ZoneModa Journal. Vol.10 n.1 (2020)
ISSN 2611-0563

Decostruire la Madre. Appunti intorno a due “fashion film”: Franca. Chaos and Creation (2016) di Francesco Carrozzini e La scomparsa di mia madre (2019) di Beniamino Barrese

Simona Segre ReinachUniversità di Bologna (Italy)

Pubblicato: 2020-07-29

È il sogno di molte madri avere un figlio modello, seppure diversa possa essere la manifestazione di tale perfezione. Per qualcuna potrebbe essere il successo professionale che il figlio raggiunge, per un’altra la devozione che esprime nei suoi confronti. Per molte madri il fatto stesso di averlo generato fa del bambino il figlio perfetto. Ci sono anche madri che sebbene in apparenza non abbiano particolarmente ricercato il figlio modello, impegnate com’erano a vivere una vita fuori dagli schemi, se ne ritrovino due, devoti e di successo, anche grazie a loro. Sto parlando di Beniamino Barrese (1986) – quarto e ultimo figlio di Benedetta Barzini (1943), modella e docente di moda - e di Francesco Carrozzini (1982) - figlio unico di Franca Sozzani (1950-2016) direttrice di Vogue Italia – entrambi intelligenti e sensibili registi, autori di due bellissimi film sulle loro rispettive genitrici.

Benché non sappia immaginare due donne più diverse per storia familiare e personale, per stile e modi, accomuna Benedetta Barzini e Franca Sozzani la peculiarità di essere il soggetto di un film da parte dei lori rispettivi figli: “La scomparsa di mia madre” (2019) per Benedetta e “Franca. Chaos and Creation” (2016) per Franca e di essere entrambe protagoniste, seppure in modo antitetico, come vedremo, del sistema della moda internazionale. Le somiglianze non finiscono qui: sono state tutte e due delle ribelli per la loro epoca, hanno sfidato gli stereotipi del femminile, della famiglia, della maternità. Hanno cresciuto i loro figli da sole, seppure Benedetta abbia avuto diversi compagni, e diversi figli da padri diversi, mentre Franca un solo figlio, ma da subito con l’idea di crescerlo da sola. Benedetta ha avuto un’infanzia complicata che l’ha resa guardinga; Franca un’ infanzia felice che le ha dato serenità e sicurezza. Sono state tuttavia entrambe critiche nei confronti della loro famiglia di origine. Franca perché proveniva da una famiglia troppo borghese per comprendere le sue scelte fuori dagli schemi. Benedetta perché nasce da un padre, Luigi Barzini Jr, e da una madre, Giannalisa Feltrinelli, troppo poco borghesi per comprendere il suo desiderio di ancorarsi da qualche parte. A sette anni Franca decide di andare in collegio. A 22 si sposa per uscire di casa, il matrimonio dura tre mesi, il figlio lo farà dopo con un altro uomo. Benedetta, cresciuta in alberghi, con surrogati materni e ovunque nel mondo, cerca caparbiamente il consenso, l’affetto, che poi rifugge perché non sa cosa significhi avere un posto sicuro. Di sua madre racconta: Quando ci trascinò a New York, lei aveva una suite al sedicesimo piano e noi stavamo al terzo con la governante. Mi confondeva con mia sorella: ’Tu chi sei: Ludina o Benedetta? Ha detto di lei suo padre, Benedetta è come le cascate del Niagara e altrettanto invivibile come tutte le cose troppo belle, liquidando così ogni responsabilità di tale invivibilità. Franca, dal suo posto sicuro di figlia di una sobria provincia lombarda, può allontanarsene senza paura, anche se non senza difficoltà. La volevano moglie e madre? Lei fa la giornalista. Mio padre è stata una luce nella mia vita, dice Franca, ma molto distante, tutto andava fatto secondo un ordine già definito. Non ha mai capito fino in fondo che cosa fosse il mio lavoro. La sua meta è Milano, il suo posto sarà la direzione di Vogue Italia in piazza Castello che, sotto la sua guida (1988-2016) diviene l’edizione più d’avanguardia, delle testate Vogue di Condé Nast. E qui cominciano le differenze. Anche Benedetta, infine, diventa milanese, ma per caso. Non riveste un ruolo specifico nella città della moda, e sempre cerca di fuggire altrove. Si è affermata per la sua bellezza straordinaria e per aver riscritto la professione di modella negli anni 60, inaugurando l’evo moderno di questa professione nella moda. È in copertina di Vogue Italia nel 1965, la stessa rivista che Franca “riformerà”, vent’anni dopo. Ottenuto ogni lavoro per caso - a chi potesse rimarcare che Benedetta appartenga al jet set internazionale, si può rispondere che c’è chi vi appartiene senza trarne alcun beneficio - ha voluto solo rinnegare ciò che ha fatto, far finta di niente, con scarso esito. Tutti infatti la ricordano come la modella icona di New York capitale del mondo, notata da Consuelo Crespi, allora direttore di Vogue Italia, convocata da Diana Vreeland, ritratta dai più grandi fotografi, come Irvin Penn e Richard Avedon - l’ovale inconfondibile del suo viso perfetto, il neo sulla guancia, le lunghe ciglia e le gambe ancor più lunghe, Benedetta, l’amica di Andy Warhol e Truman Capote, la protagonista delle notti di New York. Pochi la ricordano come femminista impegnata in salopette e sandali negli anni ’70, nel suo caotico appartamento di via Canova a Milano, aperto a tutti, la Citroen Gs parcheggiata sotto casa in cui trovava rifugio ogni notte un senzatetto – Benedetta che allatta i suoi gemelli fino ai 4 anni. E probabilmente pochissimi, forse solo noi studiosi di moda, le riconoscono il suo ruolo di docente e di inflessibile critica del sistema moda che ritiene di aver subito, ancora oggi. Arruffata e nemica dell’igiene anche più scontata, Beniamino ce lo mostra nel film senza falsi pudori, non riesce mai a essere brutta, proprio non ci riesce nemmeno se nell’impresa profonde il massimo impegno, e torna e ritorna sulle passerelle che pure disprezza, per necessità dice, ma chissà, forse anche per una fatale attrazione. Anche in mezzo alla folla, non puoi non notarla, lei che intende scomparire, perché è sempre la più bella e la più visibile. Il film di suo figlio Beniamino non fa che rimarcarlo, per esempio quando istruisce alcune giovani ragazze a interpretarne l’enigma, ricercando lui stesso, figlio sedotto da tale enigma, la verità segreta esposta in evidenza, direbbe Elemire Zolla, ma non per questo più accessibile. Non potrò mai capire, dice, potrò solo intuire.

Franca non solo non vuole scomparire dal mondo della moda, ma vuole esserci da protagonista, e lasciare un segno. Ci riesce indubbiamente. E lo sa: I 27 anni da Vogue Italia non me li può togliere nessuno. Ha inaugurato una nuova visione della moda, e dell’editoria di moda, come dichiara nel film la storica della moda Valerie Steele. Insieme a Gianni Versace, Franca è considerata l’inventrice delle top-model - cioè una ripresa anni ’80 di ciò che era stata Benedetta nei ’60. I traguardi di Franca sono elencati e da lei raccontati nel film-video-intervista che alterna spezzoni in super 8 tratti dall’album della famiglia Sozzani - le vacanze della borghesia: sugli sci, in motoscafo - a dichiarazioni su che cosa Franca abbia fatto per cambiare Vogue sotto la sua direzione. Io pensavo che Vogue Italia potesse salire molto più in alto di quanto gli altri giornali avessero mai fatto. Franca agisce da sola, ma non è sola. Ha un’alleata in sua sorella Carla, altrettanto di successo e nel medesimo settore e le due sorelle sono spesso ritratte insieme. Si assomigliano anche molto. Le contraddistingue la cura estrema per il proprio aspetto, i capelli sempre biondi, lunghi e perfettamente acconciati, gli abiti sempre d’avanguardia, firmati dagli stessi designer di cui hanno contribuito a decretare il successo. Anche Benedetta ha una sorella, ma non si frequentano, e non sono solidali. Si assomigliano, indubbiamente, ma i cromosomi del fascino sono andati solo in una direzione. Sembra che i suoi abiti siano scelti per caso, e lo sono, perché le viene così, ma tutta la sua persona emana quel distacco/sprezzatura di cui si nutre l’eleganza. È modella, ma non può essere un modello per qualcuno, perché è un pezzo unico, non ripetibile. Non c’è bisogno di me. È impossibile coglierla meno che impeccabile in ogni occasione, mai classica, sempre modernissima. È di moda, ma al di fuori dalla moda. Benedetta si definisce una donna ferita dalle immagini, mentre Franca è consapevolmente fiera di essere una creatrice di immagini.

Il fallimento della vita amorosa di entrambe, dichiarato per Franca, non ho avuto la grazia del grande amore, deducibile per Benedetta, ci fa riflettere sulle possibilità di autodeterminazione femminile per la generazione del dopoguerra, contigua al boom economico, soprattutto la più giovane Franca, ma ancora imbevuta di cultura patriarcale. Anche se il campo della moda è sui generis nel regolare i rapporti di genere, è pur vero che solo recentemente ha smesso di richiedere il sacrificio esistenziale di chi non si riconosce nella norma vigente.

Aleggia il tema della morte in entrambi i film. Nel caso di Benedetta il titolo ambiguo del film è La scomparsa di mia madre. Vero che si tratta dell’idea ricorrente che Benedetta non ha mai nascosto, cioè di scomparire dalla sua vita ingombrante e perennemente in lotta con il suo essere parte di un sistema, quello della bellezza femminile in un mondo maschile e consumista come è (stato) il fashion system, che ha contestato sin dal principio pur essendone parte integrante. Però, nel film, Beniamino ci fa capire che, in fondo, questo sarà il ricordo più concreto e affidabile di ciò che è stata sua madre, quando sua madre, un giorno lontano, non ci sarà più. Per Carrozzini, che ha terminato il film nel medesimo anno, il 2016, della scomparsa di sua madre, a pochi mesi dall’anteprima del film, non si può non pensare al titolo dell’altro film, quello su Benedetta. Mentre è difficile vedere il caos nella vita di Franca, seppure il figlio dica che ce n’era, quella di Benedetta ne è pervasa. I titoli dei film potrebbero anche essere scambiati. Una prova in più di una coincidenza quasi esoterica tra le due opere, vien da dire.

Cosa chiedono i due figli alle loro madri? Attenzione. Sono insistenti, richiedenti, a volte molesti come i bambini sanno essere quando chiedono senza stancarsi e prendono i genitori, appunto, per stanchezza. Sono bravi registi, tutto si tiene naturalmente, forse c’è anche del compiacimento nella petulante insistenza verso madri riluttanti a concedersi, ma sono anche figli che chiedono di sapere, adesso che sono grandi e prima che sia troppo tardi, chi siano davvero le loro madri, al di là del ruolo e al di qua del ruolo. Madri speciali, certamente, prime donne che per loro sono prima di tutto le loro madri. Carrozzini chiede, ripetutamente, maggiori notizie su suo padre, su lei da piccola, su lui da piccolo.

Barrese vuole conoscere più a fondo sua madre e quindi, che cosa ha significato per lei essere una modella. Perché si trascura, perché vive così, perché vuole sparire. Le due donne sono ruvide e a tratti scostanti con i figli. Cercano di sottrarsi, si sentono minacciate. Metti giù quell’aggeggio, mettilo giù! Non ti rivolgo più la parola, vai via!, dice Benedetta. Perché devo parlare con te? si lamenta Franca. È solo ruvidezza apparente. Benedetta ha accompagnato Beniamino in tutta Italia a presentare il film e si emoziona ogni volta. Io li visti, madre e figlio al cinema Mexico, sala cult milanese, emozionati entrambi. Lei stessa ha confermato ciò che sto scrivendo, e cioè che si emoziona, e si stanca anche, ogni volta, ma non si sottrae, dimostrando che una madre non può mai davvero scomparire per il proprio figlio. Franca appare più dura e sicura nel suo ruolo, ma non per questo meno innamorata del figlio, sei la prova che non ho fallito. Il film di Carrozzini è di fatto una lunga intervista che scandaglia la vita professionale della madre, intrecciandola a ricordi della sua infanzia. Tu non mi hai mai portato al parco. No, e neanche sono venuta al tuo esame di quinta elementare. Sono arrivata il giorno dopo. Ridono, non c’è risentimento. Franca è andata sempre controcorrente, e non ha ascoltato le critiche. Nel film i diversi contributi riguardano la sua carriera, con interviste a Valentino, Karl Lagerfeld, Bruce Weber, Baz Luhrmann, Naomi Campbell, Marina Abramovic, Courtney Love, Donatella Versace.

Il film di Barrese è un viaggio nel mistero di Benedetta che ripetutamente e vanamente viene da lui interrogato per renderlo accessibile. Lo fa con la vicinanza con sua madre, nei 4 anni di intimità richiesti per il film, in cui ha lasciato la sua vita a Londra, per realizzare il progetto a Milano. Ma anche Carrozzini ha dichiarato e che ha deciso di fare il film per passare del tempo con sua madre, non per celebrarla. Anche per lui ci sono voluti 4 anni per completare il film. È evidente che si tratti di un lascito, quasi di un testamento. Dice Francesco: Questo film, che ho completato in quattro anni, è tanto un testamento alla sua storia, quanto un atto d’amore. E ciò che, dice, ha imparato dal film è che i genitori sono persone e che commettono errori. E Beniamino dal canto suo: “Come si fa a non fare un film su mia madre! È una persona talmente unica…ho pensato, se non lo faccio io lo fa qualcun altro”. Sono due film nati per amore, un amore ricambiato, l’amore puro è quello per un figlio, sussurra Franca quasi alla fine del film; Per lui ho dovuto rinunciare al mio desiderio di non essere vista, replica Benedetta.