Revisionare lo sguardo. Introduzione
In omaggio alla storica tonalità di colore ideata da Elsa
Schiaparelli negli anni Trenta, The Shocking Pink, il presente
contributo è dedicato al più “scioccante” dei colori e al suo potere
sovversivo. In particolare, saranno indagate le cause e gli effetti che
l’hanno reso un colore controverso più di altri a seconda della
percezione, dell’occhio, che è stato posto su di esso. Se è
vero che “il colore ha cambiato il nostro sguardo”,1 è
altrettanto vero il contrario. L’obiettivo non sarà dunque di
ripercorrerne la storia simbolica — un filone di studi piuttosto saturo
e per cui si rimanda alle note per uno stato dell’arte essenziale —
semmai di proporre una lettura critica sulla sua sistematica comparsa
tanto nelle cronache quotidiane, quanto sulle passerelle o nelle mostre,
con l’auspicio di utilizzare questa rosea presenza come strumento di
comprensione dei nostri tempi.
La scelta del rosa è scaturita dall’osservazione di come questo colore2 si sia reso protagonista a vario
titolo di recenti episodi: a gennaio 2022 riviste internazionali come il
New York Post riportavano della controversia relativa al
presunto danno all’immagine che le mascherine rosa date in dotazione
alla Polizia di Stato italiana avrebbero arrecato all’istituzione.3 Solo qualche mese dopo, a marzo,
Pier Paolo Piccioli disegnava per l’uomo e la donna la Pink PP
Collection A/I 2022–23. Raccogliendo il testimone di Valentino e
sulla scia del trend “Barbiecore”,4 Versace presentava per
la P/E 2023 look monocromatici e tinte di fuxia elettrico, scegliendo
come musa Paris Hilton, la cui immagine con il Motorola Razr V-3 Pink è
rimasta un’icona degli anni Duemila. Nello stesso periodo veniva
inaugurata al Victoria and Albert Museum di Londra la mostra
Fashioning Masculinities: The Art of Menswear, con una sezione
dedicata esclusivamente al rosa.5 E gli esempi potrebbero
continuare.
Se questi episodi hanno dimostrato il primato del rosa in un discorso di
ampio respiro, hanno fatto emergere una certa ambiguità: infatti mentre
una parte del mondo dava il benvenuto al rosa e lo collocava sul podio
dei colori in tendenza, tanto che l’autorità mondiale del colore,
Pantone, avrebbe eletto il Viva Magenta a colore dell’anno
2023,6 un’altra parte lo rifiutava.
Come si vedrà, alla base di questa contraddizione vi è una sola causa
scatenante e che si ricollega alla rappresentazione del genere
maschile. Per il volume tredicesimo di ZoneModa Journal
dedicato alla moda e al gender questo tema rivendica la
centralità che merita.
Rosa femmina
Accettando la definizione tradizionale di moda come sinonimo di
“voga”, di un movimento alternato in avanti e poi indietro come quello
dei rematori, deriva a corollario la sua identificazione con un
costante, ciclico, cambiamento. Inoltre, pensando alla moda come a un
prodotto della storia sociale, quindi come a un riflesso dei tempi che
varia al mutare della società, consegue un’ulteriore riflessione: anche
i colori di un abito o, meglio, ciò che essi comunicano,
acquisiscono un senso in relazione al contesto e
all’interpretazione del soggetto. Parafrasando il titolo di un saggio di
Umberto Eco, è la cultura a condizionare il modo in cui vediamo i colori
e perciò è sin troppo chiaro che, come le forme e i tessuti, pure questi
fungono da segni, tratti vestimentari che
rappresentano cose che stanno per qualcos’altro.7
Per queste ragioni persino un esperto come Michael Pastoreau non ha mai
preteso di ricostruire una teoria unificante sui colori e ha invece
circostanziato le proprie ricerche a un segmento temporale o ad aree
specifiche, sottolineando la loro funzione tassonomica. Egli ha peraltro
legato da principio i colori alla moda, affermando come sia quest’ultima
a influenzarne gli usi sociali e non mancando di sottolineare i limiti
di molta storia del costume (ma anche del design), talora lacunosa sul
piano dell’analisi cromatica e concepita come un mero susseguirsi di
silhouettes.8
Si può dunque affermare che non sia tanto un colore a cambiare ma
appunto la rappresentazione che di esso viene o non viene data.
Lo stesso può dirsi per l’identità sessuale la quale non è nient’altro
che una costruzione sociale che determina a sua volta le distinzioni di
genere “create indossando o non indossando un particolare tipo di abito,
di colore, di tessuto o di taglia”.9
Quanto al rosa, l’associazione più comune è con il femminile, da cui il
titolo del presente paragrafo Rosa femmina: generalmente la
letteratura d’ambito è concorde nel sottolineare come il rosa sia
passato dall’essere considerato un simbolo maschile e poi femminile
senza soluzione di continuità per poi diventare appannaggio delle donne
e delle bambine.
Secondo gli studi di Jo B. Paoletti, che ha preso in considerazione
l’abbigliamento infantile nel contesto statunitense, alla
“femminilizzazione” di questo colore si è accompagnata la
“mascolinizzazione” di un altro: il blu.10
Tralasciando questa opposizione, sulla quale si tornerà più avanti,
altri studiosi, come David Batchelor, hanno analizzato il percorso di
“femminilizzazione” di tutti i colori.11
Mentre gli uomini avrebbero rinunciato alle tinte (vedi infra),
ai più piccoli non sarebbe toccata la stessa sorte e, anzi, avrebbero
continuato a indossare indistintamente il rosa, il blu, il giallo e così
via. Tuttavia, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, il rosa si
sarebbe talmente identificato con il genere femminile da essere stato
progressivamente eliminato sia dall’abbigliamento dei bambini sia delle
bambine (1965–85), per essere reintrodotto molti anni dopo e
limitatamente al guardaroba delle seconde (dal 1985).12
Uno dei paradossi di questa momentanea latenza del rosa, ossia della sua
messa al bando nel ventennio 1965–85, è che fu ordita dalle femministe
di prima generazione che, pur contestando un modello di femminilità
tradizionale indubbiamente prodotto da un retropensiero maschilista
nell’epoca del “ritorno all’ordine” post-bellico, negavano a sé stesse e
alle loro figlie la libertà di scegliere il rosa. Fu del resto questa
presa di coscienza, da parte delle femministe di seconda generazione, a
riabilitare il colore e con esso il suo utilizzo dopo la lunga
damnatio memoriae, seppure a discapito dei bambini. Se
l’origine di questo punto di non ritorno si riconduce alla misoginia, è
presto detto il perché di questa limitazione alle bambine: occorre
tenere conto del cambiamento dello sguardo dei genitori sui
loro figli un tempo considerati come “cherubini”, angeli (senza sesso),
e poi come “piccoli uomini” o “piccole donne”.13
Data la forza simbolica del rosa, al contrario mai posseduta dal blu, è
allora chiaro perché ai “piccoli uomini” non sarebbe stato più concesso
vestire come delle “piccole donne”.
Questi elementi lasciano intuire perché il passo verso l’equazione della
bambina con la donna, la madre e quindi con la maternità e la vita,
sarebbe stato breve. Ad avviso di chi scrive, appare tutt’altro che
casuale la scelta di Pantone di eleggere il Veri Peri e il
Viva Magenta a colori dell’anno 2022 e 2023, e un’altra
nuance di rosa come Color of Biodiversity per il 2022.
Sfogliando il testo di Leatrice Eiserman ed E. P. Cutler, che per la
prima volta hanno raccolto tutti i “colori dell’anno” Pantone dal
2014,14 e confrontando i dati con quelli
resi noti dalla pagina web,15 si possono notare dei
ricorsi storici (Tav. 1).
Per esempio il Cerulean Blu è stato associato a un futuro
esaltante ma incerto, venato di nostalgia per un passato che sembrava
non poter più tornare. Di qui la scelta per un colore tenue e
rassicurante per il Duemila.16 Circa vent’anni dopo,
scongiurata l’emergenza pandemica, dunque al “vero” passaggio dai Dieci
ai Venti 2.0, un altro lilla, il Veri Peri, è scelto per
rispondere a un bisogno di pace interiore e conforto. “Dopo il senso di
smarrimento che aveva accompagnato il nuovo millennio”, veniva invece
scelto il Fuchsia Rose, una tinta accesa e sinonimo di
“rinascita” che “celebrava l’alba di una nuova era”.17
Per l’anno successivo veniva incoronato il True Red, colore del
patriottismo americano desideroso di riscattarsi dal 9/11.18 Circa dieci anni dopo un altro
“dinamico rosa-rosso [che] evocava forza ed esuberanza”,19
l’Honeysuckle, veniva posto sul podio. E dodici anni dopo
ancora il Viva Magenta, evocativo di “vigor”,
“vim” e “strenght”,20
sarebbe stato rieletto. Questi esempi confermano la percezione
“vitale” del rosa, “positiva” nella misura in cui è stato preso a
simbolo di rinascita in anni particolarmente incerti come risultano
essere quelli di transizione tra un decennio e l’altro.
Risignificazione, questa, scaturita dall’identificazione del
colore con il genere femminile.
A questa visione corrisponderà una reazione uguale e contraria:
nel paragrafo che segue verrà presentato il suo eloquente
contraddittorio.
Rosa maschio
Mascherine rosa ai poliziotti. “Noi non le indossiamo, indecorose per la divisa”21
Mascherine rosa ai poliziotti, ok dal Siap di Palermo: “No a sciocchezze machiste”22
Mascherine rosa? “Siano donate per donne vittime di violenza e persone con disabilità”23
Con questi titoli molti quotidiani hanno riportato la notizia dei
dispositivi di protezione dati ai poliziotti italiani: secondo quanto
riportato in una lettera firmata dal Segretario Generale del Sindacato
Autonomo di Polizia, Stefano Paoloni, e indirizzata al Prefetto Lamberto
Giannini, lo scorso gennaio 2022 molte questure, tra le quali quelle di
Pavia, Varese, Ferrara, Siracusa e Venezia, hanno ricevuto una tale
“inusuale fornitura di mascherine FFP2 di colore rosa […] non consono
[…] eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare
l’immagine dell’Istituzione”. Così scriveva il portavoce del SAP che
concludeva proponendo alternative “di un colore diverso (bianche,
azzurre, blu o nere) comunque coerenti con l’uniforme”. Egli
giustificava una tale richiesta facendo riferimento anche al “decoro”.24
Al di là degli esiti della vicenda, che restano ignoti,25
questo episodio riporta all’annosa questione dell’abito funzionale alla
costruzione del Sé e dell’identità sessuale e al ruolo giocato dal
colore. A tal proposito David Batchelor ha dimostrato come
tutti i colori siano stati storicamente oggetto di pregiudizi e
che questa avversione, che egli ha chiamato “cromofobia”, sia tipica dei
paesi occidentali. In un passo centrale del suo libro scrive:
La cromofobia si manifesta nei tanti e vari tentativi di purgare il colore dalla cultura, di svalutare il colore, di diminuirne la rilevanza, di negarne la complessità. Più specificatamente: questa espunzione del colore è di solito realizzata in una o due maniere. Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo “estraneo”: di solito il femminile, l’orientale, il primitivo, l’infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell’inessenziale o del cosmetico.26
L’“estraneo” viene identificato con il “femminile”, l’“infantile”, il “bizzarro”, il “cosmetico”. E aggiunge:
In Color Codes, Charles A. Riley rileva una tendenza ad associare il colore con l’omosessualità maschile […] e per nessuno il trucco è più importante che per l’omosessuale che si traveste […] il suo scopo è di confondere e sedurre, di contraffare e celare […] Il colore è spesso vicino al corpo e mai lontano dalla sessualità, sia eterosessuale sia omosessuale.27
Quanto al caso specifico del rosa, secondo Pastoreau fu la scoperta
del Malva di Perkin (1856) a dar luogo all’avversione per tutti
“i rosa prodotti oggi dall’uomo […] tra le tinte più artificiali e più
lontane da quelli presenti in natura […] colore volgare, chimico,
sgradevole per l’occhio”.28 Questa repulsione può
forse essere ricondotta alla “Grande Rinuncia Maschile”29
con cui si descrive il fenomeno dell’“uniformizzazione” del costume
dell’uomo borghese con suo relativo ingrigirsi — un paradosso se si
pensa che nello stesso periodo venivano per l’appunto inventate le tinte
sintetiche. E fu così che Richard Wagner già subiva le conseguenze del
pregiudizio se era costretto ad attribuire alla seconda moglie Cosima i
suoi inconfessabili acquisti di metri e metri di satin rosa, il suo
colore preferito.30
Il caso in esame è dunque emblematico: innanzitutto perché denuncia
l’ostilità che può provocare questo colore quando (ri)entra nell’armadio
maschile.31 Inoltre perché introduce al tema
delle maschere, quindi dell’occultamento e dello svelamento, riportando
alla memoria uno stereotipo legato alla divisa, da cliché
indossata necessariamente da uomini, categoricamente eterosessuali. Ciò
che è accaduto è che un oggetto atto a proteggere, avrebbe potuto
esporre al danno d’immagine. Alla luce di quanto detto, più che un danno
all’immagine, sembra essere stato evocato un altro tipo di
danno: quello dell’immaginario, machista, di certi maschi
eterosessuali, quelli che Mario Mieli non avrebbe esitato a definire
“criptochecche”.32
Del resto la storia del costume ha dimostrato la “dirompenza” dei
fenomeni di risignificazione ogni qual volta sono state
proposte scelte fuori Norma33: basti pensare alle
ondate di sdegno che sistematicamente provocano i partecipanti ai
Gay Pride, talora nei panni di soldati “alla Moschino”.34 Verrebbe quindi da pensare che il
problema di fondo sia come sempre lo spauracchio dell’alterità, che nel
caso del rosa si è fatto dapprima sinonimo di femminile e poi di
omosessuale.
Benché i “cavalieri” di ieri vestissero di rosa, come testimoniato
dall’omonimo dipinto di Giovan Battista Moroni (1560), perché una
moda divenga costume presso la massa, non sono
sufficienti episodi isolati. Si è ritenuto pertanto significativo il
richiamo ai titoli citati nell’incipit che dimostrano da una
parte una frattura interna al sistema (SAP vs SIAP Palermo) e
quindi di una rottura della Norma.35
Dall’altra la sua riaffermazione nella misura in cui questi
oggetti si riassegnerebbero ai loro “legittimi destinatari”: donne
(vittime di violenza) e disabili.
Quanto alla dirompenza di cui si diceva poc’anzi, è presto detto perché
si è scelto di virgolettarla: si può affermare che questi fenomeni siano
realmente dirompenti laddove essi non abbiano prodotto un cambiamento
dei costumi effettivo?
Rosa universale
Riprendendo la “genderizzazione” del colore, un ultimo aspetto
riguarda la vexata quaestio circa la “femminilizzazione” del
rosa contrapposta alla “mascolinizzazione” di un altro colore: il blu.
Tra le varie ipotesi alle origini della tendenza kitsch del momento del
gender reveal party, quindi alle origini del dualismo blu-rosa,
una è da ricercarsi nella storia del collezionismo: Valerie Steele ha
ricordato infatti la grande risonanza che seguì l’acquisto di due
dipinti da parte di Arabella ed Henry E. Huntington.36
Si trattava del ritratto di un giovane vestito di blu, in seguito noto
come The Blue Boy, di Thomas Gainsborough (1770) e del ritratto
di Sarah Goodin Barrett Moulton detta “Pinkie” di Thomas Lawrence
(1794).37 Questi furono acquistati
rispettivamente nel 1921 e nel ’27 e si trovano presso la tenuta dei
coniugi di San Marino in California, dal ’28 aperta al pubblico e
diventata sede di un museo con annessa biblioteca e giardino botanico.38 L’opera di Gainsborough fu esposta
alla National Gallery prima di essere venduta ai facoltosi americani,
secondo una strategia di marketing orchestrata dal mercante Joseph
Duveen che contribuì a far lievitare le quote sino alla cifra record di
728.800 dollari. L’attenzione del pubblico sulla vicenda rese questo
ritratto, già popolare in Europa, assai celebre anche oltreoceano.
Qualche anno dopo una sorte analoga toccò a Pinkie, rivenduta
dalla casa d’aste dei fratelli Duveen all’ormai vedovo Henry.39
È possibile, quindi, che fu questa pubblicità, come suggerirebbe la
Steele, a creare il binarismo cromatico di cui si diceva poc’anzi? Non
ad avviso di chi scrive, intanto perché gli acquisti avvennero in tempi
diversi, inoltre le porte della dimora furono ufficialmente aperte al
pubblico dal 1928. Si ritiene invece che sia stata la modalità
espositiva dei quadri ad aver contribuito a creare questa associazione
dato che sin da principio furono appesi nella stessa sala, l’uno di
fronte all’altro40 e/o l’uno accanto all’altro.41 Come riportato da Valerie Hedquist
all’interno del suo studio sulla ricezione del “ragazzo blu”,
l’accostamento dei due ritratti ebbe certamente un ruolo attivo nel
creare il binomio “blue-boy”, “pink-girl”:
Their function as well-known “companion pieces” contributed to their imagined romantic relationship […] and to their role in gendering blue for boys and pink for girls.42
Presi infatti singolarmente non avrebbero altrettanta forza — per di
più l’opera di Gainsborough fu divisiva in quanto il pubblico vi
riconosceva un’effeminatezza disturbante.43
Questo tema apre infine una riflessione sull’importanza della
rappresentazione in un contesto espositivo come quello museale:
laddove la comunità scientifica si sta interrogando sul futuro della
moda, conviene chiedersi se il museo possa essere il luogo adatto a
ripensare l’intero sistema. A giudicare dal numero di mostre dedicate al
genere si direbbe di sì: Fashioning Masculinities: The Art of
Menswear, “anticipata” da Il Maschile – Androgynous Mind,
Eclectic Body tenuta al Gucci Garden due anni prima, ne sono la
riprova.44
Sebbene i musei si configurino come istituzioni permanenti senza scopo
di lucro, aperte al pubblico, accessibili e inclusive, e che promuovono
diversità e sostenibilità,45 non si può pensare ad
essi come a dei luoghi “neutri”:
[…] il museo non mostra l’arte, la scienza o la società, ma la loro costruzione attraverso la “musealità”. In tal senso, l’elaborazione museografica fa parte di ciò che il museo rappresenta; la sua lettura coinvolge in particolare una storia della storia (dell’arte, della critica, della scienza, della museologia), oltre a una conoscenza degli usi.46
Se ciò risulta ovvio nei musei etnografici, ove la storia
collezionistica dei beni conservati è quasi sempre rivelatoria di un
retropensiero europocentrico, questa problematica li riguarda tutti. In
ragione di ciò molti curatori hanno cominciato a scandagliare i
depositi, rivedere i materiali e le modalità espositive di
storytelling.47 Quindi, nonostante i limiti, i
musei si configurano comunque come luoghi ideali in cui attuare tale
operazione critica di ripensamento sulla moda.
Quanto ai colori, di tutte le identificazioni del rosa con il femminile
vi è pure quella con la moda e con essa della museologia e la storia del
collezionismo di settore, diversamente dal collezionismo d’arte,
prerogativa maschile.48 Ma il museo non deve avere colori:
diversamente dall’industria, che persegue scopi commerciali, è nello
“spazio bianco” della cultura che occorre revisionare lo
sguardo sulla moda. Questa infatti riafferma la Norma, in
quanto mercifica, liberalizza ma non libera
realmente dal pregiudizio49: a fronte dei
tentativi di “assolutizzazione” del rosa come nel caso della Pink PP
Collection di Valentino che, assieme a Pantone, ha studiato una
nuance comune per l’uomo e la donna,50
la vita quotidiana è spesso piuttosto “nera”, testimone di una tendenza
opposta, “color-omo-fobica”, estroversione negativa del desiderio
omoerotico censurato, ipocrita, del maschio eterosessuale.51
È corretto allora asserire che, quando il Rosa maschio è
accettato, lo è solo per una trovata pubblicitaria52?
Forse sì, altrimenti non si sarebbe sollevato il polverone per le
mascherine rosa, né l’anno 2022 si sarebbe concluso così come è
cominciato: con un’altra polemica scatenata da una battuta del
Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, dettosi contrario al colore
scelto dallo sponsor per gli addobbi dell’albero di Natale in piazza
Duomo a Milano.53
Sebbene la moda dia l’illusione di “normalizzare” ciò che è fuori norma
contribuendo a far diventare di moda qualcosa che prima non lo era (o
non lo era più), la sua mercificazione non altera sostanzialmente il
costume, per dirla con Mieli.54 Chiaramente è questo
un paradosso, lo stesso di quando la moda parla di sostenibilità: ma la
fashion industry non è la più inquinante del mondo?
Conclusioni. Il rosa come indicatore dei tempi più bui
La moda esiste soltanto grazie al discorso che si fa su di essa,
sosteneva Roland Barthes.55 Nonostante i vizi del
sistema-industria, va dato merito ai Fashion Studies di aver
stimolato il dibattito critico attorno alle problematiche del settore.
Quindi, per rispondere alla pruriginosa domanda di cui sopra, bisogna
certamente fare i conti con uno dei tanti paradossi della moda, che
mercifica ma non altera i costumi, e tuttavia contribuisce a creare un
discorso. Perciò la liberalizzazione delle “trasgressioni” messa in atto
dalla moda allo scopo di sfruttarle, ossia per trasformarle in
asset economico, se da un lato le feticizzano, dall’altra
generano una riflessione su temi che altrimenti resterebbero repressi e
rimossi.
Come insegna la critica militante che più volte ha insistito sul tema
della visione, il problema di fondo rispetto a certe questioni
non è tanto il problema in sé, ma il perché ci si rivolga ad esse come a
dei problemi.56 Quindi è il fatto stesso di pensare
alle mascherine rosa o alle decorazioni natalizie come a dei problemi a
confermare l’introiezione del pregiudizio.
E perciò, anche se è difficile prevedere quali saranno i colori del
futuro, su una cosa si può forse essere sicuri: ogni qual volta che ci
si scioccherà per il rosa, o che si avrà bisogno di utilizzarlo come
mezzo per sovvertire il costume, sarà una chiara spia dei tempi.
Tutt’altro che rosei, alquanto bui.
Bibliografia
Adams, Sean. The Designer’s Dictionary of Color. New York: Abrams, 2017.
Barthes, Roland. Scritti. Società Testo Comunicazione, a cura di Gianfranco Marrone. Torino: Einaudi, 1998.
Batchelor, David. Cromofobia. Storia della paura del colore, trad. it Michele Sampaolo. Milano: Mondadori, 2001.
Cary, Alice. “Barbiecore is Everywhere This Summer.” Vogue, 29 giugno 2022. https://www.vogue.com/article/barbie-fashion-is-everywhere-this-summer.
Custodero, Alberto. “Milano, la battuta sessista di Salvini: ‘Albero di natale con le palle rosa, de gustibus…’. Estetista cinica: ‘Siamo ancora vittime del patriarcato?’.” Repubblica, 14 dicembre, 2022. https://milano.repubblica.it/cronaca/2022/12/14/news/milano_la_battuta_sessista_di_salvini_albero_di_natale_con_le_palle_rosa_de_gustibus-379097851/.
De La Haye, Amy. “A Critical Analysis of Practices of Collecting Fashionable Dress.” Fashion Theory, 22.4–5 (2018): 381–403. https://doi.org/10.1080/1362704X.2018.1429742.
Eco, Umberto. Il senso dei colori. In Senso e storia dell’estetica, a cura di Pietro Montani, 511–524. Parma: Pratiche, 1995.
Eiserman, Leatrice e E. P. Cutler. Pantone on Fashion. A Century of Color in Design. San Francisco: Chronicle Books, 2014.
Falcinelli, Riccardo. Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo. Torino: Einaudi, 2017.
Flügel, C. John. Psicologia dell’abbigliamento, trad. it Giancarlo Tibaldi. Milano: Franco Angeli, 1974.
Hedquist, Valerie. Class, Gender, and Sexuality in Thomas Gainsborough’s Blue Boy. New York: Routledge, 2019.
ICOM International Council of Museums. “Museum Definition.” Ultima consultazione 15 marzo, 2023. https://icom.museum/en/resources/standards-guidelines/museum-definition.
Kelley, Philip e Ronald Hudson. “New Light on Sir Thomas Lawrence’s ‘Pinkie’.” Huntington Library Quarterly, 28.3 (Maggio 1965): 255–261.
Levine, Jon. “Fashion conscious Italian police object to pink face masks.” New York Post, 15 gennaio, 2022. https://nypost.com/2022/01/15/fashion-conscious-italian-police-object-to-pink-face-masks/?utm_source=url_sitebuttons&utm_medium=site%20buttons&utm_campaign=site%20buttons.
Ludovisi, Chiara. “Mascherine rosa? ‘Siano donate per donne vittime di violenza e persone con disabilità’.” Redattore Sociale, 17 gennaio, 2022. https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/mascherine_rosa_siano_donate_per_donne_vittime_di_violenza_e_le_persone_con_disabilita.
Mieli, Mario. Elementi di critica omosessuale. Torino: Einaudi, 1977.
Nicolosi, Eugenia. “Mascherine rosa ai poliziotti, ok dal Siap di Palermo: ‘No a sciocchezze machiste’.” Repubblica. Ultima consultazione 16 gennaio 2022, https://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/01/16/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_ok_dal_siap_di_palermo_no_a_sciocchezze_machiste_-334042532.
Nochlin, Linda. Perché non ci sono state grandi artiste?, a cura di Jessica Perna. Roma: Castelvecchi, 2015.
Pantone. “Color of the year 2023.” Ultima consultazione 7 dicembre 2022, https://www.pantone.com/eu/it/color-of-the-year-2023.
Paoletti, B. Jo. Pink and Blue: Telling the Boys from the Girls in America. Bloomington: Indiana University Press, 2012.
Pastoreau, Michael. Dizionario dei colori del nostro tempo, trad. it Monica Fiorini. Milano: Ponte alle Grazie, 2015.
Petrov, Julia. “Gender Considerations in Fashion History Exhibitions.” In Fashion and Museums. Theory and Practice, a cura di Marie Riegels Melchior e Birgitta Svensson, 77–90. London: Bloomsbury, 2014.
Poulot, Dominique. Musei e museologia, trad. it Adriana Crespi Bortolini. Milano: Jaca Book, 2008.
Riley II, A. Charles. Color Codes. Hannover–London: University Press of New England, 1995.
SAP Nazionale. “Distribuzione di mascherine FFP2 di colore rosa.” Ultima consultazione 15 gennaio 2023, https://www.sap-nazionale.org/2016/wp-content/uploads/2022.01.13_capo_mascherine_rosa.pdf.
Siple, S. Ella. “Recent Acquisitions by American Collectors: Supplement.” The Burlington Magazine for Connoisseurs, 51.297 (Dicembre 1927): 297–311.
Solomon, R. Michael, Gokcen Coskuner e Caroline Lego Muñoz. “Moda, psicologia, società.” In Enciclopedia della moda, III, 121–137. Roma: Istituto Enciclopedico Treccani, 2005.
Steele, Valerie. “Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color.” In Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color, a cura di Valerie Steele, 9–100. London: Thames & Hudson, 2018.
“The Huntington Library and Art Gallery Opened.” The American Magazine of Art, 19.4 (Aprile 1928): 220.
The Huntington Library, Art Museum and Botanical Gardens. “The Blue Boy.” Ultima consultazione 15 gennaio 2023, https://huntington.org/blue-boy.
The Huntington Library, Art Museum and Botanical Gardens. “Pinkie.” Ultima consultazione 15 gennaio 2023, https://huntington.org/pinkie.
V&A Museum. “In the Pink: Colour in Menswear.” Ultima consultazione 7 dicembre 2022, https://www.vam.ac.uk/articles/in-the-pink-colour-in-menswear.
Ziniti, Alessandra. “Mascherine rosa ai poliziotti. ‘Noi non le indossiamo, indecorose per la divisa’.” Repubblica, 13 gennaio, 2022. https://www.repubblica.it/cronaca/2022/01/13/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_noi_non_le_indossiamo_la_divisa_va_rispettata_-333688578.
Riccardo Falcinelli, Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo (Torino: Einaudi, 2017).↩︎
In tutto il saggio ci si riferirà al rosa in maniera forse impropria ma funzionale alla trattazione, ossia senza distinguere le varianti. Del resto il fenomeno della percezione visiva è soggettivo, per cui ogni definizione risulterebbe inesatta. Per esempio in The Designer’s Dictionary of Color sono annoverati il Baby Pink, il Geranium Pink, il Rose ma anche l’Hot Pink che viene messo nella famiglia dei Fuchsia. Vedi Sean Adams, The Designer’s Dictionary of Color (New York: Abrams, 2017), 16–17.↩︎
Vedi Jon Levine, “Fashion conscious Italian police object to pink face masks,” New York Post, 15 gennaio 2022, https://nypost.com/2022/01/15/fashion-conscious-italian-police-object-to-pink-face-masks/?utm_source=url_sitebuttons&utm_medium=site%20buttons&utm_campaign=site%20buttons.↩︎
Alice Cary, “Barbiecore is Everywhere This Summer,” Vogue, 29 giugno 2022, https://www.vogue.com/article/barbie-fashion-is-everywhere-this-summer.↩︎
“In the Pink: Colour in Menswear,” V&A, consultato il 7 dicembre 2022, https://www.vam.ac.uk/articles/in-the-pink-colour-in-menswear.↩︎
“Color of the year 2023,” Pantone, consultato il 7 dicembre 2022, https://www.pantone.com/eu/it/color-of-the-year-2023. In fondo alla pagina è visibile la rassegna completa dei “Past Colors of the Year”.↩︎
Vedi Umberto Eco, “Il senso dei colori”, in Senso e storia dell’estetica, a cura di Pietro Montani (Parma: Pratiche, 1995), 511–524, in part. saggio intitolato Come la cultura condiziona i colori che vediamo.↩︎
Michael Pastoreau, Dizionario dei colori del nostro tempo, trad. it Monica Fiorini (Milano: Ponte alle Grazie, 2015).↩︎
Michael R. Solomon, Gokcen Coskuner e Caroline Lego Muñoz, “Moda, psicologia, società,” in Enciclopedia della moda, III (Roma: Treccani, 2005), 124.↩︎
Jo B. Paoletti, Pink and blue: telling the boys from the girls in America (Bloomington: Indiana University Press, 2012).↩︎
David Batchelor, Cromofobia. Storia della paura del colore, trad. it Michele Sampaolo (Milano: Mondadori, 2001).↩︎
Questi dati si basano sullo studio di Paoletti che si riferisce più nello specifico al contesto statunitense.↩︎
Sin qui: cfr. Paoletti, Pink and blue.↩︎
Leatrice Eiserman ed E. P. Cutler, Pantone on Fashion. Un secolo di colori nella moda (Milano: Rizzoli, 2014), 108–115.↩︎
Vedi nota n. 6.↩︎
Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 108.↩︎
Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 109.↩︎
Eiserman e Cutler, 109.↩︎
Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 114.↩︎
Vedi nota n. 6.↩︎
Titolo dell’articolo di Alessandra Ziniti, Repubblica, 13 gennaio 2022, https://www.repubblica.it/cronaca/2022/01/13/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_noi_non_le_indossiamo_la_divisa_va_rispettata_-333688578.↩︎
Titolo dell’articolo di Eugenia Nicolosi, Repubblica, 16 gennaio 2022, https://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/01/16/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_ok_dal_siap_di_palermo_no_a_sciocchezze_machiste_-334042532.↩︎
Titolo dell’articolo di Chiara Ludovisi, Redattore Sociale, 17 gennaio 2022, https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/mascherine_rosa_siano_donate_per_donne_vittime_di_violenza_e_le_persone_con_disabilita.↩︎
Le parole sin qui virgolettate sono riprese dalla lettera di cui sopra datata al 13 gennaio 2022 (Prot. 0272/39 – SG. 34 – PAO.), la cui copia integrale è stata diffusa a mezzo stampa ed è accessibile al link (consultato il 15 gennaio 2023), https://www.sap-nazionale.org/2016/wp-content/uploads/2022.01.13_capo_mascherine_rosa.pdf.↩︎
Da quanto risulta a chi scrive non sono state rese pubbliche eventuali repliche di Giannini.↩︎
Batchelor, Cromofobia, 19.↩︎
Charles A. Riley II, Color Codes (Hannover-Londra: University Press of New England, 1995), cit. in Batchelor, 73.↩︎
Pastoreau, Dizionario dei colori, 136.↩︎
John C. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, trad. it Giancarlo Tibaldi (Milano: Franco Angeli, 1974), 123–126.↩︎
Valerie Steele, “Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color,” in Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color, a cura di Valerie Steele (Londra: Thames & Hudson, 2018), 30.↩︎
Dopo la Rivoluzione del pavone degli anni Sessanta, i colori sgargianti sarebbero rientrati nel guardaroba maschile di massa, meno che il rosa: quest’ultimo si sarebbe limitato a delle veloci comparsate, legate per lo più al costume per lo spettacolo (p. es. Elvis Presley 1950 ca., rapper Cam’ron 2004…).↩︎
Cfr. Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale (Torino: Einaudi, 1977), in part. al capitolo III I maschi eterosessuali ovvero le criptochecche, 103–146.↩︎
Cfr. Mieli.↩︎
Vedi le collezioni uomo A/I 2017, A/I 2018.↩︎
Cfr. Mieli, Elementi di critica.↩︎
Steele, “Pink. The History,” 40–44. Vedi inoltre Ella S. Siple, “Recent Acquisitions by American Collectors: Supplement,” The Burlington Magazine for Connoisseurs, 51.297 (dicembre 1927): 297–311, in part. 297. Se questa ipotesi si applica al caso di studio statunitense e in riferimento all’abbigliamento infantile, un’altra, suggerita da Pastoreau, rintraccia nel Medioevo un proto-binarismo di genere nell’opposizione rosso-blu. Vedi: Pastoreau, Dizionario dei colori, 27–29, 135–136.↩︎
Per la documentazione sulla storia collezionistica e la fortuna dei dipinti si rimanda al sito ufficiale del Museo di Huntington ai link, consultati il 15 gennaio 2023, https://huntington.org/blue-boy e https://huntington.org/pinkie (incl. approfondimenti collegati).↩︎
“The Huntington Library and Art Gallery Opened,” The American Magazine of Art, 19.4 (aprile 1928): 220.↩︎
Philip Kelley e Ronald Hudson, “New Light on Sir Thomas Lawrence’s ‘Pinkie’,” Huntington Library Quarterly, 28.3 (maggio 1965): 255–261.↩︎
“The Huntington Library and Art Gallery Opened,” 220.↩︎
Vedi la fotografia con l’allestimento degli anni Trenta pubblicata in: Valerie Hedquist, Class, Gender, and Sexuality in Thomas Gainsborough’s Blue Boy (New York: Routledge, 2019), figura 6.2.↩︎
Hedquist.↩︎
Hedquist.↩︎
Si segnalano inoltre: Masculinities: Liberation through Photography (Barbican Art Gallery, Londra 2020), Masculinities (Musée Mode & Dentelle, Bruxelles 2020–2021), Gender Bending Fashion (Museum of Fine Arts Boston, 2019).↩︎
Cfr. Nuova definizione di museo approvata dall’ICOM (XXVI General Conference, Praga 2022), accessibile al link (consultato il 15 marzo 2023): https://icom.museum/en/resources/standards-guidelines/museum-definition.↩︎
Dominique Poulot, Musei e museologia, trad. it Adriana Crespi Bortolini (Milano: Jaca Book, 2008), 107.↩︎
Vedi Giulia Grechi, Decolonizzare il museo. Mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati (Milano–Udine: Mimesis, 2021).↩︎
Cfr. Amy De La Haye, “A Critical Analysis of Practices of Collecting Fashionable Dress,” Fashion Theory, 22.4–5 (2018): 381–403, https://doi.org/10.1080/1362704X.2018.1429742; cfr. Julia Petrov, “Gender Considerations in Fashion History Exhibitions,” in Fashion and Museums. Theory and Practice, a cura di Marie Riegels Melchior e Birgitta Svensson (Londra: Bloomsbury, 2014), 77–90.↩︎
I termini in corsivo in questo periodo sono ripresi nell’accezione data da Mieli, Elementi di critica.↩︎
Non a caso la collezione si ispirava a Lucio Fontana e al concetto del “taglio” quindi dell’andare “oltre”.↩︎
Cfr. Mieli, Elementi di critica, 115–119.↩︎
Cfr. Steele, “Pink. The History,” 93.↩︎
Vedi Alberto Custodero, “Milano, la battuta sessista di Salvini: ‘Albero di natale con le palle rosa, de gustibus…’. Estetista cinica: ‘Siamo ancora vittime del patriarcato?’,” Repubblica, 14 dicembre 2022, https://milano.repubblica.it/cronaca/2022/12/14/news/milano_la_battuta_sessista_di_salvini_albero_di_natale_con_le_palle_rosa_de_gustibus-379097851/.↩︎
Mieli, Elementi di critica, 111.↩︎
Cfr. Roland Barthes, Scritti. Società Testo Comunicazione, a cura di Gianfranco Marrone (Torino: Einaudi, 1998).↩︎
Vedi Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, trad. it Jessica Perna (Roma: Castelvecchi, 2015), 24.↩︎