ZoneModa Journal. Vol.10 n.2 (2020)
ISSN 2611-0563

We Are Who We Are: Futuristic Teen Agers

Ylenia CaputoUniversità di Bologna (Italy)

Pubblicato: 2020-12-22

“Il personale è politico”. La seconda ondata femminista degli anni Settanta ha fatto di tale enunciato il proprio slogan.1 Oggi, a distanza di cinquant’anni, il valore di queste quattro parole sembra aver mantenuto la stessa carica rivoluzionaria. Ci ricorda che ciò che l’individuo è, è inscindibile da ciò che l’individuo è nel mondo e come prodotto di questo mondo. È una missione volta a riportare il personale su un piano politico e rendere il politico uno strumento per cambiare il personale. Pensiamo ai recenti movimenti quali il #MeToo, Black Lives Matter o, in generale, la rivoluzione Queer: non sono forse l’espressione del personale, dell’esperienza “privata” che diviene pubblica, dunque politica?

È in riferimento a queste tematiche che può essere analizzata la serie tv We Are Who We Are (2020) diretta da Luca Guadagnino per HBO e Sky Atlantic. Guadagnino, per la prima volta autore di un prodotto seriale, non è nuovo in un certo racconto di formazione che fa della sessualità, dell’amicizia e dell’amore gli strumenti per indagare l’identità di genere (si pensi a Call Me by Your Name, 2017). Supportato dalla possibilità di una narrazione estesa offerta dal formato seriale, Guadagnino rilancia ed esplora in profondità i temi trattati in precedenza. Stavolta, dedica il suo racconto al legame tra Fraser Wilson (Jack Dylan Grazer) e Caitlin Poythress (Jordan Kristine Seamón), due adolescenti americani che vivono con le loro famiglie in una base militare americana a Chioggia, in Italia.

La serie si inserisce in un recente contesto produttivo seriale italiano che vede la rinascita del teen drama. Per citare un caso significativo di produzioni teen oriented, la serie Skam Italia (2018–2020) che, al pari di We Are Who We Are, ha goduto di grande successo internazionale. Pur diversi tra loro nelle modalità di rappresentazione dei personaggi e dell’universo narrativo, entrambi i prodotti seriali sono accomunati dal racconto di una generazione, la Generazione Z, che nella fluidità di genere e nella valorizzazione della diversità trova suo fondamento; una generazione non politicizzata ma politica. Per intenderci, paradossalmente nessuno degli adolescenti rappresentati è impegnato politicamente eppure il loro agire nel mondo è politico. Cosa lo rende tale?

In We Are Who We Are ogni personaggio deve fare i conti con l’eterno dilemma dell’essere ciò che è o ciò che dovrebbe essere: la serie sembra ricordarci in continuazione che l'identità richiede un altro, un pubblico, un interlocutore. I suoi protagonisti mostrano che esistiamo solo in relazione a qualcun altro. Il modo in cui gli altri ci vedono non ci definisce (siamo ciò che siamo, dopotutto), eppure crea crepe nel modo in cui ci vediamo, costringendoci a cercare ancore che rendano la nostra identità leggibile agli altri così come lo è per noi.

Guadagnino mostra tale conflitto in tanti e differenti modi. In questa sede interessa, tuttavia, far emergere la stretta connessione tra rivoluzione identitaria e moda, dove la moda è intesa sia in senso lato — associabile al concetto di Fashioning of the self — che come Fashion in quanto tale. La moda assume ruolo fondamentale nel percorso di formazione di Caitlin e Fraser: è mezzo di ricerca identitaria per l’una e di espressione per l’altro. Prendiamo Caitlin, sospesa nella sua identità di genere, tra il suo apparire donna e il sentirsi uomo. L’espressione del suo conflitto interno si traduce nell’ alterazione del proprio viso, dai peli incollati sulle labbra a mò di baffi, fino al gesto — per lei estremo — di tagliare i lunghi e caratteristici capelli. Il simbolico restyling, vagamente posticcio, le è funzionale per creare una versione di sé stessa più virile in modo che gli altri possano vederla come lei desidera essere vista. Significativo il monito “gender fluid” di Fraser: «Davvero pensi che essere maschio significhi saper sparare, fare pipì in piedi e avere peli sul viso?». Eppure, per Caitlin, adeguarsi al pensiero binario è l’unico modo tangibile per esprimere la rivoluzione che c’è in lei: pur essendo ciò che è, ha bisogno che gli altri la vedano come lei vede sé stessa. Ricorda il concetto di Self-Fashioning di Stephen Greensblat:2 il processo di costruzione della propria identità e personalità pubblica secondo una serie di standard socialmente accettabili e lo sforzo cosciente di imitare un modello socialmente condiviso.

Al polo opposto, Fraser. Come un moderno flâneur baudeleriano, il ragazzo dallo sbadiglio facile è l’essenza di ciò che si dà nella transitorietà, nella fluidità: è solitario e malinconico, tuttavia ama perdersi nella folla; pur sentendosi forse diverso, un osservatore esterno, non può fare a meno di essa. Nel non-luogo di divise militari e omologazione in cui vive, Fraser è un outsider che sente su di sé tutta l’estraneità di un mondo alienante e brutale in cui non può in alcun modo riconoscersi. Se il flâneur, così come in Walter Benjamin, critica la moderna società capitalistica e il turismo mordi e fuggi, così Fraser si oppone alla caducità del fast fashion (e del fast feeling, diremmo). Così provoca Caitlin: « mi piace la poesia perché non è come i tuoi vestiti, moda usa e getta; compri una cosa che ti piace adesso e tra due mesi la butti. Cerco qualcosa che abbia significato». È lì che Fraser trova ed esprime il suo significato: nelle poesie che legge e in ciò che indossa; ammira Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga e fondatore di Vetements, che «porta il realismo sulla stoffa»; indossa felpe come quella, già iconica, del brand Human Made — rivolto a una nicchia di persone rivoluzionarie e controcorrente — il cui slogan è “Gears for Futuristic Teen Agers”.

Quanto visto finora conduce alla riflessione conclusiva: i corpi e gli abiti che li vestono sono strumenti per esplorare e affermare l’identità dei personaggi. In tal senso, con la Gen Z, lo slogan “il personale è politico” si riconfigura: la rivoluzione è dei corpi, narrati in poesia o costantemente mostrati nelle loro trasformazioni, che siano completamente nudi o vestiti di significativi abiti. I corpi divengono corpi politici, strumenti per sfidare il razzismo, la repressione sessuale, l’imposizione di binarismi di genere interiorizzati. Gli abiti indossati, così come la mera esposizione del corpo sanguinante di Caitlin o l’intimità senza filtri dei personaggi della serie — tra genitali esposti e rapporti sessuali promiscui — sono rivoluzionari simboli di resistenza, fonte di potere e di normalizzazione di quelli che vengono considerati tabù sociali (il ciclo sessuale, il desiderio sessuale, l’identità sessuale). Al riguardo, il fatto che la storia sia collocata temporalmente nel 2016, durante il periodo delle elezioni presidenziali e dell’inaspettata vittoria di Trump, è piuttosto significativo.


  1. Vanesa Miseres, “The Personal is Political”, in Teaching Gender through Latin American, Latino, and Iberian Texts and Cultures, eds. Gómez L., Horno-Delgado A., Long M.K., Silleras-Fernández N. (Rotterdam: Sense Publishers, 2015), https://doi.org/10.1007/978-94-6300-091-8_4.↩︎

  2. Stephen Greensblat, Reinsassance Self-Fashioning (Chicago: The University Press of Chicago, 1980).↩︎