ZoneModa Journal. Vol.11 n.2 (2021)
ISSN 2611-0563

Politiche statali tra Patrimonio Culturale della Moda e Turismo. Una riflessione introduttiva

Daniela CalancaUniversità di Bologna (Italy)

Graduated in Philosophy and in Arts at Alma Mater Studiorum Bologna University, she is Contemporary History Researcher at the Department of the Arts — University of Bologna — Rimini Campus. She is a referee in the VQR 2015–19, and was the Director’s Delegate for International Relations at Department for Life Qualities Studies (2019–September 2021). Among her recent publications: Storia sociale della moda contemporanea, BUP 2014; Bianco e Nero. L’Istituto Luce e l’immaginario del fascismo (1924–1940), BUP 2016; Moda e immaginari sociali in età contemporanea, B. Mondadori 2016.

Pubblicato: 2021-12-16

Abstract

The essay aims to analyze the relations between Fashion Cultural Heritage and Tourism in Italy, starting from the policies of the Italian State of the last twenty years.
In particular, it will be shown how the debate on cultural heritage is underway and the problem of the fashion museum has not yet been solved.

Keywords: Cultural Heritage; Fashion; Tourism; Politics; National Identity.

I.

L’analisi del rapporto tra Patrimonio Culturale della Moda e Turismo in Italia, a partire dalla lettura delle più recenti politiche pubbliche messe in campo dallo Stato italiano, chiama in causa alcune questioni fondanti. Infatti, se da un lato sono abbastanza chiare le politiche statali a sostegno dell’offerta turistica in generale, e in particolare del turismo culturale, dall’altro stiamo assistendo solo da pochi anni all’elaborazione di un piano operativo peculiare per il patrimonio della moda1. Un piano operativo che ha risentito, e risente tutt’ora, ovviamente, della situazione pandemica mondiale. In tal senso, la pandemia ha contribuito ad amplificare problemi già esistenti relativi al patrimonio culturale della moda, come nel caso, per esempio di una cronica necessità di descrivere e integrare gli oggetti della moda e la loro documentazione.2 Un problema questo, che si riflette anche sostanzialmente nell’offerta pubblica del turismo culturale legato alla moda.

In questa direzione, di fatto, il Ministero dei beni culturali e turismo (MIBACT) prima, e ora Ministero della Cultura (MIC), sta ponendo una specifica attenzione a fini turistici sulla valorizzazione della moda, considerata parte dell’arte contemporanea, come ha dichiarato, per esempio, il Ministro in carica Dario Franceschini, in videoconferenza alla presentazione in digitale di Apritimoda edizione 2020 (24 e 25 ottobre)3. Si tratta di un’iniziativa ideata dalla giornalista Cinzia Sasso, patrocinata dal MIC e sostenuta da Banca Intesa, che punta a valorizzare e a far conoscere le professioni, i mestieri e i luoghi più segreti della moda4. Specificamente, sottolineando come l’iniziativa avrebbe coinvolto 70 luoghi, tra residenze in palazzi storici, atelier, laboratori e sedi museali, sparsi in 13 regioni italiane, il Ministro ha puntualizzato che:

La nostra moda è parte dell’arte italiana contemporanea e non c’è mai stata come ora questa consapevolezza. Al suo interno ci sono secoli di bellezza entrati nel nostro dna, di cultura, di conoscenza dei mestieri e di saperi tramandati. È vero, nel nostro Paese c’è stata molta attenzione alla tutela del patrimonio artistico e architettonico lasciato dalle generazioni precedenti, e facciamo bene a farlo. Ma abbiamo dedicato poca attenzione al presente al contemporaneo. Per questo nella riforma del ministero — avvenuta nel 2019 — abbiamo creato una direzione che si chiama Creatività Contemporanea, che per la prima volta ha un dirigente e un servizio che si occupa di moda e di design, perché vogliamo davvero lavorare molto con questo settore pieno di eccellenze, di giovani talenti e di mestieri sconosciuti ma straordinari che il mondo ci invidia.5

Ossia, evidenzia Franceschini, la moda è un “settore di eccellenza che attrae giovani e turismo di qualità”.6

Nel contempo, ad accompagnare questo evento, rientrava anche un’altra attività promozionale che il Ministero, guidato sempre da Franceschini, promuoveva per favorire il turismo di prossimità, ossia Viaggio in Italia attraverso l’arte della moda: “Un’iniziativa per valorizzare preziosi e inediti documenti e opere conservati nelle collezioni degli archivi, delle biblioteche e dei musei dello Stato”.7

Uniformi delle bande musicali, disegni, bozzetti, costumi teatrali e da ballo, figurini, campioni di stoffa e di tessuto, modelli descrittivi, e oggetti di design: “Hanno accompagnato il pubblico per tutto il mese di ottobre in un ‘viaggio in Italia’ alla scoperta dell’arte della moda. Una narrazione elegante, colorata e in bianco e nero, che mostra il lavoro e le varietà di mezzi e tecniche della lunga storia di un sapere creativo e di una capacità artigianale quali tratti identitari del nostro Paese”.8 Nella forte determinazione concentrica che connota anche questa iniziativa, è stato delineato, nonché proposto, un:

Itinerario dalle molteplici tappe che attraversa l’Italia nello spazio e nel tempo, passando dai bozzetti dei costumi di Emanuel Ungaro per i Carmina Burana del Teatro dell’Opera di Roma, alle silhoutte dei romantici abiti da sposa delle sorelle Fontana conservati al Museo Boncompagni Ludovisi per le arti decorative, il costume e la moda dei secoli XIX e XX a Roma, dai figurini della banda musicale di Bernaggio dell’Archivio di Stato di Milano, alle macchine per cucire Visetta di Giò Ponti esposta al Museo del Design di Milano, ai manifesti pubblicitari conservati al Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, un viaggio per svelare aspetti poco raccontati di quel mondo ricco e variegato rappresentato dalla moda e dalla sartoria italiana.9

Ora, le domande che, tra le altre, si impongono sono: in prospettiva pubblica, a quale patrimonio culturale della moda si fa riferimento? E di qui: esiste un patrimonio antico e un patrimonio contemporaneo, ossia due tipi di patrimonio, oppure un patrimonio unico? Quali sono le relazioni tra gli abiti da sposa cuciti dalle Sorelle Fontana e i figurini della banda musicale di Bernaggio? Non solo. Un tour del Made in Italy — come ad esempio Apritimoda — può comprendere nell’offerta turistica pubblica la visita ai musei del costume, a musei che conservano notevoli collezioni tessili del XIX secolo, quali per esempio il Museo di Palazzo Mocenigo di Venezia, il Museo Civico di Modena?10

In questa direzione, va da sé, a ben vedere, come le risposte a tali quesiti siano fondanti, soprattutto in vista di politiche di valorizzazione turistica e non solo, nonostante la letteratura in materia di patrimonio della moda sia poco sviluppata. E che le cose stiano in questi termini, è tra l’altro confermato dal fatto che nel 2018 l’allora Ministro Alberto Bonisoli ha istituito una “Commissione di studio per la valorizzazione di politiche pubbliche per la tutela, conservazione, valorizzazione e fruizione della moda italiana come patrimonio culturale”.11 In particolare, alla stessa Commissione — che ha concluso i lavori nel luglio 2019 — veniva richiesto soprattutto di “individuare strumenti e modalità per garantire la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la fruizione di quello che può essere definito ‘patrimonio culturale della moda italiana’”.12 E di qui, di elaborare una proposta di Sistema Museale mirato alla valorizzazione del Patrimonio Culturale della Moda, e le sue possibili fasi di realizzazione.13

Ora, è in ragione di queste medesime possibilità di definizioni, scientificamente stabilite, che è possibile individuare gli elementi costitutivi principali per lo sviluppo di una politica di valorizzazione e di promozione turistica del patrimonio della moda, ai fini della conoscenza di esso da parte dei cittadini. Tuttavia, come si vedrà, se da un lato le quattro relazioni concentriche che sostanziano lo studio generale — e non solo giuridico — del patrimonio culturale della moda, ossia 1) relazione tra pubblico e provato; 2) relazione tra cultura ed economia; 3) relazione tra tangibile e intangibile; 4) relazione tra antico e contemporaneo, stanno orientando significativamente alcune politiche pubbliche del rapporto in progress tra patrimonio storico della moda e turismo in Italia, dall’altro, è da più di 20 anni che con l’immagine accattivante dei beni culturali della moda si tenta di dare l’idea di un patrimonio culturale della moda unitario, ma senza esplicitarne le reali interconnessioni, senza produrre conoscenza e soprattutto senza risolvere definitivamente il problema nazionale del Museo della moda.

II.

Su queste basi, è a partire da una prospettiva sostanzialmente empirico-fattuale, in base alla quale si considera la moda in termini di prodotto, ossia di cultura del prodotto, che in ambito nazionale si è configurato — e continua a configurarsi a tutt’oggi — il rapporto tra patrimonio culturale della moda e politiche turistiche. Una cultura del prodotto che, esulando dal contesto storico dell’oggetto, cioè esponendo in mostra prodotti, senza esplicitare le reali interconnessioni storiche, non produce un’effettiva conoscenza e un effettivo sapere culturale. E che le cose stiano in questi termini, è confermato, per esempio, da uno dei primi atti siglati nel 2016 dal medesimo Ministro dei beni culturali Franceschini, intitolato Un patto per la moda.14

In questa direzione, nel rendere pragmatico e operativo il programma di “Cultura Italia”, in base al quale aveva sostenuto “Con la cultura si mangia”, Franceschini, attua in quel momento una politica nei confronti del sistema moda — inteso in tutti i suoi tasselli, dal tessile all’abbigliamento, dalla concia alla pelletteria alle calzature — “che deve giocare tutte le sue carte per spingere e promuovere il made in Italy, a partire da quella più ‘naturale’ e finora meno sfruttata: il patrimonio culturale”.15 Operando un viraggio fondante rispetto ai suoi predecessori, annuncia un vero e proprio cambio di passo, come dichiara durante la cerimonia inaugurale dell’89° Pitti Uomo:

“Serve un patto tra il mondo della moda e le istituzioni culturali del Paese, che devono aprirsi reciprocamente, fare sistema e lavorare insieme. Voglio aprire tutti i luoghi della bellezza italiana alla moda italiana — ha aggiunto – perché sono due pezzi dell’identità nazionale che si integrano, e che possono dare una spinta allo sviluppo”.16 L’obiettivo è che moda e cultura, correlate, diventino un “formidabile veicolo di attrazione economica e turistica”.17 In questo quadro, si inseriva, poi, la firma di una convenzione tra la direzione delle Gallerie degli Uffizi e la fondazione Pitti Immagine Discovery, allo scopo di allestire, nel triennio 2016–2018, mostre di cultura della moda contemporanea nei musei di Palazzo Pitti, a partire dalla Galleria del costume.18 Allo stesso modo, il sindaco di Firenze Dario Nardella, sottolineando che la moda è un pezzo del patrimonio culturale italiano, annunciava i lavori per ristrutturazione di “un gioiello di questo patrimonio culturale”, quale è la cinquecentesca Fortezza da Basso di Firenze, che ospita le fiere fiorentine della moda: “Il progetto preliminare è approvato — ha detto Nardella parlando di un intervento complessivo, in attesa da decenni, lievitato a 142 milioni di euro — e il primo lotto dei lavori partirà nel 2016, grazie alle risorse della Camera di commercio”.19 Un richiamo alla necessità che i futuri lavori alla Fortezza non interrompessero lo svolgimento delle fiere, arrivava dal presidente di Pitti Immagine, e dal presidente della holding Centro di Firenze per la moda italiana (Cfmi): “Abbiamo bisogno di una Fortezza funzionante”.20 Nel contempo, in quell’occasione, si assisteva — sempre a Firenze — alla nascita del Museo della Moda e del Costume, in base a una convenzione siglata nella sala da ballo della Galleria del Costume di Palazzo Pitti tra la direzione delle Gallerie degli Uffizi e Pitti Immagine Discovery, la fondazione costituita da Pitti Immagine e Centro di Firenze per la moda italiana, con l’obiettivo di avviare un programma triennale di appuntamenti dedicati alla moda contemporanea.21 La stagione si è aperta ufficialmente con la mostra fotografica di Karl Lagerfeld, Vision of Fashion, inaugurata il 14 giugno durante Pitti Uomo e rimasta aperta fino al 23 ottobre 2016.22 Inoltre, a seguito delle dichiarazioni del ministro Franceschini e del direttore Schmidt, vengono erogati dal Centro di Firenze per la moda italiana 50 mila euro, ripetuti per tre anni (2016–2018), che la direzione sarà libera di utilizzare utilizzerà liberamente alla luce di quegli intendimenti e obiettivi stabiliti. In sostanza, si trattava di un rilancio che includeva un’intensa serie di attività legate alla moda. E al riguardo, per l’occasione, il direttore delle Gallerie degli Uffizi dichiarava che la partnership progettuale e produttiva che si stava creando in questo modo con istituzioni italiane di enorme prestigio, consentirà di offrire mostre di grande impatto per la città, specificando che si stava lavorando per trasformare la Galleria del Costume in un vero e proprio Museo della Moda.23  Il direttore, poi, annunciava anche “acquisti futuri”, senza svelare, tuttavia, i dettagli su cui si stava focalizzando la ricerca, e una serie di interventi per migliorare le infrastrutture: “Abbiamo ottimi depositi con ottimi capi della moda e accessori — ha continuato Schmidt — ma abbiamo bisogno di più spazi. Il progetto è quello di aggiungere più spazi alla Galleria del Costume e al Museo della Moda. Anche dal punto di vista della tutela ci sarà un grande miglioramento”. E cambierà anche il nome del museo. “Sarei orientato a cambiare ufficialmente il nome da Galleria del Costume a Museo della Moda e del Costume insieme con il nuovo allestimento e una bella inaugurazione”, ha spiegato Schmidt.24 

E così, sulla base di specifici accordi tra pubblico e privato, viene a costituirsi a Firenze il Museo della Moda e del Costume (precedentemente Galleria del Costume, come indicato anche nel portale degli Uffizi), il primo museo statale in Italia dedicato alla storia della moda.

III.

In questo quadro composito, si inserisce l’attività legislativa del Ministro Alberto Bonisoli che, guidando il Ministero dei beni culturali dal 1° giungo 2018 al 5 settembre 2019, interviene nel settore del patrimonio culturale della moda, istituendo, come detto, una Commissione di studi specifica per l’individuazione di politiche di tutela, di conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale della moda.

In questa prospettiva, è una serie di esigenze che muove il Ministro ad operare in tal senso, e cioè: considera l’esigenza di studiare in che modo le politiche pubbliche, statali e a livello locale, avrebbero potuto favorire la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale rappresentato dalla moda italiana, anche allo scopo di prospettare possibili linee di intervento pubblico per rendere tale patrimonio culturale accessibile a tutti i cittadini; considera la necessità di analizzare sistemi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale rappresentato dalla “moda italiana”:

inteso come l’insieme delle informazioni, esperienze, competenze tecniche e progettuali, prodotti, eventi pubblicazioni, materiale cartaceo ed audiovisivo che testimoniano la specificità del settore anche al fine di prospettare possibili linee di intervento tali da favorire forme di valorizzazione e accessibilità al patrimonio culturale della moda; ritenuto necessario istituire una Commissione di studio con specifici compiti di ricerca, analisi ed individuazioni di strumenti idonei per la realizzazione degli obiettivi così individuati.25

Nello specifico, la Commissione di studio veniva chiamata per:

  1. analizzare l’insieme delle informazioni, esperienze competenze tecniche e progettuali, prodotti, eventi, pubblicazioni, materiale cartaceo ed audiovisivo che testimoniano la specificità del settore;
  2. individuare strumenti e modalità per garantire la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la fruizione di quello che può essere definito “patrimonio culturale della moda italiana”;
  3. proporre possibili linee di intervento per creare sistemi di ampia accessibilità al mondo culturale appartenente al settore della moda italiana.26

A sua volta, la Commissione di studio per l’individuazione di politiche pubbliche per la Tutela, Conservazione, Valorizzazione e Fruizione della Moda Italiana come Patrimonio Culturale, nel giugno 2019 ha concluso i suoi lavori nel luglio 2019, e il Ministero ne ha pubblicato la sintesi.27 Specificamente, la Commissione di studio, con Barbara Trebitsch, Rita Airaghi, Alberto Cavalli, Lapo Cianchi, Raffaele Curi, Paolo Ferrarini, Angelo Flaccavento, Antonio Mancinelli, Stefania Ricci, Margherita Rosina, Sara Sozzani Maino, Daniela Tisi, ha lavorato sui seguenti temi specifici: “Raccolta delle informazioni, proposta di un sistema museale mirato alla valorizzazione del Patrimonio Culturale della Moda Italiana, con la formulazione e l’analisi di differenti ipotesi di realizzazione”.28

La Commissione ha lavorato in diverse fasi. In primo luogo, ha effettuato una mappatura di massima del Patrimonio esistente sul territorio nazionale, in collaborazione degli Archivi del ’900, un progetto del 2009 promosso dall’ANAI29; in secondo luogo, ha realizzato lo studio di casi relativi a istituzioni museali analoghe all’estero e sul territorio. Inoltre, ha realizzato numerose interviste a studenti e giovani designer, allo scopo di raccogliere dati in relazione alle aspettative su questo progetto.30

Dall’insieme dei dati raccolti, sono emersi aspetti di grande rilevanza che hanno guidato la parte progettuale del lavoro. In particolare, si rileva l’esigenza di realizzare spazi vivi, in cui accanto all’esposizione siano realizzati workshop tematici, momenti di approfondimento e di studio che analizzino le evoluzioni del contemporaneo. Appare prioritaria in questo contesto, l’esigenza di istituire un network che includa istituzioni conservative, espositive e interattive al fine di affiancare e sostenere i luoghi della moda già esistenti, e cioè i siti in cui la moda viene prodotta, distribuita, conservata, raccontata: dai grandi centri ai distretti, dall’industria al laboratorio artigianale, dal museo di provincia fino all’archivio editoriale, dall’archivio aziendale alla biblioteca.31

Al network proposto, viene assegnato il nome di LuMI — Luoghi della Moda italiana: “Il nome e il suo acronimo sintetizzano il concetto di spazi, luoghi connessi all’interno di una realtà diffusa e polifunzionale”.32 Non meno importante, come si legge nel documento di sintesi dei lavori, è l’accento posto sulla natura esplicitamente contemporanea e poliedrica della moda, tanto da richiedere attitudini inclusive, aggreganti:

La moda italiana è per sua natura contemporanea, polimorfa, viva e dinamica: la conservazione dei manufatti è fondamentale ma rappresenta soltanto il punto di partenza di LuMi. Luoghi della moda aperti e in continua evoluzione, con la vocazione a tutelare l’esistente e, di conseguenza, predisporre le fondamenta per la costruzione degli archivi futuri; una visione complessa e attuale, spazi in cui a eventi culturali, presentazioni e percorsi di formazione specifica, si possa affiancare l’opportunità per giovani, studiosi e curiosi di esplorare questo settore con un’attitudine inclusiva. LuMi diventa l’interlocutore per donazioni e acquisizioni da gestire secondo la loro natura nei diversi luoghi; gestisce una programmazione di mostre e installazioni coerente e diffusa sul territorio così come all’estero, garantendo una sinergia atta a valorizzare le caratteristiche di ciascun luogo, da quelli più rilevanti e noti fino a realtà meno comunicate e valorizzate; è anche un repository e un punto di riferimento online per ricerche e informazioni in un unico luogo digitale.33

In questo contesto, un obiettivo fondamentale è realizzare e ricongiungere realtà già esistenti o da creare, mentre la finalità primaria consiste nella valorizzazione di Milano e Firenze, con l’intenzione di “ampliare nel tempo un concetto di diffusione che si estenda a Roma e a Napoli con riguardo alla storia delle identità presenti o emergenti delle rispettive città”.34

Considerando, poi, come il Sistema della Moda italiana sia un organismo complesso, si fa largo l’esigenza di comprendere e analizzare gli equilibri “delicati” su cui esso si fonda. Lungo questa linea, emerge poi, in che modo:

la diffusione dei beni sul territorio e la presenza di un sistema ricco e parcellizzato evidenziano come sia nodale, ai fini della preservazione e della valorizzazione del patrimonio, gestire centralmente e in costante dialogo, realtà private, aziendali e istituzionali. A tal fine, la Commissione ha invitato il Ministero ad attivare una politica inclusiva e di dialogo con le istituzioni e associazioni private che già stanno lavorando su questo tema e ha posto all’attenzione del Ministro la questione degli archivi aziendali. Un tema questo che deve essere analizzato e risolto proteggendo i beni presenti sul territorio nazionale in accordo con le aziende che hanno costruito e continuano a generare il Made in Italy.35

Ora, in attesa di conoscere le direttive del Ministro Franceschini, ritornato in carica il 13 febbraio 2021, ciò che si può sottolineare è che da più di 20 anni in Italia esiste il “problema del museo della moda”, del “sistema museale della moda statale”, che ruota, a ben vedere, attorno al Museo della Moda e del Costume a Palazzo Pitti. Infatti, sotto questo profilo, non si può trascurare il particolare rilievo che assumono due proposte di legge del 2004, approvate dalla Camera dei Deputati, ma non portate a compimento.

IV.

Nel primo caso, il disegno di legge “Disposizioni per la trasformazione della Galleria del costume di Palazzo Pitti in Firenze in Museo della moda e del costume”, comunicato alla Presidenza il 3 marzo 2004, ripercorreva la storia pregressa della Galleria del costume di Palazzo Pitti, fin da quando essa fu inaugurata l’8 ottobre 1983, sotto la direzione di Kirsten Aschengreen Piacenti, con sede nella Palazzina della Meridiana, dopo l’annuncio dell’allora Ministro per i beni culturali ed ambientali onorevole Nicola Vernola, in data 5 marzo dello stesso anno, con il contributo del Ministero per i beni culturali ed ambientali di lire 180.000.000 sul capitolo 8005 dello stato di previsione del predetto Ministero per l’anno 1984.36 A ciò si aggiungeva, il contributo della regione Toscana per lire 50.000.000 e dell’Associazione “Amici della galleria del Costume” di Palazzo Pitti, sotto la presidenza di Raffaello Torricelli, per lire 170.000.000.37 L’ingente patrimonio fino ad allora acquisito era composto da: 1) la sezione costume e moda — circa 7.000 opere — composte da abiti funebri restaurati di Cosimo I de’ Medici, don Garzia ed Eleonora da Toledo; abiti e accessori di moda dal XVIII al XX secolo; oggetti legati alla cura della persona; costumi teatrali, di cui il nucleo più importante dalla donazione di Umberto Tirelli; figurini e bozzetti per costumi e tessuti, tra cui disegni di Thayaht e figurini di Guidi; gioielli, il nucleo più importante era quello di Wiechmann Savioli); indumenti di manifattura orientale. L’acquisizione di queste opere, ad eccezione degli abiti medicei e di un nucleo proveniente dai depositi dell’ex monastero della Crocetta attuale Museo archeologico nazionale, era avvenuta grazie ad una donazione da parte di privati e di istituzioni e — in percentuale minore — mediante un acquisto diretto da parte del Ministero per i beni culturali ed ambientali.38 Inoltre, erano comprese anche le collezioni di manufatti tessili, trasferiti per competenza sotto la direzione della Galleria del Costume: i frammenti di tessuti antichi (secoli XIV–XIX); parati liturgici della Cappella Palatina; fondaco delle stoffe di Palazzo Pitti (tessuti, galloni, passamanerie provenienti dall’arredo delle sale di palazzo Pitti), collezione degli arazzi provenienti dalle soprintendenze fiorentine; collezione dei tappeti di Palazzo Pitti. Quanto alle attività di studio, di restauro e di esposizione, nel disegno legge, veniva di fatto segnalato l’insieme di otto rotazioni a cadenza biennale/triennale, di tutte le opere esposte; oltre venti mostre temporanee (da 2 a 6 mesi) incentrate su temi inerenti la moda e il costume, 32 pubblicazioni specializzate. E dunque, in virtù di tutto questo patrimonio, e della crescente importanza sia culturale che economica della moda italiana e del suo richiamo turistico verso l’estero, si riteneva opportuno conferire autonomia alla Galleria del costume trasformandola in Museo della Moda e del costume con sede a Firenze.39

La proposta di legge non passò, e si intersecò con un altro progetto di legge, approvato dalla Camera dei Deputati il 6 febbraio 2004, relativo alla formazione di un sistema museale della moda e del costume italiani e interventi per la formazione e la valorizzazione degli stilisti.40

Così, nel disegno di legge del Sistema museale era organizzato come una rete di strutture museali ed espositive nei settori della moda, del costume e dei prodotti tessili, delle calzature e degli accessori, e articolato nelle seguenti strutture: 1) Galleria del costume di Palazzo Pitti di Firenze, che assume la denominazione di Galleria nazionale della moda e del costume; 2) Museo della moda italiana, di nuova istituzione, con sede a Milano; 3) Museo nazionale della seta, con sede a Como; 4) Fondazione Micol Fontana di Roma; 5) Museo del tessuto di Prato; 6) altre strutture pubbliche o private che entrano a far parte del Sistema museale o si associano ad essi in base all’articolo 3 comma 2, lettera b.41 Le strutture di cui al comma 2, già operanti alla data di entrata in vigore della presente legge, mantengono ciascuna la propria natura giuridica e le proprie risorse finanziarie, strumentali e umane.

Il Sistema museale avrebbe perseguito i seguenti scopi:

a) raccogliere, conservare, catalogare, restaurare ed esporre materiale e opere che si riferiscono alla storia della moda e del costume; b) valorizzare la cultura del tessile attraverso la ricerca, la raccolta, lo studio, il restauro, l’esposizione del patrimonio strumentale e documentale della storia dei prodotti tessili, delle calzature e degli accessori; c) effettuare acquisti, scambi e prestiti con altri musei del mondo per l’incremento delle collezioni esistenti; d) promuovere iniziative e attività culturali, idonee a favorire la conoscenza, in Italia e all’estero, del patrimonio conservato: e) patrocinare eventi culturali volti a valorizzare le creazioni di giovani stilisti; f) istituire premi e borse di studio a favore degli studenti e giovani che si impegnano a effettuare ricerche e studi attinenti ai settori della moda, del costume e dei prodotti tessili, delle calzature e degli accessori.42

La fondazione di cui all’articolo 3 avrebbe promosso l’ampliamento della rete delle strutture museali ed espositive del Sistema museale su tutto il territorio nazionale, garantendo la realizzazione di almeno una struttura museale in ciascun regione, al fine di valorizzare gli apporti regionali e locali della tradizione italiana nei campi della moda, del costume e dei prodotti tessili, delle calzature e degli accessori.43 Al tale fine, la fondazione avrebbe assicurato il più maggior coinvolgimento possibile delle strutture museali e dei soggetti pubblici e privati, già attivi nei settori di cui al presente articolo, che intendano entrare a fare parte del Sistema museale, e in particolare del Museo del tessile e della tradizione industriale di Busto Arsizio, del Museo dell’artigianato tessile, della seta, del costume e della moda calabrese di Reggio Calabria, del Museo della seta e degli antichi telai di San Leucio di Caserta, del Museo del tessile e del costume di Spoleto, del Museo della moda e del costume di Palazzo Mocenigo di Venezia e del Museo di Palazzo Fortuny di Venezia. Allo stesso scopo fine, la fondazione avrebbe provveduto anche alla realizzazione, nella città di Lecce, di una apposita struttura museale dedicata al costume dell’area mediterranea.44

Alla gestione del Sistema museale avrebbe provveduto una specifica fondazione, con sede a Firenze presso la Galleria della moda e del costume, costituita e disciplinata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 27 novembre 2001 n. 491.45 I compiti della direzione scientifica del Sistema museale venivano affidati alla Galleria nazionale della moda e del costume. Alla fondazione, oltre al Ministero per i beni e le attività culturali, avrebbero potuto partecipare il Ministero delle attività produttive, le regioni e gli enti locali nel cui territorio hanno sede le strutture in cui il Sistema museale si articola, l’Associazione per il Museo della seta di Como, le cui risorse finanziarie, strumentali e umane sarebbero state destinate alle esigenze del Museo nazionale della seta.46

Il Sistema museale, sempre nel disegno di legge, veniva posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 27 novembre 2001, n. 491. Per le finalità di cui all’articolo 59 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 è autorizzata una spesa pari a 1.500.000 euro per l’anno 2004.

È autorizzata la spesa di 3.000.000 di euro per l’anno 2004 per la realizzazione o l’adeguamento della sede della fondazione di cui all’articolo 3 e di quella del Museo della moda italiana, nonché per l’adeguamento delle strutture della Galleria nazionale della moda e del costume e del Museo nazionale della seta.47 Una quota complessivamente non inferiore a 2.000.000 di euro delle risorse di cui al presente comma è destinata alla realizzazione della sede del Museo della moda italiana. La restante parte è ripartita paritariamente tra la Galleria nazionale della moda e del costume e il Museo nazionale della seta.48

Nel disegno di legge (un altro), al Museo della moda e del costume venivano attribuiti i seguenti compiti: a) raccogliere, conservare, catalogare, restaurare ed esporre materiale ed opere che si riferiscono alla storia della moda e del costume; b) effettuare acquisti, scambi e prestiti con altri musei del mondo per l’incremento delle collezioni di moda e di costume esistenti; c) promuovere iniziative ed attività culturali idonee a favorire la conoscenza, in Italia e all’estero, del patrimonio conservato dal Museo stesso; d) patrocinare eventi culturali volti a valorizzare le creazioni di moda di giovani stilisti.49 Inoltre, al Museo veniva concessa la possibilità di dotarsi di sedi collocate in altre città italiane, purché in un quadro di programmazione stabilito dalla direzione del Museo stesso e assicurando la collaborazione con le rispettive regioni.50

L’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 6.000.000 di euro per l’anno 2004 e in 3.000.000 di euro a decorrere dall’anno 2005, si provvede, quanto a 3.000.000 di euro per l’anno 2004, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini di bilancio triennale 2004–2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 3.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004–2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” del medesimo atto di previsione, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali.

Pertanto, i disegni di leggi ci sono stati, ma, come anticipato, non sono mai stati portati a compimento.

V.

Infine, ma non da ultimo, Eike Schmidt, il direttore delle Gallerie degli Uffizi dal 2015, è intervenuto, per esempio nel 2018, sulla questione proprio nei confronti di chi dichiara che in Italia non c’è un Museo della Moda e sarebbe necessario istituirlo:

Il Museo della Moda e del Costume non è nato da un giorno all’altro, da due anni ha cambiato nome e non è più Galleria del Costume, ha sempre sede alla Meridiana di Palazzo Pitti dove hanno vissuto i Lorena e i Savoia, ha fatto numerosissime mostre tutte di alto livello internazionale. Il nostro museo è dello Stato, è sotto la responsabilità delle Gallerie degli Uffizi ed è uno dei tre più importanti musei della moda al mondo, col Costume Institute del Metropolitan di New York e il Victoria and Albert Museum di Londra. Abbiamo capolavori unici al mondo, come i costumi funebri medicei, straordinariamente restaurati, di Cosimo I de’ Medici, di Eleonora di Toledo e del loro figlio Don Garcia, esposti permanentemente. Più Museo della Moda di così.51

In particolare, il Direttore rivolgendosi a chi si “dimentica” che in Italia esiste il Museo della Moda, dichiara:

Chi ignora la realtà vuol dire che non segue la moda in Italia. Non si può non sapere di Palazzo Pitti e del fatto che qui è nata la moda italiana in Sala Bianca ed è naturale che ci sia questo giacimento di meraviglie del fashion. Penso che non ci sarebbe niente di male se nascesse un altro museo statale, magari dedicato a moda e design. Ma la nostra collezione non è replicabile in nessun’altra città. Abbiamo oltre 14 mila capi, con l’ultima donazione per la prossima mostra ne arriveranno altri 400 di moda maschile.52

La problematica, qui solo accennata, non è fine a se stessa, ma chiama in causa, a sua volta, un quesito fondante basilare, ossia: quando è nata la moda italiana? Quando è nato il processo di patrimonializzazione della moda nazionale? L’inclusione analitica di queste problematiche, in un ambito di storia del patrimonio della moda nazionale, probabilmente gioverebbero a un significativo orientamento delle politiche statali turistiche da proporre ai cittadini.

E dunque, la possibilità di un incontro proficuo tra politiche pubbliche del turismo culturale e del patrimonio della moda, si configura sempre di più in termini di ricomprensione in senso pratico della stessa conoscenza storica del patrimonio, nonché delle sue definizioni analitiche, allo scopo di poter cogliere i caratteri costitutivi di quell’unità sistematica necessaria per creare conoscenze per i cittadini.

Bibliografia

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  1. Cfr. per esempio Anna Bondini, “Il Mibact e gli investimenti per la cultura e il turismo: alcune note sulla gestione dei fondi europei e nazionali,” Aedon, 1, 2020; Antonella Sau, “Le frontiere del turismo culturale,” Aedon, 1, 2020.↩︎

  2. Cfr. Daniela Calanca, “Archivi digitali della moda e patrimonio culturale tra descrizione e integrazione,” ZoneModa Journal, Vol. 10, N. 2 (Dicembre 2020): 11–25.↩︎

  3. Cfr. Ministero della cultura. “Moda: Mibact, Martedì 20 ottobre ore 11:00, presentazione di ApritiModa,” 19 ottobre 2020, https://www.beniculturali.it/comunicato/moda-mibact-martedi-20-ottobre-ore-1100-presentazione-di-apritimoda.↩︎

  4. Cfr. https://apritimoda.it/.↩︎

  5. Ansa, “Franceschini, la moda è parte dell’arte contemporanea,” 20 Ottobre 2020: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/10/20/franceschini-la-moda-e-parte-dellarte-contemporanea_023afa5f-a1c9-437f-a1fe-141466b0e3fb.html.↩︎

  6. Ibid.↩︎

  7. Ministero della cultura. “Viaggio in Italia attraverso l’arte della moda,” 1 ottobre 2020, https://www.beniculturali.it/comunicato/viaggio-in-italia-attraverso-larte-della-moda; https://cultura.gov.it/lartedellamoda.↩︎

  8. https://cultura.gov.it/lartedellamoda.↩︎

  9. Ibid.↩︎

  10. Cfr. https://mocenigo.visitmuve.it/; https://www.museocivicomodena.it/it/raccolte/raccolte-di-arte-e-artigianato/#trame.↩︎

  11. MIBACT-UDCM, REP. Decreti 12/12/2018 N. 551; cfr.https://www.beniculturali.it/comunicato/bonisoli-lancia-al-mibac-commissione-formazione-tecnica-e-moda-il-mondo-della-cultura-e-del-lavoro-dialogano-per-promuovere-nuovi-saperi-e-occupati.↩︎

  12. MIBACT-UDCM, REP. Decreti 12/12/2018 N. 551.↩︎

  13. Ibid.↩︎

  14. Cfr. per esempio Il Sole 24 ore, 13 gennaio 2016; Fashion United: https://fashionunited.it/news/fiere/dario-franceschini-inaugura-pitti-immagine-uomo/2016011314506; https://www.quotidiano.net/moda/pitti-uomo-2016-1.1641327.↩︎

  15. Cfr. Italia Creativa: http://www.italiacreativa.eu/prefazione-prima-edizione/dario-franceschini/.↩︎

  16. Il Sole 24 ore, op. cit.↩︎

  17. Ibid.↩︎

  18. La Nazione, 14 giugno 2016↩︎

  19. Ibid.↩︎

  20. Il sole 24 ore, op. cit.↩︎

  21. Ibid.↩︎

  22. Artribune. “Karl Lagerfeld — Visions of Fashion — exibition view at Palazzo Pitti, Firenze 2016 — photo Archivio Brusinskj,” https://www.artribune.com/attualita/2016/09/curatela-fotografia-moda-mostra-karl-lagerfeld-palazzo-pitti-firenze/attachment/karl-lagerfeld-visions-of-fashion-exibition-view-at-palazzo-pitti-firenze-2016-photo-archivio-brusinskj/.↩︎

  23. Ansa. “A Palazzo Pitti nasce il Museo della Moda e del Costume,” https://www.ansa.it/lifestyle/notizie/moda/sfilate/2016/05/31/moda-a-palazzo-pitti-nasce-il-museo-della-moda_a72c9284-5b7c-4b83-bd2a-ac58173a4d21.html.↩︎

  24. Ibid.↩︎

  25. MIBACT-UDCM, REP. Decreti 12/12/2018 N. 551.↩︎

  26. Ibid.↩︎

  27. Cfr. https://www.beniculturali.it/comunicato/documento-di-sintesi-conclusivo-dei-lavori-della-commissione-di-studio-per-l-individuazione-di-politiche-pubbliche-per-la-tutela-conservazione-valorizzazione-e-fruizione-della-moda-italiana-come-patrimonio-culturale.↩︎

  28. Ibid.↩︎

  29. Ibid.↩︎

  30. Ibid.↩︎

  31. Ibid.↩︎

  32. Ibid.↩︎

  33. Ibid.↩︎

  34. Ibid.↩︎

  35. Ibid.↩︎

  36. Atti Parlamentari Senato della Repubblica XIV Legislatura N. 2812↩︎

  37. Ibid.↩︎

  38. Ibid.↩︎

  39. Ibid.↩︎

  40. Atti Parlamentari, Senato della Repubblica XIV Legislatura N. 2735↩︎

  41. Ibid.↩︎

  42. Ibid.↩︎

  43. Ibid.↩︎

  44. Ibid.↩︎

  45. Ibid.↩︎

  46. Ibid.↩︎

  47. Ibid.↩︎

  48. Ibid.↩︎

  49. Ibid.↩︎

  50. Ibid.↩︎

  51. Eva Desiderio, “Firenze, Schmidt: ‘Il Museo della Moda è qui’,” Quotidiano Nazionale, 10 giugno 2019, https://www.quotidiano.net/magazine/moda/museo-della-moda-e-del-costume-firenze-1.4639470.↩︎

  52. Ibid.↩︎