Gran parte della poetica di Ken Scott potrebbe esaurirsi nell’eco delle sue parole: “Ma i fiori continueranno a dominare i miei motivi, perché li amo… e vorrei dire che i miei stampati, dichiaratamente ornamentali e femminili, hanno costituito un valido contrattacco alla mania planetaria per i grafismi Op e Pop…”. Finalmente, dopo decenni di oblio inspiegabile e di colpevole dimenticanza, esce per Rizzoli una monografia che pareggia i conti, con immagini e interventi capaci di ricostruire al completo la poliedrica personalità del designer americano. Nato nel 1918 a Fort Wayne, nell’Indiana, Ken Scott entra alla celebre Parsons School of Design di New York con l’intenzione di diventare artista, ma ben presto capisce che per lui più che la tela fanno i tessuti. O meglio, fin dalle prime esperienza il futuro designer sente la spinta a travalicare i limiti della cornice e del cavalletto per espandere la sua creatività su scala ambientale, tanto più che già nel 1944, su “Glamour”, pubblica il progetto di arredo completo per una casa per soli 25 dollari: la testimonianza diretta di una vocazione più ampia, sospinta dal desiderio di invadere lo spazio, di occupare ogni porzione di parete con colori e accessori. La svolta avviene nel 1955, quando, trasferitosi a Milano, con l’amico Vittorio Fiorazzo fonda il marchio Falconetto, lì per lì un’azienda pensata per la realizzazione di tessuti per altre maison, anche di prestigio (su tutte, Dior e Balmain); ma sta proprio qui l’innesco di una diversa cultura delle forme e della silhouette, con la maturazione di una spinta eguale e contraria. Bisogna infatti sottolineare che al tempo la moda dominante era ancora dettata dalle soluzioni elaborate, in certi casi perfino materiche (si pensi a Balenciaga o allo stesso Dior) della haute couture, con tutta la maestria e l’esclusivismo tipico di una cultura riservata a una casta di happy few. Una delle intuizioni più spettacolari di Ken Scott, probabilmente imputabile all’insofferenza verso i templi chiusi dei grandi couturier, consiste nella rottura delle barriere, nell’apertura democratica di una moda di qualità a favore di un’ampia gittata di consumatrici; non è detto, insomma, che per essere stilosi e vestirsi bene ci si debba rivolgere ai santi della moda, anzi, è tempo che l’universo di colori di cui Ken Scott oramai domina la tavolozza si rivolga al grande pubblico per riempirne armadi, le case e le strade. Per inciso, una simile posizione estetica e filosofica incrocia al millimetro le idee di Pierre Cardin, coetaneo del designer americano, impegnato a sua volta ad allargare in senso “popular” lo stanco elitismo delle passerelle. Ma qui scatta una differenza cruciale fra i due, uno iato in grado di scontornare il livello di creatività di Ken Scott, che, fondato il marchio che porta il suo nome nel 1962, parte per l’appunto al “contrattacco” delle correnti della Pop e della Optical Art, al tempo condotte proprio da Pierre Cardin e dai maggiori esponenti del clima “op”, i Missoni. Naturalmente, ciò che emerge con chiarezza dalla monografia sia nei vari saggi sia nell’impianto iconografico è la passione irrefrenabile di Ken Scott per il mondo dei fiori, a torto rubricabili in una generica manifestazione di fenomenologia a matrice Pop: Pop Art e Pop fashion impongono la ferrea logica dello stereotipo e della stilizzazione in serie, prescrivono il ricorso a una sintassi secca e pulita, laddove la carica incontenibile della fantasia kenscottiana evoca il meraviglioso pullulare di un’energia botanico-cromatica molto lontana dalle icone di ascendenza pop. Un tale scenario di proposte si sintonizza molto bene con la cultura in voga nella seconda metà degli anni Sessanta, quella che per intenderci si apre agli stimoli dei figli dei fiori e della psichedelia, di cui la febbrile proliferazione di Ken Scott è la resultante indumentale sia nelle trame sia nelle forme. Le splendide immagini raccolte nel volume mostrano infatti una sequenza inesauribile di volumi ampi, morbidi e fluttuanti, ricavati dai tanti viaggi geografici e culturali del suo inventore, pronto ad accogliere nell’armadio femminile (e in parte maschile) tuniche e caftani, larghi, comodi, in modo da suggerire alla modella e al pubblico cui sono destinati movimenti e gestualità libere, come se eseguite dagli esponenti di una Body Art gioiosa e colorata. Oltretutto, si tratta di capi che beneficiano di un denso quoziente di ricerca, dato che nel realizzarli lo stilista ha evocato i florealismi dell’Art Nouveau per mescolarli alle geometrie mobili dei grandi artisti del primo Novecento, da Sonia Delaunay a Paul Klee, da Johannes Itten e Mark Rothko. Insomma, da ogni invenzione kenscottiana promana una specie di benevola forza vitalistica, un’energia verde, potremmo dire, davvero imputabile al fitomorfismo della stagione simbolista, “io conosco ogni foglia, ogni pistillo, ogni struttura e nervatura dei fiori. Bisogna sentirne lo spirito, trattarli come esseri vivi, come creature”, scrive il designer, che, come si diceva, con la cultura fin de siècle condivide anche la vocazione ambientale. Tra gli aspetti più significativi indagati nel volume spicca l’impulso di Ken Scott a ragionare in grande, cioè a uscire dalle ante del guardaroba per progettare total look per la casa, per realizzare arredi e giardini, fino ad aprire il ristorante Eats & Drinks e a cucinare lui stesso per i commensali, in largo anticipo su certi protagonisti dell’arte contemporanea come Vanessa Beecroft o Rirkrit Tiravanija. Non ultimo, ce lo racconta Federico Chiara, il Ken Scott delle sfilate. Lo stilista inaugura in nuovo modo di presentare le collezioni, come quando, nel 1967, fa sfilare venticinque celebri coppie dell’arte e della letteratura (Fiammetta e Boccaccio, Laura e Petrarca ecc.), o come quando, l’anno seguente, mette in scena un vero e proprio circo con tanto di acrobati e mangiafuoco. Di nuovo, le immagini del libro ci restituiscono la visionarietà di questo straordinario designer a tutto tondo, e bisogna plaudere a un progetto che ha riattualizzato la forza di un artista giustamente riallocato fra i big della moda internazionale.
Ken Scott, il figlio dei fiori
Pubblicato: 2022-12-20