Se c’è sulla moda un volume valorizzante, ben curato, e corredato da un notevole apparato iconografico, senza dubbio questo volume è Ephimera. Dialoghi sulla moda, nato dal ciclo di incontri organizzato dalla storica e giornalista Sofia Gnoli e dalla direttrice del Parco Archeologico del Colosseo Alfonsina Russo, nella Curia Iulia del Foro Romano, tra la fine del 2019 e marzo 2020. E ciò soprattutto per quanti non hanno potuto assistere agli incontri avvenuti in un luogo simbolo del patrimonio culturale nazionale, che può ospitare, tra antichità e contemporaneità, le voci della moda, un’arte sempre in movimento tra passato e presente. Ossia, un’arte caleidoscopica che, tra temporalità e contemporaneità, è patrimonio di tutti.
In questa direzione, Sofia Gnoli afferma: “Il continuo scambio tra presente e passato, così come la natura polimorfica di questa disciplina si riflettono anche sulla diversa formazione dei partecipanti di Ephimera. Tra loro ci sono creativi, artisti, studiosi e giornalisti: ognuno di loro ha approfondito, attraverso la sua visione, un aspetto della contemporaneità. Si spazia così tra la moda come linguaggio di segni e come espressione artistica, senza trascurare temi come l’identità fluida, l’androginia, il dandysmo o il suo legame con il cinema, con la letteratura, con la fotografia” (pp. 9–12).
Così, tra interviste a designer di fama internazionale, quali Maria Grazia Chiuri (Dior), Silvia Venturini Fendi (Fendi), Alessandro Michele (Gucci), e racconti autobiografici tra storia e memoria, nonché ricostruzioni storico - culturali, il volume offre, tra gli altri, alcuni spunti di riflessione che concorrono ad avvalorare la moda nei termini di cultura, e non tanto e solo quale oggetto di consumo. A riguardo, per esempio, appaiono più che opportune le riflessioni di Maria Grazia Chiuri laddove, sottolineando l’importanza di come i nuovi media abbiano cambiato le regole del gioco, sostiene: “Sicuramente c’è un equivoco su quale sia la vera sostanza della moda. (…) In Italia non c’è consapevolezza che la moda è una disciplina. Probabilmente per un motivo storico, per come la moda si è sviluppata in Italia, dall’artigianato all’industria, e i designer legati all’industria sono diventati poi i famosi stilisti degli anni ottanta … In Francia invece la moda è un’istituzione, ha valore culturale. Questo fa una differenza profonda. E in questo momento storico non si può non riflettere su una serie di argomenti” (p. 64).
Nel contempo, il fatto di considerare la moda come disciplina chiama in causa il rapporto con la creatività, dal momento che — continua Chiuri — “Non ti svegli la mattina e hai un’illuminazione, è uno stereotipo questo. La moda è disciplina perché lavora sul corpo: un modello, costruzione, tessuto. (…) In questo lavoro la creatività ha bisogno di rigore, nell’approccio e nella realizzazione” (p. 65).
In tal senso, va da sé in che modo, sebbene la creatività sia “uno spazio aperto”, chiarisce Alessandro Michele: “questo è un lavoro faticoso, durissimo. Bellissimo, ma durissimo” (pp. 48–52).
Oltre al racconto autobiografico, esperienziale, si mostra poi significativo il richiamo alla necessità di tutelare il patrimonio del Sistema Moda, un patrimonio contemporaneo a rischio di dispersione, come ben sottolinea Silvia Venturini Fendi: “Ogni giorno questo patrimonio si assottiglia. Avvertiamo la necessità di politiche di supporto, di un’amministrazione che stia attenta a quel che potrebbe perdere. La verità è che ci sono molte piccole, preziose realtà che rischiano di scomparire — il cappellaio, la ricamatrice, il negozio di bottoni e passamanerie — che magari vengono riaperte in seguito dai giovani. Però, intanto ne abbiamo perso la radice principale” (p. 36).
In sostanza, ben assemblati in questo volume, riflessioni, memorie, racconti e studi analitici concorrono a delineare effettivamente la possibilità di una comprensione aperta e perspicace della moda contemporanea.