ZoneModa Journal. Vol.12 n.1 (2022)
ISSN 2611-0563

Teaching Fashion in a Complex Society

Emanuela ScarpelliniUniversità degli Studi di Milano (Italy)

She is Professor of Modern History at the University of Milan. She was a visiting scholar at Stanford University and Cambridge University, and has also been a Visiting Professor at both Stanford and Georgetown universities. She was awarded many grants and fellowships (Rockefeller Archive Center, Fulbright, Lemelson Center at the Smithsonian Institution). Scarpellini extensively wrote about consumer culture in the twentieth century. Among her books: Material Nation: A Consumer’s History of Modern Italy (Oxford University Press, 2011), Food and Foodways in Italy from 1861 to the Present (Palgrave Macmillan, 2016), Italian Fashion Since 1945: A Cultural History (Palgrave Macmillan, 2019).

Pubblicato: 2022-07-11

Abstract

This paper analyzes the issues related to the establishment of an academic fashion course in our age of complexity. It shows the transition from studies focused on the analysis of the fashion object, with reference to the history of costume and the history of art, to studies focused on the complex of productive, cultural and communicative activities that established the current fashion system. It also shows the correspondence of the course launched at the University of Milan with respect to the so-called “Triple Helix” cultural policy. It therefore refers to the connections among the three poles of the virtuous exchange relationship: first, the university, with its research centers and scientific and educational activities; secondly, the world of work, with the relationship with representatives of companies and various entities in the fashion world, as well as the promotion of internships; finally, the third pole consists of the national and European government and the various initiatives to support innovative aspects and sustainable fashion.

Keywords: Fashion Education; Milan University; Triple Helix; Fashion Courses; Age of Complexity.

Strutturare un corso universitario di moda oggi è un compito molto complesso. Abbiamo assistito a un complesso mutamento culturale che ha trasformato profondamente i contenuti e le metodologie didattiche tradizionalmente utilizzate. Sin quasi alla fine del ventesimo secolo, infatti, l’insegnamento della moda era in primo luogo mirato all’acquisizione di conoscenze pratiche legate al “sapere fare” e quindi al lavoro diretto sul tessuto e sul capo di abbigliamento (appannaggio in particolare delle scuole professionali). Questo insegnamento era affiancato da approfondimenti culturali, di taglio più accademico, incentrati sulla storia del costume, e quindi volti a un’analisi specifica di tutti gli oggetti di carattere tessile, non solo abiti e accessori, ma anche tessuti e arazzi, con una particolare attenzione alle produzioni di elevato valore storico e artistico. La disciplina di punta per questo tipo di approccio era la storia dell’arte e la metodologia utilizzata si rifaceva principalmente all’analisi estetica, privilegiando quindi elementi come il disegno, il colore, la qualità artistica dell’oggetto e il suo generale significato in ambito storico e artistico. Non a caso gli insegnamenti di storia del costume avevano spesso uno stretto rapporto con le istituzioni museali, sia quelle che guardavano ai grandi esempi fioriti all’estero, a cominciare dal Victoria and Albert Museum di Londra, sia alle collezioni tessili e di abbigliamento private o pubbliche, conservate in specifiche sezioni dei musei italiani.

Tutto ciò era coadiuvato da uno studio della materialità dell’oggetto, vale a dire un’analisi delle specificità del manufatto, della sua tipologia, con particolare riferimento al contesto storico di produzione. Il risultato era una classificazione del prodotto all’interno di una specifica epoca, con una precisa datazione storica. Inutile dire che oggetti privilegiati di questo tipo di analisi erano soprattutto i preziosi manufatti prodotti nel corso della storia medievale e moderna, come arazzi, tessuti e vestiti di grande pregio e raffinatezza.

Rispetto a questo tipo di approccio, che ha fornito importantissimi risultati nel settore della storia dell’arte e del costume, il periodo contemporaneo è rimasto spesso in ombra. Questo perché il passaggio da una produzione unica artigianale a una produzione industriale seriale ha messo in discussione alcuni dei fondamenti di questo tipo di studi, basati sull’analisi dell’originalità e preziosità dell’oggetto in esame. Ancora di più, si può dire che a partire dalla rivoluzione degli stilisti italiani e quindi della moda pronta, si è assistito a un cambiamento nel paradigma stesso dell’idea di moda: non più oggetto su misura, artigianale e prezioso, ma manufatto seriale, valorizzato e sostenuto da una formidabile campagna di marketing e comunicazione. Nel nuovo mondo industrializzato della moda, l’oggetto di studio non è più unicamente costituito dal bene materiale, ma anche da tutte le azioni di promozione commerciale, di pubblicità, di creazione del brand e di distribuzione commerciale in tutte le sue forme, che insieme vanno a costituire l’attuale mondo della moda1.

È evidente che questo tipo di organizzazione del sistema moda, che ha in Italia uno dei suoi migliori e più riusciti esempi, impone uno studio e una metodologia di insegnamento molto differenti rispetto al passato. L’esempio che qui si vuole portare al proposito è il corso di studi magistrale di “Editoria, culture della comunicazione e della moda”, attivato presso l’Università degli Studi di Milano, e articolato in tre curricula differenti: uno dedicato all’Editoria, uno alla Comunicazione, uno appunto alla Moda. La sfida era quella di provare a insegnare e trasmettere agli allievi la complessità del sistema moda attuale attraverso un percorso di studi che li mettesse in grado di cogliere le numerose sfide della moda nell’era contemporanea2.

Il primo passo è stato quello di immaginare un curriculum aperto, vale a dire non dotato esclusivamente di insegnamenti iper specialistici sulla moda, ma che potesse invece fornire una solida base di conoscenze in vista di una preparazione ampia e flessibile. Di qui l’inserimento di elementi basilari delle materie soprattutto umanistiche che si muovono tra filosofia, storia, letteratura e linguistica, ma anche economia aziendale, storia dell’arte e della cultura visuale, oltre che due lingue straniere (con inglese obbligatorio). Su questa base, sono stati innestati insegnamenti più specialistici riguardanti la moda, intesa sotto varie angolature disciplinari: storia della moda (con particolare attenzione anche alla valorizzazione dei suoi archivi), l’estetica degli oggetti, la letteratura e la linguistica specializzati sulla moda, i fashion studies, la storia dell’arte e della fotografia. Due ulteriori importanti settori sono costituiti, in primo luogo, da insegnamenti focalizzati sulla comunicazione, con la consapevolezza che il sistema moda odierno gioca fortemente su questo tasto; di qui esami che riguardano la pubblicità, il giornalismo in tutte le sue forme, la storia dei mass media. In secondo luogo, da materie mirate specificamente all’analisi del mondo digitale, con studio e realizzazione di siti web, analisi dei big data e dei social media, e introduzione alle digital humanities. Tutto questo perché la moda oggi comunica su più piani e soprattutto non utilizza più esclusivamente un rapporto top down, quindi da esperti comunicatori o produttori ai consumatori finali, ma vede sempre più l’utilizzo di approcci bottom up, con il coinvolgimento attivo dei consumatori nella creazione di nuovi modelli culturali e commerciali.

A livello più generale, l’attivazione di questo percorso di laurea ha voluto sposare l’approccio cosiddetto della “Tripla Elica”, vale a dire intreccio tra i mondi dell’università, dell’industria e del governo, ritenuto da molta letteratura efficace per attivare un’innovazione condivisa.

Per quanto riguarda l’università, l’attenzione si è focalizzata su di un tipo di laurea il più possibile in sintonia con le esigenze della Knowledge economy rispetto alla tradizionale Industrial economy, con una particolare attenzione alle nuove tendenze e al ruolo dei consumatori3. Da questo punto di vista, un importante punto di raccordo tra didattica e ricerca scientifica è la presenza del Centro di ricerca MIC (Moda Immagine e Consumi), attivo presso l’Università di Milano dal 2010, che collabora con varie iniziative didattiche con il corso di laurea (convegni, seminari, inviti di docenti stranieri per lezioni, materiali per i corsi, ecc.).

Riguardo al secondo punto, e cioè il rapporto con il mondo del lavoro, esso viene perseguito in vari modi. Si è stabilita una importante presenza di professionisti del mondo del lavoro in veste di collaboratori per corsi specifici o laboratori, affinché portassero la loro diretta esperienza agli studenti. In vari casi, i corsi sono stati così “raddoppiati”: al corso teorico che fornisce le conoscenze di base, tenuto da un docente, si è affiancato per la stessa materia un corso pratico tenuto da un professionista, proveniente per esempio dal mondo del giornalismo, della moda, dalla pubblicità, delle aziende. Importanti suggestioni emergono dagli incontri regolari dei docenti di riferimento con gli esponenti del mondo del lavoro. Infine un apporto fondamentale è costituito dal sistema degli stage, obbligatori per ogni allievo, che innestano un’esperienza diretta nel mondo del lavoro all’interno del percorso formativo — stage attivati con aziende del mondo della moda, agenzie, case di pubblicità, riviste e organizzazioni culturali.

Il terzo elemento dell’elica, e cioè il rapporto con l’autorità, è perseguito con un piano di collaborazioni scientifiche e didattiche. Il caso più recente è stata l’assegnazione nel 2021 di borse aggiuntive di Dottorato di Ricerca su tematiche dell’innovazione e green, nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON), che ha consentito l’attribuzione di un posto di Dottorato a una ricerca sulla Moda green e sostenibile. Rientrano in parte in questo punto le attività per la Terza Missione, vale a dire gli incontri e le lezioni pubbliche organizzate sia a fini didattici interni sia per la divulgazione delle conoscenze verso un pubblico più vasto, con il fine anche di aprire un dialogo tra didattica e cittadinanza sui temi più attuali del mondo della moda.

Questo ultimo punto ci ricorda come sia importante per un percorso universitario sulla moda, tenuto all’interno di una istituzione pubblica, non limitarsi allo studio degli aspetti produttivi e commerciali dei brand più noti ma aprirsi e analizzare le sfide sociali che si presentano. Il primo caso è quello dell’educazione alla sostenibilità, una sfida sempre più importante, che deve necessariamente partire dalla consapevolezza acquisita nel periodo formativo. Ad esempio tramite case-studies affrontati nei vari insegnamenti e laboratori, la frequenza di un corso dedicato interamente alla green economy e l’attenzione a produzioni sostenibili (senza sprechi, con materiali innovativi o ricorso al riuso e riciclo, valorizzazione dell’usato e vintage e così via). In altre parole il fine è quello di promuovere un’educazione verso la cura e la conservazione, contrapposta alla tendenza al consumo e allo spreco senza limiti tipico dei di decenni passati. Di qui l’instaurazione di un rapporto privilegiato con produttori green e le iniziative orientate in tal senso promosse dalla Camera della Moda di Milano (legate al famoso Manifesto della Sostenibilità per la Moda Italiana promosso nel 2012).

Un altro caso interessante è l’attenzione alla moda inclusiva. Da questo punto di vista è importante ricordare il ruolo del gender in tutte le sue manifestazioni storiche e il significato culturale che il vestire ha sempre rivestito. In questo modo è possibile considerare la libertà e creatività nell’abbigliarsi come una potenziale forma di espressività e anche inclusione sociale. Basti pensare al dibattito suscitato nel mondo della moda italiana dal movimento Black Lives Matter e da varie iniziative che hanno richiamato l’attenzione sul problema della discriminazione e del razzismo (come nel caso di Stella Jean, analizzato nei corsi impartiti).

In conclusione la sfida è quella di immaginare un percorso formativo che risponda ai caratteri di complessità e innovazione ma anche sostenibilità e inclusività, con un approccio aperto ai contributi provenienti sia all’interno dell’università, da docenti e studenti, sia dagli esponenti del mondo del lavoro e della società civile, sia dall’autorità italiana ed europea.

Bibliografia

Baker, David P. The Schooled Society. The Educational Transformation of Global Culture. San Francisco: Stanford University Press, 2018.

Bertola, Paola and Chiara Colombi. “Reflecting on the Future of Fashion Design Education. New Education Models and Emerging Topics in Fashion Design.” In The Routledge Companion to Fashion Studies, edited by Eugenia Paulicelli, Veronica Manlow and Elizabeth Wissinger, 90–99. Milton Park: Taylor & Francis Ltd, 2021.

Skov, Lise and Marie Riegels Melchior. “Research Approaches to the Study of Dress and Fashion.” In Berg Encyclopedia of World Dress and Fashion, Vol. 10, Global Perspectives. Oxford/New York: Berg, 2010.


  1. Lise Skov and Marie Riegels Melchior, “Research Approaches to the Study of Dress and Fashion,” in Berg Encyclopedia of World Dress and Fashion, Vol. 10, Global Perspectives (Oxford/New York: Berg, 2010).↩︎

  2. David P. Baker, The Schooled Society. The Educational Transformation of Global Culture (San Francisco: Stanford University Press, 2018).↩︎

  3. Paola Bertola and Chiara Colombi, “Reflecting on the Future of Fashion Design Education. New Education Models and Emerging Topics in Fashion Design,” in The Routledge Companion to Fashion Studies, eds. Eugenia Paulicelli, Veronica Manlow and Elizabeth Wissinger (Milton Park: Taylor & Francis Ltd, 2021), 90–99.↩︎