Introduzione
Mentre l’esplosione del fenomeno moda, uno dei più significativi aspetti della società contemporanea, ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, il turismo ha visto l’aumento esponenziale dei suoi numeri con l’arrivo del nuovo millennio. Senza dubbio i due settori si sono per certi versi sovrapposti e incrociati con altri aspetti della società contemporanea che vede la trasformazione di elementi della vita quotidiana in fenomeni di massa e soprattutto in motori di sviluppo economico, basti pensare al cibo. Il marketing della moda si è definito anche attraverso forti legami con la fruizione della cultura (che comporta spostamenti), dalla musica all’arte contemporanea. L’esame di quanto accaduto negli ultimi decenni a Firenze, città con un patrimonio culturale unico, una lunga vocazione turistica e un ruolo rilevante, guadagnato fin dal dopoguerra, in quanto sede di presentazione delle collezioni, può costituire uno strumento per tentare di analizzare un argomento molto variegato e complesso data la vasta portata dei due settori coinvolti. La letteratura sul tema è sicuramente scarsa, la ricostruzione di quanto avvenuto può basarsi per lo più su dati statistici ancora da elaborare e articoli di stampa. Per questo il testo proposto non vuole essere più che una ricostruzione per sommi capi delle esperienze fatte nel capoluogo toscano nello sviluppo delle presentazioni di moda e dei legami tra queste, la gestione del patrimonio culturale e dei flussi turistici da parte degli enti preposti, che vedono per la maggior parte la compresenza di istituzioni pubbliche, associazioni di categoria e privati.
Inquadramento generale del tema e cenni sul suo sviluppo storico
È tuttavia necessario tentare di inquadrare questo caso di studio all’interno di un contesto generale che non può che appartenere alle ricerche sulla società di massa, dove si fondono a problematiche tipicamente sociologiche, aspetti legati alla psicologia, all’antropologia, all’etnologia e non solo.
Il linguaggio si rivela sempre utile punto di partenza e strumento di comprensione. “Abitare condivide lo stesso etimo del sostantivo abito”1. Possiamo andare oltre: abito, abitare, abitudine, usanza, usi e costumi, costume. In questo modo si chiude un cerchio che include al suo interno quattro concetti fondamentali per il nostro tema: spazio-tempo, individuo-gruppo. I primi due, pur avendo un rilievo filosofico, entrano a tutti gli effetti a far parte della dimensione quotidiana e si relativizzano con l’evolversi delle tecnologie che la modificano. Lo spazio prima si restringe poi si dilata a dismisura nella dimensione virtuale. Il tempo accelera rendendo fruibile lo spazio, diventando una specie di mostro mitologico che, come Crono che uccideva i suoi figli, divora tutto poco dopo averlo creato. In questo senso riempie lo spazio e lo vuota in una giostra che ruota sempre più velocemente. Il cortocircuito etimologico, in estrema sintesi, suggerisce che siamo passati in pochi decenni dall’indossare un vestito a indossare un costume. Questo si è in qualche modo sostituito all’abito di tutti i giorni, non essendo più indumento storico, occasionale, rivelatore di uno status o di un ruolo. Al contrario quello che una volta era quotidiano, legato alla necessità o a una funzione di lavoro si è trasformato in elemento rivelatore della nostra identità e insieme all’appartenenza a un determinato gruppo sociale. Primo strumento per comunicare all’esterno il nostro voler essere. Tanto che la classica dicotomia novecentesca tra essere e avere si trasforma in quella tra essere e voler essere (apparire). Necessità e funzionalità hanno lasciato il posto ad apparenza e simbolo. Una volta ciò accadeva per la ristretta cerchia che ricopriva ruoli di potere, esibendo status o ricchezza. Oggi il fenomeno si è esteso a tutti. Chiunque vuole e può apparire, indipendentemente dalla sua condizione sociale, cercando la sua visibilità individuale. Ed ecco quindi spiegata anche la seconda dicotomia citata. La maggior parte degli studiosi sono concordi nel definire la moda attività imitativa. Anche il guardaroba più vasto avrà un carattere di omogeneità che rivela il gruppo di appartenenza del proprietario/a, sia esso artista, intellettuale, imprenditore, alternativo o partecipe di un determinato gruppo socio-culturale. Il manifestarsi avviene in modo del tutto indipendente dall’aspetto spaziale, cioè dal luogo di residenza, dalla nazionalità e dall’etnia di appartenenza.
L’abito circonda il corpo, protegge, facilita la nostra identificazione. La casa è uno strumento di protezione più ampio, tale da potersi condividere e visitare. Anch’essa è un’estensione dell’individuo cui sono legate la maggior parte delle nostre abitudini, nei loro tratti più generali condivise con il gruppo o la società di appartenenza. Il viaggio non consiste solo nell’abitare altri luoghi. È una dimensione che fa da sempre parte integrante della nostra esperienza esistenziale. La grande trasformazione del novecento, conseguenza della rivoluzione industriale e tecnologica, del modificarsi dei rapporti economici, della nascita, nei paesi occidentali, di una classe media, sta forse proprio in questo. Una volta l’uomo comune, poco più di un numero, soggetto a malattie e morte per essere sostituito da un altro numero, mandato al macello in guerre diventate atroci con lo sviluppo della tecnologia bellica, viveva un’esistenza del tutto anonima. Con gli anni sessanta, oltre all’immissione nella società dei semi che oggi stanno germogliando, relativi ai diritti sociali e di genere, al pacifismo, alla sensibilità ambientale, si afferma l’idea, apparentemente contraddittoria, dell’affermazione individuale di massa. Tutti vogliono essere eroi e non potenzialmente o “solo per un giorno” come recitava il poeta Bowie2, ma sempre e in ogni luogo. L’eroismo però implica sacrificio, come ha spiegato Bauman con la sua magnifica metafora di società liquida3. Meglio dunque parlare di celebrità. Si ricercano visibilità, gratificazione, felicità individuale immediata.
Nella società di massa contemporanea, basata sul consumismo, abbigliamento e viaggio sono tra i principali beni di consumo. La folla anonima si è trasformata in massa composta da individui che si muovono non come greggi ma come banchi di pesci nel mare. Privi di riferimenti, omologati, ma separati. Viene in mente un vecchio detto americano: Fish, fish all different, all the same. Conseguenza di tutto ciò è la frantumazione della rete sociale. Fenomeno di cui i flussi turistici sono in gran parte responsabili, insieme al diffondersi della grande distribuzione e l’avvento delle tecnologie digitali rivolte principalmente all’individuo.
Il processo prende avvio con l’affermazione di personaggi comuni, capaci di trasferire germi esistenzialisti dall’elite alla massa. Nella prima metà del secolo la grande letteratura americana celebra i “piccoli vagabondi” che saltano su e giù dai lunghissimi e lenti treni merci che attraversano il continente. Il viaggio è la loro dimensione permanente. Negli anni trenta gli Stati Uniti non sono più solo meta di immigrati europei. Diventano terreno di una grande migrazione interna che muove masse di contadini e disoccupati, spinti ad ovest da depressione e siccità. Scrittori e fotografi dipingono il duro stato delle cose, con romanzi e immagini memorabili. A volte in progetti congiunti, che testimoniano il coraggio dell’intero Paese di guardarsi allo specchio nel momento più difficile. Sarà Elio Vittorini a portare in Italia questa nuova materia culturale, che trova le sue radici nel naturalismo e nel verismo. I riflettori si accendono sugli ultimi. Ne darà un magnifico esempio lo stesso Vittorini proprio con un romanzo di viaggio illustrato, Conversazione in Sicilia, ripubblicato nel 1953 in una edizione corredata dalle fotografie in bianco e nero scattate da Luigi Crocenzi sotto la guida dell’autore stesso4. Così come farà il gruppo dei grandi registi neorealisti. Dopo la guerra, il cinema amplifica a dismisura la platea del pubblico. Hollywood porta sullo schermo eroi inquieti, Marlon Brando, James Dean, che sfrecciano su enormi motociclette o rischiano la vita in gare di coraggio su auto truccate. Sono il tramite tra i pionieri che viaggiavano con le mandrie e la generazione on the road, la Beat Generation di Jack Kerouac5. Indossano blu jeans (che sono ancora, ma per poco, blu) e T-shirt bianche, magari con un pacchetto di Lucky Strike senza filtro arrotolato nella manica, stivali da cow boy e giubbotti di pelle. Sono una generazione in viaggio permanente, in fuga dal posto fisso e dalla vita borghese. Sono persone comuni che intendono affermare la propria individualità, non disposti a farsi omologare come operai impiegati, commesse e segretarie. Ognuno deve avere il diritto di esprimesi, e come se non con l’abbigliamento e lo stile di vita. Il passo successivo sarà quello di far diventare quei jeans celesti e sostituire la maglietta con una camicia indiana. I pantaloni si comparano da noi al mercatino americano di Livorno o sulle bancarelle. Un sasso di fiume e acqua corrente sono sufficienti a far defluire la tinta ‘genovese’. Per la lunghezza basta tagliare, gli orli non si rifanno. La vita è bassa e la forma a campana, che poi altro non è che quella, elegantissima, dei pantaloni dei marinai, studiata in modo da poterli sfilare facilmente in caso di caduta in mare. Siamo negli anni sessanta. La rottura con l’abito comune è dirompente, la rivoluzione non sarà politica, ma soprattutto di costume. Viaggio diventa sinonimo di esperienza. E se la dimensione di movimento è una caratteristica fondamentale del periodo, il concetto di viaggio si libera da quello di necessità. Una volta si viaggiava per combattere o commerciare. La cultura contadina è stanziale. Negli Stati Uniti, paese costruito su due viaggi, quello dell’immigrazione e quello della conquista dell’ovest, caratterizzato da una grande mobilità sociale, ancora negli anni settanta del secolo scorso c’erano persone che non avevano mai lasciato il luogo di nascita. Ma è nel decennio precedente che prende forma il movimento giovanile, esteso dalla California ai confini orientali dell’Europa capitalista, da dove si sparpaglia nei paesi asiatici e sudamericani. Il viaggio è ricerca di se stessi e della propria verità. Tutti omologati alle nuove mode culturali, ma ognuno teso all’affermazione di sé come mai era successo prima.
Il cinema crea uno stile: il Road movie. Al proposito vale la pena citare un episodio poco noto, che può servire a dare l’idea della forza del “potere di persuasione”6 italiano e insieme quella del cambiamento avvenuto in quegli anni. Se molti tra i maggiori registi americani contemporanei hanno dichiarato il loro debito nei confronti del cinema italiano, pochi conoscono l’origine del titolo del Road movie per eccellenza, Easy Ryder, del 1969. Il regista Dennis Hopper spiegò che il titolo era stato mutuato da un film italiano, Il sorpasso di Dino Risi, uscito negli usa alla fine del ’63 come The Easy Life; chiaro richiamo alla pellicola di Fellini, La dolce vita, distribuita oltreoceano con grande successo nel ’61 con il titolo non tradotto. Del resto le due storie, una tanto italiana quanto l’altra è americana, raccontano entrambe viaggi dal tragico epilogo.
L’Italia è quella del boom, che inonda le vetrine dei grandi magazzini con prodotti di ogni tipo7, ma pare guidata una borghesia immatura e insofferente alle regole. Negli USA il modello americano comincia a incrinarsi con la rivoluzione giovanile, le lotte per i diritti sociali e la crisi del Vietnam. La vicenda narrata da Hopper è una perfetta sintesi dell’epoca: amicizia, conflitto con la società tradizionale, ritorno a una natura aspra ma accogliente, viaggio in moto su due fantastici chopper (moderni eredi dei cavalli, simbolo della libertà preindustriale), esperienza esistenziale in una dimensione di alterazione percettiva. Vale la pena di soffermarsi sul dialogo finale tra i protagonisti, la coppia Capitan America (Peter Fonda) e Billy (il regista) cui si è aggiunto un personaggio border line, in bilico tra la vita borghese, cui non sa adattarsi e la scelta totalizzante dei due amici dediti a un casalingo traffico di droga, interpretato da un fantastico Jack Nicholson. La felicità di Billy per la riuscita dell’operazione viene drasticamente smentita da un cinico Fonda che lo contraddice con il classico “siamo fottuti”. Era il 1969, ci sono voluti molti anni per capire quello che l’opera d’arte aveva anticipato con lucida lungimiranza: il sogno di cambiamento e libertà era alla fine. E con esso la pretesa che raggiunto il benessere la società potesse offrire anche pace e felicità. Dice Jack: “come puoi essere libero se possono comprarti al mercato?” Si anticipa così il dominio del denaro e del profitto che dieci anni dopo dilagherà in occidente dando origine alla globalizzazione neoliberista guidata dal potere economico-finanziario.
Coincidenza che assurge a valore simbolico, nello stesso anno avviene un viaggio di ben altra portata, quello alla conquista della luna (oggi esiste anche un turismo spaziale). L’Era moderna inizia con l’avventura di Colombo, non alla scoperta dell’America, ma per “cercare l’oriente attraverso l’occidente”, buscar el oriente por el occidente, dimostrando la rotondità della Terra. Il continente americano è per il navigatore genovese un imprevisto impedimento; nel vano tentativo di superarlo impiegherà altre tre traversate.
Ebbene se gli storici dovessero decidere una data per la fine della nostra epoca il 1969 sarebbe probabilmente la più adatta. Dopo aver interamente esplorato il pianeta si prende coscienza della sua finitezza e si cerca di uscirne. Il rapporto dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology), I limiti della crescita (The Limits of Growth) sarà stampato solo tre anni dopo8. Gli anni settanta furono quelli in cui il mondo era ancora un luogo dove si poteva viaggiare via terra. I giovani europei attraversavano il Sahara per arrivare in Africa centrale o si dirigevano a est, verso l’Afganistan e l’India attraverso Turchia e Iran. Con la riprese dei conflitti locali e soprattutto neocoloniali queste zone diventarono impraticabili e lo sono ancora oggi. L’impedimento è stato bilanciato dall’avvento dei voli a basso costo, che peraltro segnano la grande differenza tra viaggiatore e turista. Il viaggio di conoscenza è una scoperta, presuppone un lento avvicinamento e un soggiorno altrettanto dilatato. Il turismo di massa consiste nell’essere catapultati in un luogo e inseriti in flusso standardizzato al fine di procurare il maggior profitto possibile. La rapida circolazione dei visitatori è condizione necessaria per incrementare il volume di affari. Del resto i fruitori non sembrano per questo scoraggiati, essendo il loro un ruolo sostanzialmente passivo. Il turista pare spinto soprattutto dal desiderio di tornare e poter dire: “ci sono stato”, per non essere da meno di amici e conoscenti. Più che capire fotografa e fa video da mettere in rete. Magari, venendo in Italia, compra un capo di abbigliamento firmato come vedremo più avanti. E di nuovo i due fenomeni s’incrociano nei grandi outlet che circondano le nostre città. Luoghi ormai più visitati dei musei.
Giorgini e la nascita delle sfilate fiorentine
Questo aspetto ci riporta all’esperienza fiorentina. All’inizio degli anni cinquanta del ’900 la città divenne sede delle prime manifestazioni collettive del settore abbigliamento. Com’è ormai noto la prima presentazione fu organizzata il 12 e 14 febbraio 1951 da Giovanni Battista Giorgini in casa sua, all’interno del Giardino Torrigiani. L’imprenditore toscano (Forte dei Marmi 1898-Firenze 1971), grazie alla rete di rapporti tessuta in America settentrionale fin dagli anni venti del secolo scorso, riuscì a convincere alcuni clienti del suo ufficio esportazione ad assistere a una sfilata di abiti realizzati dalle migliori sartorie dell’epoca con il preciso intento di dimostrare la qualità e originalità dell’abbigliamento italiano, ormai in grado di competere con quello francese allora dominante. Parallelamente erano esposti accessori e bigiotteria. La piccola fiera si concluse con un ballo di gala. Fin dall’inizio dunque si configurava quello che diventerà il modello del moderno marketing della moda e non solo. Si dava la possibilità ai compratori di poter visionare e ordinare in breve tempo un gran numero di articoli di varie tipologie, prodotti da aziende diverse, appositamente riuniti e si abbinava all’aspetto commerciale un evento mondano, elemento non solo di svago, ma soprattutto capace di diventare cornice di stile ed eleganza, innalzando il tono di tutta la manifestazione. I clienti non dovevano essere conquistati dai singoli prodotti, ma invogliati ad acquistarli spinti dal fascino emanato dal Paese e dal suo stile di vita. Lo stesso che ha sempre attirato visitatori, oggi provenienti da ogni parte del mondo.
La seconda (luglio ’51) e la terza sfilata (febbraio ’52) si tennero in una sede destinata all’accoglienza turistica, il Grand Hotel (oggi The St. Regis Florence) situato nel cuore della città, Piazza Ognissanti, in una magnifica posizione sui lungarni. Sulla stessa piazza si trova un altro famoso albergo l’Hotel Excelsior, oggi Westin Excelsior. Si tratta di due storiche strutture a cinque stelle, ben note ai ricchi viaggiatori anglosassoni. La scelta fu probabilmente obbligata, dal momento che non esistevano all’epoca spazi pubblici dedicati e che era necessaria una sede prestigiosa. Inoltre il numero degli ospiti era notevolmente cresciuto. Per il secondo evento, tra compratori e giornalisti, furono registrate circa trecento presenze. Gli intervenuti avevano così la comodità di poter soggiornare nel luogo stesso in cui si tenevano le sfilate. In realtà si trattava, come abbiamo detto, di vere e proprie fiere del settore abbigliamento.
Va notato anche il fatto che i mesi di febbraio e luglio in cui si svolgevano le manifestazioni erano tradizionalmente periodi di bassa stagione. Il maggiore flusso turistico era rappresentato da un’elite di viaggiatori provenienti dal nord Europa e dal nord America. La città aveva all’epoca un clima continentale freddo in inverno e caldo in estate che scoraggiava le visite nei due periodi. L’alta stagione era limitata ai mesi di maggio, giugno e settembre. Solo col secondo decennio del nuovo secolo questa periodicità si sarebbe alterata. Senza entrare nel merito dei cambiamenti climatici, il flusso turistico degli ultimi anni è diventato costante grazie al movimento di ospiti provenienti da tutti i paesi del mondo. Le classiche variazioni stagionali sono segnate più dall’oscillazione dei prezzi che dal numero delle presenze. Le manifestazioni della moda all’epoca non si incrociavano con la normale attività turistica e rappresentavano per tutto il settore una notevole opportunità di profitto in momenti dell’anno tradizionalmente morti. Le catene di grandi magazzini, gli importatori, così come i grandi organi di informazione, giornali o reti televisive, erano usi ad offrire ai propri dipendenti sistemazioni di lusso. A differenza di quanto accade oggi allora non si metteva in primo piano il risparmio, ma il prestigio dell’azienda. La manifestazione estiva del ’51, la seconda, si concluse con un ballo tenuto nel grande prato sovrastato dalla torre di Giardino Torrigiani. L’inverno successivo il galà finale si tenne nei saloni dello stesso Grand Hotel, consisteva in una festa di carnevale in maschera. Per agevolare gli ospiti stranieri Giorgini aveva fatto confezionare un gran numero di mascherine multicolori, di panno in stile veneziano, sistemate a disposizione degli invitati in un grande cesto all’ingresso. Con la quarta presentazione del luglio 1952 si aprirono le porte della Sala Bianca di Palazzo Pitti. In realtà si tratta della Sala degli Stucchi, lo spazio più prestigioso dell’intera città, situato all’interno di quella che era stata la dimora dei Medici poi dei Lorena e per sette anni (1863-1870) Palazzo Reale, all’epoca di Firenze capitale. Da sempre utilizzata come sala della musica e delle feste. Giorgini doveva trovare locali più ampi e grazie all’intercessione del sindaco, Giorgio La Pira, furono messi a disposizione due spazi pubblici. Le manifestazioni si svolgevano in tre diverse sedi. Nella Sala Bianca avvenivano le sfilate vere e proprie alla presenza di un pubblico selezionato di circa trecento persone. Durante l’edizione estiva c’era così anche la possibilità di sfruttare le meraviglie del contiguo Giardino di Boboli che diventava luogo di ambientazione per le immagini dei fotografi e soprattutto magnifico spazio per i balli che concludevano le manifestazioni. Palazzo Strozzi ospitava invece gli stand delle case di moda, il cui numero era aumentato negli anni in modo notevole partendo dalla decina presente nel febbraio ’51. Gli abiti potevano essere visionati individualmente per il piazzamento degli ordini. La mostra degli accessori invece era ospitata negli spazi del Grand Hotel. L’ingresso in Palazzo Pitti decretò il definitivo trionfo della moda italiana. Al centro della sala venne allestita una passerella a forma di T, che da allora in poi diventerà uno standard imitato ovunque. Su sedie di tela tipo regista prendevano posto trecento persone tra compratori e stampa, l’evento aveva carattere esclusivo, con tanto di biglietto d’ingresso e cauzione sugli ordini. In prima fila sedevano le direttrici delle riviste più prestigiose, Bettina Ballard per Vogue e Carmel Snow per Harper’s Bazaar. L’assegnazione dei posti richiedeva un attento studio per non provocare malumori. Il loro giudizio poteva esaltare o distruggere una collezione. Ospite di riguardo, in posizione privilegiata, sedeva anche la moglie del Primo Ministro britannico Signora Churchill. Per mantenere la riservatezza sui capi presentati non erano ammessi fotografi se non quelli di LIFE, cui fu concesso un permesso speciale, dato il prestigio della rivista. Altre fotografie saranno fatte fare dagli organizzatori stessi nel 1955. Alla carenza di immagini, gli abiti venivano comunque fotografati dalle sartorie, si sopperiva con disegni, famosi quelli dell’illustratrice Brunetta Mateldi. L’evento finale fu come sempre all’altezza della situazione. Giorgini fece riaprire i cancelli del giardino che davano su Porta Romana, chiusi dal tempo della fuga del Granduca. Gli ospiti erano accompagnati al palazzo da figuranti che sorreggevano grandi candelieri d’argento. Lo sfarzoso contesto rinascimentale era arricchito da un tocco di arte contemporanea: indossavano solo un piccolo costume, sandali e un copricapo, mentre i corpi erano dipinti, anticipando una moda che si affermerà solo più tardi. Nella stessa occasione sfilarono anche i primi modelli da uomo, quelli di Brioni, importante sartoria romana. Giorgini superò le resistenze di quanti sostenevano che il modello non fosse un mestiere virile mandando in passerella una coppia, assegnando all’uomo un ruolo di accompagnatore. L’anno successivo prese vita la textile promotion, abbinamento tra una (grande) industria tessile del nord e uno stilista. Il coinvolgimento dei grandi imprenditori della zona di Como e Lecco permise a Giorgini di rafforzare le manifestazioni fiorentine, come vedremo già sottoposte a forti pressioni. Nell’anno successivo fu organizzato un altro grande evento, la rievocazione delle nozze Medici–Gonzaga in Palazzo Vecchio, con protagonisti e ospiti tutti rigorosamente in costumi rinascimentali. L’ingresso in spazi istituzionali sancì la nascita di un accordo tra l’organizzazione privata (Giorgini) e il Comune di Firenze attraverso l’APT, Azienda di Promozione Turistica. In questa sede è interessante sottolineare come il primo partner della moda sia stato il locale Ufficio turistico e non come si potrebbe pensare l’Assessorato allo sviluppo economico o le associazioni di produttori e commercianti. Due anni dopo l’intesa venne ufficializzata con la costituzione del Centro di Firenze per la Moda Italiana (CFMI), ente destinato a gestire le manifestazioni, con Giorgini in un ruolo operativo. Nel 1955 Firenze ospitava la più grande fiera europea del settore abbigliamento e accessori con 500 compratori provenienti da tutto il mondo e 200 giornalisti. Considerando gli espositori e l’indotto, la manifestazione garantiva un notevole numero di presenze. In una lettera indirizzata al CFMI in data 29/09/1958, il presidente dell’ATP, Alessandro Taccini, chiedeva di coordinare i calendari delle sfilate e degli eventi organizzati per fini di promozione turistica, in modo da pianificare programmi e destinazione dei fondi9. Nonostante il successo ottenuto, presto si manifestarono i primi problemi causati, da un lato dai sarti che avrebbero voluto presentare le collezioni nei loro atelier per evitare la trasferta fiorentina e dall’altra dalle città concorrenti, soprattutto Roma che aspirava a diventare sede delle presentazioni di alta moda. Gli unici a non capire il senso della diatriba erano i compratori americani, entusiasti di poter acquistare abbigliamento italiano in un solo luogo e in tre giorni, con un impiego di tempo e di denaro ridotti. Altrettanto stupiti i giornalisti che pubblicarono nel corso degli anni numerosi articoli in difesa delle sfilate fiorentine10. La forza delle manifestazioni risiedeva principalmente in due aspetti: avere un referente unico, cerniera tra produttori, compratori e mezzi d’informazione, Giorgini, che inoltre faceva da ponte tra le istituzioni dei due Paesi. La Francia al contrario, pur essendo capace di comunicare la sua immagine, non aveva un personaggio simile. Secondo, l’Italia era in grado di organizzare manifestazioni promozionali, dove proporre l’intera produzione nazionale, di cui la moda era il settore trainante. Lo dimostrano il viaggio in USA del 1956, con la partecipazione a programmi televisivi, e il Festival of Italy, organizzato nel 1961. Nel primo caso sette fanciulle appartenenti a grandi famiglie aristocratiche, in veste di modelle compirono la traversata su quello che fu rinominato “Il transatlantico della moda”, la Cristoforo Colombo, gemella dell’Andrea Doria. Le navi italiane erano un concentrato di promozione delle nostre capacità, dalla cantieristica (Ansaldo), al design degli interni, agli arredi in legno, agli accessori artigianali, al servizio alberghiero in generale, cucina inclusa11. Il Festival, tenuto in occasione del centenario dell’Unità e del decennale delle sfilate, nel Commercial Museum di Philadelphia, fu un avvenimento di importanza capitale per la diffusione negli USA di una nuova e favorevole immagine del Italia. La comunicazione fu direttamente accompagnata dalla presenza di prodotti nazionali in tutti i grandi magazzini statunitensi. Anche in questo caso la sezione moda, curata da Giorgini, aveva un ruolo trainante. Furono presentati i modelli di ventuno sartorie, preceduti da una sfilata di costumi che sintetizzava la storia dell’eleganza italiana col commento dello stesso Giorgini, che nell’occasione ricevette la cittadinanza onoraria della città simbolo dell’indipendenza americana12. Il programma prevedeva rappresentazioni operistiche, concerti, cene e perfino spettacoli di marionette. In quell’occasione un giornalista scrisse che l’imprenditore toscano non aveva solo portato la moda italiana negli USA, ma aveva cambiato le abitudini degli americani, costringendo ogni uomo ad avere una giacca da sera di seta nel guardaroba13. La frase si riferisce a uno smoking si shantung di seta grigia che Giorgini si era fatto fare da Brioni. Il carattere cangiante del tessuto era del tutto inusuale per un abito da uomo. Nella sfilata successiva il sarto romano presentò un’intera collezione di abiti in seta dal blu al rosso, introducendo il colore nella moda maschile e anticipando una tendenza che si affermerò nel decennio seguente. La mostra del ’61 è anche indicativa della collaborazione con i due maggiori operatori turistici nazionali: Alitalia e Italia-Società di Navigazione (Italian Line), all’epoca entrambi ai vertici del trasporto passeggeri, che parteciparono attivamente alla manifestazione, la prima anche come vettore per il trasporto delle merci esposte.
Un articolo del giornale locale così descrive la portata degli eventi fiorentini:
Eccezionale, per numero e per valore di nomi, si annunzia la partecipazione di compratori stranieri, tra i quali i direttori dei tre maggiori magazzini di Parigi: Lafayette, Magazine e Bazar dell’Hotel de Ville che vuol dire tutta Parigi… Una “parata” di classe, di gran classe anzi, come è facile constatare, che esula dalle solite manifestazioni d’alta moda, più o meno attraenti e indicative, per inserirsi, col suo alone che sa quasi di leggenda – rammentiamo come in questo ambito e in breve tempo, si sia affermata all’estero la ignota moda italiana, in gara con l’inamovibile Parigi – fra gli avvenimenti più sensazionali d’Italia. Per Firenze è avvenimento di particolare validità turistica. Turismo e moda, un accostamento che non è un paradosso. Turismo non soltanto per le centinaia di stranieri d’alto rango che soggiornano a Firenze durante il periodo delle “sfilate” – da non sprezzarsi a gennaio quando il movimento turistico langue – ma per la rinomanza di Firenze riconosciuta all’estero quale centro della moda italiana14.
La crisi di Firenze, il trasferimento della moda donna a Milano e il “marketing culturale”
Con l’avvicinarsi dei cambiamenti portati dal ’68 e le conseguenti tensioni degli anni settanta, le manifestazioni fiorentine cominciarono a segnare il passo. Dopo l’abbandono di Giorgini, nel 1965, per un solo anno la direzione operativa fu affidata a Emilio Pucci. Non era la posizione più opportuna per un sarto espositore. Iniziò cosi un lento declino, coincidente con il periodo difficile degli anni della crisi energetica, delle stragi, del conflitto politico-sociale. L’Italia è stato l’unico paese dove il ’68 si è prolungato per dieci anni, fino al rapimento di Aldo Moro. Si dovette aspettare che fossero toccati i vertici della politica perché lo Stato mettesse in atto azioni di repressione efficaci. In quell’occasione fu promulgata la cosiddetta legge sui pentiti, che servirà a scardinare le organizzazioni terroristiche, anni dopo permetterà di infliggere qualche duro colpo a quelle mafiose e farà scoppiare il sistema politico nel 1992 con le indagini di “mani pulite”. Il CFMI cercò di arginare la crisi puntando sulla moda maschile e la diversificazione. Nacquero in successione: Pitti Uomo, Bimbo, Filati e Casa. Tuttavia lo spostamento dell’Alta moda a Roma era, come abbiamo visto, già iniziato e Milano fu pronta ad accogliere la moda donna grazie alla presenza dei grandi marchi, alla sua potenza industriale e alle sue infrastrutture15. Sarà artefice di questa nuova stagione, e poi Presidente onorario della Camera Nazionale della Moda fino alla morte avvenuta nel 2020, Beppe Modenese, che aveva cominciato giovanissimo la sua carriera con Giorgini. Nel frattempo, per l’esattezza nel 1975, fu fondato il Museo del Tessuto di Prato e il 1983 fu aperta la Galleria del Costume di Palazzo Pitti, dal 2016 Museo della Moda e del Costume. A questi si aggiunsero in seguito due musi d’impresa: Salvatore Ferragamo nel 1995 e Gucci nel 2011. Dal 2008 al 2017 la città ha anche ospitato, nella magnifica posizione di Villa Bardini, la Fondazione Roberto Capucci, sede di un’esposizione permanente con rotazione delle opere. Tuttavia in quel periodo Firenze si propose, insieme ad Amsterdam, come città all’avanguardia in Europa per il movimento giovanile, che non aderendo a sciagurate scelte estremiste, dette vita a nuovi modelli comportamentali e di costume che fiorirono nel decennio successivo con la nascita di realtà artistiche innovative16. Si svolsero anche alcuni grandi mostre, memorabile quella di Henry Moore a Forte Belvedere nel ’72. Come contrappunto alla violenza emerse un nuovo concetto di gestione degli eventi culturali, che fu definito “dell’effimero”. Il suo artefice a Roma fu l’Assessore Renato Niccolini, che ebbe come alter ego fiorentino Franco Camarlinghi. In città si svolsero a cavallo del 1980 alcuni grandi spettacoli che videro protagonisti i maggiori artisti internazionali del momento. Probabilmente la gestione a spot degli eventi culturali rifletteva anche la decadenza di fine millennio. Si preferiva investire cifre elevate in iniziative che, per quanto di grande richiamo, avevano un impatto molto elevato sul territorio. Ne fu un esempio, nel 1989, il grandioso concerto dei Pink Flod a Venezia, davanti a San Marco, cui assistettero 200 mila spettatori. Trecento tonnellate di spazzatura rimasero in strada per due giorni, per la rimozione dovette intervenire anche l’esercito e la giunta comunale fu costretta alle dimissioni. Quello che mancava era una politica culturale pianificata di medio lungo termine, con investimenti sul territorio per la produzione permanente di arte contemporanea. Visto che parliamo di Firenze, quello che ad esempio fecero i Medici, facendo la fortuna della città per i secoli successivi. L’evento (ad esempio le giostre cavalleresche tenute in Piazza Santa Croce) era rivolto al popolo, ma la produzione di arte contemporanea (tutta l’arte lo è quando concepita) era permanente. La cultura alternativa lasciò segni che si trasferirono in abitudini collettive fino ad entrare a far parte della vita quotidiana. In questo ruolo la città fu favorita dalla presenza, per il semestre corrispondente al periodo di studio all’estero, di un numero sempre crescente di studenti, americani prima e stranieri poi. Portavano con sé tutti gli elementi del movimento giovanile, passione per i viaggi, contaminazione, abbigliamento, musica, letteratura. Nel corso degli anni i campus, tra diretti e gestiti da società private, sono cresciuti fino a diventare circa quaranta (cinquanta considerando tutta la regione) e a generare un movimento di quindicimila presenze l’anno. Giovani da alloggiare, nutrire, svagare, far viaggiare. Intorno a loro sono nati tanti servizi che rappresentano un settore non irrilevante dell’economia cittadina e che portano anche qualche problema nei casi, non infrequenti, di comportamenti eccessivi.
All’inizio degli anni novanta, esattamente nel 1992, grazie alla riapertura dell’archivio di famiglia, gelosamente custodito per venti anni dalla figlia Matilde, si celebrarono Giorgini e la nascita della moda in Sala Bianca. La città rivendicò cosi il suo ruolo centrale come culla delle sfilate. L’evento, guidato dall’allora responsabile della comunicazione di Pitti Immagine, Luigi Settembrini, consisteva in una mostra tenuta a Palazzo Strozzi e nella pubblicazione di un volume, scritto per la maggior parte da Guido Vergani. Le fonti, la rassegna stampa d’epoca e la quasi totalità delle immagini furono estrapolate dall’Archivo Giorgini17. Mentre il volume rappresenta la prima completa ricostruzione di quanto avvenuto, la mostra, tenuta a Palazzo Strozzi, non ebbe grande successo, ma fu replicata l’anno dopo a Parigi e soprattutto avviò una tendenza che si manterrà viva per tutto il decennio, quella di accostare la moda ai luoghi del patrimonio culturale. Due anni dopo il Guggenheim di New York organizzò una mostra sulla rinascita del dopoguerra nel nostro Paese18. Settembrini darà poi vita alla “Biennale di Firenze”, di cui si terranno solo due edizioni (1996-1998) il cui concetto di base era quello di attirare le grandi firme nazionali e internazionali facendo presentare le collezione nei luoghi della cultura. La prima, tenuta in Palazzo Pitti, era dedicata al tempo19; la seconda al cinema, allargata a Prato e Livorno. Il tema, spalmato nel tempo, includeva il concetto di costume dando spunti e personaggi da svolgere, ad esempio Biancaneve20. L’ambiziosa esperienza non portò i risultati sperati e si esaurì. Gli organizzatori la replicarono (con due edizioni) a Valencia, città in cerca di visibilità turistica, poi brillantemente trovata grazie all’organizzazione della Coppa America di vela (2010) e al riciclo delle strutture create in musei e luoghi dedicati all’infanzia e al turismo familiare. Da noi non mancarono le posizioni critiche che mettevano in dubbio l’opportunità di utilizzare delicati spazi pubblici destinati alla crescita culturale collettiva per iniziative private, riservate a una ristretta cerchia di pubblico d’elite21.
Il caso milanese di Via del Gesù
Le manifestazioni della moda sono del resto un fatto essenzialmente elitario, rivolto a una nicchia di pubblico di alta fascia. In tale ambito la qualità dei servizi rappresenta un valore notevole. Lo dimostra il caso di Via del Gesù22. Esso riguarda Milano, ma può essere brevemente esaminato come esempio, significativo del tema trattato. Il principio di base, che Giorgini nel ’51 aveva ben presente, è lo stesso che ha animato la fondazione delle fiere, dei grandi magazzini, delle sfilate di moda e delle aree commerciali in genere. Si tratta di portare i compratori, siano essi operatori commerciali o consumatori finali in un luogo dove sono radunate merci già selezionate per tipologia, fascia di prezzo, ecc., in modo da dar loro la possibilità di compiere i propri ordini o acquisti nel più breve tempo possibile, con la massima assistenza e in un contesto comodo e piacevole. Nel novecento la fiera commerciale di Lipsia fu per anni il maggiore esempio di efficienza, per dimensioni e organizzazione. I grandi magazzini, nati negli USA e arrivati in Italia nel dopoguerra, poi trasformatisi in centri commerciali hanno soppiantato i piccoli dettaglianti. Gli outlet sono diventati e vere e proprie piccole città, interamente disegnate per il commercio, a cominciare dall’organizzazione dei trasporti. All’interno del “quadrilatero della moda” Via del Gesù è diventata la strada dell’abbigliamento maschile di lusso. Qui gli uomini d’affari possono in breve tempo rinnovare i loro guardaroba, acquistare un solo accessorio o fare un regalo. Le transazioni e i cambi sono favoriti da un accordo con una società dedicata e volendo la merce può essere consegnata direttamente in albergo. Nei 270 metri che collegano Via della Spiga a Via Montenapoleone, in quella che è stata ribattezzata la “Via dell’uomo”, sono radunate 18 attività di vario tipo tutte dedicate all’eleganza maschile. Tra queste otto marchi del lusso, inclusi Brioni, Caruso, Ricci. Il consorzio che le unisce, la Via del Gesù Society, è nato da un’idea di Umberto Angeloni, AD di Caruso e comprende l’Associazione dei residenti del quartiere. Tra l’altro nella via si trova la sede milanese del Four Seasons Hotel, cinque stelle che è diventato parte importante dell’organizzazione fondata nel 2015. L’iniziativa ha ottenuto il patrocinio della Camera Nazionale della Moda e di Pitti Immagine, che a Firenze gestisce le manifestazioni della moda maschile. Su un totale di nove milioni di presenze turistiche l’anno (2013) oltre il 90% è rappresentato da viaggiatori per affari (in questo la differenza con Firenze è notevole), la permanenza media supera di poco i due giorni. Si comprende quindi che la concentrazione dei punti d’interesse rappresenta un risparmio di tempo e denaro. Inoltre, elemento importante, si crea una fidelizzazione del cliente, che si muove in un ambiente accogliente di cui sente parte a tutti gli effetti. Come ha sottolineato il sociologo tedesco Simmel23 la moda è un forte elemento di differenziazione sociale. Diventano dunque importanti la coesione interna e la separazione con quanti non appartengono allo stesso ambiente. Da ciò si deduce che il fenomeno di frantumazione della rete sociale ha conseguenze crescenti con l’abbassarsi delle condizioni economiche. Ha scritto Roberta Circelli nel suo commento a un testo di Squillace24: “Per Squillace la moda è un’arte decorativa del corpo umano ed in quanto tale genera tipi ideali di natura imitativa (moda in senso stretto), inventiva (lusso ed eleganza) o degenerativa (eccentricità ed ostentazione)”25. Si può dire che negli ultimi decenni i tre elementi si sono concatenati in un percorso che ha portato il sistema al limite estremo. Al proposito è indicativa la lettera scritta da Giorgio Armani al WWD, ripresa poi da Repubblica, in cui lamenta lo sfasamento tra andamento naturale delle stagioni e presentazione delle collezioni, e l’eccessiva accelerazione del sistema, con conseguente rapida “usura” dei capi. Aggiungendo tra l’altro: “La crisi è un’opportunità per ridare valore all’autenticità: basta con la moda fatta solo di comunicazione, basta con le sfilate cruise in giro per il mondo per presentare idee mediocri e intrattenere con show grandiosi che oggi appaiono come fuori luogo, e pure un po’ volgari”26.
La grande trasformazione di fine secolo
Negli anni ottanta la moda si trasforma in grande industria, si affermano nomi come Armani, Versace, Dolce & Gabbana, l’Italia conosce un altro periodo di grande successo internazionale. La visibilità dai ricchi clienti delle griffe si estende al grande pubblico, anche grazie a film come American Gigolò e serie TV come Miami Vice, i cui protagonisti indossano costosi abiti firmati e guidano Ferrari27. Col decennio successivo cresce fortemente l’interesse verso l’Italia da parte dei paesi dell’estremo oriente. Primi sono i giapponesi, peraltro già da alcuni decenni attratti dai prodotti italiani. Ora sono il nostro stile di vita e i grandi marchi della moda il sogno dei giovani del Sol levante, molti dei quali si trasferiscono definitivamente abbracciando mestieri come l’artigiano e il cuoco. Una borsa di Prada è un oggetto da invidiare soprattutto se comprata a Firenze o Milano. Impiegate e commesse sono disposte a qualunque sacrificio pur di procurarsi il denaro necessario per organizzare un viaggio di acquisti. Poi arriveranno anche coreani e cinesi. Nel 2001 con la nascita della Fondazione Pitti Immagine Discovery l’attenzione si sposta sull’arte contemporanea. Gli eventi di comunicazione si svolgono ora nello spazio di archeologia industriale della Stazione Leopolda, preso in gestione allo scopo. Le fiere dell’uomo si tengono sempre all’interno della Fortezza da Basso. Nello stesso periodo, mettendo finalmente fine a una guerra decennale, Milano e Firenze costituiscono Intesa Moda, società attraverso la quale avviano una collaborazione da cui nasceranno varie iniziative, tra cui il ritorno della moda donna in Toscana con le anteprime. Continua poi la diversificazione con Taste, il Salone del gusto e Fragranze, la fiera dei profumi. Intanto vengono organizzate altre due grandi mostre sulla moda italiana, la prima al V&A Museum di Londra28, che poi viaggerà in tre sedi negli USA e Bellissima del Maxxi di Roma, replicata in Florida29.
L’esplosione del turismo di massa nel nuovo millennio
Ma, come accennato all’inizio, il nuovo millennio vede esplodere il movimento di viaggiatori da e verso le destinazioni di tutto il mondo. Una delle cause del fenomeno è il successo ottenuto dai voli a basso costo, la cui popolarità cresce a cominciare dal 1991, grazie allo sviluppo dell’irlandese Ryanair. Nel 2017 gli aerei della compagnia hanno trasportato 120 milioni di passeggeri. Oggi il settore rappresenta oltre il 50% del totale del trasporto aereo. L’Italia resta una delle mete preferite, è il Paese con la maggiore concentrazione di beni culturali al mondo riconosciuti dall’UNESCO, 58. Seguono la Cina con 56, e la Germania con 50. Tuttavia l’immobilismo degli Enti preposti e, in qualche caso, la cattiva gestione, hanno fatto si che nazioni più dinamiche nella messa in atto di politiche mirate allo sviluppo del settore ci abbiano superato nelle preferenze dei visitatori. Questa la classifica, aggiornata al 2019, dei Paesi più visitati in milioni, che ci vede scesi al quinto posto: Francia 89, Spagna 83, USA 80, Cina 63, Italia 6230.
Al proposito si può notare che da noi il turismo è affidato al Ministero dei Beni e delle Attività culturali, dopo essere stato trasferito a dicasteri diversi, incluso quello dell’Agricoltura. Altri paesi, ad esempio la Spagna, hanno capito che il settore, principalmente economico, è un’impresa su scala nazionale, da inserire, diretto da un responsabile con competenze tecniche, nell’ambito delle Attività produttive. Il paese iberico ha investito moltissimo negli ultimi anni, dotando le proprie città d’infrastrutture moderne e differenziate, in modo da attirare visitatori selezionati, come nel caso citato di Valenza.
Nel 2019 il totale mondiale del movimento è stato di 1,4 miliardi, con un incremento su base annua del 5%. Il settore cresce in percentuale più della media dell’economia mondiale. Ha avuto in cinque anni (2014-2019) un aumento esponenziale, dovuto all’aumento dei flussi provenienti dai Paesi dell’estremo oriente, Corea e Cina, ma anche da nazioni emergenti come il Brasile e l’India, e da Stati minori. A riprova del fatto che oggi il viaggio di piacere è diventato a tutti gli effetti un fenomeno di massa le cui conseguenze si fanno sentire non solo sulle destinazioni più gettonate, ma su tutto il pianeta. È evidente che, con buona pace dei sostenitori del libero mercato capace di autoregolarsi, fenomeni di tale portata necessitano di interventi di regolazione di tipo politico, messi in atto dalle amministrazioni nazionali e locali. Nell’ambito del nostro tema è interessante sottolineare che lo spostamento di lavoro costituisce una percentuale ridotta del totale, rappresentato per lo più da viaggi di piacere: 13% contro 56%. L’Europa è il continente che domina il mercato con il 51% degli arrivi totali. Al suo interno la competizione è serrata e dispiace notare la perdita di posizioni dell’Italia, dove è collocato il 50% dei beni artistici mondiali. Calo avvenuto nonostante i Paesi dell’Europa meridionale siano i più amati, con un aumento degli arrivi dell’8% tra 2018 e 2019. Se dal punto di vista dei contenuti non abbiamo rivali, significa che i motivi del ritardo risiedono nella scarsa capacità di gestire i flussi. Per tornare al caso Firenze, negli ultimi cinquanta anni il comune ha perso circa 100 mila abitanti. I residenti sono oggi 366.000, erano 457.000 nel 1971. Di questi solo 37.500 abitano l’area divenuta patrimonio UNESCO31. Nel nuovo millennio il fenomeno si è accentuato grazie al disegno messo in atto dall’amministrazione comunale che intendeva riservare il salotto cittadino a ricchi preferibilmente stranieri, sul modello di Londra, come dichiarò un assessore alle attività produttive in un incontro privato. Il risultato è la mercificazione a fini turistici e di profitto delle aree più delicate e pregiate del secolare tessuto cittadino. Questo nuovo scenario, che in Italia coinvolge tutte le città d’arte32, e di cui si parla da anni, pare accentuarsi sempre più, alterando i naturali equilibri della vita sociale. Come abbiamo visto, in passato le iniziative fieristiche influivano sulle attività turistiche. Per molti anni le fiere di Pitti hanno garantito agli albergatori cittadini la garanzia del tutto esaurito con prezzi alti, oggi non è più così. Gli strumenti digitali hanno aumentato la possibilità di effettuare la transazioni commerciali da remoto e le aziende tendono a tagliare le spese di viaggio. Inoltre l’Alta velocità ferroviaria permette a operatori e giornalisti di venire da Roma e Milano in giornata; oppure di dormire a Bologna, 35 minuti di viaggio, con notevole risparmio sul costo del pernottamento. Anche i turisti, disponendo di collegamenti veloci, possono fare base in una città e visitare luoghi anche distanti in giornata. D’altro lato si moltiplicano le iniziative generiche rivolte al grande pubblico che garantiscono alti numeri di presenze, come le maratone, in città se ne corrono diverse, sportive e di beneficenza, da Firenze Marathon a Corri la Vita, molto affollate e da alcuni criticate per i disagi che portano ai residenti. Anche i concerti sono numerosi tenuti al Mandela Forum o alle Cascine come il Firenze Rock. La tradizionale oscillazione tra alta e bassa stagione si è annullata nei numeri, rimanendo rilevante nella determinazione dei prezzi, divenuti molto fluidi, cioè variabili in base all’oscillazione della domanda. Il turismo mondiale è diventato un business in grado di generare enormi profitti. Un aspetto dove moda e turismo si sono decisamente incrociati è quello della distribuzione. Da molti decenni una delle produzioni storiche della città, quella della pelletteria, è stata intercettata da immigrati cinesi. Il fenomeno ha riguardato anche la vendita al dettaglio soprattutto nella zona del mercato di San Lorenzo e nell’area di Santa Croce. Il primo è oggi completamente dedito alla vendita di souvenir su banchi gestiti da immigrati. La seconda vede la presenza ininterrotta di negozi di articoli in pelle, nelle strade che collegano il luogo di fermata dei bus, Lungarno della Zecca Vecchia, con Piazza della Signoria. In genere sono le guide a orientare i gruppi che in buona sostanza comparano articoli spesso non prodotti in Italia, venduti da stranieri. Naturalmente fatte salve le aziende che resistono operando artigianalmente in loco, con livelli di qualità alta. Considerando che le altre attività più diffuse sono paninerie, pizzerie al taglio, bar, ristoranti, gelaterie, si capisce come non sia rimasto molto spazio per i tradizionali negozi di quartiere. Di tutt’altro genere invece il crocevia formato dalle strade del lusso, per lo più vetrine delle grandi firme, riunite nell’area più antica della città; da Via Tornabuoni, a Via Roma, a Via Calzaioli, intersecate da Via Strozzi, dal Corso e poche altre.
La gestione del settore turistico è anch’essa frutto della rivoluzione digitale, prima si vendevano pacchetti attraverso agenzie e Tour operator, adesso si comprano biglietti aerei e soggiorni on line sulle grandi piattaforme, che esigono percentuali doppie rispetto a quelle tradizionali. La cosiddetta “reputazione on line” delle strutture è affidata a portali come Trip Advisor che permettono a chiunque di scrivere giudizi, spesso senza controllo sulla loro veridicità. La crescita del numero delle presenze è iniziata a Firenze alla fine del 2013. Le cause sono varie, in parte riconducibili alle normali oscillazioni cui sono soggette tutte le destinazioni e alle mode che si modificano tramite il passaparola. In altri casi giocano un ruolo decisivo le indicazioni fornite dagli esperti del settore. In USA e Canada ad esempio sono molto seguite le guide di Rick Steves, guru del turismo mondiale grazie ai programmi televisivi che tiene ormai da venti anni, all’accuratezza e all’aggiornamento delle informazioni rilasciate. La sua influenza è stata molto efficace ad esempio alle Cinque Terre, zone un tempo quasi abbandonate, oggi sede di un Parco molto frequentato.
A Firenze, nell’autunno dell’anno citato, si sono tenuti i mondiali di ciclismo, cassa di risonanza cui hanno fatto seguito un film di successo e una prodotto televisivo. Per la precisione Inferno di Ron Howard, girato in parte nel centro storico, e la serie anglo-italiana I Medici, 24 episodi trasmessi in molti paesi tra il 2016 e il 2019. Hanno avuto un ruolo anche il successo negli Stati Uniti di programmi come la serie Montalbano, molto popolare oltreoceano. Il 2014 è stato quindi un anno d’oro per gli operatori. Il crescente interesse per la destinazione ha attirato sul posto le grandi compagnie. A fine anno Booking.com ha aperto un ufficio in città. La primavera successiva ha fatto irruzione AirB&B, la società nata a San Francisco per favorire i pernottamenti in case private.
Mentre nella maggior parte delle grandi città, a cominciare da quella di origine, il fenomeno è stato regolato, da noi si è sviluppato senza vincoli. La scusa iniziale era che in un momento di crisi lasciare la possibilità ai privati di affittare le proprie case poteva essere d’aiuto per far quadrare il bilancio familiare. È stato il colpo di grazia su una situazione già precaria. In realtà più che servire da supporto alle famiglie l’attività è stata presa in mano da grandi agenzie che gestiscono decine di appartamenti nel centro storico, a tutto vantaggio delle posizioni di rendita e a detrimento delle strutture tradizionali, oberate da mille adempimenti. L’intervento compiuto dal Comune è stato quello di concordare con la società il pagamento della tassa di soggiorno. In seguito si è applicata una tassazione forfettaria, obbligando alla gestione con Partita IVA chi avesse in locazione più appartamenti. L’affitto turistico è stato praticato all’inizio senza alcun vincolo burocratico. In alcuni casi non è si rispettato l’obbligo della denuncia degli ospiti all’Autorità di Polizia e si è operato al nero. Situazione simile si è verificata con l’arrivo in città dell’applicazione Uber, in questo caso sono stati i tassisti, categoria forte e unita, a opporsi rifiutando una concorrenza esente da vincoli. All’estero in alcuni casi si è limitato il numero delle notti affittabili su base annua. In altri è stato fatto emergere il sommerso e si sono applicate forme di tassazione. Nemmeno la legge regionale sul turismo, rivista nel 2016, è intervenuta sul problema, in nome della libertà d’impresa. Libertà ad esempio negata per chi gestisce B&B e strutture extra alberghiere come residenze d’epoca e simili. I B&B, affittacamere per la nostra burocrazia, non possono avere più di sei stanze, quando sappiamo che il numero minimo che consente una gestione vantaggiosa è dieci. Il limite costringe i gestori a prendere più licenze, peraltro non più di due in ogni palazzo, moltiplicando così i costi. D’altro lato sono nate enormi strutture, gestite da grandi catene straniere che hanno schiacciato la piccola economia locale di settore, per lo più a conduzione famigliare. Basti pensare allo Student Hotel, con 390 camere, un numero enorme, situato al limite del centro storico, dove il Comune si è impegnato a non rilasciare licenze alberghiere. La sua apertura ha determinato la crisi, e in alcuni casi la chiusura, di molte piccole strutture. Si dovrebbe tenere conto invece che la rete delle attività minori svolge un ruolo fondamentale innalzando la qualità del servizio e fidelizzando la clientela, ottenendo così soggiorni più lunghi. Uno dei punti fondamentali della questione, dato che la permanenza media non raggiunge i tre notti, e le presenze giornaliere sono diventate il vero colpevole del degrado del centro storico. Tutto il flusso si concentra tra Uffizi, dove la durata media della visita è di soli 68 minuti, Duomo e Accademia. I musei minori sono ignorati, gli autobus infatti devono recuperare i gruppi e dirigersi vero The Mall, grande outlet dove si trovano a prezzi ridotti tutti i grandi marchi della moda, per lo più rimanenze o seconde scelte. Intorno alla città ne sono nati diversi e tutti hanno prodotto fatturati elevati e in crescita. Oltre ai disagi per i pochi residenti rimasti l’eccesso provoca fastidio anche alla parte migliore dei visitatori che vorrebbero vedere le opere d’arte e non passare ore in coda per trovarsi davanti muri di schiene sovrastati da cellulari. Mentre si spendono parole sul turismo di qualità, la pressione giornaliera si fa insostenibile senza che vengano presi provvedimenti al riguardo. Qualcuno paragona il centro a Disneyland, evidentemente non conoscendo il parco divertimenti situato vicino a Los Angeles, ove tutto è pulito e perfettamente organizzato. Firenze al contrario pare abbandonata a sé stessa, mancano toilette pubbliche, proliferano bagarini, borseggiatori, falsi mimi che estorcono denaro, donne di etnia Rom che elemosinano e dormono sotto i portici in mancanza delle più elementari condizioni igieniche. Chi denuncia il degrado viene additato come persona che denigra la città. Un esempio della situazione è dato dalla gestione della tassa di soggiorno che è progressiva. Il comune ha voluto partecipare alla spartizione della torta aumentandola due volte in due anni. Di conseguenza, mentre per i cinque stelle si è arrivati a cinque euro a persona a notte, massimo consentito dalla legge, i tre stelle e le strutture extralberghiere hanno visto raddoppiare la somma da due a quattro euro. Oggi una famiglia di quattro persone paga 48 euro per tre giorni di permanenza. Nel primo caso l’incidenza percentuale è minima, considerando un costo della camera che supera i cinquecento euro, nel secondo si arriva a un’incidenza del 10%, dal momento che il prezzo medio annuo si aggira intorno agli ottanta euro. Va detto che il cliente paga una cifra totale, la destinazione della quale gli è del tutto indifferente. Su ottantotto euro il 10% va al Comune come imposta di soggiorno, l’IVA pesa per un altro 10%, un altro 20% (o più, a seconda della visibilità desiderata) sul costo della camera (€. 80) è la commissione delle OTA, (On Line Travel Agency). A proposito di queste, Booking ed Expedia le maggiori, va detto che molte altre minori fanno parte dei due gruppi principali, che creano così un regime di concorrenza artefatto.
Si deve aggiungere che operando da sedi estere i loro introiti non sono soggetti a tassazione, nemmeno all’IVA. E non sono, in alcuni casi, gestibili come interlocutori, operando in una sorta di bolla protetta, al pari delle società che agiscono su Internet. Si capisce che una struttura medio piccola vede così decurtare il suo introito del 40% alla fonte. Senza contare i citati adempimenti burocratici. Gli albergatori sono obbligati a denunciare le presenze a tre amministrazioni: Comune per l’imposta di soggiorno, Provincia per fini statistici e Questura per la legge nazionale sugli alloggiati. Se davvero si volesse favorire un turismo responsabile e di qualità, basterebbe rendere variabile l’imposta di soggiorno, riducendola per ogni giorno di permanenza in più.
Tornando all’ipotesi iniziale, si potrebbe sottolineare la contraddizione che contraddistingue la città e che la pandemia ha fatto emergere con grande forza. Firenze è una signora che indossa un costume apparentemente perfetto, fatto della gloria del suo passato e del glamour del suo presente. Purtroppo sotto questo soprabito firmato si nasconde una veste un po’ logora, da periferia abbandonata a sé stessa.
Conclusioni
Per concludere si può affermare che la moda è senza dubbio uno dei segmenti che negli anni ha avuto un ruolo importante nella definizione dell’immagine Paese e contribuito far aumentare i flussi turistici. I due settori, come altri del resto, hanno tuttavia negli ultimi vissuto esperienze analoghe. Alcuni grandi firme nazionali sono finite in mani straniere, con conseguente trasferimento degli utili all’estero. La filiera è stata influenzata, col decentramento dell’intera produzione, o di parti del processo, a scapito delle attività locali. Oppure favorendo imprese situate sul territorio, ma non tutte operanti nel rispetto delle regole, basti pensare al comparto di Prato e dintorni. Nel turismo di nuovo si favoriscono grandi gruppi internazionali, che tra l’altro non garantiscono livelli di occupazione di qualità, come erroneamente si sostiene, a scapito delle strutture minori. Nel dopoguerra l’economia italiana ha dovuto il suo successo anche alla piccola e media impresa, fenomeno diffuso in varie regioni, dal nord-est al centro, diventato addirittura caso di studio, e additato come esempio da imitare da parte di altri Paesi. Negli ultimi anni questa rete è stata messa in grande difficoltà dalla concorrenza di Paesi meno sviluppati, dall’aumento della pressione fiscale e da una burocrazia sempre più opprimente. Il mancato sostegno delle Istituzioni ha provocato la perdita di gran parte di questo valore inestimabile, il cui decadimento rappresenta uno degli aspetti costitutivi della crisi del Paese. Queste poche osservazioni suggeriscono che sarebbe necessario cercare di inquadrare e governare fenomeni evolutisi in tempi rapidi, su vasta scala, spesso in modo spontaneo, originati dalle opportunità di profitto permesse dalle nuove tecnologie digitali in assenza di orientamento da parte di chi avrebbe potuto e dovuto tentare di regolarli33.
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La capacità di un Paese di esportare i propri modelli economici e culturali in modo persuasivo, fu definita Soft power dal Presidente USA W. Wilson nel 1911.↩︎
Un altro aspetto connesso al tema trattato è quello della circolazione delle merci e dell’affermarsi della grande distribuzione. Prima dei turisti hanno viaggiato su grande scala i prodotti. La svolta arriva nel 1956 quando l’americano Mclean inventa il container. Al proposito si veda: Jürgen Osterhammel, Niels P. Petersson, Storia della globalizzazione (Il Mulino, 2009); Victoria de Grazia, L’impero irresistibile (Einaudi, 2020).↩︎
D. H. Meadows, https://www.ibs.it/libri/autori/donella-h.-meadows; D. L. Meadows, https://www.ibs.it/libri/autori/dennis-l.-meadows; J. Randers, https://www.ibs.it/libri/autori/jorgen-randers; W.W. Behrens III, I limiti dello sviluppo, Rapporto del System Dynamics Group del MIT per il progetto del Club di Roma sulla difficile situazione dell'umanità, prefazione di Aurelio Peccei (presidente del Club di Roma) (Mondadori, 1972). Nuova edizione: I limiti alla crescita, https://www.ibs.it/libri/editori/lu.ce, 2018. La ricerca denunciava, cinquant’anni fa, i rischi dello sviluppo economico e sociale in un ambiente finito: sovrappopolazione, esaurimento delle risorse, crisi ambientale, ecc.↩︎
ASFI, Fondo G.B. Giorgini della moda italiana, documento in corso di catalogazione (UA Ex 86). Ringrazio per la segnalazione la Prof.ssa Daniela Calanca.↩︎
Si veda al proposito il Fondo G.B. Giorgini della moda Italiana, depositato presso l’Archivio di Stato di Firenze, che include una vasta rassegna stampa.↩︎
Elisa Coppola, “La promozione della moda italiana negli anni ’50 a bordo dei transatlantici”, in Six Wonderful days. Catalogo della mostra. (Genova: Tormena Editore, 2002).↩︎
Nell’Independence Hall della capitale della Pennsylvania, gemellata con Firenze, furono firmati la Dichiarazione d’Indipendenza (1776) e la Costituzione (1787).↩︎
ASFI, Fondo G.B. Giorgini della moda italiana, Album 34, Doc. 27.↩︎
La Nazione Sera, 15/07/54. Parziale elenco (1959) di hotel frequentati dai buyers: Anglo American, Astoria, Plaza Lucchesi, Majestic, Montebello, Pitti Palace, Porta Rossa, Savoy, Grand Hotel, Hotel della Signoria. ASFI, Fondo G.B.G. citato, UA N (Ex 84).↩︎
La struttura fieristica fiorentina infatti non vide mai la luce. Situata all’inizio del parco delle Cascine, dove recentemente è stata costruita L’Opera di Firenze, prevedeva spazi polifunzionali con tutti i servizi necessari, inclusa una sala teatrale, ristoranti, ecc. L’approvazione del Comune, guidato dal Commissario Salazar e il finanziamento della Banca d’Italia non furono sufficienti a salvarla. Il Sindaco La Pira, rieletto per un secondo mandato, ritirò i permessi, probabilmente sotto la spinta della politica romana.↩︎
Basti pensare a gruppi come Kripton per il teatro e Litfiba per la musica.↩︎
Giannino Malossi (a cura di), La Sala Bianca, nascita della moda italiana (Electa, 1992).↩︎
Germano Celant, The Italian Metamorphosis, 1943-1968, catalogo della mostra (New York: Guggenheim Museum, 1994).↩︎
Germano Celant e Luigi Settembrini (a cura di),Il Tempo e la Moda, catalogo della mostra tenuta in Sala Bianca in occasione della prima “Biennale di Firenze” (Skira, 1996).↩︎
AA.VV. moda/cinema, catalogo della mostra, “Biennale di Firenze”, (Elekta, 1998).↩︎
Al proposito si veda: T. Montanari, Privati del patrimonio, Einaudi, 2015; T. Judt, Guasto è il mondo, (Laterza, 2011).↩︎
Valentina Nervi, Il caso di via Gesù: il Rapporto tra moda e turismo a Milano (Bookmoon, 2015).↩︎
Georg Simmel, La Moda (Mondadori, 1998).↩︎
Fausto Squillace, La Moda (Edizioni Nuova Cultura, 2010).↩︎
Roberta Circelli, “Fausto Squillace: il sociologo dimenticato”, Sociologicamente.it, accessed 2017, https://sociologicamente.it/fausto-squillace-il-sociologo-dimenticato/.↩︎
Giorgio Armani, lettera aperta al Women’s Wear Daily, 03.04.2020, ripresa da Repubblica, il 15.04.2020↩︎
Il primo, interpretato da Richard Gere, è del 1980. La seconda trasmessa dal 1984 al 1989.↩︎
AA.VV. The Glamour of Italian Fashion Since 1945, catalogo della mostra, V&A Museum, Londra, 2014.↩︎
Maria Luisa Frisia (a cura di), Bellissima. L'Italia dell'alta moda 1945-1968, catalogo della mostra, Museo MAXXI (Roma, 2014), (Mondadori Electa, 2014).↩︎
Tutti i dati sono ripresi da: Organizzazione Mondiale del Turismo, UNWTO, rapporto 3119, https://www.eunwto.org/doi/pdf/10.18111/9789284421152.↩︎
Ilenia Maria Romano, Pressione turistica sul Centro Storico di Firenze - sito UNESCO: Un modello per la valutazione dell’impatto percettivo, 2018. Tesi di dottorato, 2018.↩︎
Emblematico il caso di Venezia. Vedi al riguardo il film-documentario, The Venice Syndrome, 2012.↩︎
Per l’impatto della pandemia rimandiamo a: AA.VV. Lo shock di Firenze, Florence Press, 2021; N. Fadigati, Il Day After della Città, Cultura commestibile N° 358, 13 giugno 2020 www.culturacommestibile.com; N. Fadigati, C’era una volta il turismo?, Cultura commestibile N° 360, 27 giugno 2020↩︎