“Agli occhi dell’abbandonato Firenze insomma sembra proporsi oggi come l’unica capitale italiana di questi anni ottanta e non solo per l’ecclettismo dei suoi personaggi che alla tetraggine del mito della professionalità oppongono — come fosse questione di altissimo lignaggio — un sublime dilettantismo ecclettico che permette loro di costituirsi in tutto e per tutto come “Fauna d’Arte”; ma anche per la varietà delle proposte, dei momenti di incontro, degli scambi di conoscenza.”
(Pier Vittorio Tondelli, Fauna d’Arte, 1984)
Il brano di Pier Vittorio Tondelli appena riportato, pubblicato nel numero zero della rivista fiorentina Westuff, permette di inquadrare il clima nel quale fu ideata e realizzata la manifestazione Pitti Trend. Nella letteratura critica dedicata alla moda italiana, la storia di questo salone è restituita in maniera frammentata, oscurata dalla rilevanza internazionale che la città di Firenze aveva assunto in occasione del fashion show ideato da Giovanni Battista Giorgini nel 1951 e dalla crescente reputazione che Milano si era conquistata a partire dagli anni settanta e per tutto il decennio seguente.1
Pitti Trend, che si esaurisce in soli quattro anni (1985–88) e otto edizioni, si innesta nel contesto culturale particolarmente vivace della città di Firenze, caratterizzato da uno spirito sovversivo e innovativo che coinvolge campi diversi — musica, arte, letteratura, design, teatro, computer grafica — con una trasversalità facilitata dal veicolo comunicativo più determinante: il mondo giovanile. Ed è proprio questo il settore su cui punta la manifestazione, nata con il proposito di valorizzare la moda prodotta dai giovani per i giovani e offrire una vetrina agli stilisti emergenti, ancora outsider rispetto al sistema della moda italiano già molto strutturato e milanocentrico.
Il salone agisce come aggregatore di proposte sperimentali e individua un nuovo target e un nuovo tipo di prodotto che sottende un riequilibrio di forze tra produzione artigianale e industriale, polarità su cui si fonda il prêt-à-porter italiano. In questo contesto, la moda mobilita le ricerche di motivati e agguerriti laboratori giovanili inter-reagenti tra letteratura, musica, arti visive e teatro, e offre loro una vetrina sulla città e sul mondo, esplicitando scenari intermediali della postmodernità alternativi a quelli proposti negli stessi anni a Milano.
La vocazione culturale di Pitti Trend si precisa nel corso delle otto edizioni del salone fiorentino. Le proposte di moda convogliano sperimentazioni nei nuovi media, happening gastronomici, spettacoli musicali, esposizioni, conferenze e dibattiti. Il salone costruisce dunque un “itinerario dei percorsi alternativi all’autostrada della moda”2 oltre la moda, all’insegna del “sublime dilettantismo ecclettico” di cui parla Tondelli nella citazione in apertura e su cui insiste nel suo romanzo critico sugli anni ottanta, un viaggio nell’Italia postmoderna.3
A partire da Pitti Trend, il contributo intende indagare la funzione della moda come agente catalizzatore del fermento creativo che nel corso degli anni ottanta ha attraversato Firenze, rendendola una delle capitali della cultura postmoderna italiana. Inoltre, la natura internazionale del salone fiorentino, concepito come vetrina della moda d’avanguardia, nel favorire la partecipazione di giovani designer italiani e fiorentini offre l’occasione per una riflessione più generale che riesamini la storia culturale della moda italiana.
Post-avanguardia made in Firenze
Poesia visiva e architettura radicale sono le due aree di sperimentazione che alla fine degli anni sessanta avevano siglato l’attualità di Firenze nel contesto delle neoavanguardie internazionali. Se la reputazione di città sede e sinonimo dell’arte italiana tout court aveva oscurato visibilità e incidenza di questi fenomeni, che però avevano rapidamente avuto risonanze altrove, la solida fortuna bibliografica di cui ormai godono ha talvolta penalizzato indagini su episodi non marginali per l’aggiornamento delle sperimentazioni artistiche condotto negli anni settanta e ottanta. Proseguendo la lettura d’insieme avviata dalle quattro mostre e cataloghi di Continuità. Arte in Toscana 1945–2000, prodotti all’inizio del nuovo secolo dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato secondo un taglio critico condizionato dall’occasione espositiva,4 il più recente Arte a Firenze 1970–2015 ricostruisce modi e funzioni del sistema contemporaneo dell’arte nella città toscana.5 In particolare, le esperienze di luoghi alternativi ai circuiti ufficiali, come la galleria Schema (1972–94), lo spazio Zona (1974–85), lo studio d’arte Il Moro (1970–90), e progetti editoriali come Westuff (1984–87) permettono di inquadrare la vitalità culturale di una Firenze non solo aperta al respiro internazionale, crocevia di idee e persone, ma anche impegnata nel proiettare la propria storia “in prospettiva”. All’inizio degli anni ottanta, la città è un luogo di aggregazione per artisti, scrittori, poeti provenienti dall’Italia, dall’Europa e dagli Stati Uniti, tra cui lo stesso Pier Vittorio Tondelli, Fernanda Pivano e David Leavitt; vi sono compagnie di teatro sperimentale, come i Magazzini Criminali e i Krypton, in campo musicale gruppi emergenti come i Litfiba e i Diaframma. In questo contesto gli studi riconoscono alla moda una forza attrattiva, ricondotta soprattutto all’indotto tessile di Prato, ma rimane inespressa la possibilità di cogliere la capacità aggregante che una manifestazione come Pitti Trend esercitò nel movimentato panorama culturale fiorentino, proiettando a livello internazionale un’immagine aggiornata della moda italiana, oltre la moda.
In questo caso, un esame critico degli sconfinamenti disciplinari che caratterizzano gli anni ottanta, e di cui la moda per propria natura si nutre, è stato penalizzato da diversi fattori: dal vincolo di un’analisi settoriale circoscritta all’“arte”, forse anche dalla resistenza verso una disciplina ibrida come la moda (riluttanza che ne limita una lettura integrata ai fenomeni artistici) e non ultimo dal condizionamento storiografico che riconduce l’immagine di Firenze al fashion show voluto da Giorgini nel 1951.
La prima edizione di Pitti Trend si tiene a Firenze tra il 2 e il 4 marzo del 1985. Franco Tancredi, l’allora presidente del Centro Moda Firenze (già Centro di Firenze per la Moda Italiana), nella conferenza stampa del febbraio dello stesso anno descrive l’intento con cui il centro aveva concepito la manifestazione, “destinata a individuare i nuovi modi, le formule, le innovazioni strutturali del fare moda”.6 Il concetto di “nuovo”, termine che nella comunicazione del Centro Moda è utilizzato come sinonimo di “avanguardia”, è esplicitato dalla presenza, accanto a marchi già affermati come Gaultier Public (produzione Gibò), CG Calugi e Giannelli, del settore chiamato The outsiders. Qui sono presentate le creazioni di giovani stilisti — come il fiorentino d’adozione Samuele Mazza, i romani Tangenziale Moda e lo scozzese Scott Crolla — che indipendentemente dai gruppi industriali propongono idee moda originali di cui seguono anche la produzione e la successiva commercializzazione in punti vendita spesso autogestiti. Per la maggior parte, si tratta di una moda che nasce dal negozio e che quindi non è imposta, ma è mediata tra chi la vende e chi la indossa. Una moda che non è sinonimo di moda basic o casual. In questo senso, sembra evidente lo sforzo del centro fiorentino di tornare a essere un punto di riferimento per questo segmento di mercato, aggiornando la formula di un altro salone di cui era stato promotore, Pitti Casual (chiuso nel 1984), raccogliendo l’eredità di Pitti Donna (unificato a Pitti Maglia nel 1982) e valorizzando il successo della moda maschile coronato dal consolidamento di Pitti Uomo, nato nel 1972 e ancora oggi di rilevanza internazionale.
Il Centro Moda Firenze, che nella seconda metà degli anni sessanta aveva ceduto a Roma il ruolo di città dell’alta moda e ufficiosamente a Milano quello di città del prêt-à-porter femminile, con Pitti Trend cerca un posizionamento nella cangiante geografia della moda italiana degli anni ottanta, coprendo un segmento produttivo e commerciale —la moda giovane — alternativo al casual, spesso confezionato in laboratori piccoli e piccolissimi, quindi difficile da censire e non ancora sufficientemente valorizzato. Non manca la risposta competitiva del capoluogo lombardo, che dal 1986 ospita manifestazioni analoghe — tra cui Neomoda e Contemporary — presto inglobate nel potente sistema fieristico milanese.
Scorrendo la documentazione conservata presso l’archivio storico di Pitti Immagine,7 colpisce la ricchezza di mostre ed eventi collaterali concepiti a corona del salone Trend con il preciso intento di “provocare” gli spazi della città di Firenze, nutrendone e accrescendone la vivacità culturale, e creando atmosfere da “festa mobile”. Queste proposte disseminano lo spirito provocatorio della manifestazione, che risuona con forza ancora maggiore se confrontato con il programma di mostre, per lo più celebrative di glorie antiquarie e rinascimentali, allestite in città negli stessi giorni di Pitti Trend, segnalate a ogni edizione dal Centro Moda a compratori e stampa, insieme ad altri luoghi d’interesse: video bar, discoteche, hair stylist, gallerie d’arte e boutique.8
Sono proprio queste ultime, in occasione del lancio della manifestazione, a offrire il palcoscenico Trend in città e, al contempo, a cogliere, coagulare ed esprimere quelle tensioni giovanili che pervadono le ricerche d’avanguardia e che a Firenze si sintonizzano perfettamente con la moda, utilizzata come medium di conoscenza e sismografo dell’aria intorno. Vetrine ad arte è un’idea di Progetti Speciali, ovvero Bruno Casini, Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, società che contribuirà a definire la fisionomia del salone. Il gruppo negli stessi anni dà vita a Westuff, rivista fiorentina che lavora combinando vari ambiti della creazione — arte, moda, architettura, teatro, musica — e che sin dall’esordio dichiara la volontà di catalizzare le nuove energie di una città in fermento, di guardare attraverso questa città e attraverso le presenze che accoglie alla scena artistica italiana e internazionale, in particolare alle grandi capitali come Londra, Parigi e New York.9 Le vetrine delle boutique di ricerca del centro storico sono allestite ad hoc con creazioni di giovani artisti e designer, spesso riunitisi in collettivi di nuova formazione, così da plasmare “un percorso di arte, architettura e design”,10 unificato dal fattore moda. Alcuni di loro sono per prima volta a Firenze, come il milanese gruppo Zeus, che riorganizza gli spazi di Luisa via Roma con un impegnato discorso sull’arte, i neofuturisti Plumcake, tenuti a battesimo a Milano dal gallerista Luciano Inga-Pin, che operano per Gerard, e il quasi bolidista Massimo Iosa Ghini, che arreda con proposte futuribili il negozio di Ermanno Daelli. Tra i fiorentini vi è Ruben Modigliani, che per Fiorucci recupera la tradizione della Pop Art americana prelevando immagini dal décor quotidiano; e ancora, mentre Marco Affinati propone per E.A.S. un arredo informale metropolitano, da Frutta e Verdura il gruppo Elettra Design crea combinazioni ecclettiche con note barocche; infine il veneziano Marco Rotelli trasferisce le sue ricerche sulla luce da Sandro P.11
Queste collaborazioni, ben lungi dall’essere eccezionali, attivano discorsi sull’avanguardia in grado di attraversare tempi e spazi del salone Trend, che offre così una piattaforma per presentare coralmente le ricerche in corso. Lo stesso Massimo Iosa Ghini, insieme a Maurizio Corrado e Mauro Matteucci del gruppo bolognese Alcuni Giovani Occidentali (AGO), studia l’allestimento del Palazzo degli Affari, sede di stand e spazi espositivi temporanei delle prime sei edizioni di Pitti Trend, con elementi in gomma, acciaio e legno a suggerire immagini del fumetto fantastico.12 Plumcake sono richiamati a Firenze, insieme ad Abate, Bonfiglio, Innocente, Lodola, Palmieri e Postal, per la mostra che Progetti Speciali dedica al nuovo futurismo, Saluti dall’Italia, inaugurata il 10 maggio 1985 nello showroom Luisa via Roma.13
Andrea Panconesi, titolare della boutique fiorentina, sostiene le attività culturali di Progetti Speciali, finanziando dal secondo numero Westuff e nutrendo al tempo stesso le manifestazioni di moda promosse dal suo negozio.14 Nell’ambito di Pitti Trend II, il 20 settembre 1985 Luisa via Roma inaugura la mostra Firenze–Londra arte e moda 1985, voluta dallo stesso Panconesi insieme a Isabel Fraysse e Vittoria Fernandez, in cui sono presentate le collezioni A/I 1985–86 di alcuni stilisti della scena inglese in dialogo con le opere di giovani artisti londinesi, come Troyan, Peter Foster, Holly Warburton, Peter Doig, Tom Dixon, John Maybury, The Cloth. Le parole degli organizzatori restituiscono bene la natura dell’operazione: “Abbiamo scelto Firenze perché ricca di arte e tradizioni com’è sottolinea ancor di più il contrasto con questo tipo di tradizione avanguardistica, vistosa e scioccante”.15
Come osserva Bruno Casini, a Firenze l’avanguardia si identifica con la musica e con i club che di volta in volta si trasformano in teatro, palcoscenico, set fotografico e galleria d’arte.16 Questi luoghi aperti al contemporaneo sono il Banana Moon, in cui nasce il rock fiorentino e che al contempo accoglie le sperimentazioni sonore internazionali, il Casablanca, riferimento anche per le rassegne di cinema underground americano, e le discoteche Manila, Tenax e Monna Lisa, che negli anni ottanta diventano epicentri della cultura giovanile internazionale. Al loro interno si alternano concerti, dj set, mostre ed eventi culturali. Per quasi tutte le edizioni di Pitti Trend, questi luoghi offrono una pedana naturale alle sfilate-happening della moda dei giovani per i giovani — ad esempio quelle di Marco Querci, Samuele Mazza, Barbara Bai, Franco Biagini, Stefano Chiassai17 —, contaminando anche gli spazi della fiera, per una notte trasformata nella discoteca della Trend Generation, in cui l’eccentricità, nel look e nel comportamento, è d’obbligo.18
Con un atteggiamento oscillante tra recupero irriverente del passato e tensione al futuro, lo stesso che si ritrova nelle proposte di moda presentate in fiera, la generazione Trend invade con uno scenario visivo dedicato ai mostri della fantascienza degli anni cinquanta anche gli spazi dello storico Space Electronic,19 la discoteca radicale cardine della cultura underground degli anni settanta, ed è parte attiva nell’inaugurazione della nuova stella del clubbing fiorentino, il Paramatta.20
Il Centro Moda, per mostrare il collegamento tra il nuovo stilismo e gli altri campi della creatività giovane, porta a Pitti Trend anche le esperienze di grafica digitale, nuove per l’Italia del periodo, già a partire dalla seconda edizione. La regia di Computer Style è ancora una volta di Progetti Speciali, che coinvolge tre gruppi italiani attivi nel settore — Correnti Magnetiche di Milano, Dh Studio di Firenze e Crudelity Stoffe di Roma — nella rielaborazione grafica di schizzi e motivi delle collezioni presentate in fiera nei giorni 20–22 settembre 1985 (Pitti Trend II).21 L’ultima edizione del salone fiorentino si chiude con la videoinstallazione Puccini/Opera, quattro ambientazioni elettroniche di brani scelti dalle opere La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, Turandot del collettivo autoctono Giovanotti Mondani Meccanici (GMM), più volte presente a Pitti Trend sia in veste di autore sia in quella di curatore.22 Anche in questo caso si tratta di un progetto concepito appositamente per la fiera che si avvale della collaborazione degli stilisti Trend. I costumi di Maurizio Galante, Mirco Termanini, Sandro Pestelli, Massimo Rubini e Samuele Mazza, interpretati dallo styling di Loretta Mugnai, partecipano alla definizione delle pratiche di mediatizzazione delle arti performative condotte da GMM in questi anni.23
Lo stilista prossimo venturo, dopo l’età della firma
Durante le ricerche che abbiamo fatto per preparare questa manifestazione abbiamo scoperto che molti validissimi giovani fanno moda nell’ombra: purtroppo si conosce solo ciò che è molto pubblicizzato e loro fino ad oggi non lo sono stati. Quindi quello che ci prefiggiamo è di offrire nuovi talenti e nuovi orizzonti alla moda italiana: e lo possiamo fare perché qui non esistono organizzazioni che impediscono l’affermarsi del nuovo.24
Questa dichiarazione di Franco Tancredi, rilasciata al varo della manifestazione, restituisce bene il clima di competizione con il potente sistema fieristico milanese, promotore delle grandi firme, a cui Firenze risponde con un salone talent scout della moda giovane, un settore che — stando ai dati raccolti in una “scheda del comparto” che il centro fiorentino distribuiva a stampa e compratori — in quegli anni interessava un cospicuo numero aziende con ricadute interessanti in termini di occupazione, fatturato ed export.25 Tuttavia, la visibilità dei fashion designer italiani che rielaboravano le suggestioni provenienti soprattutto da Londra e New York risentiva della fama consolidata degli stilisti, ai quali era associato il successo internazionale del made in Italy.
Già all’inizio del decennio i resoconti militanti delle giornaliste di moda avevano denunciato la pervasività del prodotto firmato e un conseguente impoverimento della ricerca, motivo quest’ultimo che aveva spinto alcune aziende italiane a stringere rapporti di collaborazione con giovani stilisti provenienti dall’estero.26
La sinergia tra creativi internazionali e industria italiana si accentua nel corso degli anni ottanta, per ragioni diverse. Da una parte l’inflazione delle griffe degli stilisti causa una perdita di valore del prodotto moda, processo accelerato anche dalle critiche mosse dagli intellettuali all’intero sistema.27 Dall’altra l’esigenza degli imprenditori di mantenersi competitivi in un mercato sempre più globale, con consumatori sempre più informati ed esigenti nella valutazione del rapporto qualità/prezzo, impone scelte più prudenti e meno improntate alla sperimentazione creativa. In questo contesto il sodalizio tra stilista e industria viene ripensato anche in termini di immagine aziendale.
Emblematico in questo senso è il caso di Erreuno, l’azienda guidata da Graziella ed Ermanno Ronchi, che beneficia per quasi un decennio della collaborazione di Giorgio Armani. Nel 1988 il rapporto viene interrotto. La scelta ricade su un giovane designer francese — Eric Bergère — che, secondo Graziella Ronchi, permette all’azienda di emanciparsi dal complesso di inferiorità provato nei confronti dello stilista e puntare sulla solidità del prodotto, più che sul fascino della griffe.28
Pitti Trend, nelle intenzioni del Centro Moda Firenze, doveva far conoscere e promuovere gli stilisti emergenti, in particolare quelli che già possedevano una struttura produttiva e che potenzialmente rappresentavano la fascia sperimentale del made in Italy. In particolare, il sostegno offerto ai designer italiani si concretizzava anche attraverso la presentazione in una cornice internazionale delle ricerche dei giovani stilisti europei e americani, ma anche giapponesi e indiani, incentivando, attraverso il confronto, un rinnovamento della moda ideata e prodotta in Italia.
Una prova di quanto appena detto è il numero cospicuo di designer italiani selezionati in ogni edizione, provenienti per la maggior parte dalla provincia toscana, fiorentina in particolare, ed emiliano-romagnola, con presenze romane pressoché costanti.29 Un dato questo che chiarisce ulteriormente la connessione esistente tra la produzione e la diffusione della moda giovane in contesti, come quelli appena ricordati, in cui la cultura del clubbing era particolarmente vivace. La discoteca offriva infatti a ciascuno l’occasione per esibire la propria immagine, ottenuta spesso attraverso azioni di hackeraggio stilistico, e una passerella alternativa alla moda mainstream.
The outsiders è, non a caso, il settore che connota la manifestazione. È quello dedicato agli esordienti, per la maggior parte assidui frequentatori di club, spesso privi di formazione specifica nella moda; in alcuni casi commessi, quando non proprietari di boutique, in altri ideatori di piccole produzioni che spaziano dall’abbigliamento agli accessori e all’oggettistica. Operano individualmente, ma ancora più spesso si radunano in collettivi e scelgono nomi irriverenti, di cui la stampa parla con prudente divertimento, descrivendo quelle che erano proposte d’immagine, non tanto collezioni: Caput Mundi (Roma), Frutta e Verdura (di Loretta Mugnai, Firenze), Riflessi (Bologna), Tangenziale Moda (di Ubaldo Mancini e Patrizia Antinori, Roma), Zucchero (di Simonetta Casaroli, Bologna), Che fine ha fatto Baby Jane? (di Neri Torrigiani, Marco e Sabrina Querci e Alessandro Gaddo, Firenze).
Tra loro si contano marchi divenuti di successo, come Naj-Oleari e CG Calugi e Giannelli, mentre altri nomi, come Massimo Rubini, Sandro Pestelli e Annamaria Calosi, hanno compiuto un percorso professionale nella moda, seppur lontani dalla ribalta. Altri ancora, come Samuele Mazza, hanno scelto strade differenti. Numerose poi sono state le meteore.
Agli esordienti fanno da cornice altri giovani designer, già conosciuti nell’ambito della moda giovane, che dunque rappresentano un monito per i debuttanti, oltreché un’attrattiva più rassicurante per i buyer. Nutrita è la schiera di francesi e di inglesi, questi ultimi proveniente esclusivamente da Londra, che stava mantenendo il primato delle provocazioni e delle massime trasgressioni e la capacità di influenzare il mercato. Tra loro il designer di scarpe John Moore insieme a The House of Beauty and Culture (HOBAC), spazio creativo da lui fondato nel 1986 che darà il nome al collettivo di resistenza post-punk attivo fino alla fine del decennio,30 e John Galliano. Quest’ultimo figura tra i partecipanti del secondo Pitti Trend nel 1985 e come big nel febbraio di due anni dopo, quando insieme alla regina del punk Vivienne Westwood è invitato a esporre nella Trend Gallery, dedicata agli stilisti di tendenza già consacrati e allestita presso la Limonaia del Palazzo degli Affari.31
Significativa è inoltre la presenza a Firenze, nel settembre 1986, dei “sei di Anversa” — Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkembergs, Dries Van Noten, Ann Demeulemeester-Verhelst, Marina Yee, Dirk Van Saene —, che proprio in quegli anni avevano iniziato ad attirare l’attenzione dei media internazionali per la loro resistenza alle pratiche dell’establishment di moda e il loro approccio artistico alle sfilate, partecipando così alla costruzione della reputazione di Anversa come città della moda.32
Il settore Outsider è anche quello che esprime il variabile grado di sperimentalismo di Pitti Trend nel corso dei quattro anni di vita. Dalla terza edizione cambia nome e la marginalità rispetto al sistema moda insita nel termine “outsider” viene stemperata nel più inclusivo “guest”, che lo sostituisce. A partire dalla quinta edizione anche quest’ultimo scompare per dare spazio alle scuole di moda di tutto il mondo, enfatizzando così l’importanza della formazione professionale.
Da questo momento Pitti Trend cambia strategia e si allinea alle esigenze del mercato, ricercando e offrendo proposte più portabili e dunque vendibili. La manifestazione, che al suo esordio la pubblicistica definiva quasi unanimemente esibizionista e festaiola, talvolta stracciona, assume negli ultimi anni le caratteristiche di una mostra-mercato. L’ironia, il gioco, il travestimento e la provocazione cedono il posto a un rigore mainstream e, come osserva Luciana Boccardi a chiusura del sesto Pitti Trend, “il nuovo ‘trend’ è vestirsi con un pizzico di personalità ma in obbediente allineamento ai canoni della moda in passerella, cioè dalle sfilate ufficiali”.33 Finito il tempo del rischio, anche l’avanguardia cerca il consenso.
A questo cambio di rotta concorrono fattori di carattere economico, che per l’esigenza di contenere i costi portano ad accorpare Pitti Trend con altre manifestazioni del Centro Moda ospitate nella Fortezza da Basso, e politici, come la nomina nel 1987 a presidente e amministratore delegato del Centro di Marco Rivetti, patron del gruppo GFT e protagonista del connubio impresa-stilisti.
Oltre la moda verso l’immagine
“Trend” e “look” sono due parole chiave degli anni ottanta. La prima indica la positiva inclinazione verso una cultura avant-garde, sentita come trasgressione rispetto all’establishment, che si spalma su quasi tutto — riviste, club, moda, musica, teatro — e diventa tendenza. La seconda presuppone lo sguardo, il guardare e sapere di essere guardati. È l’apparire, che, quando diventa tendenza, impiega il corpo e l’abito come dispositivi per affermare codici estetici alternativi, identità spontanee di stile, modi di vestire e mode che originano dai suburbi metropolitani, dalla vita notturna, dalle tribù di club e discoteche, dai gusti musicali e da altri contesti d’origine o scelte d’elezione.
La ricerca di un’immagine che faccia tendenza, di un look che sia trend, è una preoccupazione che attraversa quelle che Mariuccia Casadio chiama “Look Waves”, lo spaziotempo degli anni ottanta.34 Da parte sua, nel 1985 Roberto D’Agostino tratteggiava sulle pagine de L’Espresso un identikit dei “Ragazzi della via look”. Giovani tra i sedici e i venticinque anni, di estrazione sociale diversa, infatuati della moda, accaniti acquirenti di riviste di moda e manipolatori della propria immagine: “visti all’uscita della discoteca Plastic di Milano o del Salt Peanuts di Firenze osano l’inosabile: parrucche color platino fino al sedere, gonne di tulle nero, smalto argentato, foulard di Hermès, tovaglia per giacca, collane a decine di file… L’imperativo è: esibirsi, sorprendere, distinguersi”.35
Pitti Trend non sarebbe potuto esistere senza la capacità di incarnare quest’attitudine diffusa tra le giovani generazioni e la volontà di moltiplicarla. Oltre gli stand della fiera, la manifestazione offre ai giovani un contesto in cui apparire e un pubblico al quale raccontarsi, ad esempio attraverso le feste (come documentano ampiamente le fotografie conservate nell’archivio di Pitti Immagine).
Questa sensibilità alle immagini e agli immaginari che esse veicolano si forma soprattutto attraverso le riviste che, insieme alla musica, circolano tra i giovani di tutto il mondo e costituiscono un potente collante. Pitti Trend cattura anche questo fenomeno e nella quarta edizione ospita il progetto Pagine in scena, che prevede l’interpretazione di alcuni capi esposti in fiera da parte di dieci riviste europee — tra cui i-D — così da mostrare come le proposte dei giovani stilisti possano divenire soggetti dei servizi di moda. A curare questo progetto è ancora la redazione di Westuff, che sulle sue pagine ospita anche interviste che mettono a fuoco le figure professionali che stanno dietro la costruzione dell’immagine di moda.36 Tra queste è lo stylist, che in quegli anni stava acquistando un peso rilevante proprio nella costruzione dei servizi di moda.37
Rileggendo oggi quell’atmosfera, Stefano Tonchi, autore dei servizi di moda pubblicati in Westuff, coglie nella generazione fiorentina passata per Pitti Trend proprio l’attitudine allo styling, inclinazione che sembra essere stata favorita dalla marginalità rispetto all’establishment milanese ma anche da una maggiore vicinanza alla moda “portata”,38 e dunque consumata attraverso le immagini.
Una delle mie più vive memorie di quegli anni fiorentini è un “look” — così si parlava allora! — che vorrei attribuire allo “stylist” — così si parlava a Firenze! — Sandro P. della “boutique” Gerard: una giacca blazer doppiopetto corta, con tante spalline, indossata con una camicia dal collo piccolo e una cravatta stretta di pelle, portata su dei jeans bianchi Levi’s 501 d’importazione e stivali da cowboy. Sartoriale ma totalmente moda, casual sportswear ma totalmente formale. Chi poteva mettere insieme un look così se non un fiorentino come Sandro Pestelli, un vero provinciale ammalato di internazionalità, capace di mischiare la lingua inglese con quella italiana, nei suoi discorsi come nella moda? Non a caso Sandro divenne il miglior confidente dello stylist simbolo degli anni ottanta, Ray Petri, partecipando, senza mai lasciare il suo negozio di via del Corso, alla scena londinese di Vivienne Westwood e Leigh Bowery — personaggi invitati più volte a sfilare e presentare proprio a Firenze nel contesto di Pitti Trend, prima che in qualsiasi altra parte del mondo.39
Un’immagine creata da Ray Petri e la fotografia di Jamie Morgan fissano nell’immaginario l’ultima edizione di Pitti Trend. Petri, ricordato come l’inventore dello stile Buffalo e convinto praticante dello street casting, fu tra i primi a qualificare professionalmente la figura del fashion stylist sulle pagine di The Face e i-D tra il 1983 e il 1989.40 I volti scelti per la campagna pubblicitaria di Pitti Trend VIII hanno segnato una generazione: una quasi esordiente Naomi Campbell e un giovanissimo Felix Howard, già fotografato per la copertina di i-D del marzo 1985, sempre da Morgan e sempre con lo styling di Petri, e un anno dopo co-protagonista del videoclip di Madonna Open Your Heart.41
Firenze-Milano A/R: itinerario dei percorsi alternativi all’autostrada della moda
“Itinerario dei percorsi alternativi all’autostrada della moda” è il sottotitolo e il tema della tavola rotonda “Trend by me”. Modi o moda? con cui il 20 settembre 1985 viene aperta la seconda edizione di Pitti Trend. Un panel composto da scrittori, docenti ed esperti di comunicazione di massa, operatori del settore moda e imprenditori cerca, senza riuscirci del tutto, di definire origini e transiti del fenomeno culturale della moda giovane.42
L’analisi della documentazione d’archivio e le considerazioni raccolte nei paragrafi precedenti dimostrano che sarà proprio Pitti Trend — contenitore che riassume e restituisce un fenomeno diffuso a livello internazionale — a illuminare questo itinerario di percorsi alternativi non soltanto “all’autostrada della moda”, ovvero le grandi firme concentrate per lo più a Milano, ma anche rispetto alle grandi città. Questo è vero soprattutto nel caso italiano, poiché la provenienza dei partecipanti valorizza un tratto distintivo della moda del nostro Paese, che non trova riscontro altrove: il persistere della misura periferica accanto a quella urbana.43 La provincia è infatti il luogo in cui la moda si produce (distretti), il territorio in cui inevitabilmente si crea una competenza e dove soprattutto si determina una cultura del consumo che, proprio per la condizione di marginalità rispetto ai grandi centri, può affrancarsi più facilmente dal mainstream.
Ma, ritornando agli icastici termini di Pier Vittorio Tondelli, anche la “Fauna d’Arte” che il “dilettantismo eclettico” di Firenze aveva nutrito con Pitti Trend viene attratta “dalla tetraggine del mito della professionalità”. Già nel 1986, con il varo di Neomoda, inserita in Milanovendemoda, e con il settore Contemporary del Modit, si riaccende la competizione con Milano per la moda giovane fatta dai giovani. La stessa Westuff, parallela e solidale a Pitti Trend nel restituire la cultura contemporanea come sistema interconnesso e indivisibile di apporti che non desiderano la separatezza, subisce l’attrazione di Milano, dove si trasferisce. Nel settembre del 1988 il titolo Westuff compare, per l’ultima volta, sotto la testata Emporio Armani, segnando la trasformazione della rivista in una nuova pubblicazione diretta da Rossana Armani, con la quale lavora una parte della redazione del gruppo fiorentino.
La diversità tra Firenze e Milano non è tuttavia annullabile, così come non si esaurisce la capacità della prima di esprimere un sofisticata prospettiva sulla moda, anche dopo che climax e anticlimax di un impulso d’avanguardia si sono svolti nel breve tempo per natura loro concesso. Non più di una dozzina d’anni dopo la fine di Pitti Trend e di Westfuff, il gruppo che aveva fondato la rivista ritorna a Firenze per avviare, insieme a Pitti Immagine, un’esperienza di produzione di libri e mostre (tra gli altri, Uniforme. Ordine e disordine, 2000; Total Living, 2002; Excess. Moda e underground negli anni ’80, 2004; Human Game. Vincitori e vinti, 2006) che ripropone, pur in condizioni ovviamente mutate, la stessa idea della cultura creativa contemporanea come sistema di interconnessioni e della moda come suo snodo.
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Polhemus, Ted. “Style surfing.” In Enciclopedia della moda, 359–363. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 2005.
Polhemus, Ted. Streetstyle: From Sidewalk to Catwalk. New York: Thames and Hudson, 1994.
Soutif, Daniel (a cura di). Continuità. Arte in Toscana 1968–1989. Pistoia: Maschietto & Musolino, 2002 (catalogo della mostra).
Tondelli, Pier Vittorio. Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta. Milano: Bompiani, 1990.
Vergani, Guido. La Sala Bianca: nascita della Moda Italiana. A cura di Giannino Malossi. Milano: Electa, 1992.
Fonti archivistiche
Archivio Cinzia Ruggeri, Milano
Archivio Pitti Immagine (API)
Biblioteca Marucelliana, Firenze
La letteratura che documenta il passaggio di ruolo tra Firenze e Milano è copiosa. A titolo esemplificativo si ricordano: Gloria Bianchino e Arturo Carlo Quintavalle, Moda dalla fiaba al design. Italia 1951–1989 (Novara: De Agostini, 1989); Guido Vergani, La Sala Bianca: nascita della Moda Italiana, a cura di Giannino Malossi (Milano: Electa, 1992); Maria Luisa Frisa, Anna Mattirolo e Stefano Tonchi (a cura di), Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945–1968 (Roma–Milano: MAXXI-Electa, 2014); Maria Luisa Frisa, Gabriele Monti e Stefano Tonchi (a cura di), Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971–2001 (Venezia: Marsilio, 2018). Il ruolo chiave rivestito da Giorgini come promotore dello stile italiano sui mercati internazionali è approfondito nel recente G.B. Giorgini and the Origins of Made in Italy, a cura di Neri Fatigati (Firenze: Gruppo Editoriale, 2023).↩︎
L’espressione proviene dal sottotitolo della tavola rotonda organizzata in occasione di Pitti Trend II: “Trend by me”. Modi o moda? Conversazione-dibattito sull’itinerario dei percorsi alternativi all’autostrada della moda, Firenze, Palazzo dei Congressi, 20 settembre 1985.↩︎
Pier Vittorio Tondelli, Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta (Milano: Bompiani, 1990), passim.↩︎
Continuità. Arte in Toscana 1945–2000 è un progetto promosso dal Sistema Metropolitano d’Arte Contemporanea Firenze, Prato, Pistoia che coinvolge quattro sedi espositive e altrettanti curatori, con relativi cataloghi per i tipi Maschietto & Musolino, nella realizzazione di un percorso artistico nella Toscana del Novecento nel segno della continuità con il passato: Arte in Toscana 1945–1967, a cura di Alberto Boatto, Firenze, Palazzo Strozzi, 26 gennaio–5 maggio 2002; Arte in Toscana 1968–1989, a cura di Daniel Soutif, Pistoia, Palazzo Fabroni, 24 febbraio–9 giugno 2002; Arte in Toscana 1990–2000 e collezionismo del contemporaneo in Toscana, a cura di Jean-Christophe Ammann, Prato, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, 24 febbraio–9 giugno 2002; Magnete. Presenze artistiche straniere in Toscana nella seconda metà del XX secolo, a cura di Angela Vettese, Santomato di Pistoia, Fattoria di Celle, 3 giugno–30 settembre 2002.↩︎
Alessandra Acocella e Caterina Toschi (a cura di), Arte a Firenze 1970–2015. Una città in prospettiva (Macerata: Quodlibet, 2016).↩︎
Archivio Pitti Immagine, d’ora in poi API: Centro Moda, Conferenza stampa di Franco Tancredi, Firenze, Palazzo dei Congressi, 23 febbraio 1985 (dattiloscritto).↩︎
La documentazione archivistica relativa a Pitti Trend consiste in 36 raccoglitori di differenti formati, contenenti materiali grafici e fotografici, di carattere prevalentemente promozionale, in parte inventariati. È conservata a Firenze presso Pitti Immagine, società che dal 1988 ha raccolto l’attività operativa del Centro Moda e che oggi custodisce la memoria dei diversi saloni fiorentini successiva al 1966. Sotto il fango dell’Arno sono infatti rimasti anche i primi dodici anni di vita dell’associazione, istituita nel 1954 con il nome di Centro di Firenze per la Moda Italiana.↩︎
API: Dove a Firenze…, s.d. (dattiloscritto). Il documento redatto in occasione del primo Pitti Trend (2–4 marzo 1985) contiene una sorta di vademecum dei luoghi di interesse cittadini.↩︎
“Editoriale”, Westuff, n. 0 (dicembre 1984). La rivista fu presentata nel 1984 presso la galleria Schema. Per una trattazione più articolata della sua storia, si rimanda a Ilaria Cicali e Giorgia Marotta, “‘Westuff’ (1984–1987). Osservatorio in atto della creazione italiana e internazionale,” in Arte a Firenze 1970–2015, 193–211.↩︎
API: Vetrine ad arte, 2 marzo 1985. In occasione di Pitti Trend un percorso di arte, architettura e design attraverso Firenze, production by Progetti Speciali: Bruno Casini, Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, 1985 (cartolina-invito). L’iniziativa è documentata, anche attraverso immagini, dalla stampa tedesca di settore, che negli anni delle edizioni del salone Trend conferma l’interessa commerciale della Germania per le proposte di moda giovane, soprattutto italiane. “Kunst im Laden”, TextilWirtschaft, n. 15 (11 aprile 1985): 28.↩︎
Per il primo numero di Westuff (giugno 1985), Maria Luisa Frisa, responsabile per l’arte, intervista Marco Rotelli e Plumcake.↩︎
Come si evince dai cataloghi degli espositori conservati in archivio (API), la settima e l’ottava edizione di Pitti Trend sono allestite rispettivamente nel Padiglione Medici e nel piano attico della Fortezza da Basso, con la progettazione architettonica a cura del solo Mauro Matteucci.↩︎
“Saluti dall’Italia,” Westuff, n. 1 (giugno 1985): 64. Inoltre, v. Maria Luisa Frisa (a cura di), Saluti dall’Italia (Firenze: Luisa via Roma, 1985).↩︎
Vedi Cicali e Marotta, “‘Westuff’ (1984–1987),” 199.↩︎
B[runella] K.C[iullini], “Quando l’arte diventa moda shock”, La Città (21 settembre 1985). I molteplici aspetti del legame che ha unito Firenze agli inglesi e gli inglesi a Firenze a partire dall’Ottocento saranno oggetto di una ulteriore mostra, durata appena un giorno, presentata nella Sala della Scherma della Fortezza da Basso in occasione di Pitti Uomo-Uomo Italia dell’estate 1986, i cui contenuti sono riordinati, approfonditi e ampliati nel libro di Oreste Del Buono, Gherardo Frassa e Luigi Settembrini, Gli Anglo-Fiorentini, una storia d’amore (Firenze: Edifir, 1987).↩︎
Bruno Casini (a cura di), Frequenze fiorentine. Firenze anni ’80. Musica, teatro, moda, clubbing e 96 interventi da Piero Pelù a Pier Vittorio Tondelli (Firenze: Goodfellas, 2021).↩︎
A titolo esemplificativo, si ricordano le sfilate di Marco Querci, Manila, 1 marzo 1985 (Pitti Trend I); Samuele Mazza, Barbara Bai e ØØØB (stilista Franco Biagini), Monna Lisa Music Hall, 23 febbraio 1986 (Pitti Trend III); Stefano Chiassai e Barbara Bai, Tenax, 25 settembre 1987 (Pitti Trend VI).↩︎
Trend Generation lungo i passi perduti…, Palazzo dei Congressi, 21 settembre 1985 (Pitti Trend II). La festa è animata dalla presenza, tra gli altri, di Nicola Guiducci, anima musicale del club milanese Plastic, gli artisti della computer grafica Crudelity Stoffe e Correnti Magnetiche, i designer di Salotto Dinamico e il critico musicale e di costume Roberto D’Agostino. La documentazione fotografica conservata in API ne restituisce puntualmente la temperatura, descritta con sarcasmo da Brunella K. Ciullini, “Festa alla moda”, La Città (24 settembre 1985): 15.↩︎
La festa in testa, Space Electronic, 21 febbraio 1987. Festa ufficiale di Pitti Trend V presentata dal Centro Moda Firenze, special guest Stefano Bonamici di T.O.K.Y.O. production e Nicola Guiducci (API).↩︎
La conferenza stampa di apertura del dancing Paramatta si tiene a Palazzo degli Affari il 26 settembre 1987 nell’ambito di Pitti Trend VI ed è seguita da una cena su invito organizzata dallo stilista Stefano Chiassai, che precede di poche ore l’inaugurazione del locale. Sandro Pestelli e Barbara Bai curano l’immagine rispettivamente di “The Boys” e “The Girls” del club (API).↩︎
“Computer Style”, Westuff, n. 2 (settembre 1985): 50–52. Un’operazione analoga, questa volta curata da Video Italia e con il coinvolgimento di Correnti Magnetiche e Studio Azzurro, sarà proposta l’anno successivo nell’ambito della manifestazione tessile internazionale Prato Expo XV (3–5 aprile 1986). “Storie di computer”, Moda viva, n. 4 (marzo 1986); “Una schiera di 800 mila fusi”, Paese Sera (3 aprile 1986): 9.↩︎
Per la prima edizione (2–4 marzo 1985) i GMM realizzano Eclissi di vento, una “performance sfilata” del brand Frutta e Verdura di Loretta Mugnai allestita a Palazzo Gaddi, mentre in occasione della settima (19–21 febbraio 1988) curano la trasmissione non-stop Video Trend, presentata all’interno del Padiglione Medici della Fortezza da Basso, un programma di video internazionali.↩︎
Dalla videoinstallazione viene tratto il video Puccini/Opera. L’Amore, la Carne, l’Esotismo, la Morte. Quattro ambientazioni sintetiche di brani tratti da Bohème, Tosca, Butterfly, Turandot, 1988, scritto e diretto da Andrea Zingoni, elaborazioni elettriche di Antonio Glessi, produzione Centro Moda Firenze, cooperativa GMM. https://www.gmm.fi.it/wiki/gmm-puccini.html (ultimo accesso 29/09/2023).↩︎
Franco Tancredi, in Alessandra Garzanti, “È arrivata la moda d’avanguardia”, La Città (24 febbraio 1985): 5.↩︎
Secondo i dati forniti nelle “schede di comparto” elaborate da Francesco Canosa, addetto stampa del Centro Moda, le aziende italiane operanti nel comparto moda giovane nel 1983 sono 1500, per poi salire a 1700 nel 1985, mantenendosi stabili fino al 1987, con relativo incremento di occupazione (60.000 contro 50.000 persone impiegate). Il fatturato risulta in crescita fino al 1986, in calo l’anno successivo (API).↩︎
Nicoletta Gasperini, “Finirà l’era dello stilista?”, Donna, n. 12 (1981): 46–48.↩︎
Nel 1988 il filosofo Ugo Volli pubblica Contro la moda per i tipi Feltrinelli; negli stessi anni si assiste alla denigrazione del made in Italy da parte di intellettuali e giornalisti che muovono pesanti critiche agli stilisti: vedi Marco Pastonesi, “Perché è di moda sparlare della moda?”, Donna, n. 87 (settembre 1988): 275–276.↩︎
Elisabetta Muritti, “Meno firme più contenti”, Donna, n. 88 (ottobre 1988): 231.↩︎
Una mappatura esaustiva delle presenze è ancora in fase di completamento. La ricerca condotta sui documenti custoditi in API, presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, in cui sono conservati i fascicoli di rassegna stampa della seconda, quarta e sesta edizione di Pitti Trend, e sul materiale grafico e fotografico che si trova presso l’archivio di Cinzia Ruggeri, presente anche come ospite nella Trend Gallery (rassegna di fashion designer già affermati), ha consentito di ricavare le informazioni qui fornite.↩︎
John Moore shoes — The House of Beauty + Culture (Pitti Trend V, 21–23 febbraio 1987). Per ripercorrere la storia del collettivo londinese vedi Kasia Maciejowska, The House of Beauty and Culture (London–Amsterdam: ICA-Roma Publications, 2016).↩︎
Negli anni, la mostra ha ospitato creazioni di CG Calugi e Giannelli, Cinzia Ruggeri, J. François Charles, il francese che disegnava per Piero Panchetti, e Romeo Gigli. In occasione del settimo Pitti Trend (19–21 febbraio 1988), Trend Gallery viene sostituita da Trend Couture, allestita nel Padiglione Medici della Fortezza da Basso, da quell’anno la sede del salone, con prototipi ideati e creati appositamente da firme giovani già famose, per esprimere l’avanguardia che ha conquistato il successo. Tra i nomi, Calugi e Giannelli, Chiara Boni, Ermanno Daelli, Georgina Godley, Jan e Carlos, Jasper Conran, Lydia Delgado, Marina Spadafora, Massimo Rubini, Michel Hardy, Roberto Tirelli.↩︎
Marco Pecorari, “Diventare città della moda. Il caso di Anversa”, in Alessandra Vaccari (a cura di) Moda, città e immaginari (Milano–Udine: Mimesis, 2016), 250–261.↩︎
Luciana Boccardi, “Moda. L’inventiva torna al classico”, Il Gazzettino (23 settembre 1986).↩︎
Mariuccia Casadio, “The Look Waves”, in Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi (a cura di), Excess. Moda e underground negli anni ’80 (Milano: Charta, 2004), 386–390.↩︎
Roberto D’Agostino, “I ragazzi della via look”, L’Espresso (27 ottobre 1985): 99–103 (99).↩︎
Iain R. Webb (a cura di), “Dietro una foto di moda”, Westuff, n. 3 (febbraio 1986): 48–50.↩︎
Quasi non esiste letteratura italiana sullo stylist. Per inquadrare il problema in relazione all’editoria di moda, in particolare alla figura del fashion editor, vedi Gabriele Monti, “Immagini in pagina”, in Frisa, Monti, Tonchi, Italiana, 22–25. Per mettere a fuoco il panorama anglosassone è utile il contributo di Penny Martin, When You’re A Boy: Men’s Fashion Styled by Simon Fox (London: London College of Fashion, 2009). L’autrice desidera ringraziare Sabrina Ciofi e Gabriele Monti per le riflessioni e le informazioni che hanno gentilmente condiviso.↩︎
Arturo Carlo Quintavalle, in un testo allora pionieristico nell’impostare in Italia una metodologia di ricerca che legittimasse lo studio della moda in ambito accademico, scriveva: “la moda portata è un test vero e proprio sulla cultura vestimentaria dei singoli, ma soprattutto è il momento delle proiezioni dei miti dei singoli, dei singoli procedimenti, a livello di scelte dei singoli, in relazione all’immaginario collettivo” (Arturo Carlo Quintavalle, “Archivio della moda”, in Brunetta. Moda critica storia [Parma: CSAC, 1981], XI).↩︎
Stefano Tonchi, “Aristo-Crazy: ‘Where the Streets have their Names’”, in Maria Luisa Frisa, Firenze Fashion Atlas (Venezia: Marsilio, 2014), 21–22 (21).↩︎
V. Ray Petri: Buffalo, Mitzi Lorenz (a cura di) (London: Westzone, 2000).↩︎
The Face, n. 89 (March, 1985). Il videoclip di Madonna Open Your Heart fu girato a Los Angeles nel 1986, diretto da Jean Baptiste Mondino con la collaborazione di Petri. Madonna si esibisce in un peep-show, con indosso il bustier di Jean-Paul Gaultier, uno dei suoi look più famosi.↩︎
API: “Trend by me”. Modi o moda? conversazione-dibattito sull’itinerario dei percorsi alternativi all’autostrada della moda, Palazzo dei Congressi, 20 settembre 1985 (dattiloscritto). I relatori invitati a prendere parte alla tavola rotonda sono Pio Baldelli, in veste di docente di comunicazione di massa, Raimondo Boggia, all’epoca amministratore delegato di GPF e associati, l’attrice Stefania Casini, il critico musicale e di costume Roberto D’Agostino e l’imprenditore Elio Fiorucci.↩︎
Vedi Elda Danese, “L’Italia policentrica”, in Mario Lupano e Alessandra Vaccari (a cura di), Una giornata moderna. Moda e stili nell’Italia fascista (Damiani: Bologna 2009), 266.↩︎