ZoneModa Journal. Vol.11 n.1 (2021)
ISSN 2611-0563

The value of unfashionable fashion. The management and evaluation of unsold goods according to fashion cycle and circular economy

Luca FabbriUniversità di Bologna (Italy)

Professor on contract at Bologna University since 2003, teaching fashion company organisation and fashion marketing. Visiting lecturer in luxury fashion design at the Glion Institute of Higher Education, Switzerland, since 2019. Thesis supervisor for students on the Master’s course in Fashion, Design and Luxury Management at Grenoble Graduate School of Business since 2016. He has worked as a production coordinator and product developer and brand manager in fashion companies as Donna Karan, Moschino and Marni since 1995. Education: Law degree from Bologna University, 1990. Bachelor’s degree in Cultures and Techniques of Costume and Fashion from Bologna University, 2003.

Pubblicato: 2021-07-21

Abstract

The fashion system has very often worked without taking very much attention to unsold goods and not used raw materials. The product life cycle is usually very short and products lose their value very fast as every season fashion is forward-looking. Discount shops and outlets are the final step where the past seasonal collections are on sale but sometimes it can happen that goods are destroyed in order not to damage the brand value and exclusivity. This behaviour is not very sustainable anymore. Nowadays this situation is changing and a new approach to this issue is arising. Brands have understood how important brand heritage is and they have started to collect and preserve their past. For many companies recycling and upcycling strategies are becoming more and more common and they offer this new product proposal to the market as a new trend to preserve our planet. On the other side, consumers are changing their shopping and consumption habits. Second-hand shops and websites like Vestiare Collective seem to be the evidence that a new culture and way of thinking is arriving.

Keywords: Circular Economy; Fashion Cycle; Unsold Goods; Recycling; Fashion System.

La moda può essere descritta come un’energia o movimento in continua evoluzione e cambiamento che rappresenta, attraverso il vestiario indossato, la cultura e gli eventi in corso nella società in un dato periodo storico. Al contempo rende possibile agli individui la rappresentazione della propria sensibilità e identità oppure, come accade con sempre più frequenza, delle proprie molteplici sensibilità e identità.1 Il sistema della moda, tra le molteplici tendenze emergenti, seleziona quelle sulle quali investire il proprio tempo e le proprie risorse al fine di sviluppare delle proposte di prodotti per cercare di soddisfare, nel modo più efficace possibile, i desideri volubili e le necessità variabili dei consumatori. Per funzionare deve quindi avere una visione, un’intuizione che possano alimentare la creatività alla base di ogni tipo di progetto connettendosi allo stesso tempo con le richieste provenienti dal mercato. I progetti creativi non mirano solo alla realizzazione di oggetti con una funzione pratica ma contribuiscono anche alla rappresentazione e messa in scena di uno stile di vita e nell’espressione delle complesse personalità degli acquirenti in un contesto che varia senza sosta, spesso in modo imprevedibile e inaspettato. Queste caratteristiche della moda ci hanno reso familiare l’idea di confrontarci, stagione dopo stagione, con nuove proposte di stili che utilizzando tessuti, silhouette, vestibilità, colori, stampe, finissaggi e accessori inediti e contemporanei comunicano, con un linguaggio sempre mutevole, il cosiddetto spirito del tempo o Zeitgeist.2

Mentre risulta spontaneo interrogarci e incuriosirsi sulle nuove direzioni che la moda intraprende in modo incessante, meno attenzione viene posta su tutto ciò che invece resta indietro diventando fuori moda, dimenticato come un fastidioso fardello, sotto forma di invenduto di prodotti finiti, rimanenze di materie prime, semilavorati, prototipi3 e capi campioni,4 al sopraggiungere di una nuova moda. Questo tema è tuttavia diventato, al di là di una estrema attualità a seguito dell’elevata velocità assunta dal fashion system negli anni recenti con il conseguente aumento della produzione di rimanenze di ogni genere, molto rilevante da un punto di vista di sostenibilità ambientale. Il sistema della moda rappresenta un comparto industriale fondamentale nell’economia di molti stati che realizza e trasforma in realtà le innumerevoli idee innovative pensate dai creativi.

Questo fenomeno tuttavia, oltre all’immagine frivola e seduttiva offerta, rappresenta un settore industriale inquinante come testimoniato dal film The True Cost e da molti fatti di cronaca, ad esempio il recente scandalo nella gestione dei reflui e dei fanghi industriali del distretto conciario di Santa Croce sull’Arno.5 “Fashion is one of the largest industries in the world. Unfortunately it is also the second most polluting industry after oil, with heavy negative social and environmental impacts”.6 Considerato l’alto costo che ogni tipo di produzione di abbigliamento, dal fast fashion al lusso, comporta per l’ambiente, diventa importante cercare di valorizzare e immettere in un circuito virtuoso di economia circolare, tutto quanto è stato prodotto ma che per la dura legge del ciclo della moda non può essere più considerato trendy e di conseguenza ricercato dal mercato. Il meccanismo di funzionamento di questo sistema presenta aspetti positivi e negativi in relazione alla produzione delle collezioni. Da un certo punto di vista, se possiamo affermare essere vero che la moda cambia, prima del cambiamento la moda rimane stabile per un periodo di tempo più o meno lungo. “Identificare una moda significa infatti stabilizzare il gusto e, di conseguenza, la domanda dei consumatori per un determinato periodo di tempo”.7

Dal punto di vista della produzione industriale, l’effetto più interessante della moda è esattamente quello della riduzione dell’incertezza “Se tutti i consumatori avessero gusti diversi, al limite un gusto per ciascuno, sarebbe impossibile qualsiasi forma di produzione di massa”.8 Se non fosse disponibile la conoscenza dei trend che forniscono perlomeno un’indicazione per le azioni da intraprendere, la mancanza di certezza su quale genere di prodotto investire sarebbe potenzialmente elevata per l’industria, con la conseguenza di rendere maggiormente complicata l’organizzazione lavorativa. Nonostante l’individualizzazione delle preferenze dei consumatori rimanga un’attività estremamente complessa, la moda è uno “strumento potentissimo di stabilizzazione del mercato”9 che “permette alle industrie di stabilizzare temporaneamente le relazioni domanda/offerta attorno a oggetti che sono di moda”.10 Regolarizzare il rapporto tra industria e mercato può quindi diventare un’attività prevedibile e in parte anche controllabile. Il potere di controllo può essere esercitato per variare questo equilibrio temporaneo in base a tempi pianificati legati ai calendari stagionali, settimane della moda, sfilate e al ciclo di vita del prodotto con la conseguenza che “controllare i tempi del cambiamento è uno dei risultati più eclatanti e invidiati, riusciti al campo della moda”.11

Da un altro punto di vista, invece, la decisione di cosa esattamente mettere in produzione nella qualità e quantità non è un’attività semplice nonostante la moda possa fornire al mondo dell’industria un’indicazione della direzione verso la quale dirigersi. I tempi nei quali “Christian Dior fotografato con il metro in mano, a mostrare al mondo intero la giusta lunghezza dell’orlo della gonna per la stagione successiva”12 sono oramai lontani e probabilmente oggi non sarebbe possibile individuare in maniera netta e precisa, dettandole al mercato, le regole dell’eleganza. Le origini dei trend sono diventate complesse e molteplici, con l’effetto di renderne molto complicato l’individuazione e la corretta trasposizione nelle collezioni, dovendo in aggiunta tenere in considerazione il momento opportuno per la presentazione delle nuove idee al pubblico e l’individuazione delle quantità corrette di merce da produrre e acquistare.

Alcune mode nascono dal genio dello stilista altre… nobody knows! […] Molti movimenti che nascono spontanei nelle strade sono legati a motivi sociali o politici. E quando salgono in passerella si nobilitano diventando tendenze di moda […] Poi ci sono le tendenze vere e proprie che nascono nelle strade perché portate da trend setter o perché indossate da celebrities […] Insomma non bisogna confondere tra tendenza di strada, movimento sociale o politico e creazioni di moda.13

Modalità operative di uso comune in altri ambiti per tentare di conoscere la domanda sembrerebbero non funzionare nel settore moda. La difficile prevedibilità e frammentazione dei comportamenti dei consumatori nonché la breve durata del ciclo di vita dei prodotti rendono poco praticabile l’utilizzo delle ricerche di mercato nel campo della moda: “Nessun osservatore esterno, per quanto qualificato, è in grado di produrre uno studio di mercato che sia in grado di prevedere quanti capi si venderanno della giacca X nel tessuto Y venduta al prezzo Z. (Maramotti 2000)”.14

L’elevata incertezza e variabilità si traduce in elevato rischio di previsione, che a sua volta si traduce in un’alta percentuale di insuccessi nel lancio di nuovi prodotti o servizi.15 Questo scenario di instabilità può contribuire, nel medesimo modo e tempo a seconda della sua comprensione o incomprensione, al successo oppure insuccesso di una collezione di moda con la conseguenza, in caso di insuccesso, di avere delle significative giacenze di magazzino. La rimanenza di merce è certamente un effetto fisiologico nell’attuale contesto produttivo ma importanti quantitativi di invenduto sono il segnale di un non corretto funzionamento in fase di progettazione, realizzazione, comunicazione oppure vendita delle collezioni. Non è comunque sempre semplice analizzare le cause che hanno determinato l’invenduto di una collezione poiché diversi sono i fattori da considerare. A volte il prodotto può essere pensato in un contesto che non corrisponde più alla situazione del mercato nel momento della messa in vendita del prodotto oppure il canale di vendita scelto potrebbe non essere quello idoneo. Può avvenire che la comunicazione utilizzata non riesce a raggiungere in modo efficace il target scelto, con la conseguenza di non essere in grado di sostenere la domanda e incrementare le vendite, supportando la desiderabilità del prodotto.

Il ciclo di vita di un prodotto moda

Nonostante nuovi modelli comportamentali stiano nascendo per prolungare la durata e l’utilizzo dei prodotti, non tutte le aziende sono tuttavia in grado di gestire in modo virtuoso e circolare l’invenduto e le giacenze di magazzino, valorizzandole non solo in termini di inventiva ma anche economici. Quando ci si trova costretti, per cause diverse, a dovere valutare e stimare i beni invenduti di un’azienda per fini di realizzo, il valore attribuito è solitamente molto inferiore rispetto al prezzo originario. Per la quantificazione del valore di un prodotto creato dalle industrie della moda, è fondamentale iniziare con l’attribuzione della stagione di appartenenza della collezione, poiché finita la stagione di vendita, questo valore decresce in modo considerevole. Inoltre, rispetto ad altri comparti industriali, l’obsolescenza programmata nel settore della moda è una prassi di uso comune volta a circoscrivere la durata del ciclo di vita di un prodotto a un periodo di tempo molto limitato, in genere una stagione. In questo modo, prodotti che da un punto di vista funzionale e pratico potrebbero avere una durata maggiore, vengono percepiti dai consumatori come superati e quindi non più desiderati, poiché nuove proposte vengono continuamente offerte dal sistema della moda, in linea con quello che possono essere definite le tendenze del momento.

Per meglio comprendere questo meccanismo, fondamentale per l’attribuzione di un valore ai beni che appartengono a questo settore, diventa importante descrivere brevemente il funzionamento del ciclo di vita e il percorso compiuto da un prodotto moda. Il concetto di moda implica l’idea di cambiamento e velocità. Ogni stagione assistiamo al lancio di nuove tendenze e prodotti sul mercato con un ciclo di vita limitato nel tempo.

Ciò che un tempo era “in” ora è “out”; cioè che ieri era bello, oggi è brutto; il modello dell’anno prima non sembra mai giusto l’anno dopo e, per quanto proviate, non c’è niente da fare per farlo sembrare tale.16

La durata del ciclo di vita dei prodotti della moda è solitamente molto breve se paragonata alla durata del ciclo di vita di prodotti realizzati da altri settori industriali. Nell’ambito della moda, questa durata può infatti estendersi da poche settimane ad alcune stagioni mentre, in altre tipologie di industrie, la vita commerciale di un prodotto può protrarsi per anni. Con la denominazione “ciclo della moda” intendiamo il periodo di tempo che intercorre tra l’introduzione e la diffusione di una tendenza e la sua sostituzione da parte di una nuova moda.17

Questa innovazione può riguardare materiali, colori, finissaggi, forme, vestibilità o accessori e causa l’effetto di trasformare la precedente moda in polverosa e datata, con la conseguente perdita di valore economico del trend antecedente a quello attualmente in auge. Le aziende che operano nel campo della moda rinnovano dunque la loro offerta con una frequenza maggiore rispetto ad aziende appartenenti ad altri settori. Il ciclo della moda è caratterizzato da diverse fasi che sono introduzione, sviluppo, maturità e declino e, ad ognuna di queste, corrisponde un diverso valore economico dei beni che attraversano questo ciclo.18 Nella fase di declino possiamo sicuramente individuare il valore più basso, a volte pari a zero, che un prodotto di moda possa acquisire. Tuttavia, non sempre i prodotti di moda sperimentano un ciclo della moda breve, ma al contrario possono diventare classici di lunga durata.

Esistono infatti alcuni esempi di articoli come il classico tailleur realizzato con il marchio Chanel oppure le borse modello Birkin e modello Kelly proposte con il marchio Hermès con un lungo ciclo di esistenza, trasformandosi in questa maniera in oggetti sempre attuali e ricercati, quindi mai fuori moda. Questo genere di beni che simboleggiano l’immaginario e la storia di un marchio, assumono solitamente il nome di prodotti iconici e spesso rappresentano i best-seller nelle collezioni di un brand. In questi casi, anche in presenza di esemplari vintage e/o di seconda mano,19 un certo valore economico e interesse nei loro confronti può perdurare, così come testimoniato dalle fiere del settore, negozi, siti online e aste dedicati. Vi è infine un’altra categoria di prodotti, denominati continuativi, come ad esempio alcune categorie di polo o jeans che non diventano mai completamente obsoleti e che quindi possono avere una durata del ciclo di vita commerciale più estesa.

Esempi possono essere le polo dei brand Ralph Lauren o Lacoste e i jeans modello 501 del brand Levi’s che vengono riproposti, di stagione in stagione, sostanzialmente uguali o con lievi modifiche. Tuttavia, nel sistema della moda, prevalgono in genere i prodotti con un ciclo di vita corto.

Quando entra in gioco la moda, la vita commerciale di un capo di vestiario diventa quindi molto breve, spesso inferiore ai quattro mesi. L’investimento in ricerca stilistica e sviluppo, che nell’insieme della filiera produttiva — dal filato al capo confezionato — si realizza generalmente in un periodo di circa due anni, si brucia in pochi mesi o, per meglio dire, il valore per il consumatore finale nel lungo processo di ideazione e produzione di tutta la filiera può approssimarsi allo zero alla fine della stagione di vendita… il fattore distintivo del fattore moda è che il suo valore per il consumatore tende rapidamente a zero quando il ciclo della moda cambia e ciò che è stato di moda durante la stagione, non lo sarà più in quella successiva. Il mercato va dunque immediatamente sgombrato da prodotti non corrispondenti alla decisione di spesa dei consumatori durante la stagione, ai prezzi di stagione.20

I saldi

La prima fase, per l’eliminazione delle rimanenze stagionali, avviene tramite i saldi. I saldi consistono in vendite effettuate a prezzi scontati che avvengono generalmente due volte all’anno, indicativamente tra i mesi di gennaio e febbraio per quelli invernali e tra i mesi di luglio e agosto per quelli estivi. Le percentuali di sconto possono variare mediamente dal 20% al 70% rispetto al prezzo di vendita originario riportato sul cartellino. Le vendite a prezzi scontati sono attività regolamentate dalla legge italiana che prevede diversi obblighi per il rivenditore come quello di esporre il prezzo prima e dopo lo sconto, lo sconto indicato in percentuale. la divisione netta delle merci a saldo da quelle non scontate, la possibilità di cambio in garanzia dei capi difettosi.21 La parola proviene dal lessico commerciale: la differenza tra le entrate e le uscite sono un “saldo”, positivo o negativo, e i “saldi” sono quindi quello che non è stato venduto in un negozio alla fine della stagione e la vendita stessa di quei capi invenduti.22 I saldi offrono alla distribuzione il vantaggio di monetizzare le merci rimaste, ormai con un valore economico ridotto e, allo stesso tempo, rendere disponibili gli spazi per l’arrivo delle nuove collezioni. In genere queste offerte a prezzi ribassati hanno un forte impatto sui consumatori che vengono spesso indotti ad acquisti di tipo impulsivo e rappresentano gli eventi consumistici più attesi dell’anno, come ad esempio gli Harrods Winter Sales dell’omonimo grande magazzino londinese che vedono il formarsi di lunghe file di aspiranti cacciatori di buoni affari davanti le porte di ingresso.

Con l’avvento delle vendite online anche questi rituali si sono modificati, con la possibilità di partecipare non più solo fisicamente ma anche virtualmente a questo genere di eventi.23 Nonostante i saldi rimangano tuttora una valida soluzione a questioni logistiche e commerciali, le loro caratteristiche si stanno evolvendo dal punto di vista sia organizzativo che di percezione da parte dei consumatori, condizionati dalla possibilità di comprare on-line a prezzi scontati durante tutti i periodi dell’anno.

Un esempio di forma alternativa di vendita a prezzi ribassati è rappresentato dal cosiddetto Black Friday. Il venerdì nero nasce negli Stati Uniti e ha luogo dopo la festa del Ringraziamento e la tradizionale parata organizzata dalla catena di grandi magazzini Macy’s a New York. In questa giornata tutti i negozi offrono la loro merce a prezzi scontati e, a volte, si formano lunghe code fuori dai negozi già durante la notte che precede il venerdì. Il termine per denominare questa giornata sembrerebbe derivare dall’espressione utilizzata dalla polizia di Philadelphia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per descrivere il traffico e gli ingorghi formatesi a seguito di questo evento dedicato allo shopping, anche se questa origine del nome non è certa. Un’altra interpretazione si basa sulle annotazioni dei libri contabili fatte dai commercianti che indicavano con il colore rosso le perdite e con il colore nero i guadagni. Secondo questa spiegazione, il Black Friday coinciderebbe quindi con un momento di guadagni per le attività commerciali.24 Il Black Friday è solitamente seguito dal Cyber Monday, il primo lunedì successivo al venerdì nero, dedicato agli sconti sui prodotti di elettronica. Queste strategie commerciali sono state talvolta criticate poiché possono alterare la percezione del valore dei prodotti e la disponibilità del consumatore ad acquistarle a prezzo pieno.25

In ogni modo i saldi rimangono una buona opportunità per la gestione delle rimanenze, anche se a prezzi inferiori, da parte della distribuzione. La merce invenduta a fine stagione può comunque essere utile per comprendere le ragioni della non buona riuscita del progetto creativo che era nato con una prospettiva di successo e guadagno. Analizzando quindi le reazioni del mercato nei confronti dei prodotti, il loro prezzo, le caratteristiche materiali come ad esempio i tessuti o la vestibilità, le modalità di vendita e consegna, il target di riferimento, la concorrenza si ottengono informazioni preziose da tenere in considerazione per lo sviluppo di nuovi progetti al fine di migliorarne i risultati futuri.

Spacci aziendali, outlet e stocchisti

La seconda fase, per smaltire i prodotti invenduti, consiste in attività di rivendita all’interno di spacci aziendali, outlet oppure a stocchisti di abbigliamento, accessori e materie prime. Spacci aziendali, outlet e stocchisti hanno caratteristiche e modalità operative diverse benché uguale sia il fine ultimo della loro attività, ovvero quello di gestire e valorizzare tutto ciò che non è stato acquistato dal mercato durante la stagione di vendita.

Lo spaccio aziendale nasce come luogo dove venivano svendute le rimanenze a prezzi scontati, spesso come pratica imbarazzante da nascondere. Oggi questa attività è ampiamente accettata e considerata normale per smaltire le eccedenze di prodotto.26 La vendita è di tipo diretta, dal produttore al cliente, e può avvenire all’interno dell’azienda dove vengono offerti articoli delle collezioni passate, prototipi, campionari oppure capi difettati a prezzi vantaggiosi.

L’outlet rappresenta l’evoluzione dello spaccio aziendale, ha origine negli Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta e si è diffuso in seguito anche in Italia.27 L’outlet aziendale, oltre a rappresentare una soluzione al problema delle rimanenze, assicura al brand la possibilità di controllare e gestire in modo diretto il contesto e le modalità di vendita ed evitare eventuali danni commerciali e di immagine, che una gestione indiretta potrebbero causare. Lo sviluppo dell’outlet è collegato a quello dei negozi monomarca. Il fatto che rimanga dell’invenduto a fine stagione è fisiologico ma quando un brand gestisce un numero rilevante di punti vendita, i volumi dell’invenduto necessitano di un sistema efficace per la sua gestione. Per funzionare nel modo migliore e venire incontro alle diverse richieste del mercato, in genere l’invenduto non è sufficiente ad alimentare correttamente l’offerta di un outlet, che risulterebbe mal assortita e incompleta e dunque non facilmente commerciabile.

Per questo motivo molte aziende completano la gamma di prodotti offerti con i colori e le taglie mancanti oppure con prodotti semplici e basici, e inseriscono produzioni apposite utilizzando materie prime rimaste.28 L’outlet non riveste solo la funzione di luogo dove andare a fare shopping ma con lo sviluppo dei factory outlet center, caratterizzati dalla presenza di outlet di diverse aziende, è diventato anche un fenomeno di tipo culturale dove vivere esperienze non solo legate agli acquisiti.29 Gli stocchisti rappresentano delle realtà esterne alle aziende produttrici e rivenditrici, con le quali collaborano per comprane le rimanenze di ogni genere. Non tutte le aziende possiedono dei canali propri per lo smaltimento dell’invenduto e lo stocchista può essere considerato una pratica soluzione. Tramite gli stocchisti, può quindi avvenire che:

Attraverso la definizione contrattuale di un prezzo di realizzo, viene smaltito in blocco l’invenduto. Si tratta di un valore spesso abbondantemente al di sotto del costo di acquisto, accettato solo per monetizzare giacenze non più in linea con le forme, i modelli e i colori dettati dalla moda .30

I prodotti ceduti in questo modo andranno in vendita in canali alternativi, come ad esempio in mercati ambulanti, a prezzi vantaggiosi. Questi passaggi di mano della merce comportano un ulteriore abbassamento del valore commerciale e di conseguenza del prezzo di vendita al potenziale consumatore finale.

La distruzione fisica dell’invenduto

I tentativi di rivendita a prezzi ribassati dell’invenduto attraverso canali distributivi alternativi non sempre danno un riscontro positivo oppure non vengono presi in considerazione dalle aziende. Spesso infatti, nella fase finale del ciclo di vita, i brand più prestigiosi, al fine di tutelare l’immagine di esclusività e l’identità del brand che potrebbero essere lese da pratiche commerciali non consone al proprio posizionamento nel mercato ed eliminare i costi di gestione di un magazzino, optano per la distruzione totale delle merci invendute che, nella maggior parte dei casi, avviene per mezzo dell’incenerimento. Questa prassi di distruggere la merce è diventata nell’anno 2018 di pubblico dominio, provocando numerose critiche di tipo etico e di sostenibilità ambientale, a seguito della diffusione delle notizie pubblicate sulla stampa relativamente al marchio inglese Burberry.31

Dall’analisi di documenti contabili aziendali di Burberry emerse la pratica di distruggere la merce invenduta, provocando la reazione indignata da parte dell’opinione pubblica ma anche degli investitori.32 Benché il brand inglese dichiarò di operare la distruzione fisica delle merci in modo responsabile,33 è innegabile riconoscere che questo genere di comportamento, anche se potrebbe essere in parte giustificato da un punto di vista di strategia commerciale, non sia sostenibile e in linea con le regole dell’economia circolare. A seguito della pubblicità scaturita da questo evento, il brand decise di interrompere la pratica della distruzione fisica dell’invenduto.34 Come riportato dalla stampa “La casa di moda ha mandato all’inceneritore capi e accessori per un valore di oltre 32 milioni di euro”35 esclusivamente per salvaguardare la proprietà intellettuale del brand.

Questa pratica sembra comunque essere adottata anche dai brand del mass market, come il caso del colosso H&M, occorso nel 2017, testimonia.36 Anche in questo caso la causa della distruzione sembra essere stata la quantità di invenduto come riportato dalla stampa,37 sebbene alle accuse mosse sul tema della distruzione, il brand svedese rispose che le merci distrutte presentavano difetti oppure contenevano sostanze chimiche non conformi alla loro politica aziendale e per questo motivo non vendibili.38

Il tema della gestione di tutto quanto non è stato venduto non riguarda solo le aziende che producono abbigliamento, interessando anche altri generi merceologici come dimostra il caso Richemont. Il gruppo del lusso Richemont, operante soprattutto nel settore dell’orologeria e gioielleria, ha agito in modo similare per gestire e smaltire le rimanenze delle merci invendute, ritirandole dal mercato per impedire la loro commercializzazione in canali distributivi e con modalità non in linea con le strategie aziendali.39 In questo caso si è proceduto ad una attività di rottamazione delle rimanenze con l’obiettivo di recuperare i componenti e materie prime di valore da impiegare per future produzioni.40

Questi comportamenti, oltre alle critiche, hanno iniziato ad attirare anche l’attenzione del legislatore. In Francia è stata recentemente approvata la cosiddetta legge antisprechi o Loi anti gaspillage con l’obiettivo, tra gli altri, di impedire la distruzione fisica dell’invenduto e di favorirne la donazione oppure il riciclo nel rispetto dei principi dell’economia circolare.41

L’invenduto che diventa una risorsa

Al fine di trovare una possibile soluzione a questo genere di problemi molti brand stanno sperimentando una nuova relazione con ciò che non è stato venduto ed è rimasto inutilizzato. Allo stesso tempo i consumatori stanno sviluppando una nuova percezione nei confronti di questo tema, iniziando a modificare i comportamenti d’acquisto che si erano consolidati a seguito della rivoluzione dei consumi.42 Le imprese della moda hanno già compreso l’importanza del passato come mezzo di costruzione del loro brand heritage e fonte di ispirazione per le nuove collezioni. Per questa ragione la creazione e la cura dei loro archivi, che possono comprendere tutto ciò che ha contribuito al loro operato, sta diventando un’attività sempre più frequente.43

In precedenza pochi furono i brand che svilupparono un’attenzione nei confronti della conservazione, attraverso i manufatti, della loro storia. Il brand Saint Laurent è un esempio di questa cura verso la conservazione della moda passata

Cette conscience patrimoniale naît dés 1964, lorsqu’Yves Saint Laurent décide, au lendemain des défilés de haute couture, de faire un choix de modèles destinés à être conservés. Ce patrimoine, constitué de milliers de modèles, mais égalment de toute la documentation relative à leur crèation, est sans èquivalent dans le milieu de la mode.44

Questa attenzione nei riguardi della conservazione delle collezioni passate ha permesso di documentare in modo dettagliato il proprio operato e costituisce una risorsa fondamentale per alimentare esibizioni a tema all’interno dei musei Yves Saint Laurent e pubblicazioni come quella dedicata alla Collection du scandale presentata nel 1971.45

Alcuni brand promuovono delle iniziative di recupero di capi usati, denominate recyling, come i marchi americani The North Face, con la collezione the renewal workshop project46 e Nike con il progetto eRefurbished,47 mentre altri, tramite pratiche di riutilizzo creativo, denominate upcycling, utilizzando materiali di scarto oppure capi non più in utilizzo danno origine a nuovi oggetti creativi e originali.

Il brand francese del lusso Hermès propone la collezione Petit h che “Partendo da materiali inutilizzati dalle manifatture Hermès, artigiani e stilisti lasciano spazio all’inventiva per creare oggetti unici e inattesi, supportati dai savoir-faire d’eccellenza della maison”.48 Il progetto portato avanti dal brand Miu Miu vuole invece dare una seconda possibilità di vita a capi del passato:

Upcycled by Miu Miu è una collezione esclusiva e speciale di pezzi vintage riciclati e rielaborati da Miu Miu. Costruita intorno a capi d’epoca non firmati risalenti al periodo tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, la collezione Upcycled by Miu Miu comprende 80 abiti unici e numerati.49

Un’altra interessante iniziativa per non sprecare ma valorizzare nel migliore dei modi le giacenze di magazzino è rappresentata dall’iniziativa della holding francese del lusso LVMH, che tramite la piattaforma online Nona Source, offre in vendita le rimanenze di tessuti e pellami per incoraggiare il riuso creativo dei materiali secondo i principi dell’economia circolare.50 Sempre il gruppo LVMH ha recentemente annunciato la nascita di un nuovo progetto per ottimizzare le rimanenze in collaborazione con Weturn, azienda specializzata nella trasformazione di tessuti invenduti in nuovi filati:

A fronte di un tasso di riciclaggio a ciclo chiuso nell’industria tessile attualmente inferiore all’1%, Weturn promette di fornire al settore moda una soluzione per raggiungere tassi di riciclo superiori al 50%, offrendo al contempo trasparenza attraverso una catena tracciabile, dalla raccolta al riutilizzo.51

Queste nuove condotte non appartengono solo al mondo aziendale ma riguardano anche i consumatori che stanno cambiando il modo di relazionarsi con il loro guardaroba. Siti come Vestiare Collective, The Real Real, Depop, StockX, Fartech pre-owned, Drexcode testimoniano infatti la fase di crescita e affermazione che il mercato dell’usato e del noleggio sta attraversando, con l’effetto di contribuire al cambio della mentalità e rendere sempre più “circolari” i nostri comportamenti di acquisto e consumo.52

Conclusioni

Il processo della moda è strettamente legato al concetto di stagionalità e alla necessità di soddisfare le continue e mutevoli richieste del mercato con un’offerta in perenne trasformazione e rinnovamento. L’offerta dunque “ogni sei mesi deve ricercare il nuovo, tessuto, i nuovi modelli, la nuova presentazione, la nuova vendita”.53 Possiamo dunque asserire che il prodotto moda, nonostante il valore economico iniziale assunto durante la stagione di vendita, vede ridursi drasticamente questo valore con il trascorrere del tempo, arrivando in alcuni casi alla perdita totale di esso come può avvenire talvolta con la distruzione fisica dei beni.

Spesso ciò che rimane si trova in un insieme eterogeneo nella qualità, quantità, taglie e colori. I tessuti, che possono trovarsi allo stato di fine pezza, filati, accessori sartoriali e semilavorati potrebbero, a causa dei quantitativi e della frammentarietà della loro natura, non risultare adatti ad una produzione di tipo industriale. Queste caratteristiche possono quindi contribuire a penalizzare il valore attribuibile restringendo il campo di destinazione e impiego finale. Tutto ciò che è rimasto dalla progettazione e produzione oppure invenduto dopo la stagione commerciale, viene solitamente ceduto in stock, quando non sono percorribili altre opzioni, in base ad un prezzo stabilito al kilogrammo, o nei casi di prodotti pregiati, a unità.

Il processo della moda ruota intorno alla stagionalità dei trend, dei look, delle collezioni; il sistema creativo, produttivo, commerciale e comunicativo deve incessantemente rispondere con l’innovazione alle continue richieste del mercato e con l’offerta che meglio possa soddisfare i desideri della domanda. Una delle conseguenze di questi processi risulta essere l’elevata volatilità del valore dei prodotti nel settore della moda e in base al principio che “In una prospettiva di marketing, il riferimento principale per definire il prezzo di un prodotto deve essere rappresentato dalla domanda”54 prodotti oramai fuori moda e obsoleti non possono essere considerati di grande interesse per il mercato.

Non tutti gli attori del mondo fashion sono comunque d’accordo con questo modo di operare e alcune riflessioni sono state recentemente espresse da alcuni importanti esponenti di questo settore, come Alessandro Michele55 e Donatella Versace.56 Uno degli stilisti che ha reso celebre il made in Italy, Giorgio Armani ha dichiarato in una lettera pubblicata sul magazine americano Women’s Wears Daily la necessità di rallentare i frenetici ritmi della continua innovazione di prodotto e di collezioni:

The reflection on how absurd the current state of things is, with the overproduction of garments and a criminal nonalignment between the weather and the commercial season, is courageous and necessary. The decline of the fashion system as we know it began when the luxury segment adopted the operating methods of fast fashion, mimicking the latter’s endless delivery cycle in the hope of selling more, yet forgetting that luxury takes time, to be achieved and to be appreciated. Luxury cannot and must not be fast. It makes no sense for one of my jackets or suits to live in the shop for three weeks before becoming obsolete, replaced by new goods that are not too different. I do not work like that, and I find it immoral to do so. I have always believed in an idea of ​​timeless elegance, which is not only a precise aesthetic code, but also an approach to the design and making of garments that suggests a way of buying them: to make them last.57

In un futuro mondo ideale si potrebbe ipotizzare di mettere in produzione solo quello che il consumatore finale desidera e necessita acquistare per eliminare ogni tipo di spreco ma al momento questo pensiero appare come pure utopia. Nonostante le voci autorevoli che hanno manifestato le loro perplessità nei confronti di un modello organizzativo che sembra diventato quasi illogico e i molti esempi virtuosi di valorizzazione creativa e sostenibile di materiali e prodotti fuori moda, la tendenza generale rimane per il momento ancora quella di rincorrere l’ultimo trend e di privilegiare il nuovo dimenticandosi di salvaguardare e utilizzare ancora quello che ci ha preceduto e che già possediamo. Il cambiamento è comunque in atto e forti stimoli, come la muova legislazione francese antisprechi, potrebbero sostenere la nascita di una rivoluzione non solo produttiva e di consumo ma anche culturale.

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  1. Zygmunt Bauman, Modernità liquida (Roma-Bari: Laterza 2002)↩︎

  2. Herbert Blumer, “Fashion: from class differentiation to collective selection,” The sociological quarterly, Vol.10, n.3 (1969): 275–291.↩︎

  3. Il prototipo è la prima realizzazione concreta dell’idea creativa iniziale. Il prototipo aiuta a comprende se il progetto possa funzionare nella realtà e solitamente viene modificato e migliorato nel corso del processo di sviluppo del prodotto. Spesso il prototipo non è terminato e risulta non idoneo alla vendita.↩︎

  4. Il capo di campionario rappresenta il risultato del processo di prototipa e sarà il modello di riferimento per la vendita delle collezioni durante le campagne vendite.↩︎

  5. Maurizio Bologni, “Blitz ’ndrangheta: centinaia di milioni investiti, crolla il mito dell’economia circolare nella concia toscana. Restano i veleni,” La Repubblica, aprile 16, 2021, https://firenze.repubblica.it/cronaca/2021/04/16/news/inchiesta_ndrangheta_conciatori_arresti_indagati-296645219/.↩︎

  6. Francesca Romana Rinaldi, Fashion industry 2030 (Milano: Egea 2019)↩︎

  7. Nicoletta Giusti, Introduzione allo studio della moda (Bologna: Il Mulino, 2019), 128–130.↩︎

  8. Vedi Giusti, Introduzione allo studio della moda, 128–130.↩︎

  9. Vedi Giusti, Introduzione allo studio della moda, 128–130.↩︎

  10. Vedi Giusti, Introduzione allo studio della moda, 128–130.↩︎

  11. Vedi Giusti, Introduzione allo studio della moda, 128–130.↩︎

  12. Vedi Giusti, Introduzione allo studio della moda, 131.↩︎

  13. Franca Sozzani, “Come nasce un trend,” Vogue Italia, gennaio 12, 2011, https://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2011/01/12-gennaio.↩︎

  14. Marco Ricchetti, Enrico Cietta (a cura di), Il valore della moda. Industria e servizi in un settore guidato dall’innovazione (Milano: Bruno Mondadori, 2006), 36.↩︎

  15. Vedi Ricchetti, Cietta, Il valore della moda, 33.↩︎

  16. Fred Davis, Moda. Cultura, identità e linguaggio (Bologna: Baskerville, 1993) 97.↩︎

  17. Erika Corbellini, Stefania Saviolo, Managing fashion and luxury companies (Milano: Rizzoli Etas, 2015), 7.↩︎

  18. Antonio Foglio, Il marketing della moda (Milano: FrancoAngeli, 2001), 182.↩︎

  19. Il vintage è rappresentato da capi che indicativamente appartengono al periodo che va dagli anni Venti agli anni Novanta del Novecento. Non necessariamente un capo vintage è anche un capo di seconda mano. Esistono infatti capi vintage originali mai utilizzati.↩︎

  20. Marco Richetti, Enrico Cietta (a cura di), Il valore della moda. Industria e servizi in un settore guidato dall’innovazione (Milano: Bruno Mondadori, 2006), 35–36.↩︎

  21. Wikipedia, “Saldi,” accesso giugno 20, 2021, https://it.wikipedia.org/wiki/Saldi.↩︎

  22. Redazione, “Storia dei saldi,” Il Post, giugno 1, 2012, https://www.ilpost.it/2012/06/16/storia-dei-saldi/.↩︎

  23. Redazione, “Londra inaugura i saldi on line quest’anno la fila si fa su internet,” Pambianconews, dicembre 28, 2005, https://www.pambianconews.com/2005/12/28/londra-inaugura-i-saldi-on-line-quest-39-anno-la-fila-si-fa-su-internet-15522/.↩︎

  24. Wikipedia, “Black Friday,” ultimo accesso giugno 10, 2021, https://it.wikipedia.org/wiki/Black_Friday.↩︎

  25. Helena Pike, “Does Anyone Expect to Pay Full Price Anymore?,” The Business of Fashion, novembre 24, 2015 read: https://www.businessoffashion.com/articles/retail/does-anyone-expect-to-pay-full-price-anymore.↩︎

  26. Vittorio Bini, La supply chain della moda (Milano: Franco Angeli, 2016), 84–85.↩︎

  27. Silvio Modina, Il business della moda (Milano: Franco Angeli, 2004), 70.↩︎

  28. Vittorio Bini, La supply chain della moda (Milano: Franco Angeli, 2016), 84–85.↩︎

  29. Vedi Modina, Il business della moda, 69–70.↩︎

  30. Vedi Modina, Il business della moda, 116.↩︎

  31. Redazione, “Burberry fa scalpore. Pur di difendere il marchio, brucia prodotti invenduti per oltre 30 milioni di euro,” La Repubblica, luglio 20, 2018, https://www.repubblica.it/economia/rubriche/fashion-e-finance/2018/07/20/news/burberry-202203036/.↩︎

  32. Elizabeth Howcroft, “Burberry Investors Question Destruction of $38 Million in Goods,” Business of Fashion, luglio 13, 2018, https://www.businessoffashion.com/articles/news-analysis/burberry-investors-question-destruction-of-38-million-in-goods.↩︎

  33. Giovanna Stella, “Burberry, bruciati prodotti per oltre 30 milioni di euro per difendere il marchio,” Il Giornale.it, luglio 20, 2018, read: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/burberry-bruciati-prodotti-oltre-30-milioni-euro-difendere-1555953.html.↩︎

  34. Imran Amed, “Burberry Stops Destroying Product and Bans Real Fur,” The Business of Fashion, settembre 6, 2018, read: https://www.businessoffashion.com/articles/news-analysis/burberry-stops-destroying-product-and-bans-real-fur.↩︎

  35. Vedi Giovanna Stella, “Burberry, bruciati prodotti per oltre 30 milioni di euro per difendere il marchio”.↩︎

  36. Articolo “H&M nella bufera: Ha bruciato 60 tonnellate di abiti nuovi,” Affari italiani, 18 ottobre 2017.↩︎

  37. Marion Deslandes, “H&M deve affrontare il problema degli invenduti che si accumulano,” Fashion Network, marzo 30, 2018, read: https://it.fashionnetwork.com/news/h-m-deve-affrontare-il-problema-degli-invenduti-che-si-accumulano,963603.html.↩︎

  38. Isabella Naef, “H&M accusata di aver bruciato 12 tonnellate di abiti invenduti,” Fashion United, ottobre 19, 2017, https://fashionunited.it/news/moda/h-m-accusata-di-aver-bruciato-12-tonnellate-di-abiti-invenduti/2017101816394.↩︎

  39. Zoe Wood, “Cartier owner destroys more than £400m of watches in two years,” The Guardian, maggio 18, 2018, https://www.theguardian.com/business/2018/may/18/richemont-destroys-nearly-500m-of-watches-in-two-years-amid-buyback-policy.↩︎

  40. Vedi Zoe Wood, “Cartier owner destroys more than £400m of watches in two years”.↩︎

  41. Simon Glover, “France bans dumping of unsold fashion,” Ecotextile News, gennaio 31, 2020, https://www.ecotextile.com/2020013125619/labels-legislation-news/france-bans-dumping-of-unsold-fashion.html.↩︎

  42. Yuniya Kawamura, Fashion-ology (Londra: Bloomsbury, 2018), 89–91.↩︎

  43. Fabrizio Mosca, Heritage di prodotto e di marca (Milano: Franco Angeli, 2017), 19–23.↩︎

  44. Fondazione Pierre Bergé e Yves Saint Laurent, “Museo Yves Saint Laurent,” https://museeyslparis.com/en/, ultimo accesso giugno 27, 2021.↩︎

  45. Pierre Bergé e altri, Yves Saint Laurent 1971 la collection du scandale (Parigi: Flammarion, 2015)↩︎

  46. The North Face, “The North Face Remade Collection,” ultimo accesso giugno 27, 2021, https://renewalworkshop.com/blogs/news/the-north-face-remade-collection.↩︎

  47. Nike, “Nike refurbished,” ultimo accesso giugno 27, 2021, https://www.nike.com/sustainability/nike-refurbished.↩︎

  48. Hermès, “Petit H, la creazione alla rovescia,” ultimo accesso 20 giugno, 2021, read: https://www.hermes.com/it/it/story/272476-sei-generazioni-di-artigiani/.↩︎

  49. Miu Miu, “Upcycled by Miu Miu,” ultimo accesso giugno 20, 2021, https://www.miumiu.com/it/it/miumiu-club/special-projects/upcycled.html.↩︎

  50. Nona Source, “Story,” ultimo accesso giugno20, 2021, https://www.nona-source.com.↩︎

  51. Redazione, “Lvmh con Weturn per riciclare i tessuti invenduti,” Pambianconews giugno 25, 2021 read: https://www.pambianconews.com/2021/06/25/lvmh-con-weturn-per-riciclare-i-tessuti-invenduti-320761/.↩︎

  52. Tamison O’Connor, “What Vestiaire Collective’s €59 Million Fundraise Says About the Future of Luxury Resale,” The Business of Fashion, aprile 20, 2020, https://www.businessoffashion.com/articles/retail/luxury-resale-site-vestiaire-collective-funding-round.↩︎

  53. Antonio Foglia, Il marketing della moda (Milano: FrancoAngeli,2001), 64.↩︎

  54. Romano Capellari, Marketing della moda e dei prodotti lifestyle (Roma: Carocci editore, 2016), 48.↩︎

  55. Tim Blanks, “Why Gucci’s Alessandro Michele Is Shaking Up the Fashion Calendar,” The Business of Fashion, maggio 26, 2020, https://www.businessoffashion.com/opinions/luxury/gucci-alessandro-michele-fashion-calendar-seasonless.↩︎

  56. Miles Socha, “Tipping Point: Will the Flood of Collections Yield to Slower Fashion?” Women’s wear daily, aprile 2 2020, https://wwd.com/fashion-news/designer-luxury/will-coronavirus-reduce-fashion-seasons-collections-1203549445/↩︎

  57. Luisa Zargagni, “Giorgio Armani writes open letter to WWD,” Women’s wear daily, aprile 3, 2020, https://wwd.com/fashion-news/designer-luxury/giorgio-armani-writes-open-letter-wwd-1203553687/.↩︎