“Cantore internazionale di una sensualità senza falsi pudori e dotato di un grande senso dell’eleganza personale, Versace è sempre rimasto profondamente italiano”. Così Richard Martin, storico curatore del Fashion Institute del Metropolitan Museum definì negli anni Novanta Gianni Versace. La sua terra, la Calabria, ha esercitato su di lui un impatto profondo: “Lì ho vissuto con la mia famiglia i miei primi vent’anni, giocando accanto al mare tra i ruderi della Magna Grecia, e penso che entrambe le cose abbiano esercitato una grande influenza sulla mia vita e sul mio carattere”. Pensiamo al logo della griffe, la medusa, a un motivo ricorrente, la greca, o ancora al suo amore per la classicità, che ha reso il drappeggio e, con esso, la massima esaltazione del corpo, una delle sue peculiarità al punto da far esclamare a Diana Vreeland: “non ho mai visto nessuno drappeggiare in così poco tempo e così bene un abito”.
Adesso i modelli delle sfilate della griffe sono raccolti in un libro: Versace Sfilate (Ippocampo Edizioni). Attraverso più di 1.100 immagini e i commenti di giornalisti internazionali, Tim Blanks ripercorre tutte le collezioni Versace, dagli esordi a oggi.
Il volume si apre con Military del 28 marzo 1978. In quella prima, severa, sfilata Versace presentò le proprie creazioni come moderne uniformi: giacche in pelle e trench dal taglio strutturato, commentando: “ogni fatto storico, ogni grave crisi si riflette nella moda, sono convinto che lo stile militare delle ultime stagioni sia stato provocato, magari a livello inconscio dalle Brigate Rosse”.
Poi, a far parte del suo universo dove si fondono generi storici e materiali inusuali (dalla pelle all’oroton, il cosiddetto metal mesh), sono arrivate le sete dalle stampe barocche, la pop art (p.e. 1991) e le suggestioni punk (p.e. 1994) – difficile dimenticare l’abito nero trattenuto da spille da balia sfoggiato a Londra da Liz Hurley alla prima di Quattro matrimoni e un funerale -.
Con la sua schiera di modelle bellissime e statuarie - come Claudia Schiffer e Linda Evangelista, Cindy Crawford e Naomi Campbell – immortalate dagli obiettivi di Avedon e Steven Meisel, di Bruce Weber e di Mario Testino, Versace è stato anche il massimo sostenitore del culto delle celebrità e del fenomeno delle top-model, simbolo dei primi anni Novanta.
Nella seconda metà del decennio, all’indomani della sua morte, le redini della maison sono passate alla sorella Donatella. A tre mesi dalla scomparsa di Versace la collezione di debutto di Donatella, dall’abito da sera in latex nero aperto sulla schiena, ai vestiti monospalla con drappeggio, è un inno al glamour ‘imperfetto’ della griffe. Poi è stata la volta del metal mesh (autunno-inverno 1998-99) e della stampa Jungle (primavera-estate 2000) – famoso è rimasto l’abito con scollo profondo indossato da Jennifer Lopez ai Grammy Awards del 2000 – fino ad arrivare alla collezione Tribute (primavera-estate 2018) presentata vent’anni dopo l’omicidio di Versace. Questa storica sfilata, Donatella oltre che per la riedizione dei motivi iconici di Gianni, dalle stampe barocche all’animal print, fino agli abiti in metal mesh, è entrata nell’immaginario collettivo per la grandiosa uscita finale con le muse di Versace. Anche se il successo della collezione è stato straordinario hanno iniziato a farsi sempre più insistenti le voci che il Tribute Show, fosse un modo per annunciare un passaggio di testimone. Intanto nel dicembre 2018 Versace è stata acquisita da Capri Holdings Limited per 2,1 miliardi di dollari. Oggi Donatella continua a essere direzione creativa della maison per cui non smette di ‘rileggere’ i codici del brand: dagli abiti tagliati sorretti da spille da balia alla greca stilizzata che è recentemente diventata protagonista anche di ‘Fendace’, discussa collaborazione con Fendi dove, a rispecchiare il contemporaneo amore per le contaminazioni, si fondono i rispettivi loghi.