ZoneModa Journal. Vol.14 n.1 (2024), 149–151
ISSN 2611-0563

Rara Avis. Moda in volo alle Uccelliere Farnesiane, a cura di Sofia Gnoli, organizzata e promossa dal Parco Archeologico del Colosseo, Uccelliere Farnesiane, Roma 24 Aprile - 21 Luglio 2024

Vittoria Caterina CaratozzoloSapienza Università di Roma (Italy)

Pubblicato: 2024-07-11

Fin dall’inizio di questo secolo gli studiosi di Fashion Studies attraverso la maturazione teorica del cruciale passaggio dalla dress museology alla fashion museology hanno contribuito a mutare le condizioni del confronto tra moda e istituzioni museali, neutralizzando quelle dinamiche oppositive che avevano ingabbiato la moda nella categoria dell’effimero e del frivolo. Se oggi guardiamo al loro rapporto attraverso la lente prismatica del patrimonio culturale, moda e istituzioni museali sembrano esaltarsi in una reciprocità che si esprime, in particolare, nelle modalità esplorative e narrative innescate dall’interazione di presente e passato.

Esemplare da questa prospettiva è la mostra Rara Avis. Moda in volo alle Uccelliere Farnesiane, inaugurata a Roma il 24 aprile e ospitata fino al 21 luglio nei due padiglioni per uccelli all’interno degli Horti Farnesiani sul Palatino, con la direzione artistica di Sofia Gnoli, studiosa e curatrice di moda, in collaborazione con Alfonsina Russo, Direttrice del Parco archeologico del Colosseo a cui si deve l’organizzazione e la promozione dell’evento espositivo.

Nelle pagine introduttive dell’elegante catalogo che accompagna la mostra con saggi di approfondimento e con il supporto di un raffinato apparato iconografico e (Rara Avis. Moda in volo alle Uccelliere Farnesiane, a cura di Sofa Gnoli, Marsilio Arte 2024), la direttrice Russo sottolinea come, ancor più che in altri casi, la mostra Rara Avis — oltre a confermare la vocazione del Parco archeologico del Colosseo ad intercettare le “energie” creative che vivificano e innervano di attualità i suoi importanti complessi architettonici — abbia tratto ispirazione dal genius loci. La mostra ne è prova tangibile attraverso l’esposizione di undici preziosi abiti-uccello e di una selezione di accessori aviari — sorta di “ornitologia della couture” — nei due Padiglioni gemelli che i Farnese fecero costruire nel XVII secolo per ospitare uccelli rari ed esotici in virtù del sedimentarsi della dimensione intellettuale e culturale allora acquisita dall’interesse per i volatili.

Se la mostra è riuscita con esito felice a restituire idealmente le Uccelliere all’uso per cui vennero concepite, operando una congiunzione di intenti creativi e spettacolari apprezzabili tanto nell’impianto espositivo che nell’incanto della fruizione, lo si deve anche al movimento audace che la moda compie senza tregua tra immaginario e oggetti materiali.

Il percorso della mostra si snoda in tre distinte sezioni: Il Mito, Caleidoscopiche visioni e Le ALI, irreALI, reALI — La alata fantasia di Anna Piaggi.

La voliera a Est, nota come Uccelliera Vecchia, è dedicata alla forza esemplastica del Mito, rappresentata con sapienza dallo scatto di Giovanni Gastel, Zeus in forma di cigno e Leda. L’opera, tratta dalla serie Metamorfosi (1999/2017), introduce il percorso, di cui è anche immagine guida, predisponendo lo sguardo all’individuazione di un territorio intermedio in cui forme materiali e immateriali convergono, trasfondendosi, in uno stesso campo di energia restituito dall’allestimento immersivo in 3D. Effetti sonori e luminosi di strali creano uno scenario sospeso tra cielo e terra, là dove il divino si manifesta nella forma degli abiti-uccello realizzati nei colori del nero, del bianco e dell’oro. Sono i suggestivi abiti cigno di Alexander McQueen per Givenchy (1997) e di Maria Grazia Chiuri per Dior (2022), come pure l’abito Arcangelo (2018) di Donatella Versace o La Vittoria del Colibrì (2024) di Tiziano Guardini. Che siano realizzati adoperando piume naturali o imitandone l’effetto con materiali tessili, tutti rappresentano — inclusi gli abiti esposti nella sezione Caleidoscopiche visioni — la vocazione della moda a farsi espressione di “una forma di vita inter-specifica”. Osserva Emanuele Coccia nel saggio in catalogo “Livree da sogno. L’abito come luogo di metamorfosi”: “[…] la moda è sempre una forma di vita inter-specifica, l’esperienza letterale, di entrare nella vita di un’altra specie: vestirsi significa sempre mettersi nella pelle altrui, vivere dal punto di vista di un’altra specie, trasformare un corpo di altre forme di vita nella nostra pelle. (p.72) […] Si potrebbe dire che cercando di trasformarci in uccelli gli abiti vogliano liberarci da questa ossessione per le identità. Ci vestiamo per poter essere qualsiasi cosa e coincidere, per interposta pelle, con la tenue sostanza dei sogni di tutta la Terra.” (p.75)

La tensione verso forme di vita metamorfiche informa tutto il percorso espositivo sia in chiave surreale, quando a interpretarla sono gli accessori della singolare collezione di Anna Piaggi, sia come espressione del fantastico nella sezione Caleidoscopiche visioni, allestita all’interno dell’Uccelliera Nuova. In questo secondo padiglione — caratterizzato da una voliera edenica in 3D che evoca i tetti ogivali introdotti nel complesso architettonico in occasione della sua costruzione — si rincorrono abiti-uccello la cui immagine variopinta viene moltiplicata ad libitum da superfici a specchio su cui si infrangono le barriere dell’identità. Si va dal bolero-pappagallo in piume, confezionato dal maestro piumaio Nelly-Saunier per Jean-Paul Gautier (1997), alle ali ricamate in taffetà e organza di un rapace del Sudafrica ricreato in atelier da Roberto Capucci (1982); dall’abito-guaina in velluto nero, firmato da Thierry Mugler (1997), con coloratissime ali piumate a metà tra la farfalla e l’uccello del paradiso, all’abito corsetto in organza con piume di gallo e di fagiano di Dolce & Gabbana (2020); dall’abito sontuoso in pizzo e mantello con ali decorate con cristalli, perle e paillette di Gucci, all’abito pavone di Prada in faille di seta con intarsio multicolore e, ancora, all’abito Hypnosis di Iris Van Herpen (2019-20) in mylar, metallo, tulle e seta tagliato a laser con lavorazione in 3D.

Tutti gli abiti in mostra, valorizzati nelle loro raffinate lavorazioni dalle pose versatili e simpatetiche dei manichini La Rosa, evocano il rapporto di elezione che la moda ha intrecciato con le piume nel corso degli ultimi secoli. Ne fanno un excursus storico i saggi in catalogo di Karen Van Godtsenhoven e di Peter McNeil. Lo studioso, in particolare, si sofferma su alcune circostanze socio-culturali che hanno segnato il destino delle piume negli abiti e negli accessori. Un destino governato tanto dal desiderio quanto dal disgusto, a seconda delle diverse sensibilità che hanno animato e informato la creatività nel vestire e che sembrano trovare in mostra una loro peculiare rappresentazione nell’emblematico Angel or Devil? il copricapo alato in piume oro e cuoio realizzato da Stephen Jones (2020). La compresenza di questi sentimenti contrastanti viene anche presa in esame da Simona Segre Reinach nel saggio dal significativo titolo “Volare Alto. Verso un’industria più etica e responsabile”. L’antropologa e studiosa di moda ricorda come le prime proteste e le prime conquiste in fatto di protezione di alcune specie di uccelli a rischio di estinzione provengano dalla moda. Le varie battaglie contro lo sterminio di uccelli per ornare abiti, cappellini e altri accessori, iniziate a fine Ottocento sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, trovano oggi, nella nostra epoca globalizzata, la loro espressione contemporanea. Sebbene — osserva Segre — “(quasi) nessuno o nessuna desider[i] più un abito o un cappellino ornato con un cadavere di uccello” (p.118), ancora molto va fatto per sensibilizzare i marchi di moda e i fruitori a mettere definitivamente fine allo sfruttamento di ogni sorta di materiale proveniente dal mondo animale. Basti pensare alla pervasiva moda dei piumini che ancora in buona parte ricorre all’uso di piume ricavate attraverso la pratica dolorosa della spiumatura di anatre e oche.

Con l’esposizione del recente abito di Tiziano Guardini, La Vittoria del Colibrì, realizzato con piume plissettate di seta non violenta, la mostra Rara Avis si proietta verso l’immaginario di un “vestire gentile”. Il nome dell’abito è stato suggerito al designer da un’antica fiaba africana; la storia è quella di un colibrì che di fronte a un incendio scoppiato nella foresta decide di prendere nel becco una goccia d’acqua da versare sul fuoco. Inizialmente deriso dagli altri animali, il colibrì non si scoraggia e continua con tenacia e generosità a svolgere il suo compito. Infine il suo comportamento si dimostra vincente con il plauso degli altri animali che ne seguono l’esempio.

L’abito è testimonianza di una Ecouture che promuove una moda senza sacrificio animale, facendosi così portatrice di una re-immaginazione etico-estetica del vestire.