ZoneModa Journal. Vol.13 n.1 (2023)
ISSN 2611-0563

Revisionare lo sguardo sul più scioccante dei colori. Il rosa come indicatore dei tempi più bui

Virginia SpadacciniUniversità degli Studi di Chieti-Pescara (Italy)

She is a Ph.D. student in Cultural Heritage Studies. Texts, Writings, Images at the University of Chieti-Pescara. Former fashion designer graduated at IED Rome, she proceeded cum laude in Art History at the aforementioned university with a thesis on Fashion Museology, later awarded with the “Special Mention” Socialis Prize (Ara Pacis Museum, Rome 2022). In her professional experience, she has collaborated with museums, universities, and many fashion Houses and consultants for luxury brands. She has attended international conferences as speaker. Her papers have been published on major peer-reviewed journals, conference proceedings and edited books.

Pubblicato: 2023-07-25

Reviewing the Gaze on the Most Shocking of Colours: Pink as a Marker of the Darkest Times

Abstract

Paying homage to Elsa Schiaparelli’s iconic colour shade from the thirties, this contribution is dedicated to the most “shocking” of colours, pink, and its counter normative power. Instead of retracing its symbolic history, this paper aims to provide a critical reading on its systematic appearance in the daily news, to utilize it as a lens for understanding our perspective on our time, fashion and gender included. Valentino’s Pink PP Collection RTW/FW 2022, the public objection to pink face masks for the Italian Police in 2022, the Pantone’s election of Viva Magenta as the colour of the year 2023, are presented as recent case studies to illustrate this apparent supremacy of pink.

Keywords: Fashion Criticism; Gender Studies; Menswear; Period Eye; Pink.

Revisionare lo sguardo. Introduzione

In omaggio alla storica tonalità di colore ideata da Elsa Schiaparelli negli anni Trenta, The Shocking Pink, il presente contributo è dedicato al più “scioccante” dei colori e al suo potere sovversivo. In particolare, saranno indagate le cause e gli effetti che l’hanno reso un colore controverso più di altri a seconda della percezione, dell’occhio, che è stato posto su di esso. Se è vero che “il colore ha cambiato il nostro sguardo”,1 è altrettanto vero il contrario. L’obiettivo non sarà dunque di ripercorrerne la storia simbolica — un filone di studi piuttosto saturo e per cui si rimanda alle note per uno stato dell’arte essenziale — semmai di proporre una lettura critica sulla sua sistematica comparsa tanto nelle cronache quotidiane, quanto sulle passerelle o nelle mostre, con l’auspicio di utilizzare questa rosea presenza come strumento di comprensione dei nostri tempi.
La scelta del rosa è scaturita dall’osservazione di come questo colore2 si sia reso protagonista a vario titolo di recenti episodi: a gennaio 2022 riviste internazionali come il New York Post riportavano della controversia relativa al presunto danno all’immagine che le mascherine rosa date in dotazione alla Polizia di Stato italiana avrebbero arrecato all’istituzione.3 Solo qualche mese dopo, a marzo, Pier Paolo Piccioli disegnava per l’uomo e la donna la Pink PP Collection A/I 2022–23. Raccogliendo il testimone di Valentino e sulla scia del trend “Barbiecore”,4 Versace presentava per la P/E 2023 look monocromatici e tinte di fuxia elettrico, scegliendo come musa Paris Hilton, la cui immagine con il Motorola Razr V-3 Pink è rimasta un’icona degli anni Duemila. Nello stesso periodo veniva inaugurata al Victoria and Albert Museum di Londra la mostra Fashioning Masculinities: The Art of Menswear, con una sezione dedicata esclusivamente al rosa.5 E gli esempi potrebbero continuare.
Se questi episodi hanno dimostrato il primato del rosa in un discorso di ampio respiro, hanno fatto emergere una certa ambiguità: infatti mentre una parte del mondo dava il benvenuto al rosa e lo collocava sul podio dei colori in tendenza, tanto che l’autorità mondiale del colore, Pantone, avrebbe eletto il Viva Magenta a colore dell’anno 2023,6 un’altra parte lo rifiutava.
Come si vedrà, alla base di questa contraddizione vi è una sola causa scatenante e che si ricollega alla rappresentazione del genere maschile. Per il volume tredicesimo di ZoneModa Journal dedicato alla moda e al gender questo tema rivendica la centralità che merita.

Rosa femmina

Accettando la definizione tradizionale di moda come sinonimo di “voga”, di un movimento alternato in avanti e poi indietro come quello dei rematori, deriva a corollario la sua identificazione con un costante, ciclico, cambiamento. Inoltre, pensando alla moda come a un prodotto della storia sociale, quindi come a un riflesso dei tempi che varia al mutare della società, consegue un’ulteriore riflessione: anche i colori di un abito o, meglio, ciò che essi comunicano, acquisiscono un senso in relazione al contesto e all’interpretazione del soggetto. Parafrasando il titolo di un saggio di Umberto Eco, è la cultura a condizionare il modo in cui vediamo i colori e perciò è sin troppo chiaro che, come le forme e i tessuti, pure questi fungono da segni, tratti vestimentari che rappresentano cose che stanno per qualcos’altro.7
Per queste ragioni persino un esperto come Michael Pastoreau non ha mai preteso di ricostruire una teoria unificante sui colori e ha invece circostanziato le proprie ricerche a un segmento temporale o ad aree specifiche, sottolineando la loro funzione tassonomica. Egli ha peraltro legato da principio i colori alla moda, affermando come sia quest’ultima a influenzarne gli usi sociali e non mancando di sottolineare i limiti di molta storia del costume (ma anche del design), talora lacunosa sul piano dell’analisi cromatica e concepita come un mero susseguirsi di silhouettes.8
Si può dunque affermare che non sia tanto un colore a cambiare ma appunto la rappresentazione che di esso viene o non viene data. Lo stesso può dirsi per l’identità sessuale la quale non è nient’altro che una costruzione sociale che determina a sua volta le distinzioni di genere “create indossando o non indossando un particolare tipo di abito, di colore, di tessuto o di taglia”.9
Quanto al rosa, l’associazione più comune è con il femminile, da cui il titolo del presente paragrafo Rosa femmina: generalmente la letteratura d’ambito è concorde nel sottolineare come il rosa sia passato dall’essere considerato un simbolo maschile e poi femminile senza soluzione di continuità per poi diventare appannaggio delle donne e delle bambine.
Secondo gli studi di Jo B. Paoletti, che ha preso in considerazione l’abbigliamento infantile nel contesto statunitense, alla “femminilizzazione” di questo colore si è accompagnata la “mascolinizzazione” di un altro: il blu.10 Tralasciando questa opposizione, sulla quale si tornerà più avanti, altri studiosi, come David Batchelor, hanno analizzato il percorso di “femminilizzazione” di tutti i colori.11 Mentre gli uomini avrebbero rinunciato alle tinte (vedi infra), ai più piccoli non sarebbe toccata la stessa sorte e, anzi, avrebbero continuato a indossare indistintamente il rosa, il blu, il giallo e così via. Tuttavia, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, il rosa si sarebbe talmente identificato con il genere femminile da essere stato progressivamente eliminato sia dall’abbigliamento dei bambini sia delle bambine (1965–85), per essere reintrodotto molti anni dopo e limitatamente al guardaroba delle seconde (dal 1985).12 Uno dei paradossi di questa momentanea latenza del rosa, ossia della sua messa al bando nel ventennio 1965–85, è che fu ordita dalle femministe di prima generazione che, pur contestando un modello di femminilità tradizionale indubbiamente prodotto da un retropensiero maschilista nell’epoca del “ritorno all’ordine” post-bellico, negavano a sé stesse e alle loro figlie la libertà di scegliere il rosa. Fu del resto questa presa di coscienza, da parte delle femministe di seconda generazione, a riabilitare il colore e con esso il suo utilizzo dopo la lunga damnatio memoriae, seppure a discapito dei bambini. Se l’origine di questo punto di non ritorno si riconduce alla misoginia, è presto detto il perché di questa limitazione alle bambine: occorre tenere conto del cambiamento dello sguardo dei genitori sui loro figli un tempo considerati come “cherubini”, angeli (senza sesso), e poi come “piccoli uomini” o “piccole donne”.13 Data la forza simbolica del rosa, al contrario mai posseduta dal blu, è allora chiaro perché ai “piccoli uomini” non sarebbe stato più concesso vestire come delle “piccole donne”.
Questi elementi lasciano intuire perché il passo verso l’equazione della bambina con la donna, la madre e quindi con la maternità e la vita, sarebbe stato breve. Ad avviso di chi scrive, appare tutt’altro che casuale la scelta di Pantone di eleggere il Veri Peri e il Viva Magenta a colori dell’anno 2022 e 2023, e un’altra nuance di rosa come Color of Biodiversity per il 2022. Sfogliando il testo di Leatrice Eiserman ed E. P. Cutler, che per la prima volta hanno raccolto tutti i “colori dell’anno” Pantone dal 2014,14 e confrontando i dati con quelli resi noti dalla pagina web,15 si possono notare dei ricorsi storici (Tav. 1).

Tavola 1: Elaborazione grafica dell’autrice con i colori dell’anno a confronto.

Per esempio il Cerulean Blu è stato associato a un futuro esaltante ma incerto, venato di nostalgia per un passato che sembrava non poter più tornare. Di qui la scelta per un colore tenue e rassicurante per il Duemila.16 Circa vent’anni dopo, scongiurata l’emergenza pandemica, dunque al “vero” passaggio dai Dieci ai Venti 2.0, un altro lilla, il Veri Peri, è scelto per rispondere a un bisogno di pace interiore e conforto. “Dopo il senso di smarrimento che aveva accompagnato il nuovo millennio”, veniva invece scelto il Fuchsia Rose, una tinta accesa e sinonimo di “rinascita” che “celebrava l’alba di una nuova era”.17 Per l’anno successivo veniva incoronato il True Red, colore del patriottismo americano desideroso di riscattarsi dal 9/11.18 Circa dieci anni dopo un altro “dinamico rosa-rosso [che] evocava forza ed esuberanza”,19 l’Honeysuckle, veniva posto sul podio. E dodici anni dopo ancora il Viva Magenta, evocativo di “vigor”, “vim” e “strenght”,20 sarebbe stato rieletto. Questi esempi confermano la percezione “vitale” del rosa, “positiva” nella misura in cui è stato preso a simbolo di rinascita in anni particolarmente incerti come risultano essere quelli di transizione tra un decennio e l’altro. Risignificazione, questa, scaturita dall’identificazione del colore con il genere femminile.
A questa visione corrisponderà una reazione uguale e contraria: nel paragrafo che segue verrà presentato il suo eloquente contraddittorio.

Rosa maschio

Mascherine rosa ai poliziotti. “Noi non le indossiamo, indecorose per la divisa”21
Mascherine rosa ai poliziotti, ok dal Siap di Palermo: “No a sciocchezze machiste”22
Mascherine rosa? “Siano donate per donne vittime di violenza e persone con disabilità”23

Con questi titoli molti quotidiani hanno riportato la notizia dei dispositivi di protezione dati ai poliziotti italiani: secondo quanto riportato in una lettera firmata dal Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, Stefano Paoloni, e indirizzata al Prefetto Lamberto Giannini, lo scorso gennaio 2022 molte questure, tra le quali quelle di Pavia, Varese, Ferrara, Siracusa e Venezia, hanno ricevuto una tale “inusuale fornitura di mascherine FFP2 di colore rosa […] non consono […] eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’Istituzione”. Così scriveva il portavoce del SAP che concludeva proponendo alternative “di un colore diverso (bianche, azzurre, blu o nere) comunque coerenti con l’uniforme”. Egli giustificava una tale richiesta facendo riferimento anche al “decoro”.24
Al di là degli esiti della vicenda, che restano ignoti,25 questo episodio riporta all’annosa questione dell’abito funzionale alla costruzione del Sé e dell’identità sessuale e al ruolo giocato dal colore. A tal proposito David Batchelor ha dimostrato come tutti i colori siano stati storicamente oggetto di pregiudizi e che questa avversione, che egli ha chiamato “cromofobia”, sia tipica dei paesi occidentali. In un passo centrale del suo libro scrive:

La cromofobia si manifesta nei tanti e vari tentativi di purgare il colore dalla cultura, di svalutare il colore, di diminuirne la rilevanza, di negarne la complessità. Più specificatamente: questa espunzione del colore è di solito realizzata in una o due maniere. Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo “estraneo”: di solito il femminile, l’orientale, il primitivo, l’infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell’inessenziale o del cosmetico.26

L’“estraneo” viene identificato con il “femminile”, l’“infantile”, il “bizzarro”, il “cosmetico”. E aggiunge:

In Color Codes, Charles A. Riley rileva una tendenza ad associare il colore con l’omosessualità maschile […] e per nessuno il trucco è più importante che per l’omosessuale che si traveste […] il suo scopo è di confondere e sedurre, di contraffare e celare […] Il colore è spesso vicino al corpo e mai lontano dalla sessualità, sia eterosessuale sia omosessuale.27

Quanto al caso specifico del rosa, secondo Pastoreau fu la scoperta del Malva di Perkin (1856) a dar luogo all’avversione per tutti “i rosa prodotti oggi dall’uomo […] tra le tinte più artificiali e più lontane da quelli presenti in natura […] colore volgare, chimico, sgradevole per l’occhio”.28 Questa repulsione può forse essere ricondotta alla “Grande Rinuncia Maschile”29 con cui si descrive il fenomeno dell’“uniformizzazione” del costume dell’uomo borghese con suo relativo ingrigirsi — un paradosso se si pensa che nello stesso periodo venivano per l’appunto inventate le tinte sintetiche. E fu così che Richard Wagner già subiva le conseguenze del pregiudizio se era costretto ad attribuire alla seconda moglie Cosima i suoi inconfessabili acquisti di metri e metri di satin rosa, il suo colore preferito.30
Il caso in esame è dunque emblematico: innanzitutto perché denuncia l’ostilità che può provocare questo colore quando (ri)entra nell’armadio maschile.31 Inoltre perché introduce al tema delle maschere, quindi dell’occultamento e dello svelamento, riportando alla memoria uno stereotipo legato alla divisa, da cliché indossata necessariamente da uomini, categoricamente eterosessuali. Ciò che è accaduto è che un oggetto atto a proteggere, avrebbe potuto esporre al danno d’immagine. Alla luce di quanto detto, più che un danno all’immagine, sembra essere stato evocato un altro tipo di danno: quello dell’immaginario, machista, di certi maschi eterosessuali, quelli che Mario Mieli non avrebbe esitato a definire “criptochecche”.32
Del resto la storia del costume ha dimostrato la “dirompenza” dei fenomeni di risignificazione ogni qual volta sono state proposte scelte fuori Norma33: basti pensare alle ondate di sdegno che sistematicamente provocano i partecipanti ai Gay Pride, talora nei panni di soldati “alla Moschino”.34 Verrebbe quindi da pensare che il problema di fondo sia come sempre lo spauracchio dell’alterità, che nel caso del rosa si è fatto dapprima sinonimo di femminile e poi di omosessuale.
Benché i “cavalieri” di ieri vestissero di rosa, come testimoniato dall’omonimo dipinto di Giovan Battista Moroni (1560), perché una moda divenga costume presso la massa, non sono sufficienti episodi isolati. Si è ritenuto pertanto significativo il richiamo ai titoli citati nell’incipit che dimostrano da una parte una frattura interna al sistema (SAP vs SIAP Palermo) e quindi di una rottura della Norma.35 Dall’altra la sua riaffermazione nella misura in cui questi oggetti si riassegnerebbero ai loro “legittimi destinatari”: donne (vittime di violenza) e disabili.
Quanto alla dirompenza di cui si diceva poc’anzi, è presto detto perché si è scelto di virgolettarla: si può affermare che questi fenomeni siano realmente dirompenti laddove essi non abbiano prodotto un cambiamento dei costumi effettivo?

Rosa universale

Riprendendo la “genderizzazione” del colore, un ultimo aspetto riguarda la vexata quaestio circa la “femminilizzazione” del rosa contrapposta alla “mascolinizzazione” di un altro colore: il blu. Tra le varie ipotesi alle origini della tendenza kitsch del momento del gender reveal party, quindi alle origini del dualismo blu-rosa, una è da ricercarsi nella storia del collezionismo: Valerie Steele ha ricordato infatti la grande risonanza che seguì l’acquisto di due dipinti da parte di Arabella ed Henry E. Huntington.36
Si trattava del ritratto di un giovane vestito di blu, in seguito noto come The Blue Boy, di Thomas Gainsborough (1770) e del ritratto di Sarah Goodin Barrett Moulton detta “Pinkie” di Thomas Lawrence (1794).37 Questi furono acquistati rispettivamente nel 1921 e nel ’27 e si trovano presso la tenuta dei coniugi di San Marino in California, dal ’28 aperta al pubblico e diventata sede di un museo con annessa biblioteca e giardino botanico.38 L’opera di Gainsborough fu esposta alla National Gallery prima di essere venduta ai facoltosi americani, secondo una strategia di marketing orchestrata dal mercante Joseph Duveen che contribuì a far lievitare le quote sino alla cifra record di 728.800 dollari. L’attenzione del pubblico sulla vicenda rese questo ritratto, già popolare in Europa, assai celebre anche oltreoceano. Qualche anno dopo una sorte analoga toccò a Pinkie, rivenduta dalla casa d’aste dei fratelli Duveen all’ormai vedovo Henry.39
È possibile, quindi, che fu questa pubblicità, come suggerirebbe la Steele, a creare il binarismo cromatico di cui si diceva poc’anzi? Non ad avviso di chi scrive, intanto perché gli acquisti avvennero in tempi diversi, inoltre le porte della dimora furono ufficialmente aperte al pubblico dal 1928. Si ritiene invece che sia stata la modalità espositiva dei quadri ad aver contribuito a creare questa associazione dato che sin da principio furono appesi nella stessa sala, l’uno di fronte all’altro40 e/o l’uno accanto all’altro.41 Come riportato da Valerie Hedquist all’interno del suo studio sulla ricezione del “ragazzo blu”, l’accostamento dei due ritratti ebbe certamente un ruolo attivo nel creare il binomio “blue-boy”, “pink-girl”:

Their function as well-known “companion pieces” contributed to their imagined romantic relationship […] and to their role in gendering blue for boys and pink for girls.42

Presi infatti singolarmente non avrebbero altrettanta forza — per di più l’opera di Gainsborough fu divisiva in quanto il pubblico vi riconosceva un’effeminatezza disturbante.43
Questo tema apre infine una riflessione sull’importanza della rappresentazione in un contesto espositivo come quello museale: laddove la comunità scientifica si sta interrogando sul futuro della moda, conviene chiedersi se il museo possa essere il luogo adatto a ripensare l’intero sistema. A giudicare dal numero di mostre dedicate al genere si direbbe di sì: Fashioning Masculinities: The Art of Menswear, “anticipata” da Il Maschile – Androgynous Mind, Eclectic Body tenuta al Gucci Garden due anni prima, ne sono la riprova.44
Sebbene i musei si configurino come istituzioni permanenti senza scopo di lucro, aperte al pubblico, accessibili e inclusive, e che promuovono diversità e sostenibilità,45 non si può pensare ad essi come a dei luoghi “neutri”:

[…] il museo non mostra l’arte, la scienza o la società, ma la loro costruzione attraverso la “musealità”. In tal senso, l’elaborazione museografica fa parte di ciò che il museo rappresenta; la sua lettura coinvolge in particolare una storia della storia (dell’arte, della critica, della scienza, della museologia), oltre a una conoscenza degli usi.46

Se ciò risulta ovvio nei musei etnografici, ove la storia collezionistica dei beni conservati è quasi sempre rivelatoria di un retropensiero europocentrico, questa problematica li riguarda tutti. In ragione di ciò molti curatori hanno cominciato a scandagliare i depositi, rivedere i materiali e le modalità espositive di storytelling.47 Quindi, nonostante i limiti, i musei si configurano comunque come luoghi ideali in cui attuare tale operazione critica di ripensamento sulla moda.
Quanto ai colori, di tutte le identificazioni del rosa con il femminile vi è pure quella con la moda e con essa della museologia e la storia del collezionismo di settore, diversamente dal collezionismo d’arte, prerogativa maschile.48 Ma il museo non deve avere colori: diversamente dall’industria, che persegue scopi commerciali, è nello “spazio bianco” della cultura che occorre revisionare lo sguardo sulla moda. Questa infatti riafferma la Norma, in quanto mercifica, liberalizza ma non libera realmente dal pregiudizio49: a fronte dei tentativi di “assolutizzazione” del rosa come nel caso della Pink PP Collection di Valentino che, assieme a Pantone, ha studiato una nuance comune per l’uomo e la donna,50 la vita quotidiana è spesso piuttosto “nera”, testimone di una tendenza opposta, “color-omo-fobica”, estroversione negativa del desiderio omoerotico censurato, ipocrita, del maschio eterosessuale.51
È corretto allora asserire che, quando il Rosa maschio è accettato, lo è solo per una trovata pubblicitaria52? Forse sì, altrimenti non si sarebbe sollevato il polverone per le mascherine rosa, né l’anno 2022 si sarebbe concluso così come è cominciato: con un’altra polemica scatenata da una battuta del Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, dettosi contrario al colore scelto dallo sponsor per gli addobbi dell’albero di Natale in piazza Duomo a Milano.53
Sebbene la moda dia l’illusione di “normalizzare” ciò che è fuori norma contribuendo a far diventare di moda qualcosa che prima non lo era (o non lo era più), la sua mercificazione non altera sostanzialmente il costume, per dirla con Mieli.54 Chiaramente è questo un paradosso, lo stesso di quando la moda parla di sostenibilità: ma la fashion industry non è la più inquinante del mondo?

Conclusioni. Il rosa come indicatore dei tempi più bui

La moda esiste soltanto grazie al discorso che si fa su di essa, sosteneva Roland Barthes.55 Nonostante i vizi del sistema-industria, va dato merito ai Fashion Studies di aver stimolato il dibattito critico attorno alle problematiche del settore. Quindi, per rispondere alla pruriginosa domanda di cui sopra, bisogna certamente fare i conti con uno dei tanti paradossi della moda, che mercifica ma non altera i costumi, e tuttavia contribuisce a creare un discorso. Perciò la liberalizzazione delle “trasgressioni” messa in atto dalla moda allo scopo di sfruttarle, ossia per trasformarle in asset economico, se da un lato le feticizzano, dall’altra generano una riflessione su temi che altrimenti resterebbero repressi e rimossi.
Come insegna la critica militante che più volte ha insistito sul tema della visione, il problema di fondo rispetto a certe questioni non è tanto il problema in sé, ma il perché ci si rivolga ad esse come a dei problemi.56 Quindi è il fatto stesso di pensare alle mascherine rosa o alle decorazioni natalizie come a dei problemi a confermare l’introiezione del pregiudizio.
E perciò, anche se è difficile prevedere quali saranno i colori del futuro, su una cosa si può forse essere sicuri: ogni qual volta che ci si scioccherà per il rosa, o che si avrà bisogno di utilizzarlo come mezzo per sovvertire il costume, sarà una chiara spia dei tempi. Tutt’altro che rosei, alquanto bui.

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  1. Riccardo Falcinelli, Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo (Torino: Einaudi, 2017).↩︎

  2. In tutto il saggio ci si riferirà al rosa in maniera forse impropria ma funzionale alla trattazione, ossia senza distinguere le varianti. Del resto il fenomeno della percezione visiva è soggettivo, per cui ogni definizione risulterebbe inesatta. Per esempio in The Designer’s Dictionary of Color sono annoverati il Baby Pink, il Geranium Pink, il Rose ma anche l’Hot Pink che viene messo nella famiglia dei Fuchsia. Vedi Sean Adams, The Designer’s Dictionary of Color (New York: Abrams, 2017), 16–17.↩︎

  3. Vedi Jon Levine, “Fashion conscious Italian police object to pink face masks,” New York Post, 15 gennaio 2022, https://nypost.com/2022/01/15/fashion-conscious-italian-police-object-to-pink-face-masks/?utm_source=url_sitebuttons&utm_medium=site%20buttons&utm_campaign=site%20buttons.↩︎

  4. Alice Cary, “Barbiecore is Everywhere This Summer,” Vogue, 29 giugno 2022, https://www.vogue.com/article/barbie-fashion-is-everywhere-this-summer.↩︎

  5. “In the Pink: Colour in Menswear,” V&A, consultato il 7 dicembre 2022, https://www.vam.ac.uk/articles/in-the-pink-colour-in-menswear.↩︎

  6. “Color of the year 2023,” Pantone, consultato il 7 dicembre 2022, https://www.pantone.com/eu/it/color-of-the-year-2023. In fondo alla pagina è visibile la rassegna completa dei “Past Colors of the Year”.↩︎

  7. Vedi Umberto Eco, “Il senso dei colori”, in Senso e storia dell’estetica, a cura di Pietro Montani (Parma: Pratiche, 1995), 511–524, in part. saggio intitolato Come la cultura condiziona i colori che vediamo.↩︎

  8. Michael Pastoreau, Dizionario dei colori del nostro tempo, trad. it Monica Fiorini (Milano: Ponte alle Grazie, 2015).↩︎

  9. Michael R. Solomon, Gokcen Coskuner e Caroline Lego Muñoz, “Moda, psicologia, società,” in Enciclopedia della moda, III (Roma: Treccani, 2005), 124.↩︎

  10. Jo B. Paoletti, Pink and blue: telling the boys from the girls in America (Bloomington: Indiana University Press, 2012).↩︎

  11. David Batchelor, Cromofobia. Storia della paura del colore, trad. it Michele Sampaolo (Milano: Mondadori, 2001).↩︎

  12. Questi dati si basano sullo studio di Paoletti che si riferisce più nello specifico al contesto statunitense.↩︎

  13. Sin qui: cfr. Paoletti, Pink and blue.↩︎

  14. Leatrice Eiserman ed E. P. Cutler, Pantone on Fashion. Un secolo di colori nella moda (Milano: Rizzoli, 2014), 108–115.↩︎

  15. Vedi nota n. 6.↩︎

  16. Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 108.↩︎

  17. Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 109.↩︎

  18. Eiserman e Cutler, 109.↩︎

  19. Eiserman e Cutler, Pantone on Fashion, 114.↩︎

  20. Vedi nota n. 6.↩︎

  21. Titolo dell’articolo di Alessandra Ziniti, Repubblica, 13 gennaio 2022, https://www.repubblica.it/cronaca/2022/01/13/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_noi_non_le_indossiamo_la_divisa_va_rispettata_-333688578.↩︎

  22. Titolo dell’articolo di Eugenia Nicolosi, Repubblica, 16 gennaio 2022, https://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/01/16/news/mascherine_rosa_ai_poliziotti_ok_dal_siap_di_palermo_no_a_sciocchezze_machiste_-334042532.↩︎

  23. Titolo dell’articolo di Chiara Ludovisi, Redattore Sociale, 17 gennaio 2022, https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/mascherine_rosa_siano_donate_per_donne_vittime_di_violenza_e_le_persone_con_disabilita.↩︎

  24. Le parole sin qui virgolettate sono riprese dalla lettera di cui sopra datata al 13 gennaio 2022 (Prot. 0272/39 – SG. 34 – PAO.), la cui copia integrale è stata diffusa a mezzo stampa ed è accessibile al link (consultato il 15 gennaio 2023), https://www.sap-nazionale.org/2016/wp-content/uploads/2022.01.13_capo_mascherine_rosa.pdf.↩︎

  25. Da quanto risulta a chi scrive non sono state rese pubbliche eventuali repliche di Giannini.↩︎

  26. Batchelor, Cromofobia, 19.↩︎

  27. Charles A. Riley II, Color Codes (Hannover-Londra: University Press of New England, 1995), cit. in Batchelor, 73.↩︎

  28. Pastoreau, Dizionario dei colori, 136.↩︎

  29. John C. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, trad. it Giancarlo Tibaldi (Milano: Franco Angeli, 1974), 123–126.↩︎

  30. Valerie Steele, “Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color,” in Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color, a cura di Valerie Steele (Londra: Thames & Hudson, 2018), 30.↩︎

  31. Dopo la Rivoluzione del pavone degli anni Sessanta, i colori sgargianti sarebbero rientrati nel guardaroba maschile di massa, meno che il rosa: quest’ultimo si sarebbe limitato a delle veloci comparsate, legate per lo più al costume per lo spettacolo (p. es. Elvis Presley 1950 ca., rapper Cam’ron 2004…).↩︎

  32. Cfr. Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale (Torino: Einaudi, 1977), in part. al capitolo III I maschi eterosessuali ovvero le criptochecche, 103–146.↩︎

  33. Cfr. Mieli.↩︎

  34. Vedi le collezioni uomo A/I 2017, A/I 2018.↩︎

  35. Cfr. Mieli, Elementi di critica.↩︎

  36. Steele, “Pink. The History,” 40–44. Vedi inoltre Ella S. Siple, “Recent Acquisitions by American Collectors: Supplement,” The Burlington Magazine for Connoisseurs, 51.297 (dicembre 1927): 297–311, in part. 297. Se questa ipotesi si applica al caso di studio statunitense e in riferimento all’abbigliamento infantile, un’altra, suggerita da Pastoreau, rintraccia nel Medioevo un proto-binarismo di genere nell’opposizione rosso-blu. Vedi: Pastoreau, Dizionario dei colori, 27–29, 135–136.↩︎

  37. Per la documentazione sulla storia collezionistica e la fortuna dei dipinti si rimanda al sito ufficiale del Museo di Huntington ai link, consultati il 15 gennaio 2023, https://huntington.org/blue-boy e https://huntington.org/pinkie (incl. approfondimenti collegati).↩︎

  38. “The Huntington Library and Art Gallery Opened,” The American Magazine of Art, 19.4 (aprile 1928): 220.↩︎

  39. Philip Kelley e Ronald Hudson, “New Light on Sir Thomas Lawrence’s ‘Pinkie’,” Huntington Library Quarterly, 28.3 (maggio 1965): 255–261.↩︎

  40. “The Huntington Library and Art Gallery Opened,” 220.↩︎

  41. Vedi la fotografia con l’allestimento degli anni Trenta pubblicata in: Valerie Hedquist, Class, Gender, and Sexuality in Thomas Gainsborough’s Blue Boy (New York: Routledge, 2019), figura 6.2.↩︎

  42. Hedquist.↩︎

  43. Hedquist.↩︎

  44. Si segnalano inoltre: Masculinities: Liberation through Photography (Barbican Art Gallery, Londra 2020), Masculinities (Musée Mode & Dentelle, Bruxelles 2020–2021), Gender Bending Fashion (Museum of Fine Arts Boston, 2019).↩︎

  45. Cfr. Nuova definizione di museo approvata dall’ICOM (XXVI General Conference, Praga 2022), accessibile al link (consultato il 15 marzo 2023): https://icom.museum/en/resources/standards-guidelines/museum-definition.↩︎

  46. Dominique Poulot, Musei e museologia, trad. it Adriana Crespi Bortolini (Milano: Jaca Book, 2008), 107.↩︎

  47. Vedi Giulia Grechi, Decolonizzare il museo. Mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati (Milano–Udine: Mimesis, 2021).↩︎

  48. Cfr. Amy De La Haye, “A Critical Analysis of Practices of Collecting Fashionable Dress,” Fashion Theory, 22.4–5 (2018): 381–403, https://doi.org/10.1080/1362704X.2018.1429742; cfr. Julia Petrov, “Gender Considerations in Fashion History Exhibitions,” in Fashion and Museums. Theory and Practice, a cura di Marie Riegels Melchior e Birgitta Svensson (Londra: Bloomsbury, 2014), 77–90.↩︎

  49. I termini in corsivo in questo periodo sono ripresi nell’accezione data da Mieli, Elementi di critica.↩︎

  50. Non a caso la collezione si ispirava a Lucio Fontana e al concetto del “taglio” quindi dell’andare “oltre”.↩︎

  51. Cfr. Mieli, Elementi di critica, 115–119.↩︎

  52. Cfr. Steele, “Pink. The History,” 93.↩︎

  53. Vedi Alberto Custodero, “Milano, la battuta sessista di Salvini: ‘Albero di natale con le palle rosa, de gustibus…’. Estetista cinica: ‘Siamo ancora vittime del patriarcato?’,” Repubblica, 14 dicembre 2022, https://milano.repubblica.it/cronaca/2022/12/14/news/milano_la_battuta_sessista_di_salvini_albero_di_natale_con_le_palle_rosa_de_gustibus-379097851/.↩︎

  54. Mieli, Elementi di critica, 111.↩︎

  55. Cfr. Roland Barthes, Scritti. Società Testo Comunicazione, a cura di Gianfranco Marrone (Torino: Einaudi, 1998).↩︎

  56. Vedi Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, trad. it Jessica Perna (Roma: Castelvecchi, 2015), 24.↩︎