nelle strategie comunicative e nelle pratiche quotidiane, rafforzando così la sua identità e proiezione nel futuro.

In parallelo va sottolineato che una delle principali criticità che la moda sta affrontando nel passaggio dalla realtà fisica a quella digitale, comprese tutte le forme phygital, riguarda la difficoltà di tradurre i tessuti nella dimensione digitale, mantenendo caratteristiche fisiche ed emozionali. Molte ricerche negli ultimi anni hanno iniziato a sperimentare esperienze multisensoriali condivise di realtà immateriale nel settore tessile, con l’obiettivo di simulare nella realtà digitale il comportamento fisico dei tessuti, osservarne il movimento toccando un dispositivo, visualizzandoli su un abito digitale che, grazie alla realtà aumentata, sia percepito come parte dell’ambiente fisico.10 Tuttavia, nonostante le molte risorse impiegate nello sviluppo e nell’ottimizzazione dei processi 3D, sono ancora molti i limiti, soprattutto per quanto riguarda la percezione della qualità e delle caratteristiche dei materiali tessili.11

Il contributo si inserisce in questo contesto, presentando un progetto di ricerca sulla rappresentazione di tessuti d’archivio in un ambiente digitale 3D, al fine di poter impiegare i modelli ottenuti in applicazioni di realtà aumentata, virtuale ed estesa, che dall’ambito della moda si espandono verso altri scenari. In particolare, il progetto Prato Phygital: sinergie creative per la competitività viene riportato come caso di studio il cui obiettivo è stato quello di avviare una collaborazione sinergica tra il settore audiovisivo e il settore tessile e della moda nella città di Prato, attraverso la contaminazione di competenze, tecniche e materiali di output. Infatti, attraverso tecnologie innovative di produzione mediale (3D, animazione, mixed reality, 5G, ecc.), sono stati prodotti contenuti legati alla manifattura tessile. L’obiettivo primario del progetto è stato quello di interrogarsi sulle collaborazioni sinergiche e continuative tra diverse industrie creative e manifatturiere e su come queste collaborazioni possano portare valore alle dinamiche progettuali e comunicative del sistema tessile e della moda Made in Italy.

Living Archives

Negli ultimi anni, il rilancio di numerose case di moda storiche ha evidenziato come l’heritage possa rappresentare un elemento strategico fondamentale per consolidare o ridefinire l’identità dei brand, riuscendo ad adattarsi efficacemente alle dinamiche complesse e mutevoli dell’industria della moda globalizzata.12 Il rapporto tra i brand e il loro heritage ha inizialmente preso forma attraverso una dimensione nostalgica,13 una prospettiva che è stata oggetto di ampia analisi da parte delle discipline umanistiche negli ultimi vent’anni. Queste ricerche hanno dimostrato come l’heritage possa costituire uno strumento di marketing particolarmente potente14 che si esplicita nella costruzione di musei d’impresa e archivi aziendali.

Questo approccio, che privilegia l’impiego dell’heritage come leva di marketing, conduce a una narrazione quasi totemica della storia dei brand, che si riduce a un simbolo continuamente evocato per consolidare l’identità del marchio. Non si tratta più semplicemente di brand dotati di un heritage, ma di veri e propri “heritage brands”,15 che coltivano, mantengono e proteggono il loro patrimonio storico con l’obiettivo di potenziare il marketing aziendale e, di conseguenza, incrementare i ricavi.16 Tuttavia, la dimensione attraverso la quale l’heritage genera maggior valore risiede nella produzione di nuova conoscenza,17 ossia la capacità dell’azienda di integrare il proprio patrimonio di esperienze e competenze custodito nella propria memoria storica e iconografica — esplicitata in conoscenza codificata attraverso l’archivio18 — con idee innovative. Infatti, la riconoscibilità di un brand si fonda su una gamma complessiva di valori che ispirano prodotti, strategie e comunicazione; all’interno di questo scenario gli archivi aziendali — custodi del brand heritage — hanno assunto un ruolo prioritario nell’interazione tra eredità e creatività per preservare la memoria e ispirare nuovi progetti.19

Da questa prospettiva, il valore di un archivio d’impresa ben progettato e organizzato non si esaurisce nel compito di preservare la memoria storica del brand, ma diventa un vantaggio competitivo importante che ha ricadute sulle attività del presente e genera futuro. L’accesso diretto a queste risorse, alimenta e amplifica l’ispirazione creativa, garantendo al contempo continuità nella progettazione e nella produzione di nuove collezioni.

La letteratura mostra evidenze di come i designer utilizzino gli archivi come fonte di ispirazione per la progettazione di collezioni di moda.20 Questo tipo di indagine derivata influisce sulle scelte progettuali di tessuti e materiali, forme, nonché sulle tecnologie utilizzate nell’esecuzione fisica della collezione. Si tratta di una sinergia tra eredità e creatività che gli archivi del fashion heritage rendono esplicita e tangibile. Essi non solo conservano il passato, ma lo trasformano in un elemento dinamico e attivo, capace di influenzare e guidare le future direzioni del design.

Gli archivi oggi si confrontano con l’applicazione di tecnologie digitali per promuovere traiettorie innovative nell’attivazione del materiale conservato, per la condivisione e il trasferimento delle conoscenze relative agli artefatti in nuove produzioni creative. In questo scenario gli archivi possono innescare nuove dinamiche di generazione e di trasmissione di valore; essere utilizzati nel campo della didattica, per la formazione e la sperimentazione in ambito tessile con gli studenti, ma anche come strumento strategico aziendale per la sperimentazione, la creazione e la comunicazione di nuovi prodotti.

Molti sono i casi rilevanti sulla digitalizzazione e sull’attivazione degli archivi storici di moda;21 minori sono invece le sperimentazioni riguardanti gli archivi tessili, nonostante l’importanza cruciale rivestita da questo ambito, in particolare in Italia. Questo avviene per le difficoltà nel restituire fedelmente le qualità intrinseche dei tessuti con le attuali tecnologie digitali, rendendo più complessa la loro piena valorizzazione in formato digitale. La digitalizzazione ha inoltre promosso una visione più inclusiva e pluralista dell’archivio, che oggi può essere inteso come un multiverso in cui le fasi di creazione, gestione e utilizzo fanno parte di un unico ecosistema.22 Grazie a questo cambiamento, gli archivi non sono più confinati alle istituzioni culturali, ma si estendono ai processi operativi delle imprese, diventando strumenti chiave per la produzione, la narrazione e la costruzione della cultura aziendale. Essi facilitano il dialogo interno tra i vari reparti aziendali e quello esterno tra l’impresa e la società, innescando un ragionamento basato sull’analogia che consente un’elaborazione sincronica e diacronica delle informazioni, anche in ambiti apparentemente distanti. Con l’espansione del dominio di pertinenza degli archivi, questi non sono più semplicemente depositi di memoria, ma diventano risorse dinamiche e distribuite all’interno della cultura digitale, estendendosi a una presenza che permea le produzioni culturali e creative contemporanee. Tale trasformazione rende gli archivi strumenti fondamentali non solo per la conservazione del passato, ma anche per la progettazione e l’innovazione, offrendo nuove opportunità per sperimentare e impiegare i materiali d’archivio tessili in contesti creativi inediti.23

Questo contributo mira a sostenere tale visione attraverso la descrizione di un caso di studio — il progetto Prato Phygital: sinergie creative per la competitività — che esplora l’uso innovativo e transdisciplinare dei materiali contenuti negli archivi tessili. Attraverso l’applicazione delle tecnologie digitali, il caso di studio dimostra come questi materiali possano essere reimmaginati e reimpiegati in nuovi contesti creativi, ampliando i confini tradizionali dell’archivio e contribuendo alla creazione di nuove narrazioni e prodotti che combinano eredità storica e innovazione contemporanea.

L’utilizzo degli archivi tessili come fonte di ispirazione per la progettazione di nuovi tessuti, stampe e forme è infatti ormai consolidato.24 Meno esplorato è invece il potenziale delle tecnologie digitali nell’esplorazione di traiettorie phygital che proiettano i materiali d’archivio oltre i limiti — fisici, conservativi, ecc — della loro forma fisica, proponendo nuovi linguaggi di rappresentazione della realtà e degli immaginari. In questo scenario, gli archivi assumono un ruolo significativo perché evocano conoscenze espresse in competenze, pratiche, oggetti e processi,25 occupando uno spazio attivo nella progettazione di nuovi beni e servizi. Si tratta di un sostanziale cambiamento di approccio in cui i materiali d’archivio entrano attivamente in una conoscenza prodotta, fattuale, operativa, pronta per essere reinterpretata e riprodotta. Si passa dunque da una dimensione focalizzata sull’oggetto-archivio a una più estesa e orientata al processo di creazione-archivio che, progressivamente amplificata dall’ubiquità delle esperienze della moda in un mondo phygital, porta gli archivi materiali a progettare interazioni più significative con le tecnologie digitali.26 L’intento, in questo caso, non è esclusivamente una ricostruzione storica coerente, ma sperimentare traiettorie innovative nell’attivazione del materiale conservato, per la condivisione e il trasferimento delle conoscenze relative agli artefatti in nuove produzioni creative, nella progettazione di storie inedite, ucroniche,27 impossibili nella realtà fisica, ma consentite in questa realtà espansa e transmediale.

Prato Phygital

Il progetto Prato Phygital, finanziato nel 2022 dal Ministero dello Sviluppo Economico, è stato sviluppato da un partenariato pubblico-privato coordinato da Fondazione Sistema Toscana e che ha visto la partecipazione del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Il progetto è stato pensato in e per un territorio — quello di Prato — che è da tempo teatro di sperimentazione di tecnologie a supporto delle filiere del tessile e della moda coltivando una forte vocazione innovativa.28 Scelta tra le 100 Città europee ad accogliere la sfida della neutralità climatica entro il 2030, la città di Prato è stata anche una delle 5 italiane coinvolte nella sperimentazione della rete 5G, tecnologia integrata nel progetto Prato Phygital. L’obiettivo principale del progetto è stato quello di stimolare una sinergia generativa tra diverse industrie creative attraverso lo sviluppo di prodotti audiovisivi volti a raccontare il territorio di Prato e le sue specificità nel settore tessile. Tale narrazione è stata realizzata attingendo agli archivi storici e manifatturieri locali e avvalendosi di tecnologie all’avanguardia, quali la modellazione 3D, l’animazione, la realtà virtuale e mista, tutte fruibili su dispositivi mobili grazie al supporto della rete 5G.

Tra i partner fornitori di contenuti, hanno partecipato al progetto il Museo del Tessuto con il suo archivio relativo a frammenti tessili antichi, eterogenei per provenienza e tipologia e l’azienda Marini Industrie s.p.a., fondata nel 1945 a Prato e specializzata nella realizzazione di tessuti di pregio, che ha messo a disposizione del progetto il suo archivio fisico d’impresa.

In termini operativi, il progetto si è articolato in due fasi distinte. Nella prima fase, è stata elaborata una procedura di digitalizzazione dei manufatti tessili che ha consentito, attraverso la creazione di gemelli digitali, di ricostruire fedelmente le caratteristiche dei materiali selezionati, in modo da poter veicolare in modo accurato le qualità su supporto digitale. Nella seconda fase, i modelli digitali ottenuti sono stati utilizzati per la progettazione di contenuti transmediali, adattandoli allo sviluppo di prodotti audiovisivi, tra cui cortometraggi, film e animazioni, destinati alla formazione nel campo tessile e alla creazione di spazi digitali nel metaverso.

La digitalizzazione è stata effettuata mediante tecniche di reverse engineering combinate con avanzati metodi di modellazione 3D, supportati dall’impiego di specifici software tecnico-tessili. Sono stati digitalizzati quattro tessuti provenienti dall’archivio dell’azienda Marini e quattro campioni di reperti tessili appartenenti all’archivio del Museo del Tessuto di Prato. I tessuti aziendali, realizzati su telai a licci, comprendono sia campioni fuori produzione che campioni ancora in produzione, mentre i reperti del museo, risalenti a periodi compresi tra il XV e il XIX secolo, sono stati digitalizzati simulando l’uso di un telaio jacquard, a causa della complessità delle loro costruzioni e motivi decorativi.

Trattandosi di tessuti antichi, questi presentano segni del tempo e in alcuni casi porzioni mancanti, oltre ad essere difficilmente riproducibili con le tecnologie attuali a causa dell’avanzamento tecnologico in termini di modalità, dimensioni e complessità delle tessiture. La selezione è avvenuta con l’obiettivo di includere il maggior numero possibile di tipologie tessili significative per il distretto pratese, in base a criteri quali il periodo di produzione, il tipo di ordito e trama, i filati e il tipo di telaio con cui sono stati realizzati.

Date le evidenti differenze tra i tessuti selezionati, le procedure di acquisizione e di rilievo dei tessuti sono state svolte in maniera differente, seppur utilizzando lo stesso approccio e gli stessi strumenti. Per ciascun tessuto è stata eseguita la procedura più efficace per ottenere il risultato più accurato e veritiero possibile. I tessuti di Marini sono stati fotografati e accompagnati dalla scheda tecnica di progetto, quelli del Museo del Tessuto sono stati fotografati e scampionati senza contatto, con il supporto storico e tecnico del laboratorio di conservazione e restauro tessile del museo, per redigere la scheda di ricostruzione. Dopo aver rilevato e raccolto le dimensioni, le armature, il tipo di filato e le altre informazioni utili alla ricostruzione dei tessuti è iniziato il processo di digitalizzazione, supportato da una piattaforma software capace di simulare — anche se parzialmente — in 3D tessuti e filati.

Per la tecnologia jacquard si è iniziato con la disegnatura, ovvero la composizione di un’immagine in cui a ogni area, distinta per colore e racchiusa in un contorno, corrisponde una certa armatura e quindi un certo effetto dovuto all’intreccio dei fili. Poiché i colori delle aree non sono i colori definitivi del tessuto, ma semplicemente il modo per assegnare le armature, il disegno necessita di una riduzione dei colori, specialmente se si parte ricalcando un’immagine fotografica. Si sono inserite tutte le informazioni tecniche riguardanti le dimensioni, la densità, il rapporto tra il numero dei fili di ordito e quelli di trama: in questo modo il file output è anche producibile a telaio. Su un altro software si sono assegnate le armature alle aree per passare infine alla simulazione del tessuto.

Figura 1: Tessuto originale appartenente alla collezione del Museo del Tessuto confrontato con la sua ricostruzione digitale (elaborazione e immagini a cura degli autori)
Figura 2: Tessuto originale appartenente alla collezione del Museo del Tessuto confrontato con la sua ricostruzione digitale (elaborazione e immagini a cura degli autori)

Il flusso di lavoro per la digitalizzazione dei tessuti realizzati con telaio a licci è costituito dalle stesse fasi, seppure su diversi software, ad eccezione di quella iniziale, la disegnatura, poiché il rimettaggio dei licci e l’armatura sono sufficienti a riprodurre un certo motivo. In alcuni casi, la grafica ottenuta dal CAD tecnico ha richiesto successive fasi di ottimizzazione per adattare le lavorazioni dei telai rinascimentali a quelle dei telai contemporanei e di conseguenza agli attuali sistemi CAD utilizzati per la produzione industriale.

Durante lo sviluppo del progetto, è stata posta una particolare attenzione nel riprodurre i tessuti con la massima precisione possibile (Fig. 1). Questo processo ha coinvolto non solo la simulazione delle armature tessili, che determinano l’alternanza di trama e ordito visibile a ogni incrocio dei fili, ma anche la riproduzione accurata delle tipologie di filati utilizzati, incluse le loro specifiche proprietà, come la torsione. La texture simulata è stata progettata per restituire fedelmente la tridimensionalità del filato originale (Fig. 2), grazie all’inclusione di ombre che ne enfatizzano il rilievo. Tuttavia, per garantire che la texture applicata su oggetti 3D non appaia come una semplice stampa su una superficie piatta, è stato necessario accompagnarla con mappe multilivello. Queste mappe, sovrapponendosi, aggiungono ulteriori informazioni alla superficie digitale del tessuto (Fig.3).

Figura 3: Visione complessiva di alcuni dei modelli realizzati nell’ambito del progetto (elaborazione e immagine a cura degli autori)

Oltre alla texture colorata, è stata successivamente generata una versione in bianco dei filati, che serve come informazione grafica priva di colore. Questo tipo di dato, attraverso l’utilizzo di software specifici, può essere utilizzato per mappare caratteristiche estetiche e fisiche del tessuto, come il comportamento alla luce e la perturbazione della superficie, restituendo ad esempio la forma della sezione del filato in seguito a specifiche torsioni. Il risultato è una serie di immagini che condividono lo stesso disegno modulare e la stessa area, ma che variano in funzione delle diverse caratteristiche da mappare. L’applicazione dei tessuti sui modelli 3D avviene attraverso la stratificazione di queste immagini, con un numero di livelli pari ai parametri che definiscono digitalmente il tessuto (Fig. 4).

Figura 4: Dettaglio di una delle texture applicata su modello 3D realizzato nell’ambito del progetto (elaborazione e immagine a cura degli autori)

Sebbene esistano scanner commerciali capaci di trasformare un campione tessile in immagini multilivello, in questa ricerca si è deciso di adottare una procedura differente per due motivi principali: 1) i manufatti tessili antichi forniti dal Museo del Tessuto non possono essere manipolati liberamente né esposti a fonti di luce, rendendo necessaria una procedura non invasiva; 2) la ricostruzione del disegno tessile tramite software CAD offre non solo texture digitali, ma anche file pronti per la produzione industriale.

Queste texture sono state successivamente applicate, con variazioni di colore, scala e posizionamento, nella progettazione digitale di superfici e prodotti propri di diversi settori: oltre alla moda, l’architettura, l’automotive e il design di prodotto. Dunque l’oggetto fisico — il campione di tessuto dell’azienda Marini o del Museo del Tessuto — è stato studiato, ridisegnato digitalmente in 3D e modellato per diventare un nuovo oggetto digitale, come ad esempio un gilet (Fig. 5). Successivamente, l’oggetto digitale è stato stampato in 3D diventando un nuovo e diverso oggetto fisico. Una tecnica di reverse engineering, che consente quindi di attivare un percorso circolare e continuo tra dimensione fisica, phygital e digital, tornando infine ad essere parte di una nuova realtà fisica.

Figura 5: Gilet realizzato partendo dal tessuto originale appartenente alla collezione del Museo del Tessuto, ridisegnato digitalmente in 3D e modellato per diventare un nuovo oggetto digitale (elaborazione e immagine a cura degli autori)

L’aspetto più significativo, però, è stato sperimentare l’impiego di queste texture multilivello nella progettazione di spazi digitali e contenuti audiovisivi, multimediali e di realtà virtuale, arricchiti da tecniche di animazione 3D, attraverso un prototipo di set tecnologicamente avanzato, attrezzato con tecnologie led per la realtà virtuale e aumentata in real time; nello specifico è stato allestito un set dimostrativo in cui gli elementi digitali e quelli fisici convivono e consentono di produrre una storia dove il virtuale e il reale si combinano perfettamente (Fig. 6). Questi prodotti hanno offerto ai modelli digitali sviluppati durante il progetto non solo un luogo di esposizione, ma anche l’opportunità di essere trasformati in prodotti digitali, sia indossabili che non, apprezzabili in tutta la loro tridimensionalità e dinamicità.

Figura 6: Impiego dei modelli digitali realizzati all’interno di un teatro di posa in real-time (elaborazione e immagine a cura degli autori)

Discussione e conclusione

L’evoluzione tecnologica e la digitalizzazione dei processi progettuali, dentro e intorno alla moda, mettono in campo non solo nuovi supporti di rappresentazione, ma soprattutto nuove logiche di decentralizzazione e di accesso trasversale che rendono possibli e immediate le azioni per cui qualsiasi tipo di materiale può essere prodotto, modificato, consumato e trasmesso provocando un profondo impatto sui materiali d’archivio. Il progetto Prato Phygital consente di sviluppare una serie di riflessioni su come si stia modificando il ruolo e il valore degli archivi di moda, in particolare quelli tessili, grazie alle tecnologie digitali e alla combinazione di software di progettazione 2D e 3D.

Il primo elemento da sottolineare è che gli archivi tessili si stanno trasformando da fonti di ispirazione creativa per la progettazione di nuovi tessuti in generatori di dati,29 che possono essere ricombinati in nuovi oggetti, superfici, materiali, suoni. È noto che l’economia della conoscenza30 ha trasformato gli archivi tessili e della moda in una parte attiva della narrazione e della progettazione di nuovi beni e servizi, trasformandoli a tutti gli effetti in laboratori di conoscenza. Nelle industrie creative, e in particolare nell’industria di moda, il patrimonio di modelli e disegni ha un valore che cresce nel tempo.31 Nel progetto analizzato, invece, i tessuti fisici sono diventati parte di un processo di ri-progettazione di nuovi contenuti digitali transmediali, che utilizzano il materiale di archivio come punto di partenza per la creazione di una serie di nuove narrazioni, permettendo quindi a tali materiali di esistere simultaneamente in momenti diversi, smembrati, trasportati in nuove circostanze in cui vengono rappresentati e utilizzati. Oggetti nativi digitali si combinano con quelli digitalizzati in un ciclo continuo di contaminazione e ri-attualizzazione reso possibile dai dati e dai bit da cui questi materiali digitalizzati sono composti. È una materialità interattiva guidata dai dati.32 Trama e ordito si trasformano da materia tessile a dati digitali con cui generare superfici, realtà virtuali, prodotti audiovisivi.

L’approccio seguito nel progetto Prato Phygital può essere interpretato come una forma di “hybrid craft”, come definito da Nachtigall, Tomico, Wakkary e van Dongen,33 in cui processi artigianali si combinano a dati computazionali per generare “conceptually rich artifacts”.34 L’obiettivo, infatti, non è solo quello di replicare l’aspetto di un tessuto, ma di ri-progettarlo e ri-tesserlo digitalmente, comprenderne la tipologia di filati, la struttura e lo schema di tessitura, in modo da dare vita a un nuovo prodotto. Il progetto digitale, quindi, non cerca solo di replicare l’aspetto visivo di quello fisico, ma combina “programming, mathematics and material explorations, making use of crafting and open-ended making to imagine and craft new digital/physical objects”.35 Come nell’artigianato fisico si combinano tecniche e saperi per modellare la materia e da dare forma all’idea creativa, in questa forma ibrida di artigianato si sviluppa una sinergia tra algoritmi, software e dati per modellare la materia digitale in modo da generare un gemello di quella fisica. Si ricercano nuove procedure in grado di generare il risultato migliore e più utile a dare vita a scenari phygital. Un esempio è l’attenzione dedicata alle caratteristiche dei filati. Attualmente si utilizzano scansioni 2D dei filati fisici, che però nel caso di bouclé o di torsioni non lineari non sono in grado di rendere adeguatamente l’aspetto e il comportamento del filato. Per questo è stato introdotto un ulteriore software con cui progettare in 3D i filati, ottimizzando la resa dei dettagli quali la rottura della fibra e la sua diramazione intorno al filato con la conseguente composizione strutturale ed estetica. La simulazione, sia a licci che jacquard, ha permesso di ridisegnare il tessuto e di generare una texture realistica. Il vantaggio è che può essere gestita più agilmente di una foto dello stesso tessuto reale, per tutto ciò che riguarda le luci e l’allineamento ortogonale del tessuto alla fotocamera.

Anche sull’equilibrio tra qualità estetica delle texture realizzate e gestibilità — in termini di dimensioni — del relativo file è stato adottato un approccio artigianale. Il file tridimensionale delle texture, infatti, per funzionare correttamente deve essere convertito in file .bmp, un formato che richiede la riduzione di colore, un procedimento che a sua volta fa perdere qualità e dettaglio al filato. Per questo è stato necessario individuare il giusto compromesso tra i vari elementi in modo da ottenere un risultato esteticamente valido e, al contempo, utilizzabile nelle applicazioni digitali.

Il progetto Prato Phygital è un chiaro esempio di come si espanda oggi il concetto di realtà, connettendo mondi fisici e mondi digitali in una reciproca contaminazione. L’oggetto fisico può essere portato nel mondo digitale e virtuale per essere modellato in nuove forme e nuove funzioni che, a loro volta, possono essere riportate nello spazio fisico attraverso processi di reverse engineering. Il processo di traduzione e progettazione digitale dei tessuti fisici dell’azienda Marini e del Museo del Tessuto consente, dunque, di riattivare il patrimonio tessile attraverso nuovi linguaggi di sperimentazione. L’utilizzo digitale delle texture tessili, post-ottimizzazione per diverse piattaforme e obiettivi, comprende un ampio spettro di applicazioni, che vanno dal metaverso e dalle animazioni 3D all’incorporazione di prodotti indossabili nei videogiochi.

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  1. Paola Bertola e Jose Teunissen, “Fashion 4.0. Innovating fashion industry through digital transformation,” Research Journal of Textile and Apparel, Vol. 22, no. 4 (2018): 352–69, https://doi.org/10.1108/rjta-03-2018-0023.↩︎

  2. Francesco Zurlo, Venanzio Arquilla, Gianluca Carella e Maria Cristina Tamburello, “Designing acculturated phygital experiences,” in Cumulus Conference Proceedings Wuxi 2018, a cura di Zhang Linghao et al. (Aalto: Cumulus, 2018), 153–64.↩︎

  3. Cristina Mele e Tiziana Russo-Spena, “The architecture of the phygital customer journey: a dynamic interplay between systems of insights and systems of engagement,” European Journal of Marketing, Vol. 56, no. 1 (2022): 72–91, https://doi.org/10.1108/ejm-04-2019-0308.↩︎

  4. Kate Armstrong e Charlotte Rutter, “Exploring the Enigma of the Happiness Construct in Phygital Fashion Experiences,” in Advanced Fashion Technology and Operations Management, a cura di Alessandra Vecchi (Hershey, PA: IGI Global, 2017), 220–33, https://doi.org/10.4018/978-1-5225-1865-5.ch009. Valeria M. Iannilli e Alessandra Spagnoli, “Phygital Retailing in Fashion. Experiences, Opportunities and Innovation Trajectories,” Zonemoda Journal, Vol. 11, no. 1 (2021): 43–69, https://doi.org/10.6092/issn.2611-0563/13120.↩︎

  5. Eleonora Lupo, “Design and innovation for the Cultural Heritage. Phygital connections for a Heritage of proximity,” AGATHÓN| International Journal of Architecture, Art and Design, Vol. 10 (2021): 186–99, https://doi.org/10.19229/2464-9309/10172021.↩︎

  6. Eleonora Lupo, “Design e Cultural driven innovation,” I+Diseño Revista Científico-Académica Internacional De Innovación Investigación Y Desarrollo En Diseño, Vol. 14 (2019): 120–32, https://doi.org/10.24310/idiseno.2019.v14i0.7085.↩︎

  7. Agnès Rocamora, “Mediatization and Digital Media in the Field of Fashion,” Fashion Theory, Vol. 21, no. 5 (2017): 505–22, https://doi.org/10.1080/1362704x.2016.1173349.↩︎

  8. Lorenzo Cantoni et al., “Fashion communication research: A way ahead,” Studies in Communication Sciences, Vol. 20, no. 1 (2020): 121–25, https://doi.org/10.24434/j.scoms.2020.01.011.↩︎

  9. Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo (Roma-Bari: Laterza, 2021).↩︎

  10. Paolo Franzo e Alessandra Vaccari, “An Exploration of Digital Fashion in Pandemic Italy: Districts, Designers, and Displays,” DIID, Vol. 73 (2021): 132.↩︎

  11. Kyung-Hee Choi, “3D dynamic fashion design development using digital technology and its potential in online platforms,” Fashion and Textiles, Vol. 9, no. 1 (2022), https://doi.org/10.1186/s40691-021-00286-1. Sandra Kuijpers, Christiane Luible-Bär and Hugh Gong, “The Measurement of Fabric Properties for Virtual Simulation — A Critical Review,” in IEEE Standards Association, Industry Connections Report, 2020, 1–43, https://www.research.manchester.ac.uk/portal/files/160056173/3DBP_Measurement_of_fabric_properties.pdf.↩︎

  12. Delphine Dion e Gérald Mazzalovo, “Reviving sleeping beauty brands by rearticulating brand heritage,” Journal of Business Research, Vol. 69, no. 12 (2016): 5894–5900, https://doi.org/10.1016/j.jbusres.2016.04.105. Ornella K. Pistilli, “The Heritage-Creativity Interplay. How Fashion Designers are Reinventing Heritage as Modern Design: The French Case,” ZoneModa Journal, Vol. 8, no. 1 (July 1, 2018): 77–95, https://doi.org/10.6092/issn.2611-0563/8223.↩︎

  13. Stephen Brown, “Retro‐marketing: yesterday’s tomorrows, today!,” Marketing Intelligence & Planning, Vol. 17, no. 7 (1999): 363–76, https://doi.org/10.1108/02634509910301098.↩︎

  14. Delphine Dion e Stéphane Borraz, “Managing heritage brands: A study of the sacralization of heritage stores in the luxury industry,” Journal of Retailing and Consumer Services, Vol. 22 (2015): 77–84, https://doi.org/10.1016/j.jretconser.2014.09.005. Altaf Merchant and Gregory M. Rose, “Effects of advertising-evoked vicarious nostalgia on brand heritage,” Journal of Business Research, Vol. 66, no. 12 (2013): 2619–25, https://doi.org/10.1016/j.jbusres.2012.05.021. Gregory M. Rose et al., “Emphasizing brand heritage: Does it work? And how?,” Journal of Business Research, Vol. 69, no. 2 (2016): 936–43, https://doi.org/10.1016/j.jbusres.2015.06.021.↩︎

  15. Mats Urde, Stephen A Greyser, e John M T Balmer, “Corporate brands with a heritage,” Journal of Brand Management, Vol. 15, no. 1 (July 27, 2007): 4–19, https://doi.org/10.1057/palgrave.bm.2550106.↩︎

  16. Antoinette Fionda e Christopher Moore, “The anatomy of the luxury fashion brand,” Journal of Brand Management, Vol. 16, no. 5–6 (2009): 347–63, https://doi.org/10.1057/bm.2008.45.↩︎

  17. Federica Vacca, “Knowledge in Memory: Corporate and Museum Archives,” Fashion Practice, Vol. 6, no. 2 (2014): 273–88, https://doi.org/10.2752/175693814X14035303880830.↩︎

  18. Margherita Tufarelli, Design, Heritage e cultura digitale: Scenari per il progetto nell’archivio diffuso (Firenze: Firenze University Press, 2022), https://doi.org/10.36253/978-88-5518-524-0.↩︎

  19. Eleonora Lupo, “Beyond social innovation: design as cultures active-action,” in A Matter of Design. Making Society Though Sciences and Technology. Proceedings of the 5th STS Italia Conference, a cura di Claudio Coletta et al. (STS Italia Publishing, 2014), 137–54.↩︎

  20. Marie Riegels Melchior e Birgitta Svensson (a cura di), Fashion and Museums. Theory and Practice (Londra: Bloomsbury, 2014).↩︎

  21. Marco Pecorari, “Fashion archives, museums and collections in the age of the digital,” Critical Studies in Fashion and Beauty, Vol. 10, no. 1 (2019): 3–29, https://doi.org/10.1386/csfb.10.1.3_7. Angelica Vandi, “Dealing with Objects, Dealing with Data. The Role of the Archive in Curating and Disseminating Fashion Culture through Digital Technologies,” ZoneModa Journal, Vol. 13, no. 1S (2023): 155–68, https://doi.org/10.6092/issn.2611-0563/17935.↩︎

  22. Anne J. Gilliland, Andrew J. Lau, e Sue McKemmish, “Pluralizing the Archive,” in Archives for Maintaining Community and Society in the Digital Age, a cura di Keiji Fujiyoshi, 61–70 (Singapore: Springer, 2021). https://doi.org/10.1007/978-981-15-8514-2_7.↩︎

  23. Margherita Tufarelli, Design, Heritage e cultura digitale: Scenari per il progetto nell’archivio diffuso (Firenze: Firenze University Press, 2022) https://doi.org/10.36253/978-88-5518-524-0.↩︎

  24. Kevin Almond, “Disrupting the Fashion Archive: The Serendipity of Manufacturing Mistakes,” Fashion Practice, Vol. 12, no. 1 (January 2, 2020): 78–101, https://doi.org/10.1080/17569370.2019.1658346.↩︎

  25. Glenda Galeotti, Giovanna Del Gobbo e Francesca Torlone, Le valenze educative del patrimonio culturale. Riflessioni teorico-metodologiche tra ricerca evidence based e azione educativa nei musei (Roma: Aracne, 2018).↩︎

  26. Marion Lean, 2020, Materialising data experience through textile thinking, [PhD thesis], Royal College of Art.↩︎

  27. Caroline Evans e Alessandra Vaccari (a cura di), Time in Fashion (Londra-New York: Bloomsbury, 2020).↩︎

  28. Luciana Lazzeretti e Francesco Capone, “Cluster evolution in mature Industrial clusters. The case of Prato Marshallian Industrial District after the entrance of the Chinese firms (1945-2011),” in DRUID Summer Conference 2014, 1–19, 2014.↩︎

  29. Troy Nachtigall, Data as a material for fashion (Utrecht: Eburon Academic Publishers, 2021).↩︎

  30. Enzo Rullani, “Economia della conoscenza,” La Rivista delle Politiche Sociali, Vol. 4 (2009): 261–285.↩︎

  31. Christian Barrère e Sophie Delabruyère, “Intellectual property rights on creativity and heritage: the case of the fashion industry,” European Journal of Law and Economics, Vol. 32, no. 3 (2011): 305–39, https://doi.org/10.1007/s10657-011-9230-2.↩︎

  32. Mikael Wiberg, “Methodology for materiality: interaction design research through a material lens,” Personal and Ubiquitous Computing, Vol. 18, no. 3 (2014): 625–36, https://doi.org/10.1007/s00779-013-0686-7.↩︎

  33. Troy Nachtigall, Oscar Tomico, Ron Wakkary e Pauline Van Dongen, “Encoding Materials and Data for Iterative Personalization,” in CHI ’19: Proceedings of the 2019 CHI Conference on Human Factors in Computing Systems, (New York: Association for Computing Machinery, 2019), 1–12. https://doi.org/10.1145/3290605.3300749.↩︎

  34. William Gaver, “What should we expect from research through design?,” in CHI ’12: Proceedings of the SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems (New York: Association for Computing Machinery, 2012), 937–46. https://doi.org/10.1145/2207676.2208538.↩︎

  35. Kristina Andersen et al., “Digital Craftsmanship in the Wearable Senses Lab,” in ISWC 2019 – Proceedings of the 2019 ACM International Symposium on Wearable Computers (New York: Association for Computing Machinery, 2019), 258.↩︎