La scelta di ZoneModa Journal di dedicare questo numero al
tema “moda e genere” arriva in un momento storico incerto nel quale il
pensiero critico sulle politiche identitarie e del corpo diventa sempre
più necessario.
Recenti dibattiti nel campo di studio dei fashion studies, in
linea con gli studi critici sulle esperienze multiple di genere,1 hanno accolto con ottimismo ed
entusiasmo la graduale disintegrazione delle convenzioni visive e
sartoriali legate al binarismo di genere e i suoi effetti sul corpo
vestito.2 Nonostante queste provocazioni
recentemente introdotte dalla moda contemporanea nei confronti degli
ideali egemonici, è ancora vero che nel discorso su genere e moda, sia
nell’industria che nella cultura popolare, stereotipi normativi sui modi
di apparire del maschile e del femminile, diventati a tratti quasi
naturalizzati, rimangono difficili da disfare.3
Inoltre, se si considerano le ripercussioni che i soggetti non conformi
continuano ad affrontare oggi a causa dell’aggravamento della violenza e
della discriminazione omolesbobitransfobica4 e
l’emergere di movimenti internazionali anti-gender,5 è
chiaro che lo sconvolgimento del binarismo di genere che circola a
livello della fashion industry è ancora lontano dal permeare le
pratiche vestimentarie e le esperienze di genere quotidiane.
Questo contrasto può essere considerato come un esempio di quello che la sociologa Judith Lorber definisce il nuovo paradosso di genere di oggi caratterizzato dalla simultanea frammentazione e persistenza del binarismo di genere e da “una retorica della molteplicità di genere minata da una struttura sociale bigender che propugna il persistere della disuguaglianza di genere”.6 I poli contrastanti che danno forma a questo paradosso di genere trovano nella moda uno strumento fondamentale sia per la reiterazione performativa delle norme di genere che per la loro sovversione. Infatti, come sottolinea Joanne Entwistle, “l’abbigliamento è uno degli esempi più immediati ed efficaci del modo in cui i corpi sono sessuati, resi ‘femminili’ o ‘maschili’”.7 Tuttavia, nelle parole di Patrizia Calefato, la moda è ambivalente: da un lato, riproduce la rigidità dei codici sociali e culturali; dall’altro, comprende azioni — soprattutto al giorno d’oggi — che vanno oltre questi codici, sovvertendoli e abbracciando un ampio spettro di soggetti sociali.8 Così, la moda e le apparenze sociali possono essere considerate un forte mezzo attraverso il quale riflettere, ripensare e incarnare la complessità delle esperienze umane, evidenziando l’importante ruolo che i confini estetici e corporei ricoprono nello sviluppo di una critica alle norme identitarie e corporee.
Questo numero intende partire proprio da questa prospettiva per sottolineare la rilevanza sociopolitica di questo tema e per stimolare una riflessione critica sul rapporto tra moda e genere in un clima culturale e politico in cui la diversità sessuale e di genere e l’autodeterminazione sono sempre più sotto attacco. La realtà complessa e poliedrica di questo argomento è chiaramente delineata dalla varietà di prospettive presentate dagli articoli che compongono questo volume, tra cui, ad esempio, l’analisi critica dell’industria della moda contemporanea, resoconti antropologici sul vestito, il genere e il colonialismo, e l’esperienza del genere nel mondo digitale.
Il numero si apre con l’indagine di Judith Beyer sul brand omonimo dello stilista britannico Jonathan Anderson, che amplia ciò che Vicki Karaminas e Justine Taylor definiscono moda antigender.9 La lettura di JW Anderson sviluppata da Beyer mira a evidenziare come l’approccio costruttivista alla moda del designer possa offrire un linguaggio strutturale e visivo per la proliferazione delle categorie di genere, rivelando le moltitudini, le pluralità e le sfumature tra mascolinità e femminilità. L’idea della sovversione del binarismo di genere si sposta negli ecosistemi digitali con il saggio di Filippo Maria Disperati, Margherita Tufarelli e Leonardo Giliberti. Esplorando le forme fluide e non binarie della rappresentazione del corpo, dell’immagine di sé e delle identità di genere nelle culture digitali attraverso i casi studio della performer e artista italiana Ambrosia e del paradigma digitale offerto dai videogiochi, gli autori ci incoraggiano a riflettere sul binomio genere-digitale come modo per comprendere le dinamiche contemporanee della rappresentazione di sé.
A seguire, l’articolo di Leonardo Campagna ci invita ad aprire il guardaroba della critica d’arte e femminista Carla Lonzi per indagare il suo rapporto con la moda. Dopo aver evidenziato le complesse dinamiche tra moda e femminismo, Campagna esplora il ruolo della moda nella biografia della Lonzi a partire da materiali d’archivio e fotografie contenute nei suoi libri e diari, dimostrando come le sue riflessioni teoriche e politiche si combinino con il suo personale rapporto con l’abbigliamento. La lente analitica femminista prosegue nel saggio di Stephanie Lever, che si concentra su una riformulazione del “power-dressing” attraverso le prospettive di un’apparenza professionale iper-femminile e iper-sessualizzata. L’esplorazione di Lever raccoglie le figure di Virginie Despentes, scrittrice ed ex prostituta, e Paris Hilton, e indaga i modi in cui i loro stili e l’autosessualizzazione del corpo vestito interagiscono con teorie e idee su potere, genere e sessualità.
Gli effetti del nuovo paradosso di genere sopracitato ritornano nel contributo di Virginia Spadaccini, che fa luce su un’analisi culturale del colore rosa come strumento di lettura dei nostri tempi. Infatti, attraverso la sua analisi multidimensionale, Spadaccini osserva come nella nostra cultura contemporanea questo colore sia ancora in grado di denotare e di destabilizzare le norme di genere, mantenendo così la sua reputazione di colore tra i più scioccanti e sovversivi nell’industria della moda e nella vita quotidiana. Infine, attingendo all’antropologia visiva, il contributo di Lorenzo Maida offre un’interessante prospettiva su come il corpo vestito sia stato un elemento fondamentale nelle strategie di costruzione del genere e dell’identità nella Somalia coloniale italiana degli anni Venti. Basato sull’analisi del fondo fotografico “Carlo Vittorio Musso” del Museo di Antropologia Culturale ed Etnografia dell’Università di Torino (MAET), l’articolo evidenzia come proprio nell’analisi del corpo vestito si possano tracciare e illustrare anche le traiettorie storiche della violenza coloniale.
Bibliografia
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Si veda, per esempio, Jack Halberstam, Trans*: Un saggio insolito sulla variabilità di genere (Bologna: Odoya, 2023); Rob Cover, “Micro-Minorities: The Emergence of New Sexual Subjectivities, Categories, and Labels among Sexually Diverse Youth Online,” in Youth Sexualities, a cura di Susan Talburt (Santa Barbara: Praeger, 2018), 279–301.↩︎
Si veda, per esempio, Ben Barry e Philippa Nesbitt, “Self-fashioning Queer/Crip: Stretching and grappling with disability, gender and dress,” Fashion, Style & Popular Culture, 9.1 (2022): 1–18; Paul Jobling, Philippa Nesbitt e Angelene Wong, Fashion, Identity, Image (London: Bloomsbury, 2022); Jay McCauley Bowstead, Menswear Revolution (London: Bloomsbury, 2018); Andrew Reilly e Ben Barry, “Gender More: An Intersectional Perspective on Men’s Transgression of the Gender Dress Binary,” in Crossing Gender Boundaries, a cura di Andrew Reilly e Ben Barry (Bristol: Intellect, 2020), 122–36.↩︎
Ben Barry, “The toxic lining of men’s fashion consumption: The omnipresent force of hegemonic masculinity,” Critical Studies in Men’ Fashion, 2.2–3 (2015): 143–161.↩︎
Karolina Konopka, Joanna Rajchert, Monika Dominiak-Kochanek e Joanna Roszak, “The Role of Masculinity Threat in Homonegativity and Transphobia,” Journal of Homosexuality, 68.5 (2021): 802–29.↩︎
Daria Colella, “Femonationalism and anti-gender backlash: the instrumental use of gender equality in the nationalist discourse of the Fratelli d’Italia party,” Gender & Development, 29.2–3 (2021): 269–89; Roman Kuhar e David Paternotte, a cura di, Anti-Gender Campaigns in Europe: Mobilizing against Equality (London: Rowman & Littlefield, 2017).↩︎
Judith Lorber, Oltre il gender: I nuovi paradossi dell’identità (Bologna: il Mulino, 2022), 18.↩︎
Joanne Entwistle, The Fashioned Body, 2nd edition (Cambridge: Polity Press, 2015), 141, trad. mia.↩︎
Patrizia Calefato, La moda e il corpo (Roma: Carrocci, 2021).↩︎
Vicki Karaminas e Justine Taylor, “Harry Styles: Fashion’s Gender Changeling,” in Fashionable Masculinities. Queer, Pimp Daddies and Lumbersexuals, a cura di Vicki Karaminas, Adam Geczy e Pamela Church Gibson (New Brunswick, New Jersey: Rutgers University Press, 2022), 9–25.↩︎