ZoneModa Journal. Vol.14 n.1 (2024), 141–147
ISSN 2611-0563

Moda, progetto, disegno. Walter Albini (a cura di Matilde Alghisi e Paola Pagliari), CSAC – PARMA, 14 ottobre 2023 – 14 aprile 2024

Dorothea BuratoUniversità di Bari (Italy)

Pubblicato: 2024-07-11

“Se Walter Albini, non fosse mai esistito,
sarebbe stato certamente immaginato”.

Maria Luisa Frisa

Conosciuto come il padre italiano del prêt-à-porter, Walter Albini (Busto Arsizio, 1941 — Milano, 1983) è sicuramente uno degli stilisti che più hanno contributo a modificare le relazioni all’interno del sistema moda. Appassionato di moda e instancabile disegnatore di abiti fin da bambino, Albini viene indirizzato dalla famiglia agli studi classici, ma abbandonerà presto questo percorso per iscriversi all’Istituto d’Arte del Comune di Torino. Appena ventenne parte per Parigi, dove soggiornerà fino al 1964; un periodo breve, quello francese, ma decisivo. È nella capitale della moda che Albini si confronta infatti con due mostri sacri dell’Haute Couture, Paul Poiret e Coco Chanel: al primo sarà dedicata la sua prima collezione, Le mille e una notte, disegnata per lo stilista Gianni Baldini; l’incontro con la seconda, al cui modello e stile si ispireranno molte delle sue creazioni, sarà fondamentale per le successive tappe del suo percorso. Ma a Parigi lo stilista incontra anche Mariuccia Madelli (Krizia), con cui collaborerà dopo il suo rientro in patria a fianco dell’esordiente Karl Lagerfeld.

L’Italia è in quegli anni in fermento, così come il settore industriale, dove la produzione tessile cresce nei distretti dislocati lungo tutto lo stivale. Dalla fine degli anni Sessanta lo stilista collabora con boutique e aziende quali Billy Ballo, Glans, Annaspina, e partecipa alle più importanti manifestazioni del Paese, pensiamo a Palazzo Pitti, MareModa Capri e Idea Como. L’interesse italiano per la moda francese è ancora vivo in quegli anni e sarà proprio Albini, intervistato nel 1967, a denunciare la mancanza in Italia di una reale “cooperazione fra chi fabbrica tessuti, chi fa gli accessori e i bottoni e chi disegna i vestiti gli stilisti italiani”, poiché gli stilisti italiani, al contrario di quelli d’oltralpe, “non sono concordi nel lanciare insieme un tessuto, una linea, un colore” e che manca”.1

Nel 1970, con la presentazione a Pitti della collezione P/E 1971 — Safari Look, Rendez Vous e Militare — la stampa internazionale ne decreta il successo e, due anni più tardi, lo stilista decide di lasciare lo storico Palazzo Pitti di Firenze a favore di Milano. Un gesto, questo, che presenta diverse analogie con quanto avvenuto nel 1951, quando Giovanni Battista Giorgini organizza la prima sfilata cumulativa della moda italiana a Firenze, decretando — di fatto — “la nascita” del Made in Italy. Come affermato da Gloria Bianchino, lo stacco di Albini dalla pedana fiorentina coincide con un’operazione ben più complessa di un semplice cambio di sede: con la Collezione Unitaria per la stagione A/I 1971-72, lo stilista disegna in esclusiva i modelli per cinque case di moda indipendenti che si avvalgono dello stesso distributore (FTM) e si specializzano in differenti settori (dalla camiceria ai coordinati in jersey), rivolgendosi di conseguenza ad un diverso tipo di pubblico. Il risultato è l’ideazione unitaria di cinque collezioni di differente genere vestimentario, presa nella consapevolezza che una diversa concezione dei rapporti tra progettazione e produzione, nell’ambito della moda, è ormai necessaria. È l’idea del total look e, contemporaneamente, l’avvento del prêt-à-porter. Se, come suggerisce Paolo Volontè, la portata reale di tale cambiamento non è stata subito colta dagli osservatori del tempo, è in Albini che va individuato il precursore delle strade intraprese successivamente dai grandi stilisti che hanno reso egemone la moda italiana degli anni Ottanta.2

Albini è stato insomma il “prototipo dello stilista, di quella figura professionale che nasce dalle esigenze di un nuovo pubblico che vuole un abito di qualità segnato da uno stile riconoscibile, senza le attese della sartoria, ma nemmeno i limiti dei grandi numeri e della monotonia della confezione”.3 La carica innovatrice non si esaurisce però qui. Come sottolineato Valentina Rossi, infatti, nelle collezioni di Albini emerge — in modo pionieristico — anche il concetto di gender, come dimostra per esempio la collezione maschile A/I 1975-76, in cui lo stilista indossa alcuni capi “invertendo con una leggera dose di ironia e disimpegno i confini di genere attraverso un cortocircuito identitario con la modella Vincenzini”.4 Questo secondo aspetto ci dimostra che Albini è stato anche un outsider della mise-en-scène della moda. La presentazione delle collezioni è da sempre il luogo privilegiato di messa in scena del corpo, oltre che dell’abito, esplicando la modalità di rapportarsi del corpo nello spazio. Se le sfilate assumono oggi sempre più la forma di “eventi” irripetibili, all’avanguardia, anche multimediali, in cui la performance corporea interagisce con gli artifici digitali oltre che con i capi, attraverso una reinterpretazione della sfilata, Albini ha contribuito negli anni Settanta all’introduzione di un nuovo linguaggio comunicativo (dove lo stesso stilista diviene indossatore e — di conseguenza — primo fruitore della propria moda), mettendo in scena se stesso e modificando per sempre la pratica rappresentativa della moda.

A pochi anni dalla scomparsa, l’opera di Walter Albini è stata oggetto di una prima importante esposizione, curata da Gloria Bianchino e allestita presso il Salone delle Scuderie della Pilotta di Parma nel 1988. In quella occasione il materiale posseduto dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma (CSAC) relativo all’attività dello stilista — una delle più esaustive ed eterogenee raccolte documentarie dello stilista costituita da circa cinquemila materiali progettuali, donati nel 1983 da Paolo Rinaldi e nel 1988 da Marisa Curti — era stato oggetto di una prima intelligente lettura critica, che ha posto l’attenzione sui “problemi” culturali dell’opera di Albini piuttosto che focalizzarsi sulla sua biografia e le vicende del privato.

In occasione del quarantennale dalla scomparsa dell’artista, prendendo le mosse da quella prima importante esposizione e attingendo all’imponente patrimonio posseduto,5 il CSAC ha voluto restituire la sua visione avanguardistica e il suo estro creativo con la mostra Walter Albini, curata da Matilde Alghisi e Paola Pagliari, che ha esplorato la storia creativa dello stilista attraverso una selezione di disegni, documenti, abiti, bozzetti, fotografie, release delle sfilate e articoli appartenenti alla rassegna stampa del periodo. La mostra ha proseguito la serie di esposizioni allestite nella Sala delle Colonne, caratterizzata dalla proposta di approfondimenti condotti da conservatori e collaboratori del Centro su temi specifici, esito di approfondite ricerche in archivio.

Ampio spazio è stato destinato al disegno, elemento fondamentale nel percorso creativo di Albini, strettamente legato alla cultura jugend e influenzato a più riprese da Paul Poiret, dallo stile Liberty ma anche dalle esperienze grafiche del Bauhaus e del Costruttivismo. Realizzati su supporti cartacei di fattura pregiata e spesso caratterizzati dalla presenza di campionature di tessuto applicate al foglio — indicative dello stretto legame con la macchina industriale che contraddistingue la produzione in serie — questi disegni rivelano il modus operandi di Albini, contrassegnato da una progettazione totale del look. Questo aspetto è evidenziato dalla presenza sul foglio degli schizzi di accessori, gioielli, spille e acconciature. Ma accanto ai disegni, la mostra è riuscita a fa emergere l’importanza dell’intero processo creativo e produttivo della moda proposta da Albini. Come affermato dalle curatrici, infatti, la ricerca compiuta dallo stilista in merito alla scelta dei tessuti e alle modalità della produzione industriale, ha avuto un’importanza fondamentale, contribuendo ad avvicinare la moda alle persone, al loro lavoro, congiuntamente ai cambiamenti culturali della Milano dei primi anni Settanta, attivando una vera e propria rivoluzione nell’ingranaggio produttivo. Albini è stato non solo il padre italiano del prêt-à-porter, ma anche fautore di un nuovo progetto dell’abito che, attraverso il ripensamento del ruolo della donna nella società, ha dato avvio a una trasformazione epocale del linguaggio della moda.

Foto scattate da Laboratorio Fotografico CSAC.
Foto scattate da Laboratorio Fotografico CSAC.
Foto scattate da Laboratorio Fotografico CSAC.
Foto scattate da Laboratorio Fotografico CSAC.

Bibliografia

Bianchino, Gloria, a cura di. Walter Albini. Parma: CSAC dell’Università di Parma/Comune, 1988.

Degl’Innocenti, Daniela e Erica Morini, a cura di. Walter Albini. Il talento, lo stilista. Firenze: Skira, 2024.

Frisa, Maria Luisa e Stefano Tonchi. Walter Albini e il suo tempo. L’immaginazione al potere. Venezia: Marsilio, 2010.

Rossi, Valentina. “Walter Albini on the Nuances of Camp.” ZoneModa Journal, Vol. 13.2 (2023): 17–40.

Sozzani, Carla. Walter Albini. Milano: Carla Sozzani, 1990.


  1. Si veda: Gloria Bianchino, a cura di. Walter Albini (Parma: CSAC dell’Università di Parma/Comune, 1988), 7.↩︎

  2. Paolo Volontè, “Walter Albini e la nascita del prêt-à-porter italiano.” In Walter Albini. Il talento, lo stilista, a cura di Daniela Degl’Innocenti e Erica Morini (Firenze: Skira, 2024), 13.↩︎

  3. Maria Luisa Frisa e Tonchi Stefano, Walter Albini e il suo tempo: l’immaginazione al potere (Venezia: Marsilio, 2010), 11.↩︎

  4. Valentina Rossi, “Walter Albini on the Nuances of Camp.” ZoneModa Journal, Vol. 13.2 (2023): 18.↩︎

  5. Parte di questo materiale è attualmente esposto alla mostra dedicata a Walter Albini e organizzata dalla Fondazione Museo del Tessuto di Prato.↩︎